Le recensioni musicali di SonicBear


 

MASSIVE ATTACK

Mezzanine (Circa/Virgin)

Sono trascorsi quattro anni dal (per me) deludente Protection, un'eternità se comparata ai ritmi dell'industria musicale di consumo. Occorre riconoscere però che il tempo non è passato invano, infatti i ragazzi di Bristol dimostrano di avere idee, suoni e metodi che funzionano. L'impianto è l'ormai collaudato trip hop nelle sue forme meno radicali ma non per questo manca di nerbo o di potenza. Le vernici elettroniche sono usate ovunque e in alcuni casi i risultati sono veramente interessanti (Dissolved Girl/Teardrop). Pur non raggiungendo i livelli eccelsi di Blue Lines loro disco d'esordio, gli ingredienti usati appaiono freschissimi, i profumi e gli aromi leggermente speziati, le immagini essenziali e pulite. Mezzanine è dunque un disco di cui si può tranquillamente consigliare l'acquisto e l'ascolto e anche semplicemente perchè trattasi di black music raffinata e colta.

 

 

V.V.A.A.

American Clavè (American Clavè) 2CD

 

Questa antologia è lo specchio di un'etichetta che ha spesso il comportamento di un laboratorio, una vero e proprio punto di incontro per musicisti dalla mentalità molto aperta. Anche se la maggior parte delle citazioni spetta a Kip Hanrahan troviamo altri nomi di notevole interesse come Robert Wyatt, Astor Piazzolla, Paul Hines. Un campionario per rendersi conto che esistono altri suoni al di fuori del normale mercato di consumo che ci propina soluzioni squallide e di facile deperibilità. Intendiamoci, la musica deve essere consumata e più se ne consuma meglio è, la questione riguarda però la qualità del prodotto che si intende acquistare. Spesso con la scusa di qualche trendino exotico, di un delirante colore etnico, di un riferimento colto bislacco si rischia di assemblare un prodotto mediocre che ha solo effetti negativi sulla clientela. Anzichè avvicinare l'ascoltatore medio si rischia di allontanarlo. Non è quello che accade tra queste tracce, no di sicuro. Qui vive un concetto di musica assai raro da trovare in altri dischi. L'asse portante della raccolta è la capacità di mescolare stili e culture differenti ma legate da elementi comuni come il ritmo, lo stile, la competenza. Molti riferimenti alla musica africana e jazz, ma anche la black non viene disdegnata ('Sputin) e pure l'avant fa capolino (DNA) con una fluidità che intrattiene e non stanca mai. Ho sempre avuto molta stima per il lavoro di Kip Hanrahan e questo doppio CD risulta molto fedele alle sue idee e al concetto ellingtoniano della musica nella sua accezione più generale: esiste solo buona musica e cattiva musica...e questa signori è decisamente buona.

 

GOD IS MY CO-PILOT

History of Music : Vol I/II (Meldac Corp) 2CD

 

Chi sono i God Is My Co-Pilot ? Fregiarsi di un simile nome non è cosa di tutti i gorni, soprattutto in una nazione così puritana e ignorante come quella statunitense. Ebbene i Nostri (capitanati da Sharon e Craig) sono il combo punk più fresco e innovativo attualmente in circolazione. Ma il termine punk che ormai puzza di riflusso e stantio sta a loro molto stretto e riesce solo a definire in parte la loro attitudine. Ascoltando i loro dischi o vedendoli in concerto ciò che colpisce è la loro libertà di espressione e la volontà di non avere schemi. A volte si ha l'impressione che il media musicale sia solo capitato per caso nelle loro mani come forma di espressione ma tant'è che così ci piacciono; con la loro incapacità tecnica che diventa possibilità alternativa, con i testi provocatori e rigorosi allo stesso tempo. Una volta ascoltati non ne potrete far più a meno. Il suono di fine millennio sta anche da queste parti e due menti eccelse (e tecnicamente molto preparate) come John Zorn ed Elliott Sharp si sono accorte del potenziale della band al punto da produrre alcuni loro dischi e suonarvici.

Quello a cui si riferisce la recensione che state leggendo è una raccolta in due CD (stampa Giapponese) che raggruppa tutti i singoli e b/w prodotti dal gruppo fino al 1996. Che dire di una cavalcata di singoli come questa ? L'ascolto lascia molto soddisfatti e conferma la potenza espressiva di questa queer band sul corto raggio dell'EP. Brani fulminei, rigorose dissonanze imbastardite con il punk che stanno sul piedistallo dell'avanguardia, vita di strada ed esperienze estetiche, manga e sessualità lesbo. Uno dei concentrati più interessanti di arte, musica, attitudine che mi sia mai capitato di ascoltare. Yep!

 

 

DIAMANDA GALAS

The Singer (Mute)

 

E' tempo di finirla con certi preconcetti riguardo alle figure femminili che costellano il mondo gay in campo musicale. Di Mina, che risulta una delle voci più straordinarie del pianeta, siamo effettivamente un pò stanchi anche perchè ci viene continuamente proposta come stereotipo, nella maniera più indigeribile dunque. In questo non ci discostiamo dagli statunitensi, per loro occorre trasporre lo stesso concetto su Barbara Streisand e anche per lei ho le stesse riserve. Ricercando nelle zone più buie della musica spero vi capiti tra le mani il nome di questa grandissima artista. Se avrete possibilità di scelta pigliate a scatola chiusa questo Singer altrimenti un qualsiasi titolo andrà bene. Perchè un distinguo di questo tipo?. Molto semplicemente Singer rappresenta un disco accessibile della Galas, un disco sorretto dal blues (solo pianoforte) e dalla sua voce impressionante, in grado di aggiustarsi su qualsiasi registro. Una rabbia, una potenza, un'estensione mai sentite e viste; i suoi spettacoli che spesso raggiungono il nostro paese non sono da perdere. Qui, per dovere di cronaca, si ripropongono classici di Willie Dixon, Screamin' Jay Hawkins, Michael Bloomfield con una decisione ed un impatto che fanno una volta per tutte capire come questa sia la musica del Diavolo. E nessuno come la Galas sarebbe stato in grado di esaltare gli aromi più sulfurei del genere. Attenzione, non è che qui si celebrino messe nere o riti satanici (per questo dovete rivolgervi al Sig. Anton LaVey) tutt'altro, queste tracce sono fotografie del male che ci circonda e con cui viviamo quotidianamente. Sangue, maledizione, morte, lacrime, dolore sono questi gli argomenti che passano per la mente ascoltando il pathos della voce. Ora vi ho raccontato a sufficienza di questo disco e ricordatevi che se non dovreste trovare proprio Singer negli scaffali del vostro negozio un'altro titolo potrà comunque darvi lo shock della sua conoscenza.

 

PRODIGY

The fat of the land (XL Records)

 

In un articolo comparso su queste pagine ci si chiedeva come mai gli orsi non gradissero ballare quello che i dancefloor nostrani propongono. Semplice, perchè quello che viene proposto è di bassa qualità ?. Forse, forse perchè non si sentono a loro agio con la controparte più "femminile" che impera e sculetta ai ritmi imbecilli della dance ipertrofica. Per fare piazza pulita di questi due problemi niente di meglio che il suono potente e bastardo dei Prodigy. Un nome che non ha bisogno di presentazioni e di cui se si vuole sapere tutto occorre chiedere al ragazzino che abita sotto casa. Ma ritorniamo ai Nostri e alle loro intuizioni di fine millennio. L'hip hop dei Public Enemy qui ha fatto proprio scuola e ha disseminato di rumori i ritmi da pugno nello stomaco che farebbero alzare dal divanetto qualsiasi orsacchiotto impigrito. Le spezie orientali mescolate alle citazioni industrial, il funky stralunato, le voci distorte e rabbiose, sono forse questi gli ingredienti che un orso massiccio si aspetta nelle orecchie per far muovere il proprio corpo. Per assurdo oseremmo dire che il tutto è sorretto da una legge fisica autoesplicativa: come è possibile che il lavoro di una formica possa spostare la massa di un elefante ?. Quindi ritornando ai dilemmi iniziali come è possibile che il chiacchericcio dance possa spostare certe masse pelose che si aspettano il sound più potente in circolazione ?. Questa è una delle risposte possibli e cosciente del fatto che ne esistano molte altre e non necessariamente dance, sarò lieto di comunicarvele anche per evitare di gettare soldi in inutili acquisti. E ricordate la crisi di certi dancefloor è dovuta alla visione castrante di ciò che si propone per ballare. Avete mai ballato i Rage Against The Machine ? ....uno sballo!

 

CHRISTIAN MARCLAY

More Encores (ReR)

 

Cosa hanno in comune i nomi di Strauss, Zorn, Callas, Armstrong, Cage, Hendrix, probabilmente il fatto di essere o essere stati musicisti di rispetto. E come mai compaiono accomunati sotto l'egida del signor Marclay ?. Sicuramente per il volere eclettico di questo artista che abbiamo già incontrato in altre scorribande e di cui apprezziamo l'estro e la fantasia. Il CD di cui parliamo è la trasposizione in digitale di un rarissimo EP edito dalla No man's Land nel 1988. Come, roba vecchia di dieci anni viene recensita ora ?. Si, e andate a sentire che aria tira da quelle parti prima di esprimere considerazioni simili. Come assemblare in una manciata di minuti le monumentali opere dei succitati se non stratificandole, tagliandole a dovere e ricucendole secondo un disegno che paradossalmente si propone di focalizzare gli aspetti macroscopici e di non gettare i dettagli. I risultati sono di assoluto pregio e si diversificano in base all'artista trattato. Difficile resistere allo scratch iniziale cui viene sottoposto Chopin, al filtro noise con cui viene riletto Zorn, alla destrutturazione che accompagna la Callas, su tutti regna comunque incontrastata la tecnica cut-up di cui Marclay si rivela maestro incontrastato. Di lui va ricordata la collaborazione con il Kronos Quartet in un pezzo da brividi (Forbidden Fruit) che mi ha intrigato per la maestria con cui veniva "suonato" il giradischi. Altro che i DJ da quattro soldi che toastano con la feccia disco, qui siamo al cospetto di un artista che si autocita con dei grandi (il pezzo finale riguarda lui stesso) e quindi un motivo c'è. Aprite le orecchie una volta tanto e apprezzate ciò che di più sottile e prezioso l'estro umano può concepire accanto al rumore delle macchine.

 

FOETUS INTERRUPTUS

Thaw (Self Immolation/Some Bizarre)

 

Il signor Foetus è solito farsi conoscere sotto differenti pseudonimi che ricorrono tra le copertine dei suoi dischi. Qui ad esempio compare con l'estensione di INTERRUPTUS ma poco incide sull'economia globale dell'opera, come sempre sospesa tra delirii industriali e movimenti per orchestra immaginaria, il liso dizionario del rock e la magmatica onda sonora del nuovo che avanza in non si sà quale direzione. Risualta essere questo un disco assai feroce (come se i suoi altri non lo fossereo), ma di un'efferatezza che non è solo segno di crudeltà (sempre che di questo si possa parlare in una recensione musicale) ma anche coscienza del vuoto, spavento per le mutazioni che avvengono e che sfuggono al controllo. Ma paradossalmente proprio di questo si cibano le viscere di questo CD. La musica viene urlata, la voce si fa sempre luciferina e inquietante. I testi si fanno pesanti (English faggot/Nothin man) o sfiorano la paranoia più abissale (A prayer for my death) sempre disseminando il terrore che solo il Nostro è in grado di coltivare tra gli alambicchi fumosi del suo oscuro laboratorio. Un personaggio di sicuro interesse e impossibile di comparazione. Un disco, questo, che consigliamo agli appasionati o a chi è in cerca di un brivido nero per le vene. Take care....

 

MARYLIN CRISPELL / GARY PEACOCK / PAUL MOTIAN

Nothing ever was, anyway. Music of Annette Peacock (ECM) 2CD

 

Questo è forse uno dei dischi più interessanti che siano stati pubblicati dalla ECM durante lo scorso anno e per due motivi. Il primo riguarda l'artista che è stata sottoposta a rilettura, il secondo riguarda gli artisti che hanno contribuito a questa rilettura. Parliamo dunque di Annette Peacock. Trattasi di figura singolare del panorama jazz internazionale, che si è volutamente tenuta alla larga da certe spirali di mercato e ha sempre preferito un approccio molto singolare nei confronti della musica. Ricordando alcuni suoi dischi (su tutti il capolavoro I have no feelings) ritorna alla mente l'attitudine a volte ironica nei confronti della materia sonora (My mama never taught me how to coock) a volte delicatamente distaccata e fredda. In tutti i suoi dischi si avverte una differente visualizzazione di ciò che la musica jazz può esprimere e questo non sappiamo se imputarlo alla sua femminilità o semplicemente al gusto e alla sobrietà che da sempre la accompagnano. Sta di fatto che la rivisitazione di Crispell, Peacock (suo marito) e Motian ben si adatta alle atmosfere rarefatte della Peacock e alle sue stranite rappresentazioni dei sentimenti. Il disco scorre con una impressionante capacità di sintesi sulla produzione dell'artista cogliendo ogni singolo aspetto e riproponendolo con una maestria ed una competenza che solo questi grandi riescono a fare. Ma a differenza di molti tributi che spesso lasciano in bocca il gusto di un'amara incoesione, di una parata tronfia e imbellettata, qui vige il rispetto; l'umiltà di non prevaricare ma di capire le idee di un'altra artista. Sono queste delle doti assai rare a trovarsi nel panorama discografico di oggi giorno e anche in questo la ECM sa contraddistinguersi. Ritornando ai Nostri va ricordata la partecipazione della stessa Anette nel brano conclusivo del primo CD che ancora una volta (con questa frugale apparizione) dimostra un gusto singolare nel cantato e la delicatezza intellettuale di non invadere il lavoro altrui. Come ultima nota citerei la qualità di registrazione veramente impressionante. Ogni strumento ha la giusta collocazione e pulizia che rende ancor più merito a questa grande artista.

 

SUSANNE BROKESCH

Sharing the sunhat (Disko B)

 

Il panorama elettronico odierno ha avuto un impulso ed una diffusione che risultavano praticamente impensabili pochi anni fa. Merito di un processo tecnologico che ha come fine quello di ridurre ingombro e prezzi e non ultimo quello di infarcire i propri prodotti di nuove funzionalità. Come giustamente sottolineato da alcune eminenze grigie di questo circuito le nuove leve si trovano a disposizione un orizzonte molto più ampio di possibilità, territori vasti ed inesplorati in cui assemblare nuovi elementi di sintesi. Ciò che dovrebbe preoccupare in questo processo di espansione infinita è la quantità di idee con cui trattare le impressionanti possibilità del nuovo. Le proposte del panorama sono molteplici ed in grado di soddisfare tutti i gusti, ma se siete alla ricerca del suono di frontiera, delle idee più estreme, non potete esimervi dal rendere giustizia a questo disco che oserei definire seminale per le generazioni a venire. Un dispendio di così importanti termini deve essere giustificato da elementi tangibili e sicuramente uno di questi risulta essere l'idea che sorregge l'intera opera, ovvero l'elettronica come elemento autarchico e non più compromesso. Troppo spesso accade che questa si pieghi al volere di altri generi e il risultato non intrighi l'ascoltatore ma accarezzi le pieghe della mente come acqua fresca. Diverso è ciò che accade da queste parti. Il problema di dover rendere omaggio a chissà quale alta forma culturale non si pone nemmeno dalle prime tracce, anzi durante tutto il percorso si centralizza l'elettronica come materia viva e autoctona. Via ogni ingenuità, via ogni orpello, via ogni buccia luccicante, risultano le nude idee di questa artista che si guadagna rispetto ad ogni ascolto. Rispetto dovuto al coraggio delle proposte che sono il frutto di una visione molto personale di un ventennio di musica sintetica ma che non si limitano ad una sterile riconsiderazione ma tracciano le basi per una musica possibile, una musica finalmente non banale e difficilmente attaccabile da preconcetti settoriali. Occorre coraggio per accedere ai suoni della Brokesch e per questo consiglio l'ascolto ad un pubblico attento, smaliziato abbastanza da non rimanere invischiato nelle acque fangose della faciloneria. Potrete finalmente godere di una musica coraggiosa e senza compromessi.

 


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