Referendum 7 ottobre: Federalismo che unisce o federalismo che divide?
Franco Ragusa
Nell'analizzare le posizioni dei due maggiori schieramenti riguardo al referendum
confermativo del 7 ottobre, Polo ed Ulivo, saltano immediatamente all'attenzione non tanto
i motivi di divergenza, quanto, piuttosto, le dichiarazioni di adesione totale al
federalismo di entrambi.
Una sorta di gara a chi sia più federalista, con gli uni a denunziare il falso
federalismo dell'altro, e viceversa.
Di questo passo, l'unica certezza sarà quella di perdere di vista il contenuto della
riforma costituzionale oggetto del referendum confermativo del 7 ottobre.
Ma al di là dei contenuti veri e propri, l'impressione vera è che nessuno si è mai
fatto carico di spiegare le ragioni della necessità di una riforma federale.
Storicamente, le realtà locali decidono per l'"unione" federale per migliorare
le condizioni di tutti. Molto banalmente, l'esigenza del processo federativo si potrebbe
riassumere con il vecchio detto: l'unione fa la forza.
Diversamente, il processo avviato in Italia è di tipo inverso, il tutto senza che si sia
mai passati per un reale ed efficace decentramento amministrativo.
Constatata questa prima anomalia di "percorso", sia il testo della riforma in
esame che le posizioni più oltranziste del Polo confermano l'impressione che gli
obiettivi da raggiungere siano ben altri e ben lontani dal detto sopra citato.
Per alcuni, evidentemente, l'unione fa troppa forza, in modo particolare se in discussione
vi sono temi come la flessibilità, la rigidità salariale, i contratti collettivi, la
normativa nazionale sui licenziamenti, ecc. C'è quindi l'esigenza di dividere per meglio
imporre determinate condizioni.
E non a caso, entrambi gli schieramenti, anche se con sfumature diverse, si ritrovano a
sostenere progetti di riforma tendenti a realizzare forme di federalismo competitivo.
Il nuovo art. 117, nel fissare le materie di esclusiva competenza dello Stato e quelle per
le quali è prevista la legislazione concorrente, attribuisce alle Regioni, in via
generale, la potestà legislativa, lasciando allo Stato il solo compito di fissare i
principi generali: "Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni
la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato."
In altre parole, le Regioni interessate potrebbero legittimamente contestare, davanti la
Corte Costituzionale, l'invasione di competenza da parte dello Stato riguardo, ad esempio,
la normativa che disciplina i licenziamenti laddove, oltre al principio della punibilità
del licenziamento illegittimo (il principio generale), questa stessa legge dovesse
regolare, come ora fa, il tipo di sanzioni (art. 18 statuto dei lavoratori) da applicare
nei confronti del datore di lavoro; oppure, senza la necessità di aprire contenziosi, lo
Stato stesso potrebbe decidere di lasciare alle Regioni, vista l'esclusiva competenza
legislativa che il nuovo testo gli attribuisce, la scelta della sanzione.
Sarà quindi sufficiente che poche Regioni decidano per meccanismi sanzionatori meno
efficaci per produrre un effetto domino su tutte le altre. In breve tempo, le imprese
tenderanno a spostarsi verso le Regioni più permissive, costringendo così anche le altre
Regioni ad adeguarsi al nuovo regime di regole. Una sorta di concorrenza
"sleale", basata sulla perdita di un diritto da parte dei lavoratori a tutto
vantaggio delle esclusive esigenze d'impresa, tale da costringere le Regioni
improvvisamente affamate di lavoro a modificare il proprio sistema di tutele al fine di
ri-attirare l'iniziativa privata.
Ma oltre a queste considerazioni immediate, sorprende la diversità di formulazione tra il
progetto di riforma in discussione e quanto previsto dalla Costituzione della Repubblica
Federale Tedesca. Nella Costituzione tedesca, infatti, è previsto che i Laender possano
legiferare, nelle materie per le quali è prevista la legislazione concorrente, nella sola
ipotesi che lo Stato non abbia fatto uso del suo potere di legiferare.
In altre parole, mentre il sistema tedesco è concepito per permettere ai Laender di
legiferare di fronte all'inerzia dello Stato, mantenendo però l'uniformità di
trattamento in presenza di legge statale, il nuovo sistema "italiano" imporrebbe
da subito una sorta d'inerzia allo Stato visto il limite di competenza fissato.
Ma paradossalmente, nel tentativo di limitare la portata dell'intervento legislativo dello
Stato a tutto vantaggio delle Regioni, si è in qualche modo caduti nell'errore di
attribuire un'inviolabile riserva di legge sui principi fondamentali tale da poter
vanificare la potestà legislativa delle Regioni in assenza, per l'appunto, dei principi
fondamentali.
Per concludere sul punto, il sistema di legislazione concorrente previsto dalla riforma ha
solo difetti e nessun pregio:
possibile rischio d'immobilismo, per quanto remoto, nel caso lo Stato non decida di
fissare i principi fondamentali;
diversità di trattamento per i cittadini di diverse Regioni vista l'esclusiva competenza
delle Regioni a legiferare oltre i principi fondamentali.
Altro aspetto inquietante della riforma e che sottolinea la scarsa attenzione del
legislatore di fronte all'esigenza di avere un sistema in grado di garantire uniformità
di trattamento per tutti i cittadini, è la previsione contenuta nell'art. 120: "Il
Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle
Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per lincolumità e la sicurezza
pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dellunità giuridica o
dellunità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali."
Traducendo il tutto, obiettivo della "Repubblica federale italiana" non è il
raggiungimento di uguali livelli di prestazioni, bensì quello di fissare per legge
le differenze, dividendo i cittadini in cittadini di serie A e di serie inferiori.
Fissato a 10 i livelli essenziali delle prestazioni, che ci si trovi a 11 o a 100 non
farebbe differenza: lo Stato non avrebbe obblighi.
Anche in questo caso, le differenze con la Costituzione tedesca sono abissali là dove si
parla, invece, di utilizzare gli strumenti della legislazione concorrente per garantire
eguali condizioni di vita (art. 72).
L'introduzione del riferimento a "livelli essenziali di prestazione", inoltre,
combinato con il principio del federalismo fiscale introdotto dall'art. 119, dovrebbe
avere conseguenze anche in ordine alla determinazione dei fondi perequativi previsti
dall'art. 119 :
"I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome.
Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e
secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro
territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione,
per i territori con minore capacità fiscale per abitante. ...
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per
rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire leffettivo esercizio dei
diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro
funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni."
Una volta garantiti i "livelli essenziali", le Regioni più ricche non avrebbero
più alcun "dovere" di solidarietà d'adempiere e potrebbero in qualche modo
ostacolare interventi di riduzione delle proprie entrate fiscali a vantaggio di altre
Regioni.
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