B. Sopravvenuta inidoneità fisica
- La sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni alle
quali è addetto non integra una causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità
della prestazione ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., se non nei limiti della
configurabilità del giustificato motivo ex art. 3, L. 15/7/66 n. 604, e quindi a fronte
dell’onere gravante sul datore di lavoro di allegare e dimostrare
l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altra attività riconducibile alle
mansioni già svolte o ad altre equivalenti o, se ciò è impossibile, ad altre inferiori,
compatibilmente con l’assetto organizzativo dell’impresa (Cass. 7/8/98 n. 7755,
pres. La Torre, est. Roselli, in D&L 1998, 1029)
- Deve ritenersi illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore per presunta
inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni, nel caso in cui il datore di lavoro,
in violazione degli artt. 2087 c.c. e 48 D. Lgs. 19/9/94 n. 626, abbia omesso di
introdurre mezzi meccanici atti ad alleviare gli sforzi fisici del lavoratore (nella
fattispecie il lavoratore non è stato reintegrato nel posto di lavoro ex art. 18 SL, per
intervenuto secondo licenziamento intimato per dichiarato superamento del periodo di
comporto) (Pret. Monza, sez. Desio 15/12/97, est. Di Lauro, in D&L 1998, 765)
C. Scarso rendimento
- Per poter essere ricondotto a un’ipotesi di giustificato motivo soggettivo di
licenziamento, lo scarso rendimento, in quanto forma di inadempimento agli obblighi
contrattuali, deve essere valutato non solo sulla base del mancato raggiungimento del
risultato atteso e oggettivamente esigibile, ma anche e soprattutto alla luce del
comportamento negligente del lavoratore che lo abbia determinato (Cass. 24/5/99 n. 5048,
pres. Buccarelli, est. Mercurio, in D&L 1999, 921)
- Costituisce giustificato motivo soggettivo di licenziamento lo scarso rendimento nel
caso in cui il datore di lavoro provi che il lavoratore ha lasciato inadempiuta in modo
notevole la prestazione normalmente esigibile con riferimento alla media dei lavoratori e
laddove il medesimo lavoratore non raggiunga la prova che tale inadempimento sia
dipendente da cause a lui non imputabili (Trib. Torino 3/5/95, pres. Pernisari, est.
Rossi, in D&L 1995, nota AMATO, Scarso rendimento e onere della prova)
- Al licenziamento per scarso rendimento, riconducibile in via generale alla categoria del
licenziamento disciplinare, si applica la disciplina procedimentale stabilita per le
sanzioni disciplinari dall’art. 7 SL (Pret. Milano 14/4/99, est. Ianniello, in D&L
1999, 681)
- Nel caso di licenziamento per scarso rendimento il datore di lavoro deve dimostrare non
solo il mancato raggiungimento degli obiettivi e l’esigibilità della prestazione
attesa, ma anche la concreta e immotivata negligenza del lavoratore nell’adempimento
dell’obbligazione lavorativa, con la conseguenza che, in assenza della prova della
negligenza, si presume che l’inadeguatezza della prestazione fornita dipenda da
fattori socio-ambientali oppure dall’incidenza dell’organizzazione
dell’impresa e, comunque, da fattori non dipendenti dalla volontà del lavoratore
(Pret. Voghera 26/2/99, est. Ferrari, in D&L 1999, 680)
- Nel caso di licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro non può limitarsi
a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua
esigibilità, ma deve anche dimostrare che la causa di esso derivi da negligenza
nell’espletamento della prestazione lavorativa (Trib. Roma 15/11/97, pres. Sorace,
est. Filabozzi, in D&L 1998, 477)
- E' illegittimo il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, determinato da una
diminuzione del rendimento della durata di 4 mesi pari al 20%, in quanto il rapporto di
lavoro deve considerarsi un'obbligazione di fare e non di risultato (Cass. 23/2/96 n.
1421, pres. Mollica, est. Mattone, in D&L 1996, 1019, nota Muggia)
D. Carcerazione preventiva
- La carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro non
costituisce inadempimento di obblighi contrattuali, ma integra un fatto oggettivo che
determina una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa, in
relazione alla quale la persistenza nel datore di lavoro dell'interesse a ricevere le
ulteriori prestazioni del dipendente detenuto deve essere valutata secondo criteri
obiettivi, a norma dell'art. 3, seconda parte, L. 15 luglio 1966, n. 604, cioè con
riferimento alle esigenze dell'azienda, da valutarsi con giudizio ex ante e non
già ex post. Si dovrà cioè tener conto delle dimensioni dell'azienda stessa, del
tipo di organizzazione tecnico-produttiva in concreto attuata, della natura e importanza
delle mansioni del lavoratore detenuto, della durata ragionevolmente prevedibile della
custodia cautelare, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri dipendenti i
compiti da lui svolti senza ricorrere a nuove assunzioni e, più in generale, di ogni
altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità
dell'assenza (nella specie, è stata cassata la sentenza del Tribunale di Salerno 7
febbraio 1997, per avere i giudici di merito compiuta la valutazione sull'impossibilità
sopravvenuta della prestazione con giudizio ex post, e non già ex ante e
per avere essi suggerito, in aperta violazione dell'art. 2103 c.c., l'opportunità di
adibire il lavoratore anche a mansioni inferiori a quelle di assunzione o alle ultime
effettivamente svolte, ovvero di avvicendare più lavoratori su una qualifica superiore,
allo specifico fine che nessuno di loro potesse effettivamente acquisirla) (Cass. 1/9/99,
n. 9239, in Riv. It. Dir. Lav. 2000, pag. 547, con nota di Borzaga, In tema di
carcerazione preventiva del lavoratore e giustificato motivo oggettivo di licenziamento)
- Ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, derivante
dalla sopravvenuta impossibilità per il lavoratore di offrire la prestazione lavorativa a
causa di carcerazione preventiva, grava sul datore di lavoro la prova dell'esistenza di un
apprezzabile e specifico pregiudizio all'attività aziendale, ovvero della necessità di
una modificazione stabile e definitiva dell'organizzazione del lavoro, tale da rendere il
reinserimento del lavoratore incompatibile con la situazione aziendale (Pret. Milano
13/2/95, est. Porcelli, in D&L 1995, 711)
- Non costituisce valido motivo di licenziamento per impossibilità sopravvenuta della
prestazione lo stato di custodia cautelare del dipendente, protrattosi per un periodo di
due mesi e mezzo, quando la dimensione dell’organizzazione aziendale e le mansioni
del dipendente consentano di gestire senza significativi contraccolpi l’assenza del
lavoratore e possa ragionevolmente prevedersi, in riferimento all’entità della pena
applicabile e all’assenza di precedenti penali, che il lavoratore possa usufruire di
benefici incidenti sullo stato di privazione della libertà (Trib. Milano 24/12/96, pres.
Mannacio, est. Sbordone, in D&L 1997, 637)
E. Factum principis
- Il mancato rinnovo, da parte della guardia di finanza, del nullaosta per il tesserino
aeroportuale, indispensabile per l'esecuzione delle prestazioni lavorative del dipendente
di una società aeroportuale, motivato dal fatto che lo stesso aveva subito un periodo di
carcerazione preventiva, si configura come un factum principis caratterizzato dai
requisiti della temporaneità e dell'imprevedibilità dell'esito e quindi come un fatto
oggettivo, determinante la sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione del
lavoratore ai sensi dell'art. 1464 c.c., in relazione alla quale la persistenza o meno nel
datore di lavoro dell'interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del lavoratore
forzatamente assente deve essere ispirata al principio, espresso nell'art. 27 c. 2 Cost.,
del minimo danno che può derivare dalla pendenza del procedimento penale, che deve essere
valutato, nell'ambito di un giudizio riservato al giudice di merito, in base alla durata
prevedibile nel momento in cui fu intimato il licenziamento e non in base alla durata
effettiva della revoca dell'autorizzazione (nel caso di specie, è stata confermata la
sentenza del Tribunale che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato dopo solo
9 giorni dalla carcerazione preventiva, che è in seguito *cessata subito dopo
l'interrogatorio del lavoratore) (Cass. 28/7/94 n. 7048, pres. Benanti, est. Roselli, in D&L
1995, 416, nota MUGGIA, Brevi osservazioni sul licenziamento per ritiro del tesserino
aeroportuale e sulla quantificazione del risarcimento del danno)
- Affinché l’impossibilità sopravvenuta della prestazione da parte del dipendente
possa dar luogo a un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il datore di lavoro
deve provare di non poter utilizzare il lavoratore in altre mansioni, nel rispetto
dell’art. 2103 c.c. (nel caso di specie, il giudice ha ritenuto ingiustificato il
licenziamento di un dipendente guardia giurata motivato dalla revoca da parte
dell’autorità prefettizia del relativo decreto di nomina, senza alcuna valutazione
delle possibilità di un diverso impiego del lavoratore in un settore operativo aziendale
diverso dall’attività di vigilanza) (Pret. Milano 28/6/99, est. Martello, in D&L
1999, 924)
F. Termine dei lavori nei cantieri
- Deve ritenersi illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
nell’ipotesi in cui, pur a fronte del completamento dei lavori presso il cantiere al
quale era addetto il lavoratore licenziato, del calo delle commesse e della conseguente
riduzione dell’orario di lavoro, il datore di lavoro proceda ad assunzioni di
lavoratori provenienti da società collegate (Trib. Napoli 28/1/97, pres. Baccari, est.
Panariello, in D&L 1997, 647)
- Con
riferimento alle imprese edili, la cessazione dei rapporti per fine lavoro è sottratta
dall'art. 24, L. n. 223 del 1991 alla disciplina dei licenziamenti individuali plurimi,
con la conseguenza che il datore di lavoro, in ipotesi di contestazione della legittimità
dei suddetti licenziamenti, deve provare di non poter utilmente impiegare i lavoratori
licenziati in altre attività, senza che tale prova possa ritenersi superflua in relazione
all'esistenza della prova concernente la cessazione dal lavoro, dovendosi verificare in
concreto, e in relazione all'articolazione delle diverse lavorazioni, la non
riassorbibilità delle eccedenze di personale in altri cantieri o attività dell'impresa
(Cass. 1/2/00, n. 1117, pres. Lanni, in Mass. giur.
lav. 2000, pag. 383)
G. Oneri probatori
- In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il datore di
lavoro non soddisfa l'onere probatorio che gli incombe ex art. 5 L. 604/66 se si limita ad
allegare un calo di commesse senza dimostrare anche che è impossibile collocare
diversamente il lavoratore o che le sue mansioni possono essere accorpate a quelle di
altro dipendente (Pret. Napoli 3/11/95, est. Papa, in D&L 1996, 745, nota
MANNA, Ancora in tema di giustificato motivo oggettivo e riduzione del personale)
- Non assolve l'onere della prova dell'impossibilità di reimpiego del lavoratore per
perdita di appalto cui era adibito, il datore di lavoro che abbia contestualmente assunto,
in osservanza di norma collettiva, altri lavoratori precedentemente impiegati da diversa
impresa su appalto successivamente acquisito dal medesimo datore di lavoro (Pret. Monza,
sez. Desio, 31/10/95, est. Barberis, in D&L 1996, 495)
- Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro deve provare che
la risoluzione del rapporto di lavoro è dovuta a serie e concrete ragioni di carattere
produttivo – organizzativo e che non vi siano possibilità di adibire il lavoratore
licenziato a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte (Cass. 24/6/94 n. 6067,
pres. Mollica, est. Amore, in D&L 1995, 436)
- In relazione all'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi
dell'art. 3 L. 604/66, l'onere del datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di
un'altra utilizzazione dei lavoratori licenziati va assolto mediante la dimostrazione di
fatti positivi come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni
equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori e
il fatto che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata
alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati; tale
dimostrazione deve concernere tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo sufficiente
la limitazione all'azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nel caso di
preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove (Cass. 3/6/94 n. 5401, pres.
Buccarelli, est. Putaturo, in D&L 1995, 190, nota MUGGIA, Risarcimento da
licenziamento illegittimo: vecchia e nuova disciplina)
- Se è a carico del datore di lavoro l'onere di provare l'effettiva necessità di
ridimensionare la struttura produttiva e l'impossibilità di utilizzare altrimenti il
lavoratore in mansioni equivalenti, un onere minimo di allegazione dei fatti che provino
la pretestuosità del licenziamento spetta al lavoratore (Cass. 18/11/98, n. 11646, in Dir.
Lav. 2000, pag. 31, con nota di Lepore)
H. Casistica
- Il licenziamento motivato unicamente da ragioni ritorsive rispetto a iniziative
giudiziarie del dipendente per ottenere il pagamento della retribuzione è nullo in quanto
determinato da un motivo illecito. A tale nullità consegue non l’applicazione della
disciplina speciale prevista dall’art. 3 L. 11/5/90 n. 108 per le ipotesi di
licenziamento discriminatorio, quanto piuttosto delle regole generali dettate in materia
di nullità degli atti, le quali, con riguardo al licenziamento intimato da un datore di
lavoro ricadente nell’area della tutela obbligatoria, comportano l’applicazione
della sanzione di cui all’art. 2 della medesima legge) (Pret. Frosinone 6/5/99, est.
Cianfrocca, in D&L 1999, 685)
- È illegittimo il licenziamento intimato al dipendente part-time che rifiuti di
prestare attività lavorativa a tempo pieno, motivato in base alle esigenze organizzative
aziendali, qualora il Ccnl subordini alla sussistenza dell’accordo delle parti la
trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno (Pret. La Spezia 9/4/97, est.
Fortunato, in D&L 1998, 126, n. MULLER, Mancata trasformazione del rapporto
di lavoro da part-time a full-time e legittimità del licenziamento per esigenze
organizzative aziendali)
- La messa in liquidazione e la cessazione di attività di una società non è sufficiente
a legittimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando vi siano
possibilità di reimpiego del lavoratore in altre società del gruppo e sussistano indici
dell'esistenza di un unico centro decisionale e di un unitario programma organizzativo
delle attività del gruppo stesso (Pret. Milano 2/8/95, est. Negri della Torre, in D&L
1995, 1050)
- Sono illegittimi i licenziamenti intimati per cessazione di attività svolta mediante
l’impiego di un complesso di beni, concessi nuovamente in locazione da parte del
proprietario ad altro soggetto e da quest’ultimo utilizzati, senza soluzione di
continuità, per la prosecuzione dell’attività già svolta dal precedente
affittuario, tra l’altro mediante l’impiego di una parte della manodopera
precedentemente utilizzata (nella fattispecie, rilevata la configurabilità del
trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., il Tribunale ha ordinato al nuovo
affittuario la reintegrazione in servizio presso di sé del gruppo di lavoratori
licenziati dal precedente affittuario) (Trib. Roma 20/1/98 (ord.), pres. ed est. Torrice,
in D&L 1998, 1038)
- L’Accordo integrativo al Ccnl 26/11/94 per i dipendenti dell’Ente Poste deve
essere dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede un’ipotesi di risoluzione
automatica del rapporto di lavoro (il raggiungimento della massima anzianità
contributiva) diversa e ulteriore rispetto a quelle legali (nella fattispecie, è stata
dichiarata l’illegittimità del recesso intimato in forza della norma contrattuale
citata) (Pret. Milano 3/2/98 est. Porcelli, in D&L 1998, 762, n. SUMMA, In
tema di rapporti di gerarchia tra legge e contrattazione collettiva. In senso
conforme, v. Trib. Milano 3/3/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 673;
Pret. Milano 2/3/99, est. Di Ruocco, in D&L 1999, 410)
I. Preavviso
- L’indennità sostitutiva del preavviso spetta al lavoratore per il solo fatto
dell’intervenuto recesso da parte della datrice di lavoro e del mancato rispetto del
periodo di preavviso, senza che sia necessaria la sussistenza di un danno reale per il
lavoratore licenziato, e quindi anche nell’ipotesi in cui il lavoratore trovi subito
una nuova occupazione (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L
1999, 607, n. Pavone)