Manifesto
contro il lavoro L'autore Il
testo. Chi non lavora non mangia! Questo cinico principio è tutt'oggi in vigore, anzi, oggi più che mai proprio perché sta diventando del tutto obsoleto. È assurdo: mai la società era stata una società del lavoro come in quest'epoca in cui il lavoro è stato reso superfluo. Proprio nel momento della sua morte, il lavoro getta la maschera e si rivela come una potenza totalitaria, che non tollera nessun altro dio al di fuori di sé. Il lavoro determina il modo di pensare e di agire fin nelle minime pieghe della vita quotidiana e nei più intimi recessi della psiche. Non ci si ferma dinanzi ad alcuno sforzo pur di allungare artificialmente la vita all'idolo "lavoro". L'ossessiva richiesta di "occupazione" giustifica quella distruzione delle condizioni naturali di vita di cui da tempo siamo consapevoli. Gli ultimi ostacoli alla totale commercializzazione di ogni relazione sociale possono essere spazzati via senza remore se c'è in vista qualche misero "posto di lavoro". E l'idea che è meglio avere un lavoro "qualsiasi" piuttosto che non averne nessuno è ormai diventata una professione di fede imposta a tutti. Quanto più è evidente che la società del lavoro è veramente giunta alla fine, tanto più violentemente questo fatto viene rimosso dalla coscienza collettiva. Per quanto diversi siano i metodi di rimozione, hanno pur sempre un denominatore comune: il dato di fatto, valido globalmente, che il lavoro si sta rivelando un fine in sé irrazionale e ormai obsoleto, viene ridefinito con ostinazione maniacale come il fallimento di individui, di imprese o di "siti produttivi". Il limite oggettivo del lavoro deve apparire come un problema soggettivo degli esclusi. Se per gli uni la disoccupazione è la conseguenza di pretese eccessive, di scarso impegno e scarsa flessibilità, gli altri rimproverano ai "loro" manager e politici incapacità, corruzione, avidità o tradimento del "sito produttivo". (E in fin dei conti sono tutti d'accordo con l'ex Presidente tedesco Roman Herzog: "Occorre che, per così dire, una "scossa" attraversi il paese, come se si trattasse di dare nuovi stimoli a una squadra di calcio o nuove motivazioni a un gruppuscolo politico. Tutti devono "in qualche modo" remare più forte, anche se da tempo non ci sono più remi, tutti devono darsi da fare, anche se non c'è più niente da fare, e ormai ci si può dedicare soltanto ad attività insensate"). Il messaggio sottinteso di questa cattiva novella non si presta a equivoci: chi nonostante tutto non gode del favore dell'idolo "lavoro" se la deve prendere con se stesso, e può essere espulso o escluso senza scrupoli di coscienza. La stessa legge del sacrificio umano vige su scala planetaria. Un paese dopo l'altro viene maciullato negli ingranaggi del totalitarismo economico e fornisce così sempre la stessa dimostrazione: ha peccato contro le cosiddette leggi di mercato. Chi non "si adatta" senza condizioni, e senza tener conto delle perdite, al corso cieco della concorrenza totale è punito dalla logica del profitto. Le promesse di oggi sono i falliti di domani. Gli psicotici dell'economia al potere non si lasciano però impressionare nella loro bizzarra concezione del mondo. I tre quarti della popolazione mondiale sono già stati più o meno dichiarati fuori corso. Crolla un "sito produttivo" dopo l'altro. Dopo i disastrati "paesi in via di sviluppo" del Sud del mondo, e dopo il capitalismo di Stato a Est, gli studenti-modello dell'economia di mercato in Estremo Oriente sono a loro volta scomparsi nell'Ade economico. Anche in Europa si sta diffondendo da tempo il panico sociale. I cavalieri dalla trista figura nella politica e nel management continuano però, se possibile ancora più ostinatamente, la loro crociata nel nome del dio "lavoro".
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