Numero 3 - Luglio/Agosto 2002 - Anno 1

Una storia italiana


L'Italia è ancora scossa dai sussulti del 1968 e dell'autunno caldo, con gli operai in piazza e gli scioperi ad oltranza, quando, il 12 Dicembre 1969, una bomba massacra crudelmente 17 persone e ne ferisce in modo riprovevole altre 84, nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, sita in Piazza Fontana a Milano. 
Quasi da copione, le inchieste si gettano contro i gruppi anarchici ed extraparlamentari, maxi retate, interrogatori, un anarchico ucciso (Giuseppe Pinelli), lanciato dalla finestra della questura. 
Tre giorni dopo la strage, il 15 Dicembre 1969, Pietro Valpreda, un giovane ballerino anarchico, viene arrestato, ritenuto responsabile della bomba di Piazza Fontana. Tutto sulla base della testimonianza di un tassista alquanto dubbio, Cornelio Rolandi, che fornisce un identikit del presunto attentatore in totale disaccordo con l'immagine e il modo di fare di Pietro Valpreda. Il cliente di Rolandi (se davvero ha avuto quel cliente), porta la cravatta, gira in cappotto e parla in italiano, senza alcuno accento dialettale. Pietro Valpreda non porta mai la cravatta (indumento che odia!), indossa sempre l'eskimo e il suo accento milanese è incancellabile. Ma per gli inquirenti basta lo spontaneo ed equivoco "L'è lù", detto dal tassista appena vede l'anarchico. "E' lui" basta per condannare Pietro Valpreda, per farlo definire mostro, belva umana, pazzo assetato di sangue dai giornali dell'Italia perbenista e spalleggiatrice del sistema. "E' lui", detto di scatto senza pensarci, basta a lasciare in prigione un innocente per tre anni, carcerazione preventiva.
Poi inizia la trafila dei processi, le condanne, le assoluzioni, gli appelli, i ricorsi e così via.
Deve arrivare il 1987 per l'assoluzione e la condanna di gente implicata negli ambiente dell'estrema destra. La condanna dei fascisti di Ordine Nuovo arriva il 30 Giugno 2001: ergastolo per Delfo Zorzi (in Giappone con poche probabilità di estradizione), Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni.
"E' solo una mezza verità, bisogna vedere chi c'è dietro", dice Pietro Valpreda nella conferenza tenuta proprio nella stessa Piazza Fontana. E' la cronaca di una storia dell'Italietta, l'Italia dei preconcetti contro gli anarchici (se scoppia una bomba sono gli anarchici!), l’Italia che copre i militanti dell'estrema destra che usa come propri delfini per realizzare i progetti tendenti al golpe dei Servizi, l'Italia dei processi infiniti, l'Italia dei continui ricorsi, l'Italia dei mostri sbattuti in prima pagina, prima ancora che si sia accertato se i sedicenti "mostri" siano colpevoli, l’Italia dei giornali che si fanno chiamare indipendenti e poi sono ancora più militanti di quelli chiaramente abbinati a una parte politica. Dopo Piazza Fontana un bel po’ di italiani hanno aperto gli occhi, hanno capito che gli anarchici non erano altro che una scappatoia per coprire interessi e strategie losche ordite dallo stato e dai servizi segreti.
Se ne accorsero, gli italiani, della trama nera, ed iniziarono i comitati per Valpreda libero: lo si urlava ai concerti, lo si urlava nelle manifestazioni e nelle canzoni di protesta del tempo. 
"I veri assassini han la camicia nera, anarchico Valpreda fuori dalla galera", diceva Giovanna Marini.
Si è conclusa la sera del 6 Luglio, la vita di Pietro Valpreda, simbolo dell'ingiustizia italiana e simbolo di mille lotte contro un carcere troppo facile a venire (soprattutto a chi non c'entra niente) e troppo difficile da cancellarsi.
Aveva 69 anni, era circondato dai suoi parenti e dai suoi compagni di lotta di sempre.
Se n'è andato e ha portato con sé tante utopie, tanta memoria storica, ma soprattutto una incolmabile sete di giustizia, che mai ha avuto piena. 
Tante parole sono inutili, ne serve solo una. ADDIO! 

Sara


E a te Pietro Valpreda


Batton le sette e mezza la mattina
vien quattro sbirri a visitar le celle
chi batte all’inferriate e chi alle porte
chi ascolta il grido delle sentinelle

E a te Pietro Valpreda t’hanno rinchiuso
che da due anni sei dentro innocente
giustizia dei borghesi non ha recluso
quelli che rei lo sono veramente

Sia maledetto chi inventò le chiavi
chi inventò le galere e i tribunali
e che imprigiona sempre gli innocenti
perché difende i veri criminali


La canzone originale è un lamento carcerario toscano, attualizzato in occasione dell’inizio del processo per la strage di Milano.


 

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