ORARIO DI LAVORO E PROCESSO DI VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE

L'obiettivo della produzione capitalistica non è tanto la produzione di merci in quanto valori d'uso, capaci cioè di soddisfare i bisogni della società umana, quanto la valorizzazione del capitale anticipato e la produzione di plusvalore, cioè di profitto.
La produzione quindi è sostanzialmente produzione di plusvalore.
Il valore di una merce è definito dalla quantità di tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione e riproduzione.
Anche la merce forza lavoro (acquistata dal capitale sul mercato del lavoro al pari di qualsiasi altra merce) viene inserita, utilizzata e consumata nel processo lavorativo.
Dal contratto che la forza lavoro stipula con il capitalista deve poter recuperare un valore che, come minimo, le permetta di poter vivere e riprodursi.
Quindi la giornata lavorativa, cioè il periodo entro il quale viene prodotta l'intera ricchezza, dovrà servire in parte a produrre la ricchezza necessaria per la riproduzione della forza lavoro (sotto forma di salario), mentre la restante parte, non pagata al lavoratore, servirà al capitalista che la incamera sotto forma di plusvalore, cioè di profitto.
Queste due grandezze costituenti l'intera giornata lavorativa vengono definite, la prima, tempo necessario alla riproduzione della forza lavoro, la seconda, tempo di plusvalore.

Se immaginassimo una giornata lavorativa di 8 ore, divisa in due quote uguali, avremmo che 4 ore sarebbero il tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro, e 4 ore il tempo di pluslavoro che andrebbe al capitalista.
La forza lavoro ha la peculiarità che il suo inserimento nel processo di produzione può avvenire per un tempo di lavoro superiore al suo valore, cioè al tempo di lavoro necessario alla sua produzione e riproduzione: in ciò sta l'arcano che permette al capitalista di poter estrarre dalla forza lavoro quote di pluslavoro, quindi di plusvalore.
Da ciò dovrebbe risultare chiaro che la riduzione della giornata lavorativa e la sua distribuzione determinano strettamente le condizioni di produzione di plusvalore.

1º - Orario di lavoro, valore della forza lavoro, produzione del plusvalore assoluto

Il valore della forza lavoro è uguale alla massa di beni necessari alla sua riproduzione, quindi al tempo di lavoro necessario alla riproduzione di quei beni: ma la durata di questo tempo di lavoro non dipende dalla produttività della fabbrica o del settore in cui la forza lavoro è impiegata. Infatti il valore delle merce forza lavoro dipende dalla produttività sociale del lavoro in un dato momento e, più in particolare, dalla produttività sociale del lavoro presente in quei settori che producono i beni necessari alla riproduzione della forza lavoro.
Quindi, data una certa produttività sociale del lavoro, la variazione della durata della giornata lavorativa non implica anche una variazione del valore della forza lavoro che rappresenta solo una quota dell'intera giornata lavorativa.
Infatti, nell'ipotesi di una diminuzione della giornata lavorativa da 8 a 7 ore, senza che vi siano cambiamenti di produttività sociale, la divisione in parti uguali (4+4 ore) che abbiamo visto prima, potrebbe trasformarsi in 4 ore per la riproduzione della forza lavoro ed in 3 ore di pluslavoro che andrebbero al capitalista.
Sarebbe paradossale che il sistema capitalistico potessesopportare una riduzione tale da penalizzare la generazione di plusvalore. Vi è da aggiungere che, storicamente, è accaduto che l'accorciamento della giornata lavorativa sia sempre stato preceduto da un aumento della produttività sociale, in modo che la riduzione d'orario ottenuta non penalizzasse il tempo di pluslavoro. Altrimenti la riduzione dell'orario sarebbe sopportabile per il capitalista solo se, contestualmente, si riducesse il tempo necessario alla forza lavoro, ad esempio, non pagandone una parte, come è nel caso dei contratti di solidarietà.
Se invece ipotizziamo un allungamento della giornata lavorativa senza che, anche in questo caso, vi siano aumenti di produttività sociale, quella divisione in parti uguali (4 + 4 ore) potrebbe diventare 4 + 5 a favore della produzione del pluslavoro.
Nel processo di autovalorizzazione per produrre plusvalore il capitale procede inizialmente al prolungamento della giornata lavorativa (produzione di plusvalore assoluto): ma, non appena i lavoratori si organizzano in difesa della propria forza lavoro, questo prolungamento si scontra con limiti relativamente rigidi per cui il capitale cerca di produrre una maggiore quantità di plusvalore nello stesso tempo di lavoro (plusvalore relativo).

Il capitale cerca di aumentare la produzione di plusvalore modificando le condizioni di produzione attraverso l'acquisizione di tecnologie che aumentino la produttività del lavoro in modo tale che, diminuendo il tempo di lavoro socialmente necessario alla riproduzione della forza lavoro (il valore della forza lavoro), si accresca il tempo di lavoro in cui il lavoratore lavora per altri, cioè per produrre plusvalore.

2º - La produzione del plusvalore relativo

Se, all'interno di una data giornata lavorativa, diminuisce il tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro, aumenta di conseguenza il tempo di pluslavoro.
In questo caso il salario monetario può anche non diminuire, ma il valore della forza lavoro diminuisce in relazione all'aumentata produttività generale del lavoro.
Per ottenere questo risultato deve ridursi il tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci e, in particolare, aumentare la produttività di quei settori che producono i beni di consumo necessari alla riproduzione della forza lavoro. Infatti, riducendo il tempo di lavoro per la produzione e aumentando la produttività dei settori che producono i beni socialmente necessari alla forza lavoro (cibo, vestiario, istruzione, ecc.) di conseguenza diminuisce il valore della forza lavoro che corrisponde al valore di tutti i beni socialmente necessari che entrano nel suo consumo.
Quindi l'aumento della produzione di plusvalore relativo avverrà se le 8 ore potranno essere distribuite, ad esempio, tra le 3 necessarie alla forza lavoro e le 5 riservate alla produzione di pluslavoro: ma, per fare ciò, è indispensabile un aumento della produttività del lavoro tramite una rivoluzione nel modo di produrre e del processo lavorativo.
Una corretta impostazione della battaglia sugli orari di lavoro deve tenere presente questa osservazione: capire e studiare le condizioni di accumulazione ed i processi di trasformazione che la caratterizzano in un determinato momento.
Dovrebbe essere chiaro, da quel che si è detto finora, che la giornata lavorativa non è una grandezza costante, ma variabile e può variare entro limiti relativamente rigidi.
Vi è un limite minimo entro il quale la giornata lavorativa non può diminuire ed è rappresentato dal tempo necessario alla sua riproduzione: negli attuali rapporti di forza, infatti, la giornata lavorativa non può certo essere ridotta al solo tempo necessario alla produzione della forza lavoro stessa in quanto sparirebbe ogni quota di pluslavoro e quindi di plusvalore. L'obiettivo del capitalista rimane quello che la giornata lavorativa, oltre a permettere la riproduzione della forza lavoro, permetta anche l'estrazione della massima quota possibile di plusvalore. La riduzione dell'orario di lavoro, qualora raggiungesse i limiti corrispondenti al tempo necessario unicamente alla riproduzione della forza lavoro, determinerebbe il calo dell'interesse capitalistico all'investimento e all'attivazione di forze produttive.
Vi è poi un limite massimo determinato dal limite fisico della forza lavoro: infatti, durante le 24 ore di un giorno di vita, questa può dedicare al lavoro solo una parte della sua forza vitale perché deve riposare, mangiare e compiere quelle attività proprie della riproduzione. Oltre che con questi limiti il prolungamento della giornata lavorativa urta contro limiti morali, sociali, ecc. come ad esempio il tempo necessario all'istruzione, allo svago, ecc., bisogni che vanno soddisfatti e la cui grandezza è determinata dal grado di sviluppo sociale della società.

3º - La lotta per la determinazione della giornata lavorativa

La variazione della giornata lavorativa si muove, quindi, entro limiti fisici e sociali che, però, sono di natura elastica e permettono dunque un largo margine di azione.
La lotta per la determinazione della giornata lavorativa è stata, fin dall'inizio, lotta di concorrenza tra capitale e forza lavoro.
Il capitalista che compra la forza lavoro al suo valore non può pensare di acquistarla e consumarla nel processo lavorativo senza preoccuparsi di permettere anche la sua riproduzione, pena l'estinzione della razza dei venditori di forza lavoro. Quindi il capitalista compra la forza lavoro ad un valore che corrisponde a quanto è necessario alla forza lavoro stessa per riprodursi; ma, poiché egli possiede tutto il suo valore, cioè tutta la capacità lavorativa della forza lavoro, ha il diritto (proprio del compratore di merci) di far lavorare l'operaio o l'impiegato per sé durante tutto l'arco di un'intera giornata lavorativa.
Ma quanto è lunga, per il capitalista, una giornata lavorativa? Questa, per lui, tende a corrispondere alla grandezza necessaria ad assorbire dal consumo di forza lavoro il massimo di pluslavoro possibile.
La lotta per l'aumento del plusvalore assoluto ha quindi coinciso con la lotta fatta dal capitale per l'allungamento della giornata lavorativa fino ai limiti massimi di resistenza fisica della forza lavoro.
Se l'obiettivo del capitalista è quello di allungare progressivamente la giornata lavorativa, ossia la massima estrazione di plusvalore, dal canto suo la forza lavoro lotterà per la sua normale giornata lavorativa, cercando di salvaguardare le condizioni della sua riproduzione, comportandosi quindi come qualsiasi proprietario di una merce che vuole tutelarla in modo economico, evitando qualsiasi spreco di essa.
Quindi, da una parte, il capitalista difende il suo diritto di compratore cercando di rendere più lunga la giornata lavorativa; dall'altra il lavoratore sostiene il suo diritto di venditore cercando di limitare la durata della sua giornata lavorativa. Si ha quindi una situazione in cui si scontrano due diritti, ambedue legittimati dalla legge dello scambio tra le merci: tra eguali diritti, quindi, decide la forza.
La lotta per la regolazione della giornata lavorativa è quindi una lotta per i limiti di questa, lotta tra la classe dei capitalisti e la classe di chi vende la propria forza lavoro, lotta che si concretizza in lotta sindacale, in lotta per i contratti di lavoro.
Il contratto di lavoro, formalizzazione della lotta di concorrenza, è la dimostrazione del fatto che il lavoratore può disporre liberamente di sé stesso e della sua forza lavoro, è formalmente libero cioè di vendersi ed il contratto stabilisce i criteri di vendita della merce forza lavoro. Ma se questo contratto non garantisce più le condizioni di riproduzione della forza lavoro questa è costretta a vendersi non già per il tempo precedentemente stabilito ma per un tempo maggiore e sufficiente a garantirgli, salarialmente, le condizioni per la riproduzione: ciò avviene, ad esempio, se la forza lavoro percepisce un salario basso, come avviene nei periodi di crisi, o quando non vi è una adeguata politica rivendicativa sul salario. In presenza di queste condizioni il capitalista trova la possibilità di aumentare la produzione di plusvalore assoluto tramite l'allungamento della giornata lavorativa superando le resistenze della classe lavoratrice.
La lotta del capitalista per l'aumento della giornata lavorativa e del plusvalore assoluto è condotta anche tramite la creazione di condizioni generali di vita per cui la forza lavoro sia costretta, per riprodursi, a vendersi oltre il tempo di lavoro precedentemente praticato. Questo dimostra quanto sia indispensabile avere presente un preciso coordinamento tra linea rivendicativa sui salari, sugli orari e sulle condizioni sociali di vita, in quanto sarebbe utopico pensare che la contrattazione possa risultare vincente se non si opera contestualmente per salvaguardare le condizioni di tenuta sugli altri fronti. Non vi è lotta vincente sull'occupazione per una classe lavoratrice con un salario non sufficiente perché è ovvio che un lavoratore con poco salario, più che alla riduzione della sua giornata lavorativa, sarà propenso invece ad accettare i ricatti di chi gli fa subire una maggiore intensità del lavoro, un aumento del suo tempo di lavoro, un ricorso al lavoro straordinario. Non serve né urlare allo scandalo, né fare richiami moralistici alla solidarietà poiché ciò che serve è una linea efficace su tutti i fronti dell'interesse dei lavoratori.

4º - La lotta per la riduzione della giornata lavorativa e la tendenza alla caduta del saggio di profitto

Abbiamo già visto che vi sono limiti sociali e fisici all'allungamento della giornata lavorativa e all'accumulazione del plusvalore. Questi limiti hanno costretto il capitale ad aumentare il plusvalore tramite un aumento della forza produttiva del lavoro, tramite l'appropriazione di sempre nuova tecnica, arrivando quindi alla produzione del cosiddetto plusvalore relativo: ma la produzione di questo non elimina l'interesse capitalistico all'allungamento della giornata lavorativa.
La forza lavoro, nel processo produttivo, trasferisce nel prodotto finito il valore dei materiali utilizzati (ad esempio, le materie prime) ed una quota (l'usura) delle macchine (il capitale costante) e crea nuovo valore che si suddivide in valore della forza lavoro, V, (che torna alla forza lavoro sotto forma di salari) e plusvalore, PV, (che va al capitalista sotto forma di profitto).
La grandezza assoluta della somma di V + PV dipende dalla durata della giornata lavorativa in quanto, tanto più breve è questa, tanto più piccola sarà quella somma mentre, ferma restando la durata di una giornata lavorativa, il plusvalore PV cresce con il diminuire della grandezza di V, e viceversa.
Un diminuzione della giornata di lavoro (quindi del plusvalore assoluto) può essere recuperata con un aumento dell'intensità del lavoro, quindi con l'aumento del plusvalore relativo.
Ciò spiega perché storicamente ogni conquista che ha portato ad una diminuzione della giornata lavorativa sia stata contenuta nei limiti entro cui tale accorciamento veniva compensato da un incremento del plusvalore relativo. Quindi non avviene che prima si diminuisca la giornata lavorativa e poi il capitalista recuperi la riduzione del plusvalore assoluto con un corrispondente aumento di quello relativo, ma avviene, semmai, che si riesca a ridurre stabilmente la giornata lavorativa solo dopo un incremento del plusvalore relativo ottenuto con un aumento della produttività del lavoro.
La risposta del capitale alle lotte per la riduzione della giornata lavorativa avviene sia tramite l'aumento del capitale costante (macchine, attrezzature, ecc.), sia con un continuo incremento di produttività, ottenuto acquisendo nuove tecnologie: e ciò viene fatto anche per sostenere la concorrenza con gli altri capitalisti che introducono sempre nuove tecniche, sviluppo della forza produttiva e aumento dell'intensità del lavoro.

La tendenza ad aumentare il plusvalore relativo produce, come conseguenza, che la massa di lavoro vivo impiegato (cioè la forza lavoro utilizzata) diminuisca in proporzione alla massa di capitale costante (macchine e tecnologie) inserito nel processo produttivo: ma ciò fa sì che il plusvalore sia proporzionalmente sempre più decrescente rispetto al capitale complessivo anticipato, costituito dal valore di macchine e materie prime (capitale costante) e dal valore della forza lavoro (capitale variabile, salari).
Questa è la cosiddetta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto insita nel processo di sviluppo capitalistico che cadenza i suoi cicli critici.
Quindi, la produzione di plusvalore relativo ha dei limiti interni al modo di produzione capitalistico e ciò determina anche dei limiti alla possibile lotta per la riduzione della giornata lavorativa.
In un situazione come quella attuale, caratterizzata da un lungo ciclo critico dell'accumulazione capitalistica, si deve considerare che la linea per la riduzione della giornata lavorativa si scontrerà duramente con le necessità del capitale di aumentare lo sfruttamento della forza lavoro finalizzata a recuperare la caduta del saggio di profitto.
Sarebbe assurdo, nello svolgere una strategia di riduzione dell'orario di lavoro, non considerare che, in una situazione di caduta del saggio di profitto, il capitale dispiegherà con estrema tenacia una strategia basata sullo sfruttamento del lavoro, sia per l'aumento del plusvalore assoluto (aumento della giornata lavorativa) sia per l'aumento del plusvalore relativo (aumento dell'intensità del lavoro, ecc.).
Ma, come afferma Marx in Salario prezzo e profitto: "Se tale è in questo sistema la tendenza delle cose, significa forse ciò che la classe operaia deve rinunciare alla sua resistenza contro gli attacchi del capitale e deve abbandonare i suoi sforzi per strappare dalle occasioni che le si presentano tutto ciò che può servire a migliorare temporaneamente la sua situazione? Se essa lo facesse, essa si ridurrebbe al livello di una massa amorfa di affamati e disperati... Se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale, si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande."