. . . Su dio . . .
Il seguente brano di M. Bakunin è tratto dall'edizione italiana di “Dio e lo Stato”. Lo riportiamo, oltre che come piccolo contributo alla diffusione del pensiero del padre dell'anarchismo, per la chiarezza con cui esso mostra la contraddizione logica in cui cade chi sostiene l'autorità divina (o qualsiasi altro tipo di autorità) in nome della salvezza dell'uomo.
È necessario ricordare quanto e come le religioni istupidiscano e corrompano i popoli? Esse uccidono in loro la ragione, il principale strumento dell'emancipazione umana, e li riducono all'imbecillità, condizione essenziale della loro schiavitù. Esse disonorano il lavoro umano e ne fanno un contrassegno e una fonte di servitù. Esse uccidono la comprensione e il sentimento dell'umana giustizia, facendo pendere sempre la bilancia dalla parte dei bricconi trionfanti che godono del privilegio della grazia divina. Esse uccidono la fierezza e la dignità umane, proteggendo solo gli esseri servili e gli umili. Esse soffocano nel cuore dei popoli ogni sentimento di fratellanza umana, colmandolo di crudeltà divina.
Tutte le religioni sono crudeli, tutte sono fondate sul sangue; perché tutte si adagiano principalmente sull'idea del sacrificio, cioè sul sacrificio perpetuo dell'Umanità all'insaziabile vendetta della Divinità. In questo sanguinante mistero l'uomo è sempre la vittima, e il prete, uomo anch'esso ma uomo privilegiato dalla grazia, è il divino carnefice. Questo ci spiega perché i preti di tutte le religioni, i migliori, i più umani, i più comprensivi, hanno sempre nel fondo del loro cuore - e, se non nel cuore, nella loro immaginazione e nella mente (ed è risaputa l'influenza formidabile che l'una e l'altra esercitano sul cuore degli uomini) - hanno sempre nei loro sentimenti qualche cosa di crudele e di sanguinario. Tutto ciò i nostri illustri idealisti contemporanei lo sanno meglio degli altri. Essi sono uomini colti che conoscono a memoria la storia delle religioni; e poiché sono uomini viventi, anime compenetrate di amore sincero e profondo per il bene dell'umanità, hanno maledetto e stigmatizzato tutti questi misfatti, tutti questi delitti della religione con un'eloquenza senza pari. Essi ripudiano indignati ogni solidarietà col Dio delle religioni positive, coi rappresentanti passati e presenti sulla terra. Il Dio che essi adorano, o che credono di adorare, si distingue appunto dagli dei reali della storia perché non è un Dio positivo, per quanto esso sia determinato teologicamente o metafisicamente. Non è né l'Essere supremo di Robespierre e di J. J. Rousseau, né il Dio panteista di Spinoza e neppure il Dio contemporaneamente immanente e trascendente e assai equivoco di Hegel. Essi si guardano bene dal dargli una qualsiasi determinazione positiva intendendo molto bene che ogni determinazione lo sottoporrebbe all'azione corrosiva della critica. Essi, parlando di lui, non diranno se sia un Dio personale o impersonale, se ha creato o no il mondo; non faranno nemmeno riferimento alla sua divina provvidenza. Tutto ciò potrebbe comprometterlo. Si accontenteranno di dire: "Dio", e niente di più.
Ma allora che cos'è il loro Dio? Non è neppure un'idea, è un aspirazione. È il nome generico di tutto ciò che appare loro grande, buono, bello, nobile, umano. Ma perché non dicono allora: l'uomo? Ah! Perché re Guglielmo di Prussia e Napoleone III e tutti i loro simili sono egualmente uomini: ed ecco ciò che li mette assai in difficoltà. L'umanità reale ci presenta l'insieme di tutto ciò che vi è di più sublime e di più bello, e di tutto ciò che vi è di più vile e di più mostruoso nel mondo. Come cavasela? Chiamano l'uno divino e l'altro bestiale, raffigurandosi la divinità e l'animalità come i due poli entro i quali collocano il genere umano. Essi non vogliono o non possono comprendere che questi tre termini ne formano uno solo e che, separandoli, si distruggono. Non sono forti nella logica e si direbbe che la spezzino. Ciò li distingue dai metafisici panteisti e deisti e conferisce alle loro idee il carattere di un idealismo pratico, in quanto poggiano le loro ispirazioni molto meno sullo sviluppo severo del pensiero che sulle esperienze, direi quasi sulle emozioni, tanto storiche e collettive quanto individuali, della vita. Questo dà alla loro propaganda un'apparenza di ricchezza e di potenza vitale, ma solo un'apparenza, perché la vita stessa diventa sterile quando è paralizzata da una contraddizione logica.
La contraddizione è questa: essi vogliono Dio e vogliono l'umanità. Si ostinano a mettere insieme due termini che, una volta separati, non possono più incontrarsi che per distruggersi a vicenda. Essi dicono d'un sol fiato: "Dio e la libertà dell'uomo", "Dio e la dignità, la giustizia, l'uguaglianza, la fratellanza, la prosperità degli uomini", senza curarsi della logica fatale in virtù della quale, se Dio esiste, tutto ciò è condannato a non esistere. Perché se Dio è, egli è necessariamente il Padrone eterno, supremo, assoluto, e se questo Padrone esiste, l'uomo è schiavo; ora se è schiavo non vi è per lui giustizia, né uguaglianza, né fraternità, né prosperità possibile. Contrariamente al buon senso e alle esperienze della storia, essi potranno pure rappresentarsi il loro Dio animato dal più tenero amore per la libertà umana, ma un padrone, per quanto faccia e voglia mostrarsi liberale, resta sempre un padrone, e la sua esistenza implica necessariamente la schiavitù di tutto ciò che si trova al di sotto di lui. Dunque, se Dio esistesse, non ci sarebbe per lui che un solo mezzo per servire la libertà umana: e questo sarebbe ch'egli cessasse d'esistere. Amante geloso della libertà umana, che considero come la condizione assoluta di tutto ciò che veneriamo e rispettiamo nell'umanità, io rovescio la frase di Voltaire, e dico che se Dio esistesse realmente, bisognerebbe abolirlo.
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