La
comunità terribile Sulla miseria dell'ambiente sovversivo
Tiqqun
Il
testo.
Ridefinire la conflittualità storica Di nuovo la sperimentazione, alla
cieca, senza protocollo o quasi. Ci è stato trasmesso così poco; potrebbe
essere una fortuna. Di nuovo l'azione diretta, la distruzione senza
frasi, il nudo scontro, il rifiuto di ogni mediazione: quelli che non
vogliono capire non avranno da noi alcuna spiegazione. Di nuovo il desiderio,
il piano di consistenza di tutto ciò che era stato rimosso in vari decenni
di contro-rivoluzione. Di nuovo l'autonomia, il punk, l'orgia, i tumulti,
ma in un giorno inedito, maturo, pensato, sprovvisto degli orpelli del
nuovo. A forza di arroganza, di operazioni di "polizia internazionale",
di comunicati di vittoria permanente, un mondo che si presentava come
l'unico possibile, il coronamento della civiltà, ha saputo rendersi
violentemente detestabile. Un mondo che credeva di aver fatto il vuoto
intorno a sé scopre il male nelle sue viscere, tra i suoi figli. Un
mondo che ha celebrato un volgare capodanno come un capodanno millenario
inizia a temere per il proprio millennio. Un mondo che si è collocato
a lungo sotto il segno della catastrofe realizza controvoglia che il
crollo del "blocco socialista" non inaugurava il suo trionfo, ma l'ineluttabilità
del suo collasso.
Un mondo che si è abbuffato dei motivetti della fine della Storia, del
secolo americano e dello scacco del comunismo dovrà pagare la propria
leggerezza. In questa paradossale congiuntura, questo mondo, ovvero
in fondo la sua polizia, si ricompone un nemico su misura, folcloristico.
Parla di "black bloc", di "terrorismo anarchico internazionale", di
una vasta cospirazione contro la civiltà. Fa pensare alla Germania descritta
da Von Salomon ne I proscritti, ossessionata dal fantasma di un'organizzazione
segreta "che si espande come una nuvola piena di gas" e a cui si attribuiscono
tutti gli abbagli di una realtà abbandonata alla guerra civile. "Una
cattiva coscienza cerca di scongiurare la forza che la minaccia. Essa
si crea un fantasma contro il quale imprecare a piacimento e crede così
di garantire la propria sicurezza", non è così? Al di là delle elucubrazioni
abituali della polizia imperiale, non c'è leggibilità strategica degli
eventi in corso. Non c'è leggibilità strategica degli eventi in corso,
perché questo presupporrebbe la costituzione di un comune, un minimo
comune tra di noi. E questo, un comune, fa paura a tutti, fa fare marcia
indietro al Bloom, provoca sudori e stupori poiché riporta univocità
nel cuore delle nostre vite sospese. In ogni cosa ci siamo abituati
ai contratti. Siamo fuggiti da tutto ciò che assomigliava a un patto,
perché un patto non si può disdire; si rispetta o si tradisce. Ed è
questo, in fondo, che è difficile da capire: è dalla positività di un
comune che dipende l'impatto di una negazione; è il nostro modo di dire
"io" a determinare il nostro modo di dire "no". Spesso ci stupiamo della
rottura delle trasmissioni storiche, del fatto che da più di cinquant'anni
nessun "genitore" sia più capace di raccontare la sua vita ai "propri"
figli, di farne un racconto che non sia una discontinuità disseminata
di aneddoti ridicoli. Ciò che si è perso, infatti, è la capacità di
stabilire un rapporto comunicabile tra la nostra storia e la Storia.
In fondo a ciò sta la convinzione che rinunciando all'esistenza singolare,
abdicando al destino, ci si guadagni un po' di pace. I Bloom hanno creduto
che bastasse disertare il campo di battaglia per far finire la guerra.
Ma così non è stato. La guerra non è cessata e quelli che rifiutavano
di accettarlo ora si trovano solo un po' più disarmati, un po' più sfigurati
degli altri. L'enorme magma di risentimento che oggi ribolle negli intestini
del Bloom e che sfocia nel desiderio mai appagato di veder le teste
cadere, di trovare colpevoli, di ottenere una sorta di pentimento generalizzato
per tutta la storia trascorsa, sgorga da lì. Abbiamo bisogno di una
ridefinizione della conflittualità storica, non dal punto di vista intellettuale,
ma vitale.
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