La disinformazione duratura
L’attuale fase della “permanente” guerra israelo-palestinese è paradigmatica della gabbia mediatica cui tutto il globo è sottomesso. Infatti, mentre il ministro per la Sicurezza d’Israele Uzi Landau sentenziava «Se Bush menzionerà un futuro Stato palestinese, darà un chiaro contributo al futuro terrorismo», il presidente americano, a poche ore dall’attentato, rispondeva: «Crediamo nella pace in Medio Oriente… non rinunceremo alla nostra visione che respinge il terrorismo e onora la pace e la speranza».
Da una parte si ergono muri, dall’altra si enunciano appelli di una possibile risoluzione attraverso una riforma radicale dell’Autorità palestinese con la proclamazione successiva di uno Stato ad interim della Palestina, diviso in due parti, A e B. È chiaro come i fili della matassa siano in mano a chi ha bene in mente scenari a venire e che può permettersi uscite totalmente avulse dalla cruda realtà che, pure, è sotto gli occhi di tutti.
La gabbia mediatica consiste proprio nel suggerire in modo convincente o il “punto di vista” dominante per gli interessi dei privilegiati (occidente) o una “neutralità paradossale”, nonostante le informazioni dei massacri israeliani e della condotta criminale di NATO e USA siano recuperabili ovunque, compresi i TG o i quotidiani borghesi.
Noam Chomsky spiega da tempo il reale problema dell’ informazione dei massmedia.
Egli svela la natura bombardante, di sovrapposizione, di surplus dell’informazione; è più conveniente disorientare piuttosto che censurare, più gestibile un qualunquismo diffuso piuttosto che un’ ignoranza temporanea; insomma l’informazione, oggi, è disinformazione.
Quando lo stato “amico” per eccellenza di Israele, fedele fornitore di alta tecnologia e relazioni segrete militari ed industriali per conto della First Lady Laura Bush, a proposito della muraglia, si permette di rimproverare Sharon: «C'è un’enorme barriera di odio e sospetto. Spero che venga abbattuta...I palestinesi hanno bisogno di speranza e di una vita decente, che solo l'abbattimento dei muri può propiziare», allora tutto o è il contario di tutto o semplicemente è il “nulla” in pasto all’opinione pubblica che, accondiscente bene, può continuare ad occuparsi di altro che tanto c’è chi sa e può.
“sbaglia chi crede che i media sono vicini o in stretto rapporto con l’Establishment, i Media SONO l’Establishment”.
Così diceva un professore, scampato all’operazione "Giusta Causa", nel bel film di B. Trent “Panama Deception”, dopo che gli USA avevano raso al suolo mezza città e riempito decine di fosse comuni con migliaia di civili a Panama.
Il “canale” panamense è stato la “piazza” sperimentale prima dell’ondata “umanitaria” che dalla guerra del Golfo, alla Bosnia, al Kosovo ha determinato le politiche imperiali delle potenze per la spartizione ed il controllo di risorse e zone d’influenza. Già allora infatti il kattivo, l’Hitler della storia fu creato ad hoc, additando all’ex stipendiato della CIA Manuel Noriega, il ruolo di narco-terrorista da eliminare a tutti i costi, per costi s’intendeva, e lo s’intende tutt’ora, i civili e i territori smembrati.
E’ però vero che dopo l’ormai fatidico 11 settembre le missioni di pace, le guerre umanitarie sono un gioco dialettico inutile (ben riuscito per tutti gli anni ‘90) ed infatti si può tranquillamente chiamare guerra, al terrorismo ovviamente, ma pur sempre e solo guerra. Il nemico è ovunque, i terroristi sono ovunque, ma di contr’altare la libertà sarà duratura e la giustizia infinita. A chi da anni, scimiottando astratte tesi anarcocapitaliste, va sostenendo l’estinzione degli stati-nazione, non resta che godersi il ritorno del patriottismo più becero e mitologico, l’applicazione di leggi d’emergenza a tappeto, l’estensione dei decreti di blocco delle frontiere, l’acutizzarsi di misure protezionistiche ultranazionalistiche (vedi i dazi sull’acciao degli Stati Uniti) e più diffusamente il riemergere di un fascismo strisciante e populista come in Francia, in Italia, in Olanda solo per restare in Europa.
Il dibattito sui Media, sull’Informazione, sulla trasmissione dei saperi ritorna più che mai prioritario fra le componenti rivoluzionarie del movimento. Non solo e non tanto sulle analisi globali serve spendersi, ma sulla fattibilità di strumenti propri di emancipazione mediatica e quindi di “cibo sano” per le coscienze.
Nestor
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