RIFORMA COSTITUZIONALE E MONDO DEL LAVORO Arturo Salerni La riforma costituzionale varata nel marzo 2001 (che sarà sottoposta in autunno al vaglio del referendum confermativo) prevede il passaggio quasi integrale - alle regioni della competenza legislativa, in via esclusiva o in via concorrente. La previdenza sociale resta nelle materie di esclusiva competenza legislativa dello Stato ma la previdenza complementare ed integrativa viene inserita nella cosiddetta legislazione concorrente, ovvero in quel campo in cui la potestà legislativa spetta alla Regione salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La competenza legislativa in tema di tutela e sicurezza del lavoro passa alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali. Se è evidente cosa si intende per sicurezza del lavoro, e cioè la materia oggi disciplinata dal decreto legislativo 626 del 1994, più complesso diventa definire con certezza cosa debba essere compreso nel termine tutela del lavoro. Si consideri infatti che lordinamento civile rientra nellattribuzione esclusiva della legislazione statale. Ciò che comunque si avvia è un processo di progressiva frantumazione della normativa sul lavoro, unonda che investirà il concetto stesso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro. Siamo di fronte ad un rivolgimento che rischia di essere decisivo: chi stabilirà concretamente la disciplina dei licenziamenti (le cause di legittima risoluzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e le conseguenze dellaccertamento dellillegittimità dei licenziamenti), del diritto di sciopero, dei lavori atipici o a termine? Insomma se ben guardiamo la configurazione del nuovo testo dellart.117 della Costituzione ci accorgiamo che mentre i principi fondamentali della normativa a tutela del lavoro vengono attributi alla legislazione dello Stato tutta la legislazione di dettaglio viene affidata alle Regioni. Tornando alla questione dei licenziamenti (materia su cui ci si è confrontati nel recente passato, in occasione della tornata referendaria del maggio 2000): potrebbe stabilirsi in sede di determinazione dei principi fondamentali ovvero nellambito della potestà legislativa dello Stato che il licenziamento non può avvenire senza giusta causa o giustificato motivo e che al licenziamento che difetta di tali presupposti (licenziamento illegittimo) debba seguire necessariamente una sanzione. La legge regionale si potrebbe trovare così nella condizione di decidere le conseguenze del licenziamento illegittimo: se la tutela obbligatoria (ovvero la monetizzazione del licenziamento illegittimo) o se invece la tutela reale (cioè la reintegrazione del lavoratore ingiustamente licenziato nel proprio posto di lavoro). Ed ancora nellambito della tutela obbligatoria le possibilità potrebbero variare da una minima determinazione del risarcimento del danno (una mensilità) a conseguenze dai contenuti economici molto più rilevanti. Dobbiamo collocarci in uno scenario più vasto, nello spirito e nella filosofia dellintera riforma, nella logica della concorrenza tra ambiti territoriali. Lutilizzo della normativa sul lavoro (e la presenza di un numero minore di garanzie in favore dei lavoratori dipendenti) quale elemento differenziale tra diverse aree al fine di rendere più appetibile linvestimento in taluni territori rispetto ai quali la legge regionale sancisce minori rigidità (per esempio su ingressi o licenziamenti) diventa una concreta possibilità, in uno scenario fatto di più statuti dei lavoratori e di aree geografiche con minori diritti per i dipendenti e per i loro sindacati. Differenziazione delle condizioni normative (e delle disposizioni in tema di sicurezza dei lavoratori) quale presupposto per una diversificazione anche dei minimi salariali. Diverse normative regionali e differenti contratti collettivi: questo è ciò che può accadere nel caso in cui il referendum popolare avesse come esito lapprovazione della riforma. E quanto potrebbe incidere, anche sul piano della appetibilità dei territori per gli investitori, una differenziazione della normativa sugli scioperi, non solo limitata ai pubblici servizi? E quanto ancora una differente disciplina sia nel settore pubblico che nel settore privato delle regole in tema di rappresentatività e rappresentanza sindacale? Soglie più alte per il conferimento della rappresentatività, riduzione del numero dei sindacati titolari dei diritti ed anche per questa via riduzione del grado di conflittualità sociale. Lesistenza di una pluralità di condizioni normative determinerebbe un complessivo indebolimento delle possibilità di contrattazione delle condizioni giuridiche e retributive per lintero mondo del lavoro dipendente. Le false chimere del federalismo ad oltranza portano a costruire un immaginario per cui il mondo del lavoro (in termini indifferenziati) nelle regioni più ricche dItalia potrebbe usufruire di una consistente diminuzione del carico fiscale: un giovamento significativo quindi per le singole imprese ed i singoli lavoratori residenti nelle regioni economicamente più robuste tale da determinare un considerevole aumento dei redditi. Ciò evidentemente unito alla rottura delluniformità delle prestazioni sociali ed assistenziali ed alla allocazione delle entrate fiscali in ragione delle loro aree di provenienza. Ma sappiamo bene che dare al padronato la possibilità di scegliere dove investire in relazione alle differenze esistenti in ragione del costo della manodopera, della rigidità di utilizzo della stessa, degli oneri derivanti dalla necessità di determinare dispositivi di sicurezza degli impianti significa determinare una spirale al ribasso nelle condizioni di vita dei lavoratori subordinati ed un generale peggioramento delle normative poste a tutela del lavoro anche nei confronti di chi potrebbe avere inizialmente un apparente vantaggio, in un clima di divisione sul piano politico e sindacale. La Confindustria ha salutato con favore il percorso di modifica costituzionale ed istituzionale nella direzione del federalismo. Il percorso che si è avviato e rispetto al quale le forze di centrodestra ed i governi delle Regioni del Nord Italia chiedono addirittura una devolution più marcata - determina per il padronato la possibilità di muoversi nella jungla degli incentivi fiscali differenziati, dei patti territoriali di sviluppo gestiti autonomamente dalle regioni, delle condizioni per lo sviluppo che si traducono in agevolazioni di vario tipo (costo del lavoro, tipologie contrattuali, normative di carattere urbanistico, etc.), ma anche la gestione da parte delle Regioni e degli Enti Locali della politica delle grandi opere pubbliche compresi porti ed aeroporti, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione dellenergia, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno allinnovazione per i settori produttivi. E ovvio che la possibilità per i grandi gruppi economici di trattare direttamente con Regioni ed Enti Locali apre per le imprese possibilità diverse, anche sotto il profilo della forza contrattuale e della capacità di determinare le scelte degli organismi pubblici, rispetto a quelle offerte dal rapporto negoziale con lo Stato: basta immaginare il rapporto che potrebbe esistere tra una grande impresa multinazionale che promette un investimento notevole di capitali (con le conseguenze in termini di occupazione e di ricavi fiscali) ed una regione meridionale medio-piccola alla quale (sia pur nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato) viene chiesto di introdurre modifiche in tema di tutela e sicurezza del lavoro in cambio di significativi investimenti.
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