Botte agli operai
     Scontri davanti alla regione. La cokeria inquina e va chiusa, ma Riva
     minaccia la chiusura dell'intero complesso
     AUGUSTO BOSCHI - GENOVA

     La cokeria inquina e deve essere chiusa, ha ordinato il tribunale. Riva, il
     padrone, non cerca soluzioni e rilancia: minaccia di chiudere tutto lo
     stabilimento, mettendo 1.100 lavoratori in mobilità. Nessuno si muove, salvo
     i lavoratori: il corteo arriva in piazza Dante a metà mattinata con i mezzi
     pesanti con i quali ha sfilato da Cornigliano fino in centro. Poi gli operai
     si dirigono verso il palazzo della Regione, in via Fieschi. La polizia
     (pochi agenti all'inizio) sembra colta di sorpresa: quando il corteo cerca
     di entrare in Regione, reagisce violentemente. Sul selciato pozze di sangue.
     Uno dei manifestanti si tiene una mano sulla testa: il sangue gli scende a
     rivoli da un taglio che arriva fino al collo. Alla fine i feriti saranno
     tredici: 4 tra i manifestanti, gli altri tra le forze dell'ordine, ma il
     bilancio tiene conto solo degli operai curati in ospedale.
     Gli operai chiedono di incontrare Biasotti, il presidente della regione, ma
     arriva Gianni Plinio, deputato An, presidente del Consiglio regionale. Viene
     circondato e volano ceffoni: se li prende il suo vice, il diessino Giacomo
     Ronzitti. Altre botte, spintoni e fucili usati come manganelli. Biasotti,
     barricato al nono piano, è disposto ad accogliere una delegazione di 25
     lavoratori. "Va bene, ma che venga giù lui", è la risposta. Non lo fa: teme
     che una volta sceso nell'atrio, i manifestanti rompano il cordone di
     polizia. Qualcuno propone di fare entrare tutti e di far svolgere l'incontro
     nella sala consigliare, ma la sala contiene solo 140 persone. Si decide per
     un presidio ad oltranza davanti al palazzo.
     Nel frattempo dal suo ufficio al nono piano Sandro Biasotti telefona al
     ministro degli Interni e suo compagno di partito Claudio Scajola che alle
     14.30 avrebbe dovuto arrivare in visita Regione a parlare del G8. Lo
     sconsiglia vivamente di farsi vedere in via Fieschi e il ministro annulla la
     visita. All'interno del palazzo la situazione è surreale: consiglieri che
     vanno e vengono facendo lo slalom tra i microfoni e le telecamere, impiegati
     che timbrano il cartellino mentre file di carabinieri sostano con i fucili
     al piede appoggiati ai corridoi e fuori una folla senza cartelli e piena di
     rabbia chiede che qualcuno spieghi quale sarà il loro futuro.
     Un sindacalista conferma che l'ordinanza di sequestro non è ancora arrivata
     sul tavolo di Emilio Riva, presidente delle acciaierie e indagato insieme ad
     altri undici dirigenti dell'Ilva per emissione di sostanze pericolose, ma
     che la politica aziendale è chiarissima: non appena avranno l'ordinanza,
     scatterà la mobilità per tutti e 1100 i lavoratori. Non solo per quelli
     della cokeria (duecento), ma anche per quelli dell'altoforno. Si cercano
     mediatori e interlocutori. Biasotti scende fino al primo piano e va a
     parlare con il vicepresidente leghista del consiglio regionale Francesco
     Buzzone, chiedendogli di contattare il ministro del Lavoro.
     Bruzzone si attacca al telefono e spiega la situazione a Roberto Maroni che
     si dice pronto a ricevere una delegazione di lavoratori per trovare una
     soluzione. Intanto, in fretta e furia viene organizzato un vertice in
     prefettura tra il sindaco Giuseppe Pericu, la presidente della provincia
     Marta Vincenti e Biasotti al quale partecipa anche Scajola. Il ministro
     assicura che le acciaierie saranno al centro di uno dei prossimi consigli
     dei ministri. Il corteo di operai si riforma e, alle 17, abbandona la
     Regione e si sposta in prefettura. A questo punto ministro degli Interni se
     ne va da una porta posteriore per continuare il suo giro post elettorale in
     Liguria mentre si attende che arrivi Emilio Riva, convocato per discutere
     dei licenziamenti dai vertici del governo locale.