Nel momento in cui scrivo questo pezzo, non
sappiamo ancora come sarà possibile arrivare a Genova per protestare
contro l’abuso di potere che i G8 dimostrano, hanno dimostrato e non dovranno
più dimostrare. La trattativa tra governo e parte filo-istituzionale
del variegato movimento antiglobalizzazione procede secondo i leggibili
piani del governo: tirarla per le lunghe in modo estenuante, non dare certezze
per non dare vantaggio agli aspetti organizzativi delle manifestazioni,
soprattutto dividere il movimento in buoni e cattivi, affidabili e inaffidabili,
seducibili e irriducibili, compatibili e incompatibili. Non sempre i gesti
sono neutrali, e una trattativa non meramente tecnica significherebbe una
legittimazione reciproca tra le parti, con il corollario di ulteriori frammentazioni
di un movimento appena sorto in Italia e nel resto del mondo che ancora
non dimostra di avere una pars costruens articolata e ben saldata con le
istanze territoriali, tanto al nord quanto al sud del mondo.
La pluralità, comunque vada, è un dato di fatto che solo
l’escalation del terrorismo di stato (Napoli, Goterborg e la polizia psicologica
dispiegata in questi giorni in attesa di Genova) potrà eventualmente
revocare. Sarebbe una facile illusione credere che la battaglia - non di
Genova, perché il G8 è una tappa per i padroni del pianeta
- contro i poteri mondiali, le disuguaglianze, le rapine, gli squilibri,
la miseria scientificamente indotta, lo sterminio pianificato, l’avvelenamento
quotidiano, sia giocabile sul piano dell’evidenza mediatica tale da attirare
le simpatie dell’opinione pubblica. Tale piano di lettura e di conseguente
pratica politica assorbe consapevolmente uno stile della politica contemporanea
assolutamente irrilevante quanto a capacità di incidere sui meccanismi
di fondo del potere mondiale: quello della servitù volontaria di
una minoranza del pianeta che sfrutta la maggioranza del mondo con un consenso
rinnovato giorno dopo giorno nei fatti: spreco, dissipazione di risorse,
razzismo, consumismo sfrenato, assuefazione delle coscienze, sostegno indiretto
alle politiche militariste, benefici delle rapine dei beni primari della
terra. Sarà su questo piano di vita che si giova la possibilità
di rendere la terra un pianeta abitabile per tutti, ridimensionando non
solo uno stile di esistenza opulenta, quanto e soprattutto interrompendo
le pratiche di dominio che la rendono possibile: ossia il potere politico
e quello economico.
Per puntare a un simile obiettivo radicale, messinscene ed eventi spettacolari
lasciano il giorno che trovano, cancellati dai media dalla notizia successiva,
che peraltro alimentano l’escalation di emozioni forti, sempre più
forti e voyeuristiche, tipiche da un popolo televisivo nutrito di spettacolo,
cui replicare con un contro-spettacolo, diverso e analogo in linea di principio,
soprattutto produttivo dello stesso effetto narcotizzante e non-partecipativo
(il noto quarto d’ora di celebrità che ormai non si nega a nessuno,
nemmeno a chi va nelle copertine di settimanali borghesissimi, integrati
e capisaldi del sistema stesso).
Ecco perché sarà importante esserci a Genova, per segnare
una presenza diversa accanto alle altre, differenziata ma incanalata nella
medesima marea che ricoprirà ogni centimetro quadro lasciato libero
dai poliziotti. Senza pensare a una riedizione della scena di guardie e
ladri, ma nemmeno senza chinare il capo come se questo fosse l’ordine inevitabile
delle cose. Cambiare è sempre possibile, sta a questa generazione
provarci senza mimare deprecabili avventure del passato recente: fughe
avanguardistiche in avanti, tentativi castranti di egemonismi, riflusso
insensato nei giochetti della politica parlamentare, antagonismo verbale
e insufficienza protagonista.
Si potrà perdere perché l’avversario è smisuratamente
forte, e quindi sarà bene non accettare la sfida sul suo campo preferito;
si potrà vincere perché tre quarti del pianeta è potenzialmente
un fronte di lotta immenso e variegato quanto basta per non lasciarsi irretire
in facili scorciatoie cieche e per sapere inventare sempre inedite forme
organizzative orizzontali e libertarie, decentrate e autogestionarie. Quel
che a Genova si dovrà evitare è la ripetizione stantia di
scenari già visti venticinque anni fa, in cui la parata scenica
mima conflittualità per l’egemonia entro il movimento o per la rivincita
rancorosa personale (anche se di molti) nei confronti del mini-rappresentante
del padroncino di turno, mentre ad essere emarginato dalla comunicazione
politica, comunque venga fatta se indirizzata a tale scopo, sarà
il popolo confinato in città, che da assediato potrà diventare
assediante.
Salvo Vaccaro