Cessazione degli
appalti di servizi e licenziamenti collettivi
1. La Circolare MinLav L/01 e il rinnovo del CCNL
delle imprese di pulizia. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Direzione generale dei rapporti di lavoro, ha recentemente emanato una Circolare[1] relativa alla materia della risoluzione dei rapporti di lavoro per cessazione degli appalti di servizi: in breve il Ministero, riprendendo peraltro posizioni già espresse in maniera più o meno compiuta in altre occasioni[2], afferma radicalmente lesclusione dei licenziamenti comunicati a causa della cessazione di un appalto, qualunque sia il loro numero, dallarea di applicazione della disciplina dei licenziamenti per riduzione del personale dettata dalla legge 223/1991 (artt. 24, 4 e 5), considerandoli invece come licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo (da assoggettare pertanto lo si deduce implicitamente alla disciplina dei licenziamenti individuali ex lege 604/1966, e dunque senza dar luogo alle procedure sindacali e in sede amministrativa previste per i licenziamenti collettivi). La Circolare, per la ragione che ora segnaleremo, muove dallo specifico riferimento al settore delle imprese di pulizia ma per il suo tenore e per le considerazioni svolte si rivolge in generale alla tematica della cessazione e successione di appalti di servizi, che riguarda un novero di attività ben più ampio. Si tratta anzi di attività in sensibile crescita, se si tien conto della generale tendenza alla esternalizzazione di ogni genere di servizio da parte di imprese private e amministrazioni pubbliche: e dunque non solo per servizi più tradizionali come le pulizie, la gestione mense, la vigilanza e il portierato, ecc. ma per molte e ulteriori attività è e sarà sempre più ricorrente la presenza di imprese che operano come appaltatrici di servizi, espandendo e contraendo la propria attività a seconda del numero di appalti pubblici o privati che riescono a ottenere e gestire. In tale contesto, è bene anticiparlo, consideriamo la Circolare del Ministero non solo profondamente errata, per le ragioni che sinteticamente esporremo, ma anche assai pericolosa per gli operatori del settore, in quanto suscettibile di indurre le imprese a comportamenti che determinerebbero gravi conseguenze sul piano della legittimità degli atti di risoluzione dei rapporti di lavoro. Lemanazione della Circolare, come si accennava, trova la sua origine con specifico riferimento al settore degli appalti di pulizie. Come è noto, il contratto collettivo nazionale delle imprese di tale categoria contiene da tempo specifiche clausole sulle vicende di cessazione e subentro di altra impresa negli appalti di pulizie per soggetti terzi: il cambio di gestione nellappalto viene disciplinato allo scopo principale di salvaguardare i livelli occupazionali, mediante un impegno allassunzione degli addetti al singolo appalto da parte dellimpresa subentrante[3]. Si tratta di uno strumento contrattuale di tutela delloccupazione (nonché della mobilità tra imprese, anche nellinteresse dellimpresa cessante e di quella subentrante) di straordinaria importanza, che sul piano tecnico-giuridico configura un vero e proprio diritto in capo al lavoratore ed un correlativo obbligo allassunzione in capo allimpresa subentrante purché questa sia soggettivamente vincolata dal contratto collettivo che lo prevede che si ritiene tutelabile anche con azione costitutiva ex art. 2932 cod. civ.[4]. In occasione del recente rinnovo del CCNL pulizie[5], le parti sindacali hanno sostanzialmente confermato la disciplina contrattuale delle vicende di cessione di appalti; nel medesimo tempo con una dichiarazione congiunta hanno assunto limpegno di sollecitare un immediato intervento da parte del Ministero del Lavoro per la conferma dellinapplicabilità della legge n. 223/91 nei casi di passaggio dei lavoratori nei cambi di appalto[6]: da qui, con ogni probabilità, la Circolare oggetto del presente commento, che tuttavia pare essere andata oltre lintenzione delle organizzazioni sindacali, nel momento in cui si è affermata in generale la sottrazione alla disciplina della legge 223 di ogni licenziamento che avvenga in conseguenza della cessazione di qualsiasi appalto di servizi[7]. Linterpretazione propugnata dal Ministero del Lavoro, come si accennava, deve considerarsi errata, per più motivi. La legge 223/1991, come è noto[8], rappresenta la tardiva attuazione nel nostro ordinamento degli obblighi di armonizzazione comunitaria imposti dalla direttiva sui licenziamenti collettivi[9] e deve considerarsi la disciplina generale dei licenziamenti per riduzione del personale che si affianca secondo il differente campo di applicazione definito in via principale dallart. 24 L. 223 a quella del licenziamento individuale per ragioni organizzative ex art. 3 L. 604/1966. La derivazione comunitaria della disciplina legale impone uninterpretazione particolarmente rigorosa proprio sul terreno del campo di applicazione, che più direttamente investe il corretto adempimento degli obblighi di armonizzazione europea: è dunque in primo luogo lobbligo di interpretazione conforme del diritto interno a escludere la correttezza dellinterpretazione ministeriale, poiché essa conduce a ridurre indebitamente lambito di applicazione della disciplina attuativa della direttiva. Ne discende che, se pure in qualche caso potrà rilevarsi un contrasto tra diritto interno e diritto comunitario difficile da comporre[10], lelenco delle esclusioni dalla disciplina delle riduzioni del personale indicato al comma quarto dellart. 24 della l. 223/91[11] deve essere interpretato tassativamente e con esclusione di qualsiasi estensione analogica, come già avviene per quello contenuto nellart. 1, secondo comma, della direttiva europea[12]. Con questo principale argomento (anche se raramente con riferimento diretto al diritto comunitario) la prevalente giurisprudenza si è pronunciata proprio sui casi di riduzione del personale per cessazione di appalto, considerandoli senzaltro da assoggettare alla disciplina della legge 223, purché ovviamente ricorrano i requisiti di cui allart. 24[13]. La Circolare ministeriale, probabilmente conscia della difficoltà di superare gli argomenti testuali derivanti dalla norma ora citata, propone una diversa tesi interpretativa a sostegno della sottrazione della cessazione degli appalti alla legge 223, interamente giocata sul profilo causale dei recessi. Si afferma così che la perdita di un appalto di servizi, pur costituendo una diminuzione dellattività aziendale, non viene di regola ricondotta alle situazioni tipiche di sospensione del lavoro o riduzione del personale per situazioni temporanee di mercato, né a ipotesi di ristrutturazione o crisi aziendale: Si ritiene infatti che nel settore delle pulizie, così come negli altri settori dei servizi, il continuo turn over negli appalti sia assolutamente fisiologico essendo di norma gli appalti di durata limitata, con la conseguenza che la perdita di un determinato appalto non significa affatto riduzione stabile di attività, essendo possibile, anzi normale, che altri appalti siano aggiudicati a breve distanza temporale[14]; ne deriverebbe, come inizialmente accennato, la qualificazione dei recessi causati dalla perdita di un appalto come licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo, evidentemente sulla base dellidea che essi non siano conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro[15]. Si tratta, come è evidente, di affermazioni apodittiche, fondate su dati di presunta (e indimostrata) tipicità sociale, o di prassi, inidonei di per sé a legittimare la descritta opzione interpretativa (comunque contraddittoria, nel momento in cui si ammette che la cessazione dappalto costituisce comunque una diminuzione dellattività aziendale, ipotesi che rientra pacificamente nella formulazione utilizzata dallart. 24)[16]. Senza entrare qui nel merito di una complessa ricostruzione teorica e sistematica[17], ci limitiamo a ribadire la convinzione che la legge 223/91 definisca una fattispecie di applicazione (connotata da requisiti meramente numerico-temporali-territoriali) della specifica disciplina delle riduzioni del personale, appartenenti sotto il profilo causale allipotesi generale dei recessi per motivi economico-organizzativi[18].In ogni caso è ampiamente condivisa in dottrina, e sta penetrando diffusamente in giurisprudenza, lopinione secondo la quale il presupposto causale dei licenziamenti per riduzione del personale è definito in maniera così ampia da ritenere superata la vecchia concezione ontologica del licenziamento collettivo, da escludere cittadinanza alla nozione di licenziamenti individuali plurimi per g.m.o.[19] e da assegnare ruolo decisivo ed esclusivo ai requisiti di applicazione numerico-temporale-territoriale individuati in via principale dallart. 24. In sostanza: ricorrendo tali requisiti e qualunque sia escluse le eccezioni tassativamente previste dalla disciplina, ma certamente compresa la perdita di un appalto la ragione della diminuzione dattività (ovvero la causa che provoca come conseguenza più di quattro recessi in un dato ambito temporale e territoriale) lapplicazione della disciplina procedurale e sostanziale (criteri di scelta) della legge 223 è necessaria e inderogabile. Anche sotto questo profilo, daltronde, il rigore interpretativo è imposto dallobbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario: la Corte di Giustizia europea ha già avuto modo in proposito di censurare ladozione di una nozione di licenziamento collettivo (i licenziamenti per motivi economici previsti dallordinamento britannico) indebitamente limitante il campo di applicazione della disciplina[20]. Se sul piano tecnico-giuridico le richiamate considerazioni
appaiono insuperabili, deve sottolinearsi come anche sul piano funzionale la tesi
ministeriale sia assai opinabile: se può ammettersi che, talvolta, per imprese per le
quali la cessazione di appalti di servizi sia un fatto frequente e ricorrente (ma vi sono
anche appalti di lunga durata) l'assolvimento delle procedure della legge 223 possa
presentarsi oneroso o complesso, è tuttavia altrettanto vero che ogni impresa che
gestisce appalti è (o dovrebbe essere) in grado di programmare o prevedere la cessazione
degli stessi e la ripresa di altri contratti presso diversi clienti, ed avviare in tempo
utile la procedura di riduzione del personale[21]; quando ricorrano i requisiti
dell'art. 24, pertanto, non vi è alcun motivo per non applicare la relativa disciplina,
tanto più che la procedura sindacale appare la sede ideale per la gestione concordata
delle frequenti possibilità alternative ai licenziamenti, quali la mobilità tra i
diversi appalti della stessa impresa, ovvero (come previsto da alcuni contratti collettivi
di settore) il passaggio alle dipendenze dell'impresa subentrante nell'appalto. In conclusione, limpresa (che occupa più di quindici dipendenti) che a seguito della cessazione di un appalto (o in prossimità di tale cessazione) si veda costretta a licenziare almeno cinque lavoratori nella singola unità produttiva, o in ambito provinciale, dovrà avviare la procedura ex art. 4 legge 223, nellambito della quale valutare la possibilità di ricollocazione dei lavoratori licenziandi su altri appalti, la cessione dei rapporti allimpresa subentrante, ovvero ulteriori strumenti alternativi al recesso[22]: la mancata osservanza di tale obbligo eventualmente confidando sulla erronea linea interpretativa ministeriale determinerà, indipendentemente dalleffettivo venir meno dei posti di lavoro, linefficacia dei recessi e il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro per tutti i lavoratori licenziati (ex artt. 5, 3° comma, l. 223/91 e 18 l. 300/70).
Come si è ricordato, la dichiarazione congiunta delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL del settore pulizie faceva riferimento alla necessità di un chiarimento ministeriale sulla inapplicabilità della legge n. 223/91 nei casi di passaggio dei lavoratori nei cambi di appalto; si è già sottolineato come la Circolare ministeriale sia andata ben oltre tale ipotesi, affermando in generale (e inaccettabilmente) linapplicabilità della 223 ai licenziamenti (e non ai passaggi di lavoratori alle imprese subentranti) per qualsiasi cessazione di appalto di servizi (e non solo quelle disciplinate dal CCNL pulizie, o da analoghe disposizioni collettive). Rimanendo invece nella più circoscritta prospettiva della citata dichiarazione congiunta è possibile assegnare ad essa un significato coerente con il quadro legislativo: infatti, ove operi una disposizione collettiva che determina il passaggio dei dipendenti impiegati nellappalto alle dipendenze dellimpresa subentrante, può effettivamente verificarsi lipotesi in cui non sussistano affatto, tecnicamente, dei licenziamenti e non si debba pertanto dare applicazione alla disciplina della legge 223/91. Facciamo riferimento a quella lettura secondo la quale in simili frangenti il rapporto di lavoro con il vecchio appaltatore si estingue tipicamente per risoluzione consensuale contestualmente alla assunzione da parte del nuovo appaltatore, secondo un meccanismo che vede nella comunicazione ai lavoratori, da parte dellimprenditore uscente, della cessazione dellappalto e delladempimento degli obblighi necessari al funzionamento del meccanismo collettivo di tutela (cui segue normalmente la stipulazione del nuovo rapporto di lavoro in capo allimprenditore subentrante), una proposta di risoluzione consensuale del rapporto, che viene accettata dai lavoratori interessati espressamente, o per fatti concludenti mediante stipulazione del nuovo contratto[23]; con la conseguenza, appunto, del non verificarsi dei recessi di cui allart. 24 della legge 223/91[24]. Se la lettura è in linea di massima condivisibile, essa va accolta con qualche prudenza: in particolare ed anche in forza dei dati testuali della disciplina contrattuale[25] - ci pare ammissibile soltanto ove il meccanismo di riassunzione dei lavoratori in capo allimpresa subentrante operi per tutti i dipendenti addetti al servizio in appalto e siano del tutto esclusi i licenziamenti; ché altrimenti si è in presenza comunque di una riduzione del personale, che dà luogo obbligatoriamente allattivazione della disciplina della legge 223/91. Ciò vale, a nostro parere, anche ove i lavoratori che non possano essere ricollocati presso limpresa subentrante e destinati al licenziamento siano meno di cinque[26], poiché comunque la cessazione dellappalto investe ex ante un più ampio numero di lavoratori (una parte dei quali destinati a transitare alle dipendenze del nuovo imprenditore), pena il rischio di aprire inaccettabili spazi di discrezionalità nella scelta dei lavoratori per i quali è garantita la continuità di occupazione[27] e di sottrarre ai lavoratori licenziati le tutele della mobilità. In definitiva, la procedura ex art. 4 l. 223/91 rappresenterà, nella maggior parte dei casi, non solo un passaggio dovuto ma anche la sede migliore per lindividuazione e la gestione di ogni possibilità alternativa ai recessi, ivi compresa la ricollocazione dei lavoratori presso limpresa subentrante. Nella sola ipotesi, si ripete, di ricollocazione totale in forza della disciplina negoziale, si potrà escludere lobbligo della procedura (la quale potrà comunque svolgersi per scelta dellimprenditore cessante).
Un accenno, in conclusione, deve essere dedicato al possibile intreccio tra le vicende di cessazione dellappalto e la disciplina del trasferimento dazienda, anche e soprattutto a seguito della recente riforma di questultima operata dal d. lgs. n. 18/2001[28]: merita infatti un chiarimento linterrogativo se e quando la successione di due imprenditori nella gestione di un appalto possa rappresentare cessione dazienda ai fini lavoristici, con il conseguente passaggio dei rapporti di lavoro ex art. 2112 cod. civ. (e il rispetto degli obblighi procedurali ex art. 47 l. 428/90); vicenda giuridica che ovviamente si porrebbe come alternativa sia ai licenziamenti collettivi sia al riassorbimento del personale in forza di obbligo contrattuale collettivo (che dà luogo normalmente alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro in capo al subentrante, laddove in caso di trasferimento dazienda la modificazione soggettiva del datore di lavoro si innesta sul medesimo rapporto di lavoro). Se la giurisprudenza italiana è sempre stata ostile alla configurazione della successione nellappalto come cessione dazienda, per lassenza di qualsiasi diretto rapporto tra i due imprenditori[29] (salvo ovviamente il caso in cui parallelamente al subentro nellappalto vi sia un accordo tra le due imprese con il quale la seconda rileva la titolarità del complesso aziendale finalizzato alla gestione del servizio), maggiori aperture si sono registrate nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, diretta anche sotto tale profilo ad allargare i confini di applicazione della disciplina di tutela dei diritti dei lavoratori, comprendendovi i casi in cui la successione nella gestione dellattività di impresa avvenga in assenza di un diretto rapporto contrattuale tra i due imprenditori e tramite un soggetto terzo(quali ad esempio la successione in un appalto pubblico o in una concessione amministrativa di attività)[30]. Sul punto, la riforma attuata dal d. lgs. 18/2001, in attuazione della direttiva 98/50/CE, contiene un significativo aggiornamento del diritto nazionale, idoneo probabilmente a provocare un mutamento degli orientamenti interpretativi: il nuovo testo dellart. 2112 cod. civ., infatti, nel definire il trasferimento dazienda (ai fini lavoristici) recita che questo si verifica in occasione di ogni operazione che comporti il mutamento nella titolarità dellazienda, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato. La terminologia utilizzata, e in particolare i riferimenti ad ogni operazione e al provvedimento di trasferimento, a fianco del più usuale riferimento al trasferimento per atto negoziale, sembra proprio consentire lapplicazione della disciplina anche a casi di subentro in unattività di impresa a prescindere dal diretto rapporto negoziale tra i due imprenditori. Tuttavia, perché si abbia trasferimento dazienda è necessario (e centrale) un ulteriore elemento parimenti derivato dalla più consolidata giurisprudenza della Corte europea ovvero il passaggio (comunque si realizzi) della titolarità di unattività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità (art. 2112).Ebbene, per quanto tale concetto debba leggersi alla luce dei più aggiornati orientamenti interpretativi, che non assegnano sempre e comunque un ruolo decisivo al complesso materiale dei beni organizzati al fine di impresa[31], è indubitabile che la mera successione nella gestione della medesima attività non configuri trasferimento dazienda, se a questa non si accompagna anche la successione nella titolarità dellentità economica organizzata strumentale a tale attività (insieme di mezzi, rapporti giuridici, know-how, lavoratori, ecc., diversamente rilevanti a seconda del tipo di produzione o servizio per lo svolgimento dellattività di impresa). In conclusione, solo quando limprenditore subentrante nellappalto succeda anche nella titolarità della attività economica organizzata (non importa se per accordo diretto con il precedente titolare, potendo avvenire ciò anche per il tramite del committente, che ad esempio rientri nel controllo dellorganizzazione finalizzata al servizio e successivamente la trasferisca al nuovo appaltatore) la vicenda dovrà essere gestita con lo strumento giuridico (e conseguenti obblighi e diritti) del trasferimento dazienda, con esclusione di quelli sopra analizzati[32].Viceversa, lassenza di cessione di unentità organizzativa riporta la fattispecie al quadro oggetto delle precedenti considerazioni: non senza sottolineare che la (doverosa) procedura di riduzione del personale soprattutto in assenza di disposizioni contrattuali collettive che prevedano lobbligo del cessionario di salvaguardia delloccupazione[33] potrà rappresentare la sede in cui, tra le possibili misure alternative ai licenziamenti, si valuti anche lipotesi della cessione dazienda allimprenditore subentrante. [1] Circolare 28 maggio 2001, n. L/01. [2] Cfr. ad es. Circolare 14 marzo 1992; Circolare 29 novembre 1991, n. 155. [3] Art. 4 CCNL 24.10.1997: la disposizione contrattuale è ovviamente più articolata, distinguendo il subentro in appalto a parità di termini contrattuali da quello con modifica di tali termini o delle caratteristiche del servizio appaltato; in questa sede, tuttavia, interessa richiamare il problema nei suoi termini generali. [4] Cfr. Vallebona, Successione nellappalto e tutela dei posti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 217; in materia analoga cfr. Trib. Milano 31 marzo 2000 (m.), in Lav. giur., 2000, 8, p. 773. [5] Ipotesi di accordo 25 maggio 2001. [6] Le parti hanno altresì espresso lesigenza che le assunzioni avvenute in forza della normativa contrattuale sul subentro negli appalti non siano considerate occupazione aggiuntiva rilevante ai fini degli obblighi in materia di collocamento dei disabili ex lege n. 68/1999, ed hanno infine previsto unopera di armonizzazione della disciplina contrattuale con la nuova disciplina legale in materia di trasferimento dazienda (d.lgs. n. 18/2001: sul punto si tornerà nel testo). [7] In realtà laccordo sindacale giunge a formulare alcune bozze di circolari da sottoporre al Ministero, che non si è avuto modo di vedere; non sappiamo dunque se la formulazione dellodierna circolare sia tutta farina del sacco ministeriale, o se già in questi termini le stesse organizzazioni sindacali di settore avessero tradotto lintenzione negoziale sopra citata. [8] La bibliografia in materia è ormai sterminata: per un quadro riassuntivo, anche in rapporto alla situazione degli altri paesi europei, vedi AA.VV., I licenziamenti per riduzione del personale in Europa, e ivi segnatamente anche per riferimenti bibliografici U. Carabelli, I licenziamenti per riduzione del personale in Italia, Cacucci, Bari, p. 111. [9] Dir. n. 75/129, poi modificata dalla Dir. 92/56; entrambe sono ora sostituite, a contenuto invariato, dalla Dir. 98/59/CE del 20 luglio 1998. [10] E quanto avviene, ad esempio, per lesclusione dal campo di applicazione della disciplina nazionale dei datori di lavoro non imprenditori, apparentemente in contrasto insanabile col dato comunitario: sul punto e sulle questioni del rapporto tra disciplina europea e interna rinvio a F. Scarpelli, La disciplina italiana dei licenziamenti collettivi davanti alla Corte di Giustizia: lapplicazione ai datori di lavoro non imprenditori,(nota a Pret. Roma 6 ottobre 1997) in Riv. giur. lav., 1998, n. 4, II, p. 599. [11] Scadenza dei rapporti di lavoro a termine, fine lavoro nelle costruzioni edili, attività stagionali o saltuarie. [12] Cfr. E. G. Biedma, Crisi e trasformazioni aziendali, in A. Baylos Grau, B. Caruso, M. D'Antona, S. Sciarra, Dizionario di Diritto del lavoro comunitario, Monduzzi, Bologna, 1996, p. 312. [13] Da ultimo Cass. 4 marzo 2000, n. 2463 (m.), in Mass. giur. lav., 2000, 6, p. 684. Vedi anche Cass. 21 maggio 1998, n. 5104, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 206; Trib. Milano 16 dicembre 1995, in Or. giur. lav., 1995, 4, p. 1025; Pret. Milano 8 ottobre 1993, in Riv. crit. dir. lav., 1994, 305. Di segno contrario, successivamente allentrata in vigore della legge 223/91, Trib. Milano 18 maggio 1994, in Or. giur. lav., 1995, 4, p. 1028; Pret. Milano 28 luglio 1997, in Lav. giur., 1998, 1, p. 33. Per una completa ricostruzione del tema ed ampi rinvii bibliografici e giurisprudenziali vedi C. Lazzari, Appalti di servizi e licenziamenti collettivi, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 207; cfr. anche F. Rotondi, Licenziamento collettivo: nozione e cessazione di appalto, in Dir. prat. lav., 1999, p. 3447. [14] Circolare 28 maggio 2001, n. L/01. [15] Così, come è noto, è formulato il (discusso) elemento causale dei licenziamenti per riduzione del personale nellart. 24 della legge 223: per un riepilogo della questione del profilo di giustificazione dei licenziamenti collettivi sia consentito rinviare a F. Scarpelli, I licenziamenti collettivi. La nozione e il controllo del giudice, in Quad. dir. lav. rell. ind., Utet, 1997, p. 29, nonché a U. Carabelli, I licenziamenti cit., spec. p. 148 ss., ove anche la convincente critica alla tesi ripresa nella circolare qui commentata secondo la quale lassenza del presunto carattere di stabilità della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro determinerebbe la qualificazione dei recessi come pluralità di licenziamenti individuali (sostenuta in dottrina da A. Rondo, Scadenza dappalto nel settore delle pulizie, licenziamento e legge n. 223 del 1991, in Mass. giur. lav., 1998, p. 702). [16] In ogni caso, la valutazione sul piano economico-gestionale non tiene al confronto con altre ipotesi: la dinamica descritta dal Ministero per gli appalti di servizi può ritrovarsi in qualsiasi impresa la cui attività sia strettamente connessa allandamento del mercato, al venir meno di commesse di produzione o fornitura, ecc., senza che appaia giustificato, anche sotto il profilo costituzionale, un trattamento diverso. [17] Per un maggiore approfondimento si rinvia nuovamente a F. Scarpelli, I licenziamenti collettivi, cit. [18] Vedi anche, per questa prospettiva, C. Alessi, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale: fattispecie e disciplina, in Riv. giur. lav., 1995, 3, p. 225. [19] O meglio: come rilevato da un risalente e sempre attuale insegnamento, i licenziamenti sono sempre e solo individuali (G. Giugni, Intervento, in AIDLaSS, I licenziamenti nellinteresse dellimpresa, Giuffré, 1969, p. 100): essi saranno assoggettati alla disciplina delle riduzioni del personale ove ricorrano i requisiti di cui allart. 24 l. 223/91 (ovvero, se li si ritenga differenti, quelli di cui allart. 4, 1°comma, o ancora nel caso di cessazione dellattività aziendale), ovvero alla (sola) disciplina della legge 604/1966 in assenza di tali requisiti. [20] Corte di Giustizia 8 giugno 1994, causa n. C-383/92, Commissione Comunità europee c. Regno Unito, in Lav. giur., 1994, 9, p. 904; cfr. anche Corte di Giustizia 28 marzo 1985, causa n. 215/83, Commissione Comunità europee c. Regno del Belgio, in Riv. it. dir. lav., 1986, II, p. 218, con nota P. Zanelli, in relazione allesclusione dei licenziamenti per cessazione di attività nonché dei licenziamenti degli addetti alla riparazione delle barche, dei lavoratori portuali e delledilizia. [21] Si aggiunga che nella maggior parte dei casi, che riguardano normalmente imprese non industriali e di dimensione medio-piccola, la procedura sarà priva di oneri economici, poiché il contributo a carico dellazienda è previsto esclusivamente per le imprese appartenenti al campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria (cfr. artt. 5, 4° comma e 16, 1° comma l. 223/91). [22] Come quelli indicati dallo stesso CCNL del settore pulizie, per il caso di subentro di altra impresa nellappalto con modificazione di termini, e quindi con impossibilità di assorbire tutta la manodopera precedentemente impiegata (processi di mobilità nellambito dellattività dellimpresa, part-time, riduzione orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative). [23] A. Vallebona, Successione nellappalto, cit., p. 219. [24] A seguito delloperare della clausola collettiva, dunque, il lavoratore transitato alle dipendenze del nuovo imprenditore (con un nuovo rapporto di lavoro) non avrà titolo a lamentare la mancata procedura ex lege 223; in tale caso, cioè, la diversa procedura di tutela collettiva risulta sostitutiva di quella della legge sulle riduzioni del personale, non perché le parti collettive possano disporre un simile effetto (non essendo la procedura sui licenziamenti collettivi disponibile in alcun modo in sede sindacale: cfr. Cass. S.U. 11 maggio 2000, n. 302), ma perché la clausola contrattuale provoca a monte una diversa modalità di risoluzione dei rapporti di lavoro. [25] Lart. 4 del CCNL pulizie, infatti, prevede il passaggio alle dipendenze dellimprenditore subentrante di tutti i dipendenti impiegati sullappalto, in caso di successione tra imprese a parità di condizioni contrattuali; in caso diverso lo stesso CCNL prevede una diversa e complessa procedura, che può anche condurre alla mobilità (i.e., licenziamenti collettivi) di parte del personale. [26] Non condividiamo dunque, per quanto comprensibile e non priva di agganci interpretativi, lopinione di A. Vallebona, op. cit., p. 220 il quale (con specifico riferimento al licenziamento di lavoratori addetti allappalto che rifiutino di utilizzare la tutela collettiva) ritiene operante la legge 223 soltanto ove essi siano almeno cinque, non potendosi certo computare come licenziamenti le risoluzioni consensuali dei rapporti di coloro che mediante un nuovo contratto passano alle dipendenze del nuovo appaltatore. [27] Per la scelta dei lavoratori da licenziare, e dunque in senso contrario di quelli che possono essere riassunti dallimprenditore subentrante in alternativa al licenziamento, dovranno ovviamente applicarsi i criteri di scelta legali o eventuali criteri negoziali. Tale applicazione, peraltro, può sostenersi in via analogica anche ove si ritenga che, giungendo a licenziare meno di cinque lavoratori, si applichi la disciplina del recesso individuale per giustificato motivo: sullestensione dei criteri di scelta ai licenziamenti individuali v. in generale, tra gli altri, R. Del Punta, I licenziamenti per riduzione di personale: un primo bilancio giurisprudenziale, in Lav. dir., 1994, 1, p. 142; in giurisprudenza, sotto il profilo delle regole di correttezza e buona fede, Cass. 4 marzo 1993, n. 2595, in Mass. giur. lav., 1993, p. 472). [28] Sul quale sia consentito rinviare a F. Scarpelli, la nuova disciplina del trasferimento dazienda, in Dir. prat. lav., 2001, 14, p. 779. [29] Tra le altre Cass. 18 marzo 1996, n. 2254, in Mass. giur. lav., 1996, p. 568. [30] V. da ultimo, ad esempio, Corte Giust. 25 gennaio 2001, causa C-172/99. Sulla questione v. ampiamente Pelissero, Il trasferimento dazienda fra diritto comunitario e diritto interno. Lindividuazione della fattispecie, in Riv. Giur. Lav., 1999, 4, p. 816. [31] Deve rammentarsi come proprio sulle attività di servizio, e segnatamente sulle attività di pulizia, siano maturate le punte più estreme dellevoluzione interpretativa della Corte di Giustizia secondo la quale, quando lattività è caratterizzata da elevato contenuto umano e scarsa rilevanza di beni materiali, la successione di titolarità dellentità economica può rilevarsi anche dal mero dato della riassunzione di un rilevante nucleo di addetti allattività stessa (cfr. in particolare Corte Giust. 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96, C-74/97, e in precedenza la famosa sentenza Suzen, Corte Giust. 11 marzo 1997, causa 13/95). [32] In tale ipotesi potrà innestarsi anche una riduzione del personale, ove il nuovo titolare dellappalto (eventualmente anche in forza dellimpiego sullo stesso di una propria originaria organizzazione) dia luogo a modifiche di gestione che comportino una eccedenza di personale: si tratterà però di vicenda autonoma e successiva rispetto alla cessione dellappalto e al trasferimento dazienda. [33] Assenza, si rammenti, alla quale va equiparata lipotesi in cui limprenditore subentrante non sia soggettivamente tenuto allapplicazione del contratto collettivo che prevede tale strumento di tutela. |