LICENZIAMENTO – PER GIUSTIFICATO MOTIVO


A. In genere    B. Sopravvenuta inidoneità fisica    C. Scarso rendimento    D. Carcerazione preventiva    E. Factum principis    F. Termine dei lavori nei cantiere    G. Oneri probatori    H. Casistica    I. Preavviso


  1. In genere
  1. Nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento rientra anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda per una più economica gestione d'essa attuato non per un incremento del profitto ma per far fronte a situazioni economiche sfavorevoli, non occasionali, che incidano in modo decisivo sulla normale attività aziendale (Cass. 18/11/98, n. 11646, in Dir. Lav. 2000, pag. 31, con nota di Lepore)
  2. Deve ritenersi illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui le mansioni svolte dai lavoratori licenziati non siano state soppresse, ma siano state semplicemente ridistribuite tra altri lavoratori (Cass. 24/6/95 n. 7199, pres. Mollica, est. Simoneschi, in D&L 1996, 496, nota S. MUGGIA, Brevi osservazioni sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo)
  3. Mentre è consentito all'imprenditore procedere a licenziamento individuale, o collettivo, per dichiarata necessità di sopprimere posti di lavoro in esubero non è per contro legittima la decisione di espellere lavoratori in base alla semplice determinazione di sostituirli con altri addetti meno qualificati o meno costosi per l'azienda (Pret. Milano, sez. Cassano d'Adda, 8/1/96, est. Litta Modignani, in D&L 1996, 776)
  4. In caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, si deve escludere che la riorganizzazione del lavoro, da cui consegue il giustificato motivo oggettivo allegato, possa rispondere a esigenze di carattere soggettivo di un mero incremento del profitto imprenditoriale, essendo invece necessaria la prova, che grava sul datore di lavoro, di una sfavorevole situazione congiunturale non contingente, che influisca in modo decisivo sulla normale attività e imponga un'effettiva esigenza di riduzione dei costi (Pret. Roma 23/3/95, est. Cocchia, in D&L 1995, 1054)

B. Sopravvenuta inidoneità fisica

  1. La sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni alle quali è addetto non integra una causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., se non nei limiti della configurabilità del giustificato motivo ex art. 3, L. 15/7/66 n. 604, e quindi a fronte dell’onere gravante sul datore di lavoro di allegare e dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altra attività riconducibile alle mansioni già svolte o ad altre equivalenti o, se ciò è impossibile, ad altre inferiori, compatibilmente con l’assetto organizzativo dell’impresa (Cass. 7/8/98 n. 7755, pres. La Torre, est. Roselli, in D&L 1998, 1029)
  2. Deve ritenersi illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore per presunta inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni, nel caso in cui il datore di lavoro, in violazione degli artt. 2087 c.c. e 48 D. Lgs. 19/9/94 n. 626, abbia omesso di introdurre mezzi meccanici atti ad alleviare gli sforzi fisici del lavoratore (nella fattispecie il lavoratore non è stato reintegrato nel posto di lavoro ex art. 18 SL, per intervenuto secondo licenziamento intimato per dichiarato superamento del periodo di comporto) (Pret. Monza, sez. Desio 15/12/97, est. Di Lauro, in D&L 1998, 765)

C. Scarso rendimento

  1. Per poter essere ricondotto a un’ipotesi di giustificato motivo soggettivo di licenziamento, lo scarso rendimento, in quanto forma di inadempimento agli obblighi contrattuali, deve essere valutato non solo sulla base del mancato raggiungimento del risultato atteso e oggettivamente esigibile, ma anche e soprattutto alla luce del comportamento negligente del lavoratore che lo abbia determinato (Cass. 24/5/99 n. 5048, pres. Buccarelli, est. Mercurio, in D&L 1999, 921)
  2. Costituisce giustificato motivo soggettivo di licenziamento lo scarso rendimento nel caso in cui il datore di lavoro provi che il lavoratore ha lasciato inadempiuta in modo notevole la prestazione normalmente esigibile con riferimento alla media dei lavoratori e laddove il medesimo lavoratore non raggiunga la prova che tale inadempimento sia dipendente da cause a lui non imputabili (Trib. Torino 3/5/95, pres. Pernisari, est. Rossi, in D&L 1995, nota AMATO, Scarso rendimento e onere della prova)
  3. Al licenziamento per scarso rendimento, riconducibile in via generale alla categoria del licenziamento disciplinare, si applica la disciplina procedimentale stabilita per le sanzioni disciplinari dall’art. 7 SL (Pret. Milano 14/4/99, est. Ianniello, in D&L 1999, 681)
  4. Nel caso di licenziamento per scarso rendimento il datore di lavoro deve dimostrare non solo il mancato raggiungimento degli obiettivi e l’esigibilità della prestazione attesa, ma anche la concreta e immotivata negligenza del lavoratore nell’adempimento dell’obbligazione lavorativa, con la conseguenza che, in assenza della prova della negligenza, si presume che l’inadeguatezza della prestazione fornita dipenda da fattori socio-ambientali oppure dall’incidenza dell’organizzazione dell’impresa e, comunque, da fattori non dipendenti dalla volontà del lavoratore (Pret. Voghera 26/2/99, est. Ferrari, in D&L 1999, 680)
  5. Nel caso di licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche dimostrare che la causa di esso derivi da negligenza nell’espletamento della prestazione lavorativa (Trib. Roma 15/11/97, pres. Sorace, est. Filabozzi, in D&L 1998, 477)
  6. E' illegittimo il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, determinato da una diminuzione del rendimento della durata di 4 mesi pari al 20%, in quanto il rapporto di lavoro deve considerarsi un'obbligazione di fare e non di risultato (Cass. 23/2/96 n. 1421, pres. Mollica, est. Mattone, in D&L 1996, 1019, nota Muggia)

D. Carcerazione preventiva

  1. La carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro non costituisce inadempimento di obblighi contrattuali, ma integra un fatto oggettivo che determina una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa, in relazione alla quale la persistenza nel datore di lavoro dell'interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente detenuto deve essere valutata secondo criteri obiettivi, a norma dell'art. 3, seconda parte, L. 15 luglio 1966, n. 604, cioè con riferimento alle esigenze dell'azienda, da valutarsi con giudizio ex ante e non già ex post. Si dovrà cioè tener conto delle dimensioni dell'azienda stessa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva in concreto attuata, della natura e importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, della durata ragionevolmente prevedibile della custodia cautelare, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri dipendenti i compiti da lui svolti senza ricorrere a nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell'assenza (nella specie, è stata cassata la sentenza del Tribunale di Salerno 7 febbraio 1997, per avere i giudici di merito compiuta la valutazione sull'impossibilità sopravvenuta della prestazione con giudizio ex post, e non già ex ante e per avere essi suggerito, in aperta violazione dell'art. 2103 c.c., l'opportunità di adibire il lavoratore anche a mansioni inferiori a quelle di assunzione o alle ultime effettivamente svolte, ovvero di avvicendare più lavoratori su una qualifica superiore, allo specifico fine che nessuno di loro potesse effettivamente acquisirla) (Cass. 1/9/99, n. 9239, in Riv. It. Dir. Lav. 2000, pag. 547, con nota di Borzaga, In tema di carcerazione preventiva del lavoratore e giustificato motivo oggettivo di licenziamento)
  2. Ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, derivante dalla sopravvenuta impossibilità per il lavoratore di offrire la prestazione lavorativa a causa di carcerazione preventiva, grava sul datore di lavoro la prova dell'esistenza di un apprezzabile e specifico pregiudizio all'attività aziendale, ovvero della necessità di una modificazione stabile e definitiva dell'organizzazione del lavoro, tale da rendere il reinserimento del lavoratore incompatibile con la situazione aziendale (Pret. Milano 13/2/95, est. Porcelli, in D&L 1995, 711)
  3. Non costituisce valido motivo di licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione lo stato di custodia cautelare del dipendente, protrattosi per un periodo di due mesi e mezzo, quando la dimensione dell’organizzazione aziendale e le mansioni del dipendente consentano di gestire senza significativi contraccolpi l’assenza del lavoratore e possa ragionevolmente prevedersi, in riferimento all’entità della pena applicabile e all’assenza di precedenti penali, che il lavoratore possa usufruire di benefici incidenti sullo stato di privazione della libertà (Trib. Milano 24/12/96, pres. Mannacio, est. Sbordone, in D&L 1997, 637)

E. Factum principis

  1. Il mancato rinnovo, da parte della guardia di finanza, del nullaosta per il tesserino aeroportuale, indispensabile per l'esecuzione delle prestazioni lavorative del dipendente di una società aeroportuale, motivato dal fatto che lo stesso aveva subito un periodo di carcerazione preventiva, si configura come un factum principis caratterizzato dai requisiti della temporaneità e dell'imprevedibilità dell'esito e quindi come un fatto oggettivo, determinante la sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione del lavoratore ai sensi dell'art. 1464 c.c., in relazione alla quale la persistenza o meno nel datore di lavoro dell'interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del lavoratore forzatamente assente deve essere ispirata al principio, espresso nell'art. 27 c. 2 Cost., del minimo danno che può derivare dalla pendenza del procedimento penale, che deve essere valutato, nell'ambito di un giudizio riservato al giudice di merito, in base alla durata prevedibile nel momento in cui fu intimato il licenziamento e non in base alla durata effettiva della revoca dell'autorizzazione (nel caso di specie, è stata confermata la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato dopo solo 9 giorni dalla carcerazione preventiva, che è in seguito *cessata subito dopo l'interrogatorio del lavoratore) (Cass. 28/7/94 n. 7048, pres. Benanti, est. Roselli, in D&L 1995, 416, nota MUGGIA, Brevi osservazioni sul licenziamento per ritiro del tesserino aeroportuale e sulla quantificazione del risarcimento del danno)
  2. Affinché l’impossibilità sopravvenuta della prestazione da parte del dipendente possa dar luogo a un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il datore di lavoro deve provare di non poter utilizzare il lavoratore in altre mansioni, nel rispetto dell’art. 2103 c.c. (nel caso di specie, il giudice ha ritenuto ingiustificato il licenziamento di un dipendente guardia giurata motivato dalla revoca da parte dell’autorità prefettizia del relativo decreto di nomina, senza alcuna valutazione delle possibilità di un diverso impiego del lavoratore in un settore operativo aziendale diverso dall’attività di vigilanza) (Pret. Milano 28/6/99, est. Martello, in D&L 1999, 924)

F. Termine dei lavori nei cantieri

  1. Deve ritenersi illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nell’ipotesi in cui, pur a fronte del completamento dei lavori presso il cantiere al quale era addetto il lavoratore licenziato, del calo delle commesse e della conseguente riduzione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro proceda ad assunzioni di lavoratori provenienti da società collegate (Trib. Napoli 28/1/97, pres. Baccari, est. Panariello, in D&L 1997, 647)
  2. Con riferimento alle imprese edili, la cessazione dei rapporti per fine lavoro è sottratta dall'art. 24, L. n. 223 del 1991 alla disciplina dei licenziamenti individuali plurimi, con la conseguenza che il datore di lavoro, in ipotesi di contestazione della legittimità dei suddetti licenziamenti, deve provare di non poter utilmente impiegare i lavoratori licenziati in altre attività, senza che tale prova possa ritenersi superflua in relazione all'esistenza della prova concernente la cessazione dal lavoro, dovendosi verificare in concreto, e in relazione all'articolazione delle diverse lavorazioni, la non riassorbibilità delle eccedenze di personale in altri cantieri o attività dell'impresa (Cass. 1/2/00, n. 1117, pres. Lanni, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 383)

G. Oneri probatori

  1. In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro non soddisfa l'onere probatorio che gli incombe ex art. 5 L. 604/66 se si limita ad allegare un calo di commesse senza dimostrare anche che è impossibile collocare diversamente il lavoratore o che le sue mansioni possono essere accorpate a quelle di altro dipendente (Pret. Napoli 3/11/95, est. Papa, in D&L 1996, 745, nota MANNA, Ancora in tema di giustificato motivo oggettivo e riduzione del personale)
  2. Non assolve l'onere della prova dell'impossibilità di reimpiego del lavoratore per perdita di appalto cui era adibito, il datore di lavoro che abbia contestualmente assunto, in osservanza di norma collettiva, altri lavoratori precedentemente impiegati da diversa impresa su appalto successivamente acquisito dal medesimo datore di lavoro (Pret. Monza, sez. Desio, 31/10/95, est. Barberis, in D&L 1996, 495)
  3. Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro deve provare che la risoluzione del rapporto di lavoro è dovuta a serie e concrete ragioni di carattere produttivo – organizzativo e che non vi siano possibilità di adibire il lavoratore licenziato a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte (Cass. 24/6/94 n. 6067, pres. Mollica, est. Amore, in D&L 1995, 436)
  4. In relazione all'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'art. 3 L. 604/66, l'onere del datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di un'altra utilizzazione dei lavoratori licenziati va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori e il fatto che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati; tale dimostrazione deve concernere tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo sufficiente la limitazione all'azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nel caso di preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove (Cass. 3/6/94 n. 5401, pres. Buccarelli, est. Putaturo, in D&L 1995, 190, nota MUGGIA, Risarcimento da licenziamento illegittimo: vecchia e nuova disciplina)
  5. Se è a carico del datore di lavoro l'onere di provare l'effettiva necessità di ridimensionare la struttura produttiva e l'impossibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore in mansioni equivalenti, un onere minimo di allegazione dei fatti che provino la pretestuosità del licenziamento spetta al lavoratore (Cass. 18/11/98, n. 11646, in Dir. Lav. 2000, pag. 31, con nota di Lepore)

H. Casistica

  1. Il licenziamento motivato unicamente da ragioni ritorsive rispetto a iniziative giudiziarie del dipendente per ottenere il pagamento della retribuzione è nullo in quanto determinato da un motivo illecito. A tale nullità consegue non l’applicazione della disciplina speciale prevista dall’art. 3 L. 11/5/90 n. 108 per le ipotesi di licenziamento discriminatorio, quanto piuttosto delle regole generali dettate in materia di nullità degli atti, le quali, con riguardo al licenziamento intimato da un datore di lavoro ricadente nell’area della tutela obbligatoria, comportano l’applicazione della sanzione di cui all’art. 2 della medesima legge) (Pret. Frosinone 6/5/99, est. Cianfrocca, in D&L 1999, 685)
  2. È illegittimo il licenziamento intimato al dipendente part-time che rifiuti di prestare attività lavorativa a tempo pieno, motivato in base alle esigenze organizzative aziendali, qualora il Ccnl subordini alla sussistenza dell’accordo delle parti la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno (Pret. La Spezia 9/4/97, est. Fortunato, in D&L 1998, 126, n. MULLER, Mancata trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full-time e legittimità del licenziamento per esigenze organizzative aziendali)
  1. La messa in liquidazione e la cessazione di attività di una società non è sufficiente a legittimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando vi siano possibilità di reimpiego del lavoratore in altre società del gruppo e sussistano indici dell'esistenza di un unico centro decisionale e di un unitario programma organizzativo delle attività del gruppo stesso (Pret. Milano 2/8/95, est. Negri della Torre, in D&L 1995, 1050)
  2. Sono illegittimi i licenziamenti intimati per cessazione di attività svolta mediante l’impiego di un complesso di beni, concessi nuovamente in locazione da parte del proprietario ad altro soggetto e da quest’ultimo utilizzati, senza soluzione di continuità, per la prosecuzione dell’attività già svolta dal precedente affittuario, tra l’altro mediante l’impiego di una parte della manodopera precedentemente utilizzata (nella fattispecie, rilevata la configurabilità del trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., il Tribunale ha ordinato al nuovo affittuario la reintegrazione in servizio presso di sé del gruppo di lavoratori licenziati dal precedente affittuario) (Trib. Roma 20/1/98 (ord.), pres. ed est. Torrice, in D&L 1998, 1038)
  3. L’Accordo integrativo al Ccnl 26/11/94 per i dipendenti dell’Ente Poste deve essere dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede un’ipotesi di risoluzione automatica del rapporto di lavoro (il raggiungimento della massima anzianità contributiva) diversa e ulteriore rispetto a quelle legali (nella fattispecie, è stata dichiarata l’illegittimità del recesso intimato in forza della norma contrattuale citata) (Pret. Milano 3/2/98 est. Porcelli, in D&L 1998, 762, n. SUMMA, In tema di rapporti di gerarchia tra legge e contrattazione collettiva. In senso conforme, v. Trib. Milano 3/3/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 673; Pret. Milano 2/3/99, est. Di Ruocco, in D&L 1999, 410)

I. Preavviso

  1. L’indennità sostitutiva del preavviso spetta al lavoratore per il solo fatto dell’intervenuto recesso da parte della datrice di lavoro e del mancato rispetto del periodo di preavviso, senza che sia necessaria la sussistenza di un danno reale per il lavoratore licenziato, e quindi anche nell’ipotesi in cui il lavoratore trovi subito una nuova occupazione (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)