AI Index: EUR 30/012/2001, Novembre 2001
Il 19 settembre 2001 il presidente
del Parlamento europeo ha annunciato che il Comitato parlamentare per le
libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni (Comitato
per i diritti dei cittadini) era stato autorizzato a redigere una
raccomandazione al Consiglio dell’Unione europea in merito ad “uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia: la sicurezza in occasione delle riunioni del
Consiglio europeo e di eventi analoghi …”.
Nel documento accompagnatorio della
prima bozza di raccomandazione sottoposta dal relatore al Comitato, una nota
spiega che “dopo le manifestazioni che hanno avuto luogo durante le riunioni
del Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000), Göteborg (giugno 2000) e,
infine, a Genova (luglio 2001) e gli incresciosi atti di violenza che le hanno
contraddistinte, è opportuno che le istituzioni europee, ed in particolar modo
il Parlamento, ne comprendano le cause ed, in futuro, ne evitino il ripetersi”.
In vista dell’esame di tale bozza,
fissato per il 12 novembre 2001, che prevedeva anche la redazione di un
emendamento con cui il Parlamento avrebbe raccomandato l’istituzione di una
commissione di inchiesta per gli incidenti di Genova, Amnesty International ha
colto l’opportunità per richiamare l’attenzione del Comitato sulle principali
preoccupazioni in merito alle operazioni di polizia nei giorni del G8, già
sottolineate in vari documenti pubblici.
Il 12 novembre 2001 il Comitato ha
adottato il testo finale del rapporto con la proposta di raccomandazione
[protocollo Parlamento Europeo A5-0396/2001]. Il testo è stato passato alla
plenaria del Parlamento europeo, che dovrebbe esaminarlo e votarlo in seduta
plenaria a partire dal 10 dicembre 2001[1].
Se la raccomandazione sarà adottata, verrà poi inoltrata al Consiglio
dell’Unione europea e, per conoscenza, anche alla Commissione europea e ai
governi e ai parlamenti degli stati membri dell’Unione.
La proposta adottata dal Comitato
non comprende la raccomandazione di istituire una commissione d’inchiesta sugli
incidenti di Genova ma, notando “che in seguito ai disordini di Genova,
l’Italia ha avviato varie indagini amministrative, giudiziarie e parlamentari
per accertare se vi furono trattamenti o punizioni inumane o degradanti
(articolo 4 – Carta europea dei diritti
fondamentali)”, il testo afferma che “il Parlamento europeo seguirà con
particolare attenzione gli sviluppi di tali indagini, in vista del proprio
rapporto annuale 2001 sulla salvaguardia dei diritti fondamentali nell’Unione
europea”. In particolare, Amnesty International rileva che, tra le
“Raccomandazioni specifiche da seguire per garantire una migliore protezione
dei diritti fondamentali”, le proposte del Comitato prevedono:
-
“di evitare la chiusura dei confini o la
negazione del diritto di attraversare le frontiere a singoli cittadini o gruppi
di cittadini che intendono pacificamente prendere parte a manifestazioni
legittimamente autorizzate.
Il sempre più frequente ricorso degli Stati membri al ristabilimento dei
controlli alle frontiere interne è divenuto, da situazione eccezionale, la
regola anche in occasione di eventi internazionali di minor rilevanza.
L’articolo 2.2 della Convenzione di Schengen
prevede la possibilità di reintrodurre controlli frontalieri soltanto
quando l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedono. È pertanto
un’eccezione alla regola generale che stabilisce che i confini interni possono
essere attraversati in qualunque punto senza l’effettuazione di controlli sulle
persone. Tuttavia, la reintroduzione dei controlli frontalieri non incide sulle
leggi comunitarie in vigore sulla libertà di movimento. Il blocco ai confini di
migliaia di persone che viaggiano in treno o in nave senza valutare se esse
siano una grave minaccia ad uno degli interessi fondamentali della società
(secondo la giurisprudenza della Corte europea di giustizia) è sproporzionato e
contrario agli articoli 11, 12 e 45 della Carta
europea dei diritti fondamentali e alle richieste della Direttiva
64/221/EC”;
-
“di evitare l’uso sproporzionato della forza
e di istruire le forze di polizia nazionali a tenere sotto controllo la
violenza e a garantire i diritti individuali anche in situazioni confuse in
cui tra la folla pacifica si mescolano persone violente che infrangono la
legge; di evitare l’uso delle armi da fuoco ed attenersi alle raccomandazioni
delle Nazioni Unite sull’uso proporzionato della forza e al codice etico per le
forze dell’ordine del Consiglio d’Europa; di appoggiare la richiesta del
Consiglio per la redazione di un manuale comune europeo per le forze di polizia
impiegate durante manifestazioni pubbliche. Deve essere rilevato che, in
seguito ai disordini di Genova, l’Italia ha avviato varie indagini
amministrative, giudiziarie e parlamentari per accertare se vi furono
trattamenti o punizioni inumane o degradanti (articolo 4 – Carta europea dei diritti fondamentali). Il Parlamento europeo
seguirà con particolare attenzione gli sviluppi di tali indagini, in vista del
proprio rapporto annuale 2001 sulla salvaguardia dei diritti fondamentali
nell’Unione europea”;
-
di evitare discriminazioni tra cittadini
della propria nazione e stranieri in caso di arresto o processo e di garantire a questi ultimi l’uso
della propria lingua, l’immediato accesso ad un avvocato e alla protezione
consolare prevista dall’art. 36 della Convenzione di Vienna e, anche in caso di
procedura giudiziaria per direttissima, di garantire il diritto ad essere
difesi da un avvocato di propria scelta, conformemente al diritto fondamentale
di accesso alla giustizia”.
A
Genova, nei giorni immediatamente precedenti e durante il summit G8 (20-22
luglio 2001), più di 200.000 persone hanno preso parte a dimostrazioni
contrarie alla globalizzazione. La maggior parte di esse ha manifestato
pacificamente, ma alcune dimostrazioni sono degenerate in violenza e hanno
causato il ferimento di numerose persone e vasti danni alle cose. Il bilancio
al 22 luglio contava l’uccisione di un dimostrante, il ferimento di centinaia
di persone e l’arresto, connesso agli incidenti verificatisi in città, di più
di 280 persone, molte delle quali di nazionalità straniera.
Amnesty International (AI) ha
ripetutamente espresso preoccupazione a causa delle numerose denunce di
violazioni dei diritti umani ricevute - spesso accompagnate da referti medici,
prove fotografiche e testimonianze oculari – commesse dalle forze dell’ordine e
da agenti di custodia contro cittadini italiani e stranieri nel contesto delle
operazioni di polizia durante il G8. Le denunce facevano riferimento non
soltanto agli incidenti avvenuti a Genova, ma anche a quelli occorsi intorno
alla città e ai posti di frontiera.
AI è consapevole della difficoltà di
mantenere l’ordine pubblico durante i summit, soprattutto se certe fazioni sono
determinate a scatenare la violenza. Analogamente, AI riconosce che era dovere
delle autorità garantire l’incolumità e la sicurezza sia dei partecipanti al
summit G8, sia dei manifestanti pacifici e dei residenti. L’organizzazione non
legittima o giustifica l’uso della violenza contro la polizia o la proprietà,
né si oppone all’impiego legale di una ragionevole forza da parte degli organi preposti
al mantenimento dell’ordine pubblico. Tuttavia, al tempo stesso AI ritiene che
esso vada mantenuto nel pieno rispetto degli standard internazionali sui
diritti umani ed in modo da proteggere i diritti delle persone impegnate in
forme pacifiche di protesta.
Pur accogliendo favorevolmente
l’avvio di varie indagini penali da parte delle autorità giudiziarie italiane,
dirette dalla procura della Repubblica di Genova, nel mese di luglio Amnesty
International ha affermato che - in considerazione della quantità e della
gravità delle denunce (che all’epoca continuavano a pervenire), dell’alto
numero di cittadini stranieri coinvolti e della conseguente seria
preoccupazione a livello nazionale ed internazionale – era improbabile che le
indagini penali fornissero una risposta adeguata.
Il 18 settembre 2001, quando la
commissione d’inchiesta nominata dal parlamento italiano in agosto, allo scopo
di condurre un’indagine conoscitiva degli eventi di Genova, ha concluso i
propri lavori tra il disaccordo e l’astio dei suoi membri, AI ha ricordato i
limiti del mandato di tale commissione e ha rinnovato la richiesta, già fatta
in luglio, per la costituzione di una commissione pubblica ed indipendente
incaricata di condurre un’inchiesta esauriente in merito alle denunce di
violazioni dei diritti umani occorse durante le operazioni di polizia e sulla
condotta delle forze dell'ordine e degli agenti di custodia.
Nei continui appelli per l’istituzione di
tale commissione, AI ha sottolineato che le indagini immediate, esaurienti ed
imparziali (i cui metodi e risultati vengano resi pubblici) servono, da un
lato, a proteggere la reputazione di agenti delle forze dell'ordine che possano
essere stati oggetto di accuse di maltrattamenti infondate e, dall’altro, a
salvaguardare gli interessi delle vere vittime di maltrattamenti.
AI ha esposto alcuni dei criteri che
dovrebbero ispirare la creazione di una commissione d’inchiesta efficace (v.
oltre). A tutt’oggi, tale commissione non è ancora stata nominata.
Le lettere inviate da AI al governo
italiano nel mese di luglio, prima e immediatamente dopo lo svolgimento del G8
(v. oltre), sono rimaste senza risposta.
Il 2 marzo 2001 a Brescia si è svolta una manifestazione
anti-razzista per contestare, tra l’altro, alcune affermazioni di Umberto
Bossi, leader del partito federalista parlamentare Lega Nord e, da giugno,
ministro della nuova coalizione governativa. La manifestazione coincideva con
quella organizzata, sempre a Brescia e nello stesso giorno, dalla Lega Nord che
intendeva protestare, tra le altre cose, contro l’immigrazione clandestina.
I dimostranti hanno accusato la
polizia e i carabinieri di aver sottoposto manifestanti pacifici a violenza
gratuita, aggredendoli con manganelli e calci di fucile, colpendoli soprattutto
alla schiena e continuando a picchiare persone che già erano a terra
sanguinanti. Secondo quanto è stato riferito, decine di persone sono state
ferite, di cui circa otto in modo grave da richiedere immediato ricorso a cure
ospedaliere. Circa quindici giovani sono stati arrestati e sottoposti ad
indagine per resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale. Il 1° giugno è stato
annunciato che sette dei manifestanti feriti – le cui prognosi andavano dai 15
ai 40 giorni e i cui casi erano ritenuti emblematici – avevano sporto denuncia
formale contro la polizia di Brescia, a quanto pare accompagnando le denunce
con testimonianze oculari e videoregistrate.
In occasione del Terzo
Global Forum svoltosi a Napoli
il 17 marzo e dedicato al tema “Promuovere
la democrazia e lo sviluppo attraverso il governo elettronico”, una
manifestazione di protesta è degenerata in violenti scontri tra alcuni gruppi
di dimostranti e le forze dell’ordine, provocando feriti da entrambe le parti e
danni alle cose. Tuttavia, al tempo stesso, numerosi rapporti di fonti diverse,
tra cui racconti di vittime e testimoni e prove fotografiche, hanno messo in
luce un preoccupante disegno di diffusi abusi e violazioni degli standard internazionali
sui diritti umani perpetrati da agenti della polizia, dei carabinieri e della
guardia di finanza ai danni di dimostranti non violenti ed altre persone. In
una lettera inviata in aprile al precedente ministro degli interni, Amnesty
International ha espresso la sua profonda preoccupazione in merito alle denunce
ricevute contro il comportamento delle forze dell’ordine, sottolineando in
particolare che:
v manifestanti non violenti, tra cui alcuni
minori, sono rimasti intrappolati in una piazza isolata dalla polizia e sono
stati sottoposti ad aggressioni indiscriminate ad opera degli agenti che li
hanno colpiti con calci di fucile, manganelli, calci, pugni e pietre perfino
se, in molti casi, i manifestanti si erano avvicinati agli agenti con le mani
in alto ad indicare il loro intento pacifico;
v alcune persone, tra cui giornalisti, che
stavano scattando fotografie o videoregistrando la scena, sono state picchiate
e i loro apparecchi fotografici e di ripresa sono stati distrutti;
v nei confronti di alcuni feriti arrestati
non vi è stato ricorso immediato ad adeguate cure mediche;
v agli arrestati non è stato consentito di
contattare un avvocato, né di informare dell’accaduto la famiglia o una terza
persona;
v il maltrattamento delle persone fermate,
tra cui si contavano anche dei minori, è proseguito nelle stazioni di polizia.
A quanto risulta, alcuni di essi sono stati fatti inginocchiare con il viso
rivolto al muro per lunghi periodi e sottoposti a percosse casuali e deliberate
con manganelli, schiaffi, calci e pugni, nonché insultati, spesso con termini
osceni di natura sessuale. Molti arrestati sono stati sottoposti a
perquisizioni corporali intime e, in un certo numero di casi, il comportamento
degli agenti durante queste perquisizioni era deliberatamente volto ad umiliare
e degradare i detenuti.
Amnesty International ha chiesto al governo di creare una
commissione di inchiesta indipendente per indagare in modo esauriente ed
imparziale le tattiche e la condotta della polizia durante la manifestazione di
Napoli e ha cercato di ottenere informazioni sulla natura dell’indagine
amministrativa interna aperta in seguito all’episodio.
Tuttavia, la risposta ricevuta
dall’allora ministro degli interni il 5 giugno si è rivelata deludente, poiché
il ministro ha confermato di aver ordinato l’avvio di un’indagine
amministrativa interna sul presunto impiego sproporzionato della forza o su
ogni altro inadeguato spiegamento di forze e ha aggiunto che, in merito ai casi
individuali di violazioni dei diritti umani descritti nella lettera di AI - che
avevano mero valore di esempio - le autorità giudiziarie avrebbero indagato
allorché fossero state sporte singole denunce alla magistratura o i casi
fossero emersi altrimenti.
Secondo AI l’ambito di inchiesta
indicato dal ministro era insufficiente e non forniva risposta adeguata alla
richiesta di un’indagine approfondita condotta da una commissione composta da
persone di riconosciuta indipendenza e probità.
Le preoccupazioni di AI
sull’incapacità del governo a creare tale commissione e a fornire informazioni
sugli sviluppi dell’indagine amministrativa interna sono aumentate in seguito
ad ulteriori denunce per l’uso eccessivo della forza da parte degli agenti
durante una manifestazione avvenuta il 6 luglio 2001 nel porto di Napoli. La protesta era rivolta alla presenza nel porto
della nave European Vision, prima
della sua partenza per Genova dove era destinata ad ospitare molti dei
partecipanti al G8.
Alla
luce delle denunce raccolte da Amnesty International di violazioni dei diritti
umani compiute dalle forze dell’ordine nel contesto delle manifestazioni di
protesta svoltesi in Italia e in alcuni altri paesi che avevano ospitato
incontri intergovernativi, il 10 luglio 2001 l’organizzazione ha inviato una
lettera al ministro degli interni italiano, con copia ai ministri della difesa,
delle finanze e della giustizia. AI sollecitava le autorità italiane a
garantire che le forze dell'ordine impegnate nelle operazioni di mantenimento
dell’ordine pubblico durante il summit G8 di Genova non eccedessero i propri
limiti nel trattare con i dimostranti, fossero a conoscenza delle norme
internazionali in materia di diritti umani e agissero conformemente ad essi in
ogni circostanza. Venivano ricordati, in particolare:
v Il diritto
alla libertà di espressione, come garantito dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU) e dall’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e
politici (PIDCP);
v Il diritto
alla libertà di riunione pacifica, come stabilito dall’articolo 11 della
CEDU e dall’articolo 21 del PIDCP;
v Gli standard
internazionali relativi all’impiego della forza e delle armi da fuoco da parte delle
forze dell'ordine, tra cui il Codice
ONU di condotta per le forze dell'ordine e i Principi fondamentali ONU sull’uso della forza e delle armi da fuoco da
parte delle forze dell'ordine. Queste norme stabiliscono, tra l’altro, che
ricorrere all’uso della forza deve essere soltanto l’ultimo dei rimedi
possibili, proporzionalmente alla minaccia ricevuta, e che l’impiego della
forza deve essere organizzato in modo di ridurre al minimo danni o ferimenti.
Il Codice
ONU di condotta per le forze dell'ordine stabilisce, all’articolo 3, che
gli agenti possono usare la forza solo quando sia strettamente necessario e
nella misura richiesta per l’assolvimento del loro dovere.
I seguenti Principi fondamentali ONU sull’uso della forza e delle armi da fuoco
prescrivono che:
4.
“Nell’assolvimento del proprio dovere, gli agenti delle forze dell'ordine
dovranno, per quanto possibile, impiegare mezzi non violenti prima di ricorrere
all’uso della forza e delle armi da fuoco. Essi possono impiegare la forza e le
armi da fuoco esclusivamente se ogni altro mezzo si rivela inefficace o senza
alcuna possibilità di raggiungere il risultato sperato.”
5.
“Laddove l’impiego della forza e delle armi da fuoco risulti inevitabile, gli
agenti dovranno:
a.
Limitarne
l’uso ed agire proporzionalmente alla gravità del crimine e al legittimo
obiettivo da raggiungere;
b.
Ridurre al
minimo i danni e i ferimenti e rispettare e salvaguardare la vita umana.”
8.
“Circostanze eccezionali, quali instabilità politica interna od ogni altra
emergenza pubblica, non possono essere invocate a giustificazione di qualsiasi
atto non conforme ai presenti Principi fondamentali.”
9.
Le forze dell'ordine non utilizzeranno armi da fuoco contro le persone se non
per autodifesa o per difendere altre persone da una minaccia immediata di morte
o di grave ferimento, per prevenire il compimento di crimini particolarmente
gravi che comportino seria minaccia alla vita, per arrestare persone che
rappresentino tali pericoli e resistano alla loro autorità, o per evitarne la fuga,
e comunque soltanto quando metodi meno estremi si rivelino insufficienti al
raggiungimento di tali obiettivi. In ogni circostanza, l’uso intenzionale e
letale di armi da fuoco potrà essere consentito soltanto quando strettamente
inevitabile al fine di proteggere la vita.”
10.
“Nelle circostanze previste dal Principio n. 9, gli agenti delle forze
dell'ordine dovranno identificarsi come tali ed impartire un chiaro
avvertimento della loro intenzione di impiegare armi da fuoco, attendendo un
tempo sufficiente perché l’avvertimento venga osservato, a meno che far ciò non
li ponga inopportunamente a rischio o non dia origine a rischio di morte o di
danno grave per altre persone o sia chiaramente inappropriato o inutile per le
circostanze del caso.”
14.
“Per la dispersione di dimostrazioni violente, gli agenti delle forze
dell'ordine possono impiegare armi da fuoco esclusivamente se metodi meno
pericolosi non sono applicabili e soltanto nella misura minima necessaria. Gli
agenti non dovranno utilizzare armi da fuoco in tali casi, ad eccezione delle
circostanze indicate dal Principio 9.”
v Il diritto
a non essere arbitrariamente arrestato o detenuto in violazione
dell’articolo 5, comma 1, della CEDU e dell’articolo 9, comma 1, del PIDCP.
L’articolo 9, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e
politici afferma che “nessuno può essere arbitrariamente arrestato o
detenuto.” Il Comitato per i Diritti Umani ha spiegato che il termine
“arbitrariamente” in questo articolo non deve soltanto essere equiparato a
detenzione “contraria alla legge”, ma deve essere interpretato in senso più
ampio per includere elementi di improprietà, ingiustizia e imprevedibilità.
L’articolo 5, comma 1, della CEDU elenca le circostanze permesse per la
privazione della libertà. La Corte europea dei diritti umani ha decretato che
il “ragionevole sospetto” a giustificazione di un arresto esiste allorché vi
siano “fatti o informazioni sufficienti a convincere un osservatore obiettivo
della colpevolezza di una persona”.
v I diritti
delle persone private della libertà:
a)
il diritto a non essere sottoposto a
tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, in violazione degli articoli 7 del PIDCP
e 3 della CEDU.
Secondo
tali articoli, il divieto di tortura e maltrattamenti è assoluto e nessuna
circostanza può essere addotta per giustificare tali trattamenti. Oltre al Patto internazionale e alla Convenzione europea, l’Italia ha
ratificato – ed è perciò impegnata a porre in essere – le norme della Convezione delle Nazioni Unite contro la
tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti (Convenzione contro la tortura). Essa
stabilisce, all’articolo 2, comma 2, che: “Nessuna circostanza eccezionale,
quale essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di
instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato di pubblica emergenza,
può essere invocata per giustificare la tortura.” A tutti i membri delle forze
dell'ordine è fatto divieto di infliggere, istigare o tollerare la tortura o altro
trattamento o punizione crudele, inumano o degradante nei confronti di
qualunque individuo. Tale divieto comprende atti che possano causare sofferenza
psichica o fisica alla vittima.
b) il diritto dei parenti o
di terze parti di essere informati del luogo di detenzione, secondo quanto previsto dal Principio
16, comma 1, del Corpo di principi per la
protezione delle persone trattenute sotto qualunque forma di detenzione o
imprigionamento: “Immediatamente dopo l’arresto e dopo ogni trasferimento
da un luogo di detenzione o imprigionamento ad un altro, l’individuo detenuto o
imprigionato ha il diritto di informare la propria famiglia o altra idonea
persona di sua scelta del proprio arresto, detenzione o imprigionamento o del
trasferimento o del posto in cui è trattenuto in custodia.”
c) il diritto dei cittadini
stranieri a contattare le rappresentanze consolari, ai sensi del Principio 16, comma 2, del
Corpo di principi sopra citati, che
afferma: “Se la persona detenuta o imprigionata è di nazionalità straniera,
dovrà essere immediatamente informata del proprio diritto a comunicare con
idonei mezzi con una rappresentanza consolare o con la missione diplomatica
dello Stato di cui è cittadino o che è altrimenti autorizzato a ricevere tale
comunicazione secondo il diritto internazionale, o con il rappresentante
dell’organizzazione internazionale competente se è un rifugiato o se gode
altrimenti della protezione di una organizzazione intergovernativa.”
d) il diritto all’accesso
immediato ad un legale di propria scelta, secondo i Principi 1 e 22 dei Principi fondamentali delle Nazioni Unite sul ruolo degli avvocati.
Tali Principi stabiliscono che “Ogni persona ha diritto a richiedere
l’assistenza di un legale di propria scelta che tuteli e dimostri i suoi
diritti e la difenda in tutte le fasi dei procedimenti penali” (Principio 1) e
che “I governi devono riconoscere e rispettare il fatto che ogni comunicazione
e consultazione tra gli avvocati e i propri clienti nell’ambito della loro
relazione professionale sono confidenziali” (Principio 22).
e) il diritto all’immediata
somministrazione di cure mediche adeguate, ai sensi dell’articolo 6 del Codice ONU di condotta per le forze dell'ordine, che recita: “I
membri delle forze dell'ordine dovranno garantire la piena protezione della
salute delle persone sotto loro custodia e, in particolare, dovranno agire
immediatamente per consentire la somministrazione di cure mediche laddove
necessario.”
f) il diritto di ogni
individuo ad essere adeguatamente informato dei propri diritti e di ogni
imputazione a proprio carico in una lingua che possa comprendere, in conformità all’articolo 9, comma 2,
del PIDCP e all’articolo 5, comma 2, della CEDU, che stabiliscono
rispettivamente:
“Ogni
persona arrestata deve essere informata, al momento dell’arresto, dei motivi
dell’arresto e deve essere immediatamente informata di ogni imputazione nei
suoi confronti.”
“Ogni
persona arrestata deve essere immediatamente informata, in una lingua che possa
comprendere, delle ragioni dell’arresto e di ogni imputazione a suo carico.”
g) il diritto a condizioni
umane di detenzione,
secondo il disposto dell’articolo 10, comma 1, del PIDCP: “Ogni persona privata
della libertà dovrà essere trattata con umanità e con il rispetto della dignità
inerente alla persona umana.”
PRINCIPALI
ELEMENTI DI PREOCCUPAZIONE PER AMNESTY INTERNATIONAL IN SEGUITO ALLE OPERAZIONI
DI CONTROLLO DELL’ORDINE PUBBLICO DOPO IL G8 DI GENOVA
In una lettera indirizzata al primo
ministro italiano il 31 luglio 2001 (inviata per conoscenza anche ai ministri
degli interni, della difesa, delle finanze e della giustizia, nonché al
presidente della Repubblica), Amnesty International ha espresso profonda
preoccupazione per i numerosi rapporti di violazioni di tutti i diritti sopra
elencati nel contesto delle operazioni per il mantenimento dell’ordine pubblico
durante il G8. Le denunce ricevute da AI riguardavano cittadini italiani e
cittadini di un ampio numero di altri paesi che erano in città o viaggiavano da
o verso Genova nell’ambito delle manifestazioni del G8. AI ha perciò chiesto la
cooperazione del governo perché fornisse informazioni in merito alle istruzioni
e all’addestramento impartiti alle forze dell’ordine prima del G8 in materia di
standard internazionali di tutela dei diritti umani, così come elencati nella
lettera del 10 luglio.
Nella
lettera del 31 luglio, Amnesty International ha espresso preoccupazione per:
v l’impiego di armi da fuoco e le
circostanze in cui – durante le manifestazioni anti-globalizzazione del 20
luglio – un dimostrante, Carlo Giuliani, è stato ucciso da un agente di 21 anni
che svolgeva il servizio militare nell’Arma dei Carabinieri.
AI ha
accolto favorevolmente l’immediata apertura, da parte della procura di Genova,
di un’indagine penale relativa all’uccisione. L’organizzazione ha sollecitato
che l’inchiesta fosse esauriente ed imparziale, che i suoi metodi e le sue
conclusioni fossero resi pubblici e che includesse una valutazione sulla
compatibilità dell’uso letale della forza con i principi stabiliti dalle norme
internazionali sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze
dell'ordine. Il carabiniere che ha sparato il colpo mortale è stato in seguito
posto sotto inchiesta per il possibile reato di omicidio volontario. È stata
avviata anche un’indagine in merito al possibile reato di tentato omicidio nei
confronti dei dimostranti che, al momento della sparatoria, stavano attaccando
il veicolo su cui si trovava il carabiniere che ha aperto il fuoco.
Dai rapporti di servizio è emerso che, oltre
ai colpi sparati nell’incidente che ha causato la morte di Carlo Giuliani, le
forze dell'ordine hanno sparato almeno altri 15 colpi nelle strade di Genova,
apparentemente in aria; alcuni ufficiali di polizia hanno anche confermato che
un uomo vestito con un giubbetto da giornalista, filmato con una pistola in
mano, era effettivamente un agente di polizia.
AI ha sollecitato l’istituzione di una
completa revisione degli attuali metodi di addestramento e spiegamento per le
forze dell'ordine impegnate nel controllo della folla e ha chiesto al governo
di adottare tutte le misure necessarie a garantire che gli agenti siano
adeguatamente equipaggiati ed addestrati ad utilizzare metodi non letali per il
controllo della folla e che, inoltre, vengano soggetti a rigide norme sull’uso
di tali metodi, ad un rigoroso sistema di responsabilità e che, per mantenere
l’ordine pubblico, non venga impiegata più forza di quella ragionevolmente
consentita.
AI ha affermato che tutti i regolamenti e
l’addestramento sull’uso delle armi da fuoco per le forze dell'ordine devono
essere rivisti e, dove necessario, emendati in modo da garantire chiarezza e
conformità con gli standard internazionali minimi e al fine di tutelare, nella
misura più ampia possibile, la vita, l’integrità fisica e la sicurezza delle
persone.
v nei giorni immediatamente precedenti il
summit G8, alcuni dimostranti, dagli intenti apparentemente pacifici, non sono
stati autorizzati ad entrare in Italia o sono stati espulsi o è stato loro
impedito di raggiungere Genova, in tal modo violando i loro diritti alla
libertà di espressione e di riunione pacifica. È stato anche riferito che, in
vari incidenti nel porto di Ancona, alcuni di tali dimostranti sono stati
sottoposti a maltrattamenti ad opera delle forze dell'ordine.
Giovedì
19 luglio 2001 circa 130 cittadini greci,
che avevano raggiunto l’Italia per unirsi alle manifestazioni di
protesta per il G8, sono stati forzatamente deportati dalle autorità italiane.
Sabato 21 luglio il ministro degli esteri greco ha categoricamente smentito le
affermazioni delle autorità italiane che giustificavano l’espulsione sostenendo
che sugli autobus dei manifestanti greci erano stati rinvenuti armi ed oggetti
pericolosi. Molte delle persone espulse, tra cui il presidente della sezione
greca di Amnesty International, hanno riferito che gli agenti delle forze
dell'ordine le avevano sottoposte a violenza gratuita, colpendoli con calci e
sfollagente. Le autorità italiane hanno affermato che alcuni manifestanti
avevano attaccato e ferito gli agenti;
v durante le manifestazioni di strada di
venerdì 20 e sabato 21 luglio, gli agenti delle forze dell'ordine hanno fatto
ricorso ad un eccessivo impiego della forza, con attacchi indiscriminati, che
comprendevano percosse con sfollagente, nei confronti – tra gli altri – di
dimostranti pacifici (inclusi i minori), giornalisti che stavano conducendo
reportage sulle manifestazioni, medici ed infermieri che erano chiaramente
identificabili come tali e che stavano volontariamente prestando cure mediche
ai dimostranti, nonché persone non coinvolte nelle manifestazioni;
v nel corso di un raid della polizia
condotto nei locali legalmente occupati dal Genova Social Forum (GSF) all’alba
dei domenica 22 luglio, gli agenti hanno sottoposto le persone fermate dentro
ed intorno ai locali del GSF – molte delle quali stavano dormendo quando il
raid è iniziato – a percosse deliberate e gratuite che hanno provocato numerosi
feriti, alcuni dei quali sono stati ricoverati d’urgenza e, in alcuni casi,
sottoposti ad operazioni chirurgiche. I referti medici hanno registrato il
ferimento di 62 persone durante il raid: secondo quanto riferito, circa 20
persone sono state condotte fuori dai locali del GSF in barella, almeno due di
esse erano prive di sensi. Le persone fermate hanno denunciato, in particolare,
di essere state ripetutamente colpite con manganelli e calci, o che erano stati
gettati loro addosso i mobili, anche quando giacevano a terra con le braccia
alzate, ad indicare che non intendevano opporre resistenza;
v decine di persone sono state sottoposte
arbitrariamente ed illegalmente ad arresto, detenzione e successiva espulsione
dal paese, compresa la maggior parte delle 93 persone arrestate durante il raid
al GSF (cioè nei locali della scuola Pertini, ex Diaz);
v durante il trasferimento su mezzi della
polizia e all’interno delle strutture di detenzione, gli agenti delle forze
dell'ordine e le guardie carcerarie hanno sottoposto le persone a percosse ed
altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Le denunce riguardano, in
particolare, le strutture di Bolzaneto (dove erano condotte e trattenute
temporaneamente le persone fermate dalla polizia e dalla guardia di finanza
prima del trasferimento in un vero e proprio carcere ed, al cui interno circa
222 persone sono state processate) e Forte San Giuliano (a cui, con le stesse
finalità di Bolzaneto, facevano capo i carabinieri e dove circa 57 persone sono
state processate). In tali strutture prestavano servizio personale carcerario
(polizia penitenziaria e personale sanitario) e agenti delle forze dell'ordine.
È stato denunciato – tra l’altro, che i
detenuti sono stati schiaffeggiati, presi a calci e pugni, fatti oggetto di
sputi e di insulti, talvolta osceni a sfondo sessuale, privati di cibo, acqua e
sonno per lunghi periodi, fatti allineare al muro con le gambe divaricate e
costretti in quella posizione per ore e picchiati, particolarmente sulle parti
del corpo già ferite durante l’arresto, se non mantenevano la posizione. A
quanto risulta, alcuni detenuti sono stati minacciati di morte e, se donne, di
stupro: alcuni sono stati sottoposti a perquisizioni corporali condotte in modo
degradante.
Le denunce presentate dalle persone
condotte a Bolzaneto sono state ampiamente confermate da dichiarazioni
rilasciate da alcuni membri del personale sanitario in servizio nella struttura
durante i giorni del G8;
v a molte persone sono stati negati (a
volte per giorni) i diritti internazionalmente riconosciuti spettanti a chi è
privato della libertà, impedendo loro di contattare avvocati e, nel caso di
cittadini stranieri, le rappresentanze consolari, o di ottenere assistenza
medica immediata ed adeguata. Inoltre, molte persone non sono state autorizzate
ad avvisare le famiglie, né sono state informate dei propri diritti.
È stato anche riferito che la stessa
procura di Genova è stata oggetto di una denuncia inoltrata al Consiglio
superiore della magistratura, in cui si accusava il procuratore capo di aver
firmato un ordine con cui ritardava l’accesso ai legali per gli arrestati, in
violazione delle norme del diritto italiano.
Gli ispettori
del ministero degli interni hanno condotto tre indagini amministrative
(relative al raid negli edifici del Genova Social Forum, alla struttura
detentiva di Bolzaneto e agli eventi verificatesi nelle strade della città),
mentre la Direzione amministrativa degli istituti di pena (DAIP), annessa al
ministero della giustizia, ha incaricato una commissione – tra i cui componenti
vi era anche il funzionario responsabile delle operazioni di Bolzaneto – di
svolgere un’indagine sul funzionamento della struttura detentiva in cui erano
in servizio agenti della polizia penitenziaria e delle forze dell'ordine nei
giorni del G8.
Il 2 agosto 2001, il ministro degli
interni ha annunciato, senza ulteriori spiegazioni, che il capo della polizia
di Genova, il capo dell’unità anti-terrorismo e il vice capo della polizia
(quest’ultimo responsabile per le operazioni del G8) erano stati trasferiti ad
altro incarico.
Sono emerse una grave mancanza di
coordinamento e un limitato riconoscimento, da parte del ministro degli interni
e degli ispettori del DAIP, di errori, omissioni e violenza gratuita in casi
isolati nella condotta degli agenti delle forze dell'ordine e della polizia
penitenziaria.
Un certo numero di indagini penali
in merito alla condotta degli agenti sono state avviate, e sono tuttora in
corso, dalla procura della Repubblica di Genova. Esse comprendono inchieste
relative alla morte di Carlo Giuliani; casi di presunto uso eccessivo della
forza nelle strade (Amnesty International non è al corrente di alcuna indagine
specifica avviata sul ruolo di agenti di polizia in abiti borghesi durante le
manifestazioni); presunti maltrattamenti ed eccessivo uso della forza da parte
degli agenti durante il raid nei locali del GSF all’alba del 22 luglio;
presunti maltrattamenti e trattamenti crudeli, inumani o degradanti da parte degli
agenti delle forze dell'ordine e della polizia penitenziaria nei centri di
detenzione, compreso Bolzaneto. Sono state aperte indagini penali anche dalla
procura della Repubblica di Ancona e dalla procura di Patrasso (Grecia), in
merito ai presunti maltrattamenti subiti il 19 luglio da cittadini greci che
stavano raggiungendo Genova.
Nella lettera al governo italiano
del 31 luglio, Amnesty International ha favorevolmente accolto l’avvio delle
indagini penali da parte delle autorità giudiziarie italiane, ma ha
sottolineato che – data l’ampiezza e la gravità delle denunce (che all’epoca
continuavano a pervenire), il gran numero di cittadini stranieri che
denunciavano abusi e l’altissimo livello di preoccupazione in Italia e
all’estero – le sole indagini penali non erano probabilmente lo strumento più
adatto per fornire una risposta adeguata.
Al tempo stesso, Amnesty
International ha fortemente ed apertamente chiesto l’istituzione di una
commissione d’inchiesta pubblica ed indipendente che conducesse un’indagine
completa sulla condotta delle forze dell'ordine e della polizia penitenziaria
durante i giorni del G8. L’organizzazione ha elencato alcuni dei criteri che
dovrebbero informare la creazione di tale commissione.
La
commissione d’inchiesta dovrebbe:
v essere composta da persone di
riconosciuta probità ed imparzialità;
v rendere pubblici i propri ambiti, metodi
e risultati;
v avere giurisdizione per raccogliere prove
da persone che sostengono di essere state maltrattate da agenti delle forze
dell'ordine e della polizia penitenziaria e proteggere tali persone da
vessazioni ed intimidazioni e dall’incriminazione per il contenuto di ogni
denuncia fatta in merito a specifici casi di maltrattamento;
v avere l’autorità per chiamare a comparire
e raccogliere prove da agenti delle forze dell'ordine, della polizia
penitenziaria e relativi amministratori, e per richiedere che prove e documenti
vengano utilizzati in giudizio;
v mettere agli atti rapporti provvisori per
facilitare l’immediato avvio di ogni opportuno procedimento penale o
disciplinare, identificando specifici casi e soggetti ogni qualvolta sia
possibile. Tali rapporti dovrebbero anche facilitare rapidi emendamenti a
regolamenti, leggi, addestramento e procedure riguardanti le forze dell'ordine
e la polizia penitenziaria;
v avere l’autorità per raccomandare
l’incriminazione o l’avvio di procedimenti disciplinari per ogni agente nei cui
confronti vi siano prove sostanziali che abbia commesso atti di tortura o
trattamenti inumani o degradanti o impiegato forza eccessiva;
v avere l’autorità per indagare in merito
agli incidenti occorsi durante le operazioni di controllo dell’ordine pubblico
sia fuori, sia dentro la città di Genova, anche in periodi non specificamente
legati ai giorni del summit e delle manifestazioni (19-22 luglio 2001).
Le
inchieste immediate, esaurienti ed imparziali e la pubblicazione dei metodi e
dei risultati servono sia a proteggere la reputazione di agenti delle forze
dell'ordine che possono essere stati oggetto di accuse infondate di
maltrattamenti, sia a tutelare gli interessi delle vere vittime.
Tali indagini possono anche dare
indicazioni su miglioramenti necessari alle condizioni in cui operano le forze
dell'ordine, in considerazione del fatto che gli agenti impegnati nei giorni
del G8 in molti casi sono stati costretti a lavorare per un numero eccessivo di
ore, in condizioni di grande stress e sotto un caldo estremo, senza poter
mangiare o dissetarsi per molte ore.
Il 1° agosto 2001 il parlamento
italiano ha deciso di dare il via ad una indagine
conoscitiva, senza poteri giudiziari, invece di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare,
che avrebbe avuto pieni poteri. L’indagine conoscitiva è stata condotta da un
comitato di 36 persone, composto da 18 deputati e 18 senatori scelti tra i
membri delle commissioni Affari costituzionali delle due Camere e
rappresentanti proporzionalmente i gruppi politici presenti in parlamento. Il comitato
doveva concludere i lavori e presentare un rapporto entro il 20 settembre 2001.
Durante i lavori il comitato ha
intervistato decine di persone, tra cui alti funzionari delle forze dell'ordine
e dell’amministrazione penitenziaria, attuali e precedenti ministri,
rappresentanti degli enti locali, del Genova Social Forum e della stampa. Ha
anche raccolto rapporti scritti ufficiali e documentazione relativa (di cui
parte in via confidenziale) e visionato decine di filmati e videoregistrazioni.
Tuttavia, il comitato ha concluso la
propria attività tra il disaccordo e l’astio. I membri appartenenti ai partiti
di opposizione si sono rifiutati di sottoscrivere il testo di un rapporto
scritto dal presidente, esponente di un partito facente parte della coalizione
governativa, e hanno annunciato che avrebbero presentato un proprio rapporto
alternativo.
Il comitato ha comunque approvato a
maggioranza il testo redatto dal presidente (il cosiddetto “Rapporto Bruno”)
che è stato inoltrato alle commissioni Affari costituzionali il 14 settembre ed
è stato adottato il giorno 20 con il voto dei partiti di maggioranza.
I deputati del comitato appartenenti
all’opposizione hanno presentato alla commissione Affari costituzionali della
Camera dei Deputati due rapporti alternativi che, tuttavia, non sono stati
messi ai voti il 20 settembre perché il Rapporto Bruno era stato esaminato per
primo ed aveva già ottenuto l’approvazione della maggioranza. Esso è stato
perciò inoltrato al governo e al parlamento. I partiti di opposizione hanno
immediatamente chiesto l’apertura di un dibattito parlamentare sul Rapporto
Bruno durante il quale, come parte della mozione, avrebbero presentato anche i
propri rapporti.
Un rapporto alternativo presentato
da sette deputati dei partiti di opposizione precisava che gli autori non
potevano sottoscrivere il Rapporto Bruno perché non conteneva l’esatta
descrizione degli eventi, non indagava in merito ad alcuni episodi di
particolare importanza (primo fra tutti le circostanze degli incidenti che
avevano portato alla morte di Carlo Giuliani), non conteneva proposte per una
migliore gestione dell’ordine pubblico e mancava di una valutazione complessiva
dei fatti di Genova.
Un rapporto alternativo presentato
da un deputato del partito Rifondazione
Comunista osservava che i limiti del mandato del comitato non gli avevano
permesso di acquisire documentazione che, invece, sarebbe stata disponibile per
una commissione d’inchiesta parlamentare ad hoc con pieni poteri giudiziari. Il
rapporto affermava che ciò aveva reso possibile ai capi delle diverse forze
dell'ordine di contraddirsi l’un l’altro durante le interviste del comitato in
merito a specifici incidenti (e citava il raid nei locali del GSF come
l’esempio più evidente). Ciò aveva impedito una ricostruzione completa degli
eventi e delle circostanze in cui si erano verificati. Il rapporto proponeva
anche l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare ad hoc.
Date le circostanze, Amnesty
International ha affermato che riteneva che le vittime delle presunte
violazioni dei diritti umani durante il G8, gli agenti delle forze dell'ordine
e della polizia penitenziaria coinvolti e l’opinione pubblica in generale non
potevano che avere poca fiducia nell’imparzialità dei rapporti prodotti dai membri
del comitato parlamentare per l’indagine conoscitiva.
Perciò, Amnesty International
continua a chiedere l’istituzione di una commissione indipendente e pubblica
che conduca una inchiesta complessiva in merito alle presunte violazioni dei
diritti umani verificatesi durante le operazioni di controllo dell’ordine
pubblico nei giorni del G8 e alla condotta degli agenti delle forze dell'ordine
e della polizia penitenziaria. L’organizzazione ha anche evidenziato che, nel
corso dei lavori, il comitato parlamentare aveva richiesto e raccolto una
grande quantità di informazioni valide che dovrebbero utilmente essere
utilizzate da ogni ulteriore commissione d’inchiesta.
Per ulteriori
informazioni si possono consultare i seguenti documenti:
v
Italy: Policing
of demonstrations during the Group of Eight (G8) Summit must respect human
rights standards
(AI
Index: EUR 30/010/2001, comunicato stampa del 17 settembre 2001)
v
Italy:
Authorities must carry out urgent investigation and review of G8 policing
(AI
Index: EUR 30/004/2001, comunicato stampa del 22 luglio 2001)
v
Italy/G8 summit:
Amnesty International calls for commission of inquiry
(AI
Index: EURO 30/006/2001, comunicato stampa del 31 luglio 2001)
v
Italy: Alleged
human rights violations during the G8 policing operation in Genoa require an
independent public commission of inquiry
(AI
Index: EUR 30/101/2001, dichiarazione pubblica del 18 settembre 2001)
Allegato: Testo della risoluzione
approvata il 12 dicembre 2001 dal Parlamento
PARLAMENTO EUROPEO
Processo verbale del
12/12/2001 - Edizione provvisoria
Il Parlamento europeo,
- visto l'articolo 39,
paragrafo 3, del trattato UE,
- visti gli articoli 6 e 7 del
trattato UE, così come modificati dal trattato di Nizza, riguardanti la tutela
dei diritti fondamentali nell'Unione europea,
- vista la Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CEDF),
- visto l'articolo 107 del suo
regolamento,
- vista la relazione della
commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari
interni (A5-0396/2001),
A. consapevole delle crescenti
preoccupazioni dei cittadini europei per l'impatto della globalizzazione,
espresse nelle manifestazioni che hanno avuto luogo in occasione dei Consigli
europei di Nizza e Göteborg e delle riunioni di Salisburgo, Davos, Praga e
Genova,
B. impressionato dalla
violenza delle manifestazioni che hanno avuto luogo in occasione di queste
riunioni internazionali e che hanno causato non soltanto gravi danni ai beni
pubblici e privati, bensì soprattutto il ferimento di varie persone tra le
forze di polizia e i manifestanti, con il conseguente decesso di uno di loro,
C. persuaso della necessità di
assicurare un elevato livello di fiducia reciproca tra i cittadini e le
istituzioni,
D. richiamandosi
- alle conclusioni adottate,
rispettivamente, dal Consiglio GAI (il 13 luglio, doc. 10916/01, e il 27
settembre 2001), concernenti gli aspetti relativi alla sicurezza, e dal
Consiglio Affari generali (16 luglio),
- alla lettera aperta del
Presidente del Consiglio europeo Guy Verhofstadt "Un messaggio ai manifestanti
contro la globalizzazione" ,
- alle discussioni con la
Presidenza in carica del Consiglio tanto in sede di commissione per le libertà
e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni che in Aula,
- alle relative discussioni
che hanno avuto luogo nei parlamenti nazionali e ai contributi dei cittadini e
delle ONG,
- alle reiterate e
inequivocabili affermazioni dei leader dei movimenti antiglobalizzazione,
principalmente a Genova, secondo le quali la violenza è contraria allo spirito
e agli obiettivi dei loro movimenti,
Per
quanto concerne il dialogo politico
1. concorda con il Consiglio
sul fatto che le manifestazioni di Nizza, Göteborg e Genova esprimono una
sempre più forte richiesta politica rivolta all'Unione europea perché sia compiuto
ogni sforzo possibile per interpretare la dimensione politica della
globalizzazione e "… affrontare le preoccupazioni che la globalizzazione
sta facendo sorgere nelle nostre società, in modo da gestire adeguatamente i
mutamenti strutturali in corso al fine di contribuire al progresso politico,
sociale ed economico della comunità internazionale" , e secondo cui
"… si tratta di un compito che l'Unione europea deve svolgere negli anni a
venire in modo da influenzarne le ripercussioni e beneficiare appieno dei suoi
vantaggi" ;
2. sottolinea la necessità che
il dibattito politico sull'impatto interno ed esterno della globalizzazione e
il dialogo con la società civile europea siano strutturati (come è stato il
caso per l'euro e per l'ampliamento) e basati su un approccio multisettoriale
che vada al di là delle politiche tradizionali; chiede pertanto alla
Commissione:
- di istituire un gruppo di
lavoro composto dai Commissari maggiormente implicati (commercio, sviluppo,
affari esteri, ambiente, affari sociali, agricoltura) e incaricato di
predisporre un Libro Bianco su questo tema tenendo conto dei negoziati del
Millennium Round di Doha e del prossimo Vertice mondiale sullo sviluppo
sostenibile che si terrà nel settembre 2002 a Johannesburg,
- di creare un Forum
permanente sulla globalizzazione con la partecipazione di rappresentanti dei
parlamenti nazionali e del Parlamento europeo,
- di riconoscere nella
strategia di globalizzazione l'argomento principale da trattare nel quadro del
dibattito sulla governance e una priorità della strategia interistituzionale in
materia d'informazione;
Raccomandazioni
generali per migliorare il dialogo politico e la salvaguardia dei diritti
fondamentali e promuovere un'efficace cooperazione tra gli Stati membri
3. sottolinea che il diritto
universale a dissentire è implicito nelle libertà di pensiero, culto, parola,
informazione, riunione e associazione come stabilito dagli articoli 10, 11 e 12
della CEDF;
4. reputa che in un'Unione
europea destinata a divenire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il
ricorso alla violenza per esprimere opinioni politiche o di altro genere sia
esecrabile e che il dialogo con la società civile debba essere salvaguardato e
migliorato, nel rispetto dei vari partecipanti, e debba basarsi sulle seguenti
condizioni preliminari:
per
quanto concerne i rappresentanti della società civile
- i cittadini devono godere
del diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni e di riunirsi
pacificamente; in un'Unione europea basata sullo stato di diritto e sui
principi democratici le manifestazioni devono avere come fine quello di
influenzare pacificamente, senza ricorrere in alcun modo ad atti di violenza,
il normale processo decisionale delle istituzioni;
- le manifestazioni devono
aver luogo in condizioni che non rappresentino una minaccia per la sicurezza o
i beni degli altri cittadini, nel rispetto delle misure preventive adottate
dagli Stati membri a norma dell'articolo 33 del trattato UE al fine di
garantire il diritto dei cittadini alla sicurezza contemplato all'articolo 29
dello stesso trattato;
- i responsabili di atti di
violenza devono essere isolati e condannati e gli organizzatori devono
astenersi da qualsiasi cooperazione con chi abusa dei diritti democratici
incoraggiando, ideando o perpetrando atti di violenza in coincidenza con
manifestazioni pubbliche;
per
quanto concerne gli Stati membri
- i cittadini devono godere
del diritto alla protezione dei dati di carattere personale ai sensi
dell'articolo 8 della CEDF;
- necessità di avviare un
dialogo con gli organizzatori di manifestazioni pubbliche e di adottare ogni
iniziativa utile ad evitare che si operino discriminazioni tra propri cittadini
e cittadini di altri Stati membri prima, durante o dopo tali manifestazioni;
- le misure adottate per
garantire l'ordine pubblico devono essere efficaci e proporzionate nonchè
rispettare i diritti fondamentali contemplati nella CEDF e gli standard comuni
europei per i servizi di polizia (vedasi la recente raccomandazione del
Consiglio d'Europa in tema di servizi di polizia) nonché le pertinenti
disposizioni legislative comunitarie, soprattutto in materia di ordine pubblico
(direttiva 64/221/CEE del Consiglio(1)) e di protezione
dei dati (direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio(2));
- necessità di promuovere e
rendere più efficace la cooperazione con altri Stati membri per prevenire atti
e comportamenti violenti da parte dei dimostranti ricorrendo quanto più
possibile al vigente acquis dell'Unione sia a livello comunitario sia in
materia di cooperazione giudiziaria e di polizia;
per
quanto concerne le istituzioni europee
- necessità di far fronte a
ragguardevoli movimenti, attraverso le frontiere interne, di persone che
desiderano partecipare a manifestazioni pubbliche, dal momento che le norme
vigenti adottano un approccio individuale persona per persona al fine di
garantire la libera circolazione nonché di assicurare elevati livelli di
sicurezza; inoltre, necessità che la Commissione garantisca la libera
circolazione dei cittadini europei offrendo come minimo la stessa protezione di
cui gode la libera circolazione delle merci (vedasi il regolamento (CE) n.
2679/98 del Consiglio, del 7 dicembre 1998, sul funzionamento del mercato
interno in relazione alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri(3));
- necessità di coniare una
definizione europea di "ordine pubblico" per garantire che
siano presi in considerazione criteri comuni per la definizione dell'ordine
pubblico basati sulla giurisprudenza della Corte di giustizia, al fine di
evitare incoerenze e sovrapposizioni tra istituzioni europee e istituzioni
nazionali, tra le Convenzioni Schengen e Europol e tra le varie misure che
disciplinano la cooperazione tra i servizi nazionali, giudiziari e di polizia
(Azione comune 97/339/GAI del 26 maggio 1997(4) e decisione
97/827/GAI del 5 dicembre 1997(5));
- necessità di una riforma
globale degli strumenti europei di cooperazione giudiziaria e di polizia, che
si ispiri alle migliori norme e metodi di controllo democratico dei servizi di
polizia negli Stati membri e porti alla revisione della Convenzione Europol
nonché delle pertinenti disposizioni della Convenzione di Schengen; tale
riforma va presentata su iniziativa della Commissione entro la fine del 2002 e
deve tendere alla comunitarizzazione di questi strumenti, al rafforzamento del
controllo giurisdizionale della Corte di giustizia e al finanziamento di questi
strumenti da parte del bilancio comunitario;
- necessità di un quadro
giuridico comune tra gli Stati membri atto a garantire la protezione dei dati a
livello di giustizia e affari interni, conformemente all'articolo 8 della CEDF,
e necessità di creare un'autorità unica europea per la protezione dei dati;
Raccomandazioni
specifiche da seguire per garantire una migliore protezione dei diritti
fondamentali
5. ritiene che le
dimostrazioni di Nizza, Göteborg e Genova abbiano messo in luce non poche
carenze nelle reazioni degli Stati membri; presenta pertanto nel prosieguo
alcune raccomandazioni volte a migliorare la salvaguardia dei diritti
fondamenti dei cittadini europei; gli Stati membri dovrebbero:
5.1 evitare di bloccare le
frontiere o negare il diritto di attraversarle a singoli individui o gruppi di
persone che cercano di partecipare pacificamente a manifestazioni legittime -
il sempre più frequente ripristino da parte degli Stati membri dei controlli
alle frontiere interne, da eccezionale che era è divenuto la regola, anche per
eventi internazionali di minore importanza; l'articolo 2, paragrafo 2 della
Convenzione di Schengen prevede la possibilità che gli Stati membri
reintroducano controlli alle frontiere soltanto per esigenze di ordine pubblico
o di sicurezza nazionale; la possibilità di attraversare le frontiere interne
in qualunque punto senza che venga effettuato alcun controllo sulle persone
costituisce pertanto un'eccezione alla regola generale; tuttavia, la
reintroduzione dei controlli di frontiera non incide sulla vigente legislazione
comunitaria in materia di libertà di circolazione; il blocco alle frontiere di
migliaia di persone che si spostano in treno o nave senza valutare se le stesse
rappresentano una grave minaccia a un interesse fondamentale della società
(secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea) è sproporzionato e
contrario agli articoli 11, 12 e 45 della CEDF e ai requisiti della direttiva
64/221/CE;
5.2 adottare una definizione
comune di "individuo pericoloso" e comportamento pericoloso,
che possa giustificare misure preventive da parte dei servizi di polizia di un
altro Stato membro, come previsto agli articoli 46 e 96 della Convenzione di
Schengen; molte persone fermate alle frontiere (soprattutto in occasione del
Vertice di Genova) erano state inserite nel Sistema di informazione di Schengen
(SIS) da parte di alcuni Stati membri per comportamenti (come ad es. la
partecipazione a manifestazioni contro il nucleare) perfettamente legittimi in
altri Stati membri; in ogni caso è necessario affermare chiaramente che i
cittadini europei non possono essere espulsi o allontanati da una qualsiasi
parte del territorio dell'Unione europea senza una decisione giudiziaria;
5.3 evitare qualsiasi nuovo
tipo di "lista nera" o di nuova base dati specializzata tra
Stati membri al di fuori del SIS e della Banca dati SIRENE e garantire agli
interessati l'effettivo diritto di ottenere la rettifica dei dati che li
riguardano (riconosciuto dall'articolo 8 della CEDF) nonché il diritto di
ottenere il controllo giurisdizionale in caso di abusi, soprattutto se questi
riguardano dati personali che rivelano le opinioni politiche (in violazione
degli articoli 11 e 12 della CEDF);
5.4 rafforzare i diritti dei
cittadini alla sicurezza di cui all'articolo 29 del trattato UE, combattendo in
modo efficace a livello europeo, gruppi violenti (come il cosiddetto
"black bloc" ) o organizzazioni criminali dedite alla violenza
urbana nel territorio dell'Unione; è necessario avviare quanto prima possibile
le indagini per scongiurare nuove infiltrazioni alle prossime manifestazioni
pacifiche;
5.5. condannare e denunciare
senza riserve ogni tipo di atto o di comportamento violento contro cittadini,
dimostranti e appartenenti alle forze dell'ordine in quanto incompatibili con
il diritto di manifestare pacificamente;
5.6 evitare un uso
sproporzionato della forza e istruire i corpi di polizia nazionali a tenere
sotto controllo la violenza e a salvaguardare i diritti individuali anche nella
confusione di massa, dove criminali violenti si mescolano a cittadini pacifici
e rispettosi della legge; deve essere evitato l'uso di armi da fuoco e
garantito invece il rispetto della raccomandazione del Consiglio d'Europa
sull'uso proporzionato della forza nonché del codice etico del Consiglio
d'Europa per le forze dell'ordine; gli Stati membri dovrebbero sostenere la
richiesta del Consiglio di un manuale europeo comune per le forze di polizia
impiegate nelle manifestazioni pubbliche; è opportuno rilevare che a seguito
dei disordini di Genova sono state aperte in Italia numerose inchieste
amministrative, giudiziarie e parlamentari per appurare se vi siano stati
trattamenti o punizioni inumani o degradanti (articolo 4 CEDF); il Parlamento
europeo dedicherà particolare attenzione agli sviluppi di tali indagini in vista
della sua relazione annuale per il 2001 sulla protezione dei diritti
fondamentali nell'Unione europea;
5.7 evitare qualsiasi
discriminazione tra cittadini nazionali e cittadini europei in caso di arresto
o procedimento giudiziario e garantire a tutti i cittadini europei il diritto
di servirsi della propria lingua e di ottenere immediatamente l'assistenza di
un legale, la protezione consolare di cui all'articolo 36 della Convenzione di
Vienna e, anche in caso di procedura giudiziaria "per direttissima" ,
garantire il diritto a essere difesi da un avvocato di propria scelta
concordemente con il diritto fondamentale dell'accesso alla giustizia;
6. incarica la sua Presidente
di trasmettere la presente raccomandazione al Consiglio e, per conoscenza, alla
Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.
(1)
GU B 56 del 4.4.1964, pag. 850.
(2)
GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.
(3)
GU L 337 del 12.12.1998, pag. 8.
(4)
GU L 147 del 5.6.1997, pag. 1.
(5)
GU L 344 del 15.12.1997, pag. 7.
[1] Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in merito il giorno 12 dicembre 2001. Si veda il testo della risoluzione allegata al presente documento.