Alternative emergenti in
Palestina
Edward W. Said
(pubblicato sul settimanale Al-Ahram Weekly, numero568
Venerdì 11 gennaio 2002)
Da quando è iniziata 15 mesi fa, l'Intifada palestinese ha avuto poche possibilità per mostrarsi politicamente, nonostante il rimarchevole coraggio di un popolo militarmente occupato, disarmato, scarsamente guidato e tutto espropriato che ha sfidato le spietate devastazioni della macchina da guerra israeliana. Negli Stati Uniti, il governo e con poche eccezioni, i media "indipendenti" non hanno fatto che ripetere l'un con l'altro il terrore e la violenza Palestinese, senza nessuna attenzione dovuta verso i 35 anni di occupazione militare israeliana, la più lunga nella storia moderna: come conseguenza, le condanne ufficiali americane dell'autorità di Arafat dopo l'undici settembre per ospitare ed anche sponsorizzare il terrorismo hanno freddamente rinforzato la rivendicazione ridicola del governo Sharon che Israele sia la vittima, i Palestinesi gli aggressori in questa guerra ultratrentennale che l'esercito israeliano ha imbastito contro i civili, le proprietà e le istituzioni senza nessuna pietà o discriminazione. Il risultato oggi è che i Palestinesi sono rinchiusi in 220 ghetti controllati dall'esercito; dotati di elicotteri Apache americani da guerra, carri armati Merkava, e da F-16 si abbattano quotidianamente su persone, case, alberi di ulivo (più di 44mila sradicati dall'inizio dell'Intifada N.d.T.) e campi agricoli; scuole e università, così come istituzioni economiche e civili sono totalmente mandate in frantumi; centinaia di civili innocenti sono stati uccisi e decine di migliaia feriti; gli assassini mirati da parte di Israele dei leader palestinesi continuano; la disoccupazione e la povertà sono intorno al 50% e tutto questo mentre il Generale Anthony Zinni ripete con voce monotona sulla "violenza" Palestinese allo sventurato Arafat, che non può neanche lasciare il suo ufficio a Ramallah perché è imprigionato lì dai carri armanti israeliani, mentre alcune sue sbrindellate forze di sicurezza scappano cercando di sopravvivere alla distruzione dei loro uffici e fabbricati.
A rendere le cose peggiori, i Palestinesi
Islamici hanno giocato con la fucina di propaganda implacabile israeliana e la
sua sempre pronta risposta militare con occasionali scoppi di gratuiti
barbarici attacchi suicidi che alla fine hanno costretto Arafat a metà Dicembre
a indirizzare le sue forze di sicurezza contro Hamas e la Jihad, arrestando i
loro militanti, chiudendo gli uffici ed occasionalmente sparando sui
dimostranti ed uccidendone alcuni. Ogni richiesta che Sharon fa, Arafat si
affretta a soddisfarla, anche quando Sharon ne fa un'altra, provoca un
incidente, o semplicemente dice - con il sostegno USA - che non è soddisfatto,
e che Arafat rimane un "irrilevante" terrorista (a cui ha
sadisticamente proibito dal recarsi a Bethlemme la notte di Natale) il cui
obiettivo principale nella vita è di uccidere Ebrei. A questo ammasso confuso,
resistente ad ogni logica, di brutali assalti ai Palestinesi, ad un uomo che
nel bene o nel male è il loro leader, e alla loro già umiliata esistenza
nazionale, la risposta sconcertante di Arafat è stata di continuare a chiedere
un ritorno ai negoziati, come se la trasparente campagna di Sharon contro anche
la possibilità di negoziati non stava effettivamente accadendo, e come se
l'intera idea del processo di pace di Oslo non era già evaporata. Ciò che mi
sorprende è che eccetto per un piccolo numero di israeliani (più recentemente
David Grossman), nessuno esca fuori e dica apertamente che i Palestinesi stanno
venendo perseguitati da Israele come i suoi indigeni.
Uno sguardo più attento alla realtà Palestinese
dice qualcosa di più incoraggiante. Recenti sondaggi hanno mostrato che fra di
loro, Arafat ed i suoi oppositori islamici (che si autoproclamano ingiustamente
come "la resistenza") ottengono un consenso popolare fra il 40 e 45
per cento. Questo vuol dire che una maggioranza silenziosa dei Palestinesi non
è né per la fede mal riposta dell'ANP per Oslo (o per il suo regime senza legge
di corruzione e repressione) né per la violenza di Hamas. Il tattico sempre
pieno di risorse, Arafat ha evitato di delegare il Dr Sari Nusseibeh, un
notabile di Gerusalemme, rettore dell'Università di Al-Quds, e seguace di Fatah
dal prendere un'iniziativa e pronunciare dei discorsi suggerendo che se Israele
si dovesse comportare soltanto un po' più correttamente, i Palestinesi
potrebbero rinunciare al loro diritto al ritorno. Inoltre, un sacco di
personalità palestinesi vicino all'Autorità (o, più precisamente, le cui
attività non sono mai state indipendenti dall'Autorità Palestinese) hanno
firmato delle dichiarazioni e sono andati in giro con attivisti Israeliani che
sono sia senza potere sia altrimenti sembrano essere inefficaci come pure
discreditati. Questi deprimenti comportamenti si suppone che debbano mostrare
al mondo che i Palestinesi hanno una volontà di pace ad ogni prezzo, anche di
adattarsi all'occupazione militare. Arafat è tuttora imbattuto per quanto la
sua inflessibile ansia di rimanere al potere sia preoccupante.
Tuttavia a poca distanza da ciò, una nuova
corrente laico nazionalista sta lentamente emergendo. È troppo presto per
definirla un partito o un blocco, ma è ora un gruppo visibile che una sua vera
indipendenza e status popolare. Conta con il Dr Haidar Abdel-Shafi ed il Dr
Mustafa Barghouthi (non da confondere con il suo lontano parente, l'attivista
di Tanzim Marwan Barghouthi) fra i suoi ranghi, insieme con Ibrahim Dakkak,
Ziad Abu Amr, Ahmad Harb, Ali Jarbawi, Fouad Moghrabi, membri del Consiglio
Legislativo Rawiya Al-Shawa e Kamal Shirafi, gli scrittori Hassan Khadr e
Mahmoud Darwish, Raja Shehadeh, Rima Tarazi, Ghassan Al-Khatib, Nassir Aruri,
Eliya Zureik ed io stesso. Nella metà di Dicembre, una dichiarazione collettiva
fu pubblicata che fu ben diffusa dai media europei ed arabi (fu anche
menzionata negli USA) invitando i Palestinesi all'unità ed alla resistenza e ad
una fine senza condizioni dell'occupazione israeliana, mentre deliberatamente
si manteneva il silenzio circa il ritorno ad Oslo. Noi crediamo che negoziare
un miglioramento dell'occupazione sia equivalente nel prolungarla. La Pace può
arrivare solo dopo che l'occupazione termini. Le parti più coraggiose della
dichiarazione si focalizzano sul bisogno di migliorare la situazione interna
palestinese, soprattutto rafforzare la democrazia; "rettificare" il
processo decisionale (che è totalmente controllato da Arafat e dai suoi
uomini); asserire il bisogno di restaurare la sovranità legale e l'indipendenza
giudiziaria; e consolidare le funzioni delle istituzioni pubbliche così da dare
ad ogni cittadino confidenza in coloro che sono designati espressamente per il
servizio pubblico. La richiesta finale e più decisiva invita a nuove elezioni
parlamentari.
Comunque questa dichiarazione possa essere stata
letta, il fatto che così tanti preminenti indipendenti con, per la maggior
parte, funzioni nelle organizzazioni della sanità, dell'educazione,
professionali e del lavoro poiché la loro base ha detto che queste cose non
sono andate sprecate né per altri Palestinesi (che la hanno letta come la più
tagliente critica del regime di Arafat ) né per l'esercito israeliano. Inoltre,
proprio quando l'ANP ha sobbalzato per obbedire a Sharon e Bush operando una
retata dei soliti sospetti islamici, un Movimento di Solidarietà Internazionale
non violento è stato lanciato dal Dr Barghouthi che ha compreso circa 550
osservatori europei (alcuni di loro membri del Parlamento Europeo) che sono
arrivati a proprie spese. Con loro una ben disciplinato gruppo di giovani
palestinesi che, scompigliando le truppe israeliane e del movimento dei coloni
insieme con gli Europei, ha impedito il lancio di pietre o di sparare alla
parte Palestinese. Ciò ha effettivamente gelato l'ANP e gli Islamici, e ha
collocato al centro dell'attenzione l'occupazione israeliana. Tutto ciò
accadeva mentre gli USA stavano ponendo il veto ad una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza ponendo come mandato un gruppo di osservatori internazionali
disarmati per interporsi fra l'esercito israeliano ed i civili indifesi
Palestinesi.
La prima conseguenza di ciò fu che il 3 Gennaio,
dopo che Barghouthi aveva tenuto una conferenza stampa con circa 20 Europei a
Gerusalemme Est, gli Israeliani lo hanno arrestato, detenuto ed interrogato due
volte, rompendogli le ginocchia con i calci del fucile e ferendolo alla testa,
con il pretesto che stava disturbando la pace e che era entrato illegalmente a
Gerusalemme (anche se egli è nato lì ed ha un permesso medico per entrarvi).
Nessuno di questo ovviamente lo ha fermato o i suoi sostenitori dal continuare
la lotta non violenta, che, io penso, deve certo prendere il controllo della
già troppo militarizzata Intifada, focalizzarla nazionalmente sulla fine
dell'occupazione e degli insediamenti, e guidare i Palestinesi verso uno stato
e la pace. Israele ha più paura di qualcuno come, che è un Palestinese,
razionale, rispettato e controllato, che dei barbuti radicali islamici che
Sharon ama distorcere come la quinta essenza della minaccia terrorista di
Israele. Tutto quello che fanno è arrestarlo, che tipico della politica fallita
di Sharon.
Così dove è la sinistra israeliana e americana
che è veloce nel condannare la "violenza" mentre non dice nulla, neanche
una parola, sulla stessa disgraziata e criminale occupazione? Io seriamente
suggerirei che essi dovrebbero aiutare attivisti coraggiosi come Jeff Halper e
Louisa Morgantini sulle barricate (letterali e figurative), sostenendo fianco a
fianco questa nuova maggiore iniziativa laica, ed iniziare a protestare contro
i metodi militari israeliani che sono direttamente diminuiti dai contribuenti e
dal loro silenzio comprato a caro prezzo. Avendo per un anno unito forte le
loro mani collettive e compianto circa l'assenza di un movimento pacifista
palestinese (da quando un popolo militarmente occupato ha la responsabilità per
un movimento pacifista?), i pacifisti dichiarati che possono attualmente
influenzare la politica militare israeliana hanno un chiaro compito politico di
organizzarsi contro l'occupazione giusto ora, incondizionatamente e senza
indecenti richieste ai già afflitti Palestinesi.
Alcuni di loro lo hanno fatto. Alcune centinaia
di riservisti israeliani hanno rifiutato la leva nei territori occupati, ed un
ampio spettro di giornalisti, attivisti, accademici e scrittori (inclusi Amira
Hass, Gideon Levy, David Grossman, Ilan Pappe, Dani Rabinowitz, e Uri Avnery)
hanno portato un solido attacco alla futilità criminale della campagna di Sharon
contro il Popolo Palestinese. Idealmente, dovrebbe esserci un coro simile negli
USA dove, eccetto per un piccolo numero di voci ebraiche che rendono pubblica
la loro rabbia per l'occupazione militare israeliana, c'è ancora troppa
complicità e rumori di tamburi. La lobby israeliana ha avuto un successo
temporaneo nell'identificare la guerra contro Bin Laden con il deciso,
collettivo assalto di Sharon contro Arafat ed il suo popolo. Sfortunatamente,
la comunità arabo americana è sia troppo piccola sia assediata, poiché tenta di
respingere la sempre in espansione rete di Ashcroft, con un profilo razzista e
una limitazione delle libertà civili qui.
Il bisogno maggiore urgentemente, quindi, è il
coordinamento fra i vari gruppi laici che sostengono i Palestinesi, un popolo
contro cui la mera presenza, la dispersione geografica (anche più delle
depredazioni israeliane) è il maggiore ostacolo. Per finire l'occupazione e
tutto ciò che è venuto con essa è un imperativo abbastanza chiaro. Ora lasciate
fare a noi. E gli intellettuali arabi non hanno bisogno di sentirsi paurosi
attualmente per parteciparvi.