Dopo dieci anni d'immigrazione
a Bologna le condizioni
degli immigrati non
sembrano essere minimamente migliorate.
Più in generale,
le amministrazioni locali delle città
dell'Emilia Romagna,
la giunta regionale, nonché le
associazioni imprenditoriali
ed i singoli datori di lavoro,
sempre più
spesso lanciano segnali preoccupanti, poiché,
oltre ad evidenziare
un atteggiamento sempre più
esplicitamente razzista,
evidenziano la totale assenza di
qualsiasi risposta
concreta ai bisogni espressi dagli immigrati:
la casa, i servizi,
i diritti riconosciuti a
tutti gli altri cittadini.
A rimarcare una situazione già
di per sé
difficile, ci pensa poi la politica
ecclesiastica
promossa dal cardinale Biffi, che sollecita
le istituzioni
ed incoraggia i cattolici affinché misure di
dscriminazione, nei
confronti degli immigrati - anche
relativamente
all'esercizio di culto e di salvaguardia
della propria identità
culturale - diventino parte
essenziale del sistema
di apartheìd ufficialmente
accettato. In questa
direzione vanno sia l'ostilità
manifestatasi nei
confronti della proposta riguardante la
costruzione
di una moschea a S. Lazzaro (Bologna), sia la
richiesta di
privilegiare l'immigrazione proveniente da
paesi cattolici,
in modo da eliminare alle radici i rischi
di "contaminazione"
provenienti da altre culture e
civiltà,
come quella musulmana. Insomma, l'immigrato serve
ai fini del
sistema di sfruttamento, ma al di fuori del
posto di lavoro
é considerato una persona pericolosa in
sé, in quanto
originario spesso da aree geografiche "a
rischio", dal momento
che potrebbero mettere "in crisi" la
supremazia dei
valori cristiani e occidentali!
Un tale razzismo esplicito
trova il suo coronamento a
livello delle politiche
statuali. Com'è noto, la normativa
in vigore, tra le
molte restrizioni, prevede, per quanti
sfuggano alle
strette maglie del controllo alle frontiere
e sul territorio,
i cosiddetti Centri di Permanenza
Temporanea (C.P.T.)
per immigrati. In queste carceri
(perché tali
sono), l'immigrato é condotto qualora venga
sorpreso senza permesso
di soggiorno. In questi casi viene
negato il diritto
della libertà di movimento. In realtà,
si applica il
Codice penale per un reato di carattere
amministrativo.
I C.P.T. decretati
dall'approvazione della legge n. 40 del
1998 risultano
a tutt'oggi trentuno, disseminati nelle
città principali
delle varie regioni. Nel corso di questi anni,
tali Centri hanno
rinchiuso un numero elevatissimo di
immigrati, una
quota significativa dei quali tratta infine
in arresto,
mentre un altro segmento è stato espulso nei
paesi di origine.
A Bologna è
in via di riadattamento una ex caserma, che
diverrà fra
pochi mesi un Centro di detenzione. La regione
Emilia-Romagna si
adegua velocemente agli standard
nazionali, mettendo
tutta la sua rinomata efficienza in
campo amministrativo
al servizio di questo sistema di
segregazione territoriale.
Oltre a Bologna, infatti, la
legge regionale sulla
sicurezza prevede altri due centri,
uno a Modena e l'altro
a Rimini.
All'interno delle
considerazioni generali fatte finora, va
infin>
In rapporto ad un tale
contesto, che vede oggi discriminare
in particolare gli
immigrati, sentiamo l'esigenza di
potenziare in città
ed in regione la sensibilità di una
società
civile che in alcune sue componenti ha dato il suo
assenso, nel recente
passato, alla contestazione che tante
realtà e cittadini
hanno organizzato contro il Centro di
via Mattei.
Per riaffrontare questi problemi invitiamo tutti/e il giorno
25 febbraio 2001 - ore 15.00
ad un'assemblea pubblica
regionale che si terrà presso la
Sala "M. Zonarelli"
di via Vezza n.15 (Q.re S. Donato),
per discutere
i tempi e i modi di una ripresa
dell'opposizione contro
la costruzione dei Centri di
detenzione a Bologna,
Modena, Rimini e nel resto del paese.
Comitato Cittadino
Antirazzista
Comitato Senza Frontiere
BOLOGNA