Genova, la rivolta degli operai

     Assalto alla Regione, è scontro con la polizia
     Tensione dopo l'ordine del giudice di chiudere un reparto delle acciaierie
     di Cornigliano per inquinamento. In pericolo 1.100 posti di lavoro

     WANDA VALLI

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     Genova - La rivolta degli operai dell'Ilva, le acciaierie del gruppo Riva,
     dura un giorno intero. Assedio alla Regione e poi alla Prefettura, scontri
     con la polizia in assetto antiguerriglia, quattro feriti, una città
     bloccata. Si chiude ieri sera, dopo un lungo vertice tra Riva, sindacati e
     rappresentanti dei governi locali, con una tregua. Dieci giorni, per sperare
     in una soluzione e parlare con il Governo.
     Tutto incomincia ieri mattina alle 8, in fabbrica, a Cornigliano. E' il
     quartiere a ponente di Genova, da decenni obbligato a pagare un prezzo
     altissimo agli insediamenti di un'industria pesante che dà lavoro, ma
     inquina. La notizia che scatena tutto non è ufficiale, ma sicura: dopo
     l'ordinanza della magistratura di sequestro della cokeria, il punto
     nevralgico della lavorazione a caldo dell'acciaio, il settore più
     inquinante, dove si usa cromo e cobalto, l'azienda ha deciso la sua
     strategia: metterà in mobilità 1100 lavoratori. Vuol dire licenziamenti,
     vuol dire nessuna soluzione sicura per i 2400 dipendenti del gruppo, vuol
     dire un arresto pesante alla difficilissima trattativa aperta nel 1996 dal
     governo Prodi appena insediato. Si era arrivati vicini a una soluzione
     accettabile, se non la migliore: Riva che chiude il ciclo a caldo, i
     lavoratori con garanzie di altra occupazione, l'inquinamento che cala. E un
     futuro di industria pulita da realizzare. Non si è riusciti a metterla in
     pratica. La giunta di centro destra della Regione ha attaccato da subito
     l'ipotesi, promettendo soluzioni alternative finora rimaste sulla carta,
     Riva si è impuntato, ci sono stati esposti alla magistratura e ordinanze del
     sindaco e della Provincia per obbligare l'imprenditore a rientrare, come
     previsto dagli accordi, nei livelli di inquinamento non dannosi, in un
     escalation culminata, due giorni fa, con la richiesta di sequestro.
     In fabbrica, ieri mattina, fan presto a decidere che cosa fare:
     sindacalisti, delegati, operai, scelgono di andare in Regione, in corteo.
     Vogliono parlare «con l'uomo dei sogni» come chiamano con sarcasmo il
     presidente Biasotti e si avviano scortati da camion e gru, da striscioni e
     slogan. Il palazzo è in pieno centro della città, la richiesta di confronto
     è usuale, in casi del genere, i 1000 del corteo, quelli del primo turno di
     lavoro, non si aspettano di trovare schierata in assetto antiguerriglia la
     polizia. I primi scontri, i meno gravi, incominciano intorno al complesso
     che ospita la Regione.
     «Hanno usato gli scudi per fermarci, una parte di noi è salita di qualche
     metro, ha scavalcato il muretto. E lì di nuovo carica», raccontano i
     manifestanti. Gli operai si schierano in file orizzontali davanti alla
     vetrata che porta nella sala del consiglio regionale, protetta da
     carabinieri e polizia, non vogliono farli entrare, il presidente Biasotti ha
     già fatto sapere di non essere disponibile per altri impegni, la gente delle
     Acciaierie si infuria. «Sì è vero, abbiamo incominciato noi a tirare le
     uova - ammette Vittorio, 46 anni, 21 di fabbrica - l'hanno prese i ragazzi,
     i più giovani. Ma dalle uova al manganello c'è una bella differenza. O no?»
     La differenza sono quattro operai feriti, a manganellate, e il presidente
     del consiglio regionale Gianni Plinio che viene sottratto per un soffio
     dalla Digos all'ira delle tute blu. Parla Claudio, 41 anni: «Ho detto a uno
     della polizia, ma cosa fai? lo sai che sono qui per difendere il mio posto
     di lavoro? E lui ha stretto le spalle, mi ha fatto capire che anche lui
     stava lavorando, forse non gli piaceva ma doveva farlo». E poi, continuano a
     ripetere, «chi se lo immaginava? Non è mai successa una cosa del genere a
     Genova, e noi di manifestazioni ne abbiamo fatte un mucchio. Sono le prove
     generali del G8, è il biglietto da visita del governo di destra, ecco la
     verità». A portare la solidarietà «a questi poveracci che rischiano di
     restare senza lavoro» arrivano anche le tute bianche e i centro sociali del
     nord est. Sono a Genova per garantire al sindaco che, proprio al G8, la loro
     sarà una protesta non violenta. Ma adesso, il problema è un altro. Deve
     arrivare anche il ministro degli Interni, il ligure Claudio Scajola, aveva
     appuntamento alle 14 in Regione, non verrà. Solo una breve sosta in
     Prefettura: ragioni di sicurezza. Gli operai non se ne curano molto. Angelo,
     31 anni: «Questo Scaiolli noi non lo conosciamo, sappiamo solo che Riva ci
     vuole licenziare. Ma di lui non ci importa niente, viene un altro e ci dice,
     facciamo gelati, e noi benissimo». Intanto il tam tam avvisa quelli del
     secondo turno: devono arrivare in Regione, la mediazione è già incominciata.
     Sindaco, presidente della Regione e della Provincia chiedono a Riva un
     summit in Prefettura. L'assedio si sposta qui. Durerà a lungo e Genova si
     blocca del tutto. Le camionette, i blindati della polizia si schierano di
     nuovo, gli operai si limitano a applaudire e a urlare "bravi" e "buffoni".
     La delegazione incomincia il suo lavoro alle cinque e mezzo. Fuori, gli
     altri organizzano una partita a calcio. E non fanno passare le macchine o le
     moto, se non spinte mano. Ma la gente a piedi sì. Non avete paura di morire
     di tumore? Fabio, 40 anni di Cornigliano: «Mio padre ha dato da mangiare a
     me e a mio fratello, io faccio come lui. Riva? Un pessimo padrone, ma non ce
     n'è un altro. Venga a dircelo Biasotti dove troviamo il lavoro».