Numero 3 - Luglio/Agosto 2002 - Anno 1

Antimilitarismo anarchico


Per antimilitarismo in genere si intende la contrarietà etica (individuale) e politica (collettiva) all’istituzione militare e all’eser-cito. A questo punto bisognerebbe chiedersi se esista o meno una specificità anarchica di questo rifiuto della divisa e conseguentemente alla prima domanda se anche il movimento anarchico in genere sia unanime o si differenzi ulteriormente.
Iniziamo subito dalle affermazioni di principio e dai distinguo. Il movimento anarchico non ha mai avuto la pretesa di monopolizzare ideologicamente l’antimilitarismo, ma ha sempre voluto attribuirgli una valenza particolare, in qualche modo di specificità propria che lo contraddistinguesse da tutti gli altri antimilitarismi. Sembra, di primo acchito, una pretesa di superiorità boriosa di un gruppo di “duri e puri”. 
La realtà, a nostro avviso, è ben altra, e cioè che l’antimilitarismo senza una lotta che metta in discussione l’esistenza stessa dello stato, delle istituzioni e del sistema di sfruttamento capitalistico, potrebbe risultare monco.
Se è vero, infatti, che ciò che configura da un punto di vista giuridico il potere statale è l’uso legale della forza all’interno di un territorio dato, è chiaro che per difendere l’ordinamento vigente, il Potere si attrezzi con gli strumenti più conseguenti: la polizia, i carabinieri, l’esercito, i tribunali, le carceri e così via. Sarebbe troppo lungo dilungarsi, ma è evidente che il Potere si conforma ai livelli che lo scontro di classe, le culture ed i movimenti sociali e comunicativi esprimono in dato momento storico: tanto per fare un esempio si può supporre che il sistema penale medioevale fosse abbastanza differente da quello attuale, senza togliere nulla alle nefandezze del presente.
Ricordiamo inoltre che non abbiamo per nulla una visione statica della storia e che pertanto, quando parliamo di momenti storici, pensiamo sempre ad una loro periodizzazione e contestualizzazione.
Chi ha un po’ di memoria storica, sa che tutti gli eserciti nascono con una duplice finalità: di repressione e di controllo interno (entità statuale genericamente definita dall’età moderna) e di repressione e di controllo dell’integrità territoriale di fronte ai nuovi o vecchi nemici.
Tutte le più grandi repressioni antipopolari della storia sono state condotte dagli eserciti dei propri paesi e, quand’anche fosse stata fatta da un qualsiasi ‘invasore’, non è mai mancata l’attiva collaborazione delle forze patrie.
L’esercito, quindi, in base a questa funzione duale (interna ed esterna) non è mai stato scisso dal Potere che ad esso si accomunava e sorreggeva. Ecco perché non può bastarci un generico rifiuto dell’Istituzione militare senza che ad essa si accompagni un altrettanto serrata critica del potere statuale e delle sue diramazioni. 
Siamo, secondariamente, abituati a sceglierci i nemici e gli amici senza che alcuno, al di sopra, ce lo imponga: non è la collocazione geo-politico-natale di una persona che ci interessa, ma cosa questa fa in quel luogo. O per meglio dire, se essa sfrutta o non sfrutta altri esseri umani, animali o vegetali, cosa ne pensa dell’omosessualità, dell’infibu-lazione, dell’autorganizzazione e così via. 
Per quanto riguarda il postulato della repressione interna, essendo noi selvaggiamente ribelli alle cose esistenti, non possiamo che essere contrari a uomini e donne in divisa istituiti ed istruiti a farci accettare le cose così come stanno.
Per quanto concerne, invece, il secondo postulato, ci sembra più che ovvio che non accetteremo mai che uno ci dica che una popolazione di 10, 20 o 100 milioni di abitanti è nostra nemica.
Né accetteremo mai che il Potere, inviando a combattere dei ‘profes-sionisti della morte su vasta scala’, ci liberi dal dovere etico e politico di insultarlo e combattero ogni qual volta questo accada (vedi guerra in Kossovo).
Forse adesso si capisce un po’ meglio cosa ci contraddistingue dal degnissimo antimilitarismo cristiano o da quello social-comunista. 
Non possiamo credere infatti, che esistano guerre giuste o sante o che l’esercito possa servire a costruire uno Stato socialista, ma semmai ad affondare il socialismo e a salvare lo stato; non possiamo credere che esistano eserciti popolari, ma solo antipopolari o che le missioni sotto egida ONU siano delle missioni umanitarie, ma possiamo credere che siano soltanto delle forme di guerra sotto altro nome (caso Somalia docet).
Possiamo, dunque, dirci pacifisti? Sì, a patto che a questo termine non vengano concesse deroghe di sorta: ricerca della pace sempre, ma lotta mai pacificata ad ogni forma di sfruttamento e di dominio.

Pietro Stara

Per ulteriori informazioni: http://www.federazioneanarchica.org/antimiliti/
http://www.ecn.org/cassasolidarietantimilitarista/


 

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