Sabotaggio negli Usa
Martin Sprouse
Introduzione
Ho
visto il fabbro al lavoro, davanti alla fiamma della sua fornace. Le
sue mani erano sporche ed era lercio come un coccodrillo.
I lavoratori che usano lo scalpello - godono forse dell'ozio più del
contadino? Il loro campo è il legno che incidono, e faticano anche quando
il giorno è finito, e persino di notte se c'è luce nelle loro case.
Il muratore lavora con le pietre più dure. Quando ha finito di rispondere
agli ordini e le sue mani sono stanche, pensate che si riposi? All'alba
dev'essere di nuovo al cantiere anche se le sue ginocchia e la sua schiena
stanno per spezzarsi.
Il barbiere lavora fino a notte. Per un pezzo di pane deve correre di
casa in casa in cerca di clienti.
Tanto tribolare per riempirsi a stento la pancia?
E quello che tinge le stoffe? Le sue mani puzzano di pesce marcio. Le
palpebre gli cadono per il sonno, ma le sue mani non si fermano mai
e preparano tuniche ben colorate. Egli odia i tessuti, ogni tipo di
tessuto.
Il calzolaio, poi, è davvero infelice; si lamenta sempre: non ho altro
da masticare che il cuoio.
Essi lavorano - tutti lavorano, ma è come per il miele: lo mangia solo
chi lo raccoglie.
Egitto,
XIV sec. a.C.
Nel
1987 risposi a un'offerta di lavoro: si trattava di smistare la corrispondenza
negli uffici di una rivista finanziaria di San Francisco. Dato che leccare
buste non richiede una grande esperienza e io ero il primo della fila,
ottenni il posto. Il colloquio con il supervisore dell'ufficio fu solo
una formalità. Parlammo soltanto della mia paga d'avvio (4,75 dollari
all'ora), che bastava a malapena per sopravvivere. Non ne parlammo esplicitamente,
ma il supervisore e io sapevamo benissimo che, se non accettavo io,
in fila ce n'erano altri venti disponibili. Come molte altre persone,
avevo un disperato bisogno di lavoro, così accettai. Il supervisore
mi diede una copia del regolamento per gli impiegati, mi diede la mano
e disse: «Benvenuto nella squadra!». Capii di essere nei guai.
La compagnia stava crescendo e cambiando velocemente. Nuovi settori
venivano aperti uno dopo l'altro, mentre quelli vecchi venivano chiusi.
Anche nelle giornate più tranquille, l'ufficio era un caos. La compagnia
non dava quasi mai aumenti o promozioni, era molto esigente nei confronti
degli impiegati e licenziava senza pensarci due volte. Il ricambio del
personale era rapidissimo, era impossibile tenere il conto di chi era
dentro e chi era fuori. Non ho mai visto nessuno dimettersi, quasi tutti
avevano bisogno di lavorare, e qualunque lavoro era meglio di niente.
Il reparto posta era nel seminterrato - una collocazione appropriata.
Le quattro persone con cui lavoravo mi spiegarono subito che eravamo
l'ultima ruota del carro aziendale. Eravamo lì per smistare la posta,
ma se un dirigente voleva far spostare la sua scrivania o se occorreva
sistemare un cesso che perdeva, era noi che chiamavano. Nelle poche
occasioni in cui tutti ricevevano gratifiche, a noi mandavano giù delle
pizze.
Il nostro impegno verso la compagnia era minimo. Ci interessava solo
ricevere lo stipendio, nient'altro. Pian piano compresi che tutti i
reparti avevano lo stesso atteggiamento. L'insoddisfazione partiva dal
nostro seminterrato e risaliva fino alla scrivania della segretaria
del direttore esecutivo.
Al malcontento s'abbinava un'eguale quantità di sabotaggio. La macchina
affrancatrice, le linee telefoniche interurbane e i conti spese erano
considerati proprietà comune. Le forniture per l'ufficio sparivano in
pochi giorni, come del resto i mobili e un paio di computer. Le pause
pranzo erano lunghissime, e la gente cazzeggiava il più possibile. Alcuni
impiegati trovavano anche modi più insoliti di esprimere la propria
insoddisfazione: un giorno cominciò a girare la voce di imminenti tagli
ai salari, e il mattino dopo i serbatoi dell'acqua potabile vennero
riempiti di bagnoschiuma. Nella reception ci fu un'inondazione di schiuma
bianca, e di fronte allo sgomento dei manager dovemmo trattenerci per
non scoppiare a ridere. Come al solito, toccò a noi della posta sistemare
quel casino.
I miei due anni in quell'azienda mi diedero l'ispirazione per questo
libro. Mi trovavo in un tipico posto di lavoro americano, testimone
di un sabotaggio esteso a ogni livello del personale. Ciò rifletteva
l'atteggiamento dei dipendenti verso la compagnia, e rendeva meno intollerabile
il loro lavoro. Il sabotaggio era parte della routine quotidiana di
quasi tutti i dipendenti, ed era tanto frequente da non essere nemmeno
visibile. Non credo che i dirigenti capissero cosa stava succedendo,
nemmeno i più attenti di loro.
L'idea-base di questo libro - documentare le reazioni alle frustrazioni
e ai conflitti quotidiani dello sbarcare il lunario in America - non
è cambiata. Sapevo che ciò di cui ero stato testimone non era insolito.
Chiunque abbia lavorato sa che la frustrazione è una caratteristica
comune a quasi tutti i lavori in America.
Volevo che il libro contenesse un vasto campionario di aneddoti - diversi
tipi di sabotaggio da parte di diversi lavoratori -, quindi optai per
una definizione di sabotaggio in senso lato, cioè qualunque cosa venga
fatta sul lavoro ma che non dovrebbe essere fatta. Certo, quella dei
serbatoi era una gran bella storia di sabotaggio, ma ero altrettanto
affascinato dall'irreprensibile videoterminalista che si aggiungeva
ore extra sul cartellino, o dal grafico che scendeva regolarmente al
reparto posta per fare quattro chiacchiere anziché starsene seduto alla
sua scrivania, per non parlare del tranquillo ragioniere di mezza età
che mi fece spedire i suoi regali di Natale a spese della compagnia.
Lo fece perché sapeva che l'avrebbe fatta franca o perché pensava che
la compagnia gli dovesse qualcosa?
Quando si parla di sabotaggio non sono queste le prime persone che vengono
in mente, ma se il capo era di cattivo umore era con loro che se la
prendeva. E poiché i dirigenti li ritenevano sacrificabili, erano i
primi ad avere i salari tagliati. Volevo ascoltare le loro storie, scoprire
qual era il loro limite di sopportazione e sentire le loro definizioni
di sabotaggio.
Non
sapevo bene in quale impresa mi stessi imbarcando, o che tipo di risposte
potessi attendermi, ma quando avviai il progetto ero ottimista. Scrissi
dei flyers invitando a spedirmi testimonianze, e li distribuii o attacchinai
ovunque mi capitasse. Ben poche storie si materializzarono in quel modo,
così tentai un approccio più diretto. Trascorsi diversi pomeriggi nel
quartiere affaristico di San Francisco cercando di intervistare i lavoratori
durante le pause-pranzo. Come c'era da aspettarsi, rimediai più occhiatacce
che racconti. Devono aver pensato che lavorassi per i loro dirigenti
e stessi svolgendo un'inchiesta interna sulla sicurezza. Presto mi resi
conto che sarebbe stato molto più difficile del previsto.
Era ovvio che avrei dovuto affidarmi ai contatti personali. Su consiglio
di un amico comune intervistai Steve, che mi raccontò di quando lavorava
come lavapiatti a Olympia, Washington. Anni prima avevo conosciuto Jane,
che si era trasferita a Frisco dall'East Coast, dove aveva lavorato
come prostituta. Jane mi mise in contatto con la sua amica Peggy, che
aveva lavorato in un casinò al tavolo del poker. A.J., meccanico dell'Esercito
in servizio in Germania, si trovava nella tavola calda in cui stavo
intervistando Harry, l'archivista. Quando spiegai ad A.J. qual era l'argomento
del libro, iniziammo a parlare, e la conversazione diventò un'intervista.
Si sparse la voce, e la gente cominciò a presentarsi con vari racconti.
Ricevetti un dischetto con la testimonianza di Dexter, uno scrittore
di manuali di computer. In una lettera, Bruce descrisse uno scherzo
telefonico che aveva fatto durante il suo lavoro di funzionario in un'agenzia
governativa. Robin, ex-agente di sicurezza in un albergo, sentì del
libro da un suo amico e registrò un'intera cassetta con la sua storia.
Rita, assistente di volo da vent'anni, e il taxista che si faceva chiamare
Axel, risposero a un'inserzione che avevo messo su un giornale locale.
I flyers continuavano a circolare: Frances, una paralegale, ne trovò
uno nel bar del suo luogo di lavoro, in un momento - felice coincidenza!
- di insofferenza verso i suoi capi. La intervistai al telefono durante
il suo orario di lavoro.
Dopo aver letto di loro su un quotidiano, rintracciai Ron (il commesso
del negozio di giocattoli in Florida) e Louie (il conducente di autobus
del Midwest). Trovarli valeva la pena: ascoltando i loro racconti, mi
feci delle gran risate. Sapevo che la maggior parte delle persone si
sarebbero trovate più a loro agio raccontando le loro storie anonimamente.
Ciascuno stabiliva quali e quanti particolari fornirmi. In alcuni casi,
persone che avevano gravemente infranto la legge non vollero farmi registrare
le loro storie. Altri si comportarono allo stesso modo solo per aver
prolungato una pausa-pranzo alle spalle del loro capo.
Le
persone che ho intervistato avevano backgrounds eterogenei quanto le
loro storie. Alcuni sbarcavano a fatica il lunario, altri facevano 60.000
dollari all'anno. Le loro età andavano dai dodici ai sessantacinque
anni. Teatro delle loro azioni era l'intero territorio degli Stati Uniti,
da Los Angeles alle remote città costiere dell'Alaska, da Wall Street
ai campi di grano del North Dakota.
Pedro, un idraulico della California meridionale, aveva moglie e figli.
Non era mai stato intervistato prima ed era alquanto titubante, ma si
rilassò dopo quattro chiacchiere e un paio di birre. Alejandro era d'origine
messicana: non riuscendo a trovare lavoro in America, era andato in
Medio Oriente a lavorare come grafico per una compagnia americana. Trascorsi
un intero pomeriggio parlando con un infermiere che si presentò come
Ed. Mi stupì con la sua conoscenza della medicina e le sue accurate
descrizioni delle abituali tecniche di sabotaggio negli ospedali.
Procedendo
con le interviste, iniziai a capire che la scelta e le motivazioni del
sabotaggio erano diverse per ciascuna persona, in quanto riflettevano
il suo carattere e le specificità del suo lavoro. Le motivazioni ricoprivano
l'intero arco che va dall'altruismo alla vendetta.
Terry lavorava a una velocissima catena di montaggio, metteva sottaceti
nei vasetti. Sapeva che quasi tutti i suoi colleghi - in genere giovanissimi
- erano costretti a ritmi esagerati, così bloccò la linea, regalando
all'intera fabbrica una pausa insperata. Jeff aveva dato tutto sé stesso
alla ditta di copritetti per cui lavorava, ma non aveva mai ottenuto
la promozione che gli era stata promessa. Il suo sabotaggio costò al
padrone 80.000 dollari. A Barbara piaceva essere responsabile delle
relazioni con il personale di un ospedale, ma non riusciva a lavorare
bene perché la sua diretta superiore si sentiva minacciata dalla sua
presenza e le assegnava compiti inutili. Barbara decise di leggere libri
anziché lavorare. Tico, un ex-DJ, era un casinaro e un burlone. Alla
stazione radio in cui lavorava, aveva cercato di fare tutto il casino
possibile senza farsi licenziare. Mentre lavorava in un centro di ricerca
conservatore, Reggie si rese conto di non essere d'accordo con le idee
politiche dei suoi datori di lavoro, e sfruttò le sue mansioni di addetto
alla corrispondenza per sabotare la loro campagna di finanziamento.
Alan e i suoi colleghi della copisteria sentivano di essere sottopagati,
e iniziarono a prendersi degli extra in contanti direttamente dalla
cassa.
Oltre alle azioni più spettacolari, ho incluso molte storie di sabotaggio
"tranquillo". C'è Brian, il meccanico di Rochester a cui non piacevano
le tariffe esagerate che il suo boss faceva ai clienti. Brian prese
il controllo della situazione e la gestì come voleva lui, dopodiché
lavorò più volentieri perché i clienti erano trattati con equità. Anche
se il suo sabotaggio può essere considerato di minime proporzioni, ebbe
un notevole impatto. Alice, una segretaria, usava il termine "extra"
per descrivere il suo monte-ore gonfiato e gli sconti extra sui prodotti
della compagnia. Ci rimase male quando le dissi che le sue azioni potevano
essere considerate furto. Per come la vedeva lei, non aveva mai rubato
niente in vita sua, sentiva che il suo agire era pienamente giustificato.
Il suo sabotaggio era tutt'altro che atipico, e scoprii che il suo era
un comune modo di razionalizzarlo.
Non c'è dubbio che certi tipi di sabotaggio abbiano conseguenze sui
consumatori. A seconda dell'atto, il cliente trae un danno o un beneficio.
Marc faceva il commesso in un emporio i cui prezzi erano più alti dello
standard. Usando la sua etichettatrice, Marc fece gli sconti che riteneva
giusti. Eugene lavorava in una fabbrica di Detroit, lui e i suoi colleghi
producevano carburatori difettosi. La sua opinione era che se i consumatori
avessero preso una sòla, non avrebbero mai più comprato una vettura
dalla compagnia che lui odiava. Probabilmente aveva ragione. Carol ha
fatto la cameriera per quasi tutta la vita. Quando lavorava in un ristorante,
lei e altre cameriere lasciarono che il cibo andasse a male prima di
servirlo ai clienti. La maggior parte delle persone riterranno la loro
storia la più estrema del libro, ma Carol me la raccontò spassionatamente,
come se non avesse fatto granché. Per lei l'intossicazione da cibo era
un modo come un altro di rovinare la reputazione del ristorante e farla
pagare al padrone che aveva rifiutato di dar loro un aumento.
Ho intervistato anche molte persone che non avevano storie di sabotaggio
da raccontare. Alcune non si lamentavano del loro lavoro, altre avrebbero
tollerato qualunque abuso. Parlai con una rappresentante di specialità
gastronomiche che diceva di non avere nessuna critica da fare al suo
lavoro, soprattutto perché le lasciava molta autonomia. Dopo un'ora
di discussione, ci rinunciai. Riuscii solo a farle ammettere che qualche
volta si concedeva un lungo pranzo - ma recuperava sempre il giorno
dopo. Abbastanza equo. Ascoltai i racconti dettagliati di un ex-agente
di polizia di San Francisco, di un chimico dei fertilizzanti e di uno
stimatore per un'esclusiva casa d'aste. Ognuno di loro aveva problemi
col proprio lavoro ma aveva scelto l'attendismo. Benché non avessero
storie per il mio libro, quello che mi dissero rese più chiara la mia
prospettiva.
Dopo
sei mesi, Lydia Ely diventò la mia assistente. Insieme facemmo delle
ricerche sul sabotaggio, ma non trovammo molti libri che dessero una
visione contemporanea del fenomeno. Alcuni dei primi resoconti parlano
degli schiavi americani, che fecero del sabotaggio il loro stile di
vita per protestare contro la loro estrema umiliazione. Gli schiavi
ingannavano i loro padroni fingendosi stupidi, incompetenti e lenti
- un agire che, come minimo, irritava i padroni e causava loro danni
economici.
In genere, i libri di storia del Movimento operaio americano si concentrano
su lotte degli inizi del XX secolo, e quasi sempre sugli scioperi, con
poca attenzione per il sabotaggio. Di solito, quando si menziona il
sabotaggio, lo si collega agli Wobblies, o Industrial Workers of the
World - il più importante sindacato a promuovere ufficialmente il ricorso
al sabotaggio, o almeno a usarlo come minaccia. Alla fine, dopo dissensi
interni e persecuzioni giudiziarie, gli Wobblies si dissociarono dall'appoggio
incondizionato al sabotaggio.
Working di Stud Terkel è uno dei pochi libri in cui degli americani
abbiano descritto con le loro parole l'insoddisfazione per il lavoro.
Benché ci siano stati significativi cambiamenti del concetto di lavoro
da quando il libro venne pubblicato a metà degli anni Settanta, le attitutidini
e la conflittualità che esso documenta sono eterne e saranno sempre
parte del mondo del lavoro, come i cartellini da timbrare.
Ad accompagnare le interviste ci sono citazioni da articoli di quotidiani
e riviste, manuali di management, aforismi, poesie, proverbi, testi
di canzoni e statistiche riferite al lavoro e al sabotaggio. Parte di
questo materiale, si tratti di fatti o di opinioni, ha un valore storico;
altre cose sono state inserite per via della loro assurdità. Le statistiche
hanno raramente a che fare con la realtà, sono il risultato di interpretazioni
e supposizioni da parte di aziende che campano sulla produzione e vendita
di tali informazioni.
Mentre
stavo lavorando al libro, venni intervistato sul sabotaggio in un talk-show
radiofonico. L'intervistatore mi chiese cosa pensavo si potesse fare
per risolvere il problema del sabotaggio. Gli dissi che non consideravo
il sabotaggio un problema, bensì una valida e necessaria reazione all'insoddisfazione
causata dal lavoro. Dato che non è un problema, non c'è nessuna soluzione
- spero sia questa la lezione del libro.
Se sono evidenti le cause del malcontento sul lavoro, si può ricorrere
al sabotaggio per migliorare le condizioni di lavoro e dare ai lavoratori
maggiore controllo su di esse, come nel caso in cui dei corrieri in
bicicletta vi ricorsero per cambiare la stupida organizzazione interna
della loro compagnia. Quando l'atteggiamento comune verso il lavoro
esplode in risentimento, non ci sono risposte semplici. A quasi tutti
gli intervistati di questo libro non piaceva sentirsi dire dal loro
capo o supervisore cosa fare e cosa non fare, e quasi tutti erano ben
consci delle innumerevoli differenze tra chi dava gli ordini e chi faceva
effettivamente il lavoro. Diverse persone spiegarono che si sentivano
intrappolate in una mansione senza senso, altre dissero chiaro e tondo
che odiavano lavorare sotto padrone. Può darsi siano banalità, ma sono
queste le motivazioni elementari del sabotaggio.
Finché la gente si sentirà imbrogliata, annoiata, molestata, messa in
pericolo o tradita sul lavoro, il sabotaggio verrà usato come metodo
diretto per sentirsi realizzati - un metodo che non avrà mai l'approvazione
dei padroni.
Martin Sprouse, febbraio 1992
Robin
- guardia di sicurezza
Venni a sapere che offrivano questo lavoro da un annuncio su un
giornale, e fui assunto su due piedi. Solo più tardi scoprii che quello
della guardia privata è uno dei lavori più sfigati che esistano in tutto
il Paese. Avere il posto è semplicissimo, ma di solito non si dura a
lungo.
Fui subito assegnato al secondo turno di notte in un hotel del centro
con 500 camere. Ero l'unica guardia. Dovevo controllare l'intero edificio,
prevenire i furti e rispondere alle chiamate di emergenza.
Durante i primi due mesi fui molto professionale e disponibile. Ma dopo
un po' cominciai a cercarmi qualche posto in cui dormire. Trovai due
stanze in cui mi costruii un nido di materassi e cuscini. Piazzavo la
trasmittente fra il cuscino e l'orecchio in modo da svegliarmi se il
capo mi chiamava. Dalla voce si capiva che mi ero appena svegliato,
ma questo non aveva nessuna importanza perché ogni volta che mi chiamavano
per fare qualcosa io dicevo che ero occupato.
Cominciai a stufarmi, così presi a fare piccoli furtarelli di cibo e
birra dalla cucina. Ma quando comincio a rubare sul lavoro, per me è
un effetto slavina, è una droga, non riesco più a fermarmi. Io ero quello
che avrebbe dovuto verificare che le stanze fossero chiuse e sicure,
e invece andavo a cercare quelle aperte per vedere cosa potevo rubare.
Ho preso televisori, lampade, sedie, mobili. Correvo su e giù per tutto
l'hotel e portavo la roba giù in garage dove tenevo la macchina.
Avevo in testa di rubargli tutto il possibile, perché questo era l'unica
cosa che mi divertiva sul lavoro. La mia missione era studiarmi quale
fosse la cosa più grossa che potevo portarmi via senza essere notato.
C'era una stanza, alla quale io non avevo accesso, in cui tenevano i
proiettori per diapositive e le telecamere. La tentazione era forte.
Avevo le chiavi di ogni stanza, ma in quella non potevo entrare. Immaginai
che avessero una chiave di emergenza per ogni stanza. Avevo la chiave
del magazzino degli attrezzi: lo aprii, trovai il cassetto in cui tenevano
tutte le chiavi e presi quella che mi interessava. Riuscii a portarmi
via qualcosa come 700 dollari di materiale audiovisivo. Mi ricordo la
volta che presi un proiettore: mi ci vollero quindici secondi buoni
per raccogliere il coraggio di scendere le scale secondarie e imboccare
l'uscita di sicurezza per arrivare più presto alla macchina. Quando
richiusi il bagagliaio e fui certo che il proiettore era sano e salvo
nella mia auto fui preso da una sorta di orgasmo. Ce l'avevo fatta.
Dopo un po' di tempo cominciai a stufarmi di quei furti, così me ne
andai.
Crawdad
- operaio di segheria
La segheria di Fort Bragg, specializzata in legno di sequoia, è
di proprietà della Georgia-Pacific, una grossa compagnia che lavora
nel campo chimico e dei materiali per l'edilizia. I suoi operai avevano
l'abitudine di segnalare la presenza di bombe nell'edificio. Nella stagione
primaverile si aspettava l'una del venerdì pomeriggio, il momento più
dolce e piacevole della giornata, poi qualcuno chiamava il centralinista
e diceva: «Ho messo quattro cariche di esplosivo al plastico nella centrale
elettrica. Esploderanno alle 4 in punto: oggi non si lavora!». Poi riattaccava.
Ci si procurava da mangiare e da fumare e si andava al fiume. Il trucchetto
funzionò benissimo fino a giugno, quando infine perse efficacia perché
troppo inflazionato. Al centralinista chiedemmo di non aprire bocca
con nessuno e non si sentì mai più parlare di bombe.
I "bombaroli" volevano solo ricavarsi qualche pomeriggio di libertà
ogni tanto, cosa che riuscì molto bene nel periodo della lotta politica
fra proprietà, lavoratori e la prima ondata di hippies riformatori e
di radicals, che attribuivano grande importanza all'astensione dal lavoro
nelle segherie.
Una delle nostre tattiche preferite (anche se raramente funzionava)
consiste nel dare in pasto al Porco) - la macchina che tritura legno,
truciolato e scarti vari e li trasforma in combustibile - pezzi di vetro
e metallo. Un metal detector e una persona fissa di guardia vigilano
costantemente sul Porco per evitare che vengano immessi corpi estranei,
ma non possono nulla contro le lattine di alluminio... in questo caso
ci si gode una mezza giornata di libertà mentre i manutentori riparano
le lame danneggiate. Quando il Porco rimane fermo, l'azienda perde fra
i 100 e i 200 dollari al minuto. Chiunque venga beccato a buttare intenzionalmente
corpi estranei nella catena di alimentazione del Porco, è soggetto a
punizioni severe che possono giungere fino al licenziamento, per cui
non è una cosa che si faccia a cuor leggero. Quando capitano degli inconvenienti
tecnici ai macchinari io vado in visibilio, mentre i capi diventano
tutti rossi in faccia e si aggirano con un martello in mano illudendosi
che magari possa bastare per riparare al danno.
Immagino che anche nascondersi in mezzo a un carico di legname a raccontarsela
con altri tre o quattro, possa essere considerato un sabotaggio. Una
buona metà dei miei compagni di lavoro fuma marijuana, e questo serve
a riabilitare la propria mente, o perlomeno a renderla inutilizzabile
da parte dei padroni. è anche un modo per rompere quella monotonia devastante.
Da qualche tempo hanno reso obbligatorio il test delle urine prima dell'assunzione
e si stanno impegnando in una campagna contro l'uso delle droghe come
metodo anti-stress. Ma diciamo le cose come stanno: essere assunti in
una segheria è la via più breve per arrivare alla droga. Lo speed è
meno usato dell'erba, ma ha effetti più profondi e provoca maggiore
dipendenza. E poi c'è l'alcool.
Alcuni lavoratori apprezzano molto le azioni di sabotaggio, mentre altri
non hanno opinioni in proposito. Ce ne sono poi alcuni che sono così
indebitati che riescono a trovare il modo di lavorare anche quando i
loro compagni vengono spediti a casa, e questi ovviamente sono contrari
al sabotaggio.
In una piantagione di pesche dello stato di Washington esplode il malcontento
per le condizioni di lavoro. Viene indetto uno sciopero e i membri degli
IWW che vi partecipano chiamano immediatamente la sede sindacale della
città più vicina. Il padrone va in città per cercare nuovi uomini da
reclutare e rimane sorpreso dalla rapidità con cui riesce a radunare
una squadra. Fa i biglietti e mette tutti sul treno. Alla prima fermata,
a circa due chilometri dalla città, l'intera squadra abbandona il treno.
Sono tutti membri del sindacato. Allora l'agricoltore torna in città
e mette insieme un'altra squadra. Dispone che si paghino da soli il
viaggio e che la spesa venga rimborsata solo all'arrivo in piantagione.
La squadra accetta e si mette sotto la sua direzione. Credendo che lo
sciopero sia stato sconfitto, l'agricoltore dedica il resto della giornata
ad altre occupazioni. Il giorno successivo, dopo aver ispezionato le
piantagioni, scopre che sono state piantate 1000 piantine a testa in
giù, le radici al vento a muta testimonianza di solidarietà. Questo
basta finalmente a convincerlo della giustezza delle rivendicazioni
della squadra originaria.
- Walker C. Smith, cit., pag. 15
Ci
spiegarono che nel campo ci sono tre tipi di pomodori: quelli rossi
e maturi, quelli verdi e quelli bruciati dal sole. Noi dovevamo raccogliere
quelli maturi e quelli bruciati e lasciar stare quelli verdi. Si prendevano
i cesti, li si distribuiva lungo tutto il filare, e quando si finiva
di riempirne uno si passava al successivo. In quella piantagione la
produzione era piuttosto scarsa. Le direttive erano di raccogliere solo
i pomodori maturi, ma noi li raccoglievamo tutti, compresi quelli verdi
e quelli marci ... l'importante era riempire il cesto.
- Herbert Applesbaum, Work in Market and Industrial Societies, Albany,
State University of NY Press, 1913, pag. 15
Un
buon imprenditore sa che nel campo della vivaistica il fattore determinante
della produzione è la manodopera. Il successo o il fallimento dell'impresa
sono strettamente legati alla correttezza e alla puntualità dell'azienda
verso i dipendenti per quanto riguarda le retribuzioni.
- Harold Davidson e Ray Mecklenburg, Nursery Management, Englewood CLiffs,
Prentice-Hall, 1981, pag. 60
Christian
- assistente esecutiva
Per dieci anni sono stata alla Fortune 500, come assistente esecutiva
del direttore vendite della concessionaria per il Midwest. La mia zona
comprendeva 120 punti vendita al dettaglio in cui acquistavo e distribuivo
la merce.
Lavoravo moltissimo. Dopo tre mesi avevo in mano il più grosso giro
di forniture della compagnia. Acquisii un alto profilo professionale
e facilità di parola. Durante i primi tre anni feci grossi progressi
all'interno della compagnia, ma la mia carriera non progredì oltre un
certo limite perché non era previsto che un donna raggiungesse i vertici.
Questo mi faceva incazzare da morire.
Circa sei anni fa decisi di pubblicare un giornale e trovai il modo
di realizzarlo. I collaboratori mi inviavano gli articoli e io li fotocopiavo
a costo zero utilizzando la magnifica fotocopiatrice di cui disponevo
sul lavoro. Arrivavo in ufficio verso le sei del mattino, un'ora e mezza
prima dei miei colleghi, e per tutto il tempo facevo fotocopie con l'ansia
di essere scoperta. Qualche volta sono stata sorpresa dalle guardie
di sicurezza durante un giro di ispezione, ma devono aver pensato che
ero una gran sgobbona e che attaccavo a lavorare presto. Sotto la mia
scrivania avevo una scatola in cui nascondevo tutti i fogli. Mi portavo
sempre dietro uno zaino nel quale, un poco alla volta, portavo fuori
il materiale, fino a un totale di 8000 fogli. Per portare fuori tutto
impiegavo ogni volta tre settimane. Il giornale è uscito per tre anni.
Quando ho smesso la compagnia non riusciva a capacitarsi dell'improvviso
risparmio di carta.
Rubavo tutto ciò che mi capitava per le mani e lo rivendevo ai mercatini:
oggetti di ogni tipo, una cucitrice elettronica... Non avevo nemmeno
bisogno di sforzarmi. Con il mio solido background di piccola delinquente
e ladra trovavo tutto ciò molto naturale. Trovo che tutto questo sia
pienamente giustificabile, come una specie di favore da parte della
compagnia. Ho anche concluso qualche buon affare.
Non provavo nessun senso di colpa quando portavo via qualcosa. Consideravo
il valore della merce che acquistavo e trasportavo, il profitto che
i rivenditori realizzavano sul mio lavoro, il mio stipendio. Se anche
mi avessero pagata trenta volte la mia retribuzione, questa cifra non
si sarebbe neppure avvicinata al profitto che la compagnia estraeva
dal mio lavoro. Non ho mai avuto rimorsi. Credo che un buon furto ripaghi
equamente lo sforzo personale, soprattutto quando si è incredibilmente
sottopagati in proporzione a quanto si lavora.
Al Vostro Servizio.
- Slogan PG&E
è
molto importante per i lavoratori comprendere che con il sabotaggio
non si colpiscono i funzionari corrotti degli istituti di credito newyorkesi,
ma al contrario si mette a repentaglio la propria sussistenza e il proprio
benessere economico. Senza la collaborazione dei lavoratori la battaglia
contro il sabotaggio non può che fallire.
- Harvey J. McGeorge II e Christine C. Ketcham, Sabotage: A Strategic
Tool for Guerrilla Forces, «World Affairs», vol. 146 (inverno 1983-84),
pag. 255
Michael
- tecnico di sonar
Nel 1978 la USS Cook venne portata al cantiere navale Hunter's Point
Navel di San Francisco. In quel periodo alcuni membri dell'equipaggio
e un ufficiale frequentavano il Mabuhay Gardens, vedemmo Negative Trend,
Crime, Nuns, Dead Kennedys e molte altre bands. Un nocciolo duro diventarono
variopinti esponenti del punk a bordo della Cook. L'ufficiale s'accorse
presto che quella sottocultura era in contraddizione con la sua carriera
in Marina. Diede le dimissioni, ma non prima di aver portato sulla nave
alcuni membri dei Magister Ludi e aver pranzato con loro nel quadrato
degli ufficiali, il santuario dei "gentlemen officers".
In quel periodo Jim Williams cominciò a registrare la propria musica
nel LAPS, lo spazio che conteneva il generatore che dava corrente all'impianto
sonar della Cook. Coincidenza volle che molti dei punk della nave fossero
addetti ai sonar. Il LAPS divenne il loro ritrovo. Il suo impianto autonomo
di aerazione permetteva loro di farsi le canne senza paura di essere
scoperti. Una potente ventola risucchiava ogni fumo sospetto. Stessa
cosa per i caccoli, nessuno li vedeva se non durante la pulizia mensile
del filtro, con gli addetti ai sonar che riciclavano il loro fumo nei
tempi di vacche magre, in alto mare.
Per me la Marina era solo un lavoro, un lavoro sgradevole. Tentai di
scappare, ma mi arrestarono per aver fatto l'autostop sull'autostrada.
Arrivai sulla Cook come disertore, visto che mi ero preso una licenza
"ufficiosa" tre mesi prima. Fui fatto salire sulla nave in manette con
un altro fuggiasco della Cook, un certo John S., che mi presentò agli
altri punk della nave. Visto che anch'io ero un tecnico dei sonar, entrai
volentieri in quel gruppo di esclusi.
Dopo pochi mesi, quando John S. si dichiarò bisessuale, diventò il primo
di noi ad essere cacciato dalla nave. Venne congedato senza alcun onore.
Il disgusto e l'antipatia nei nostri confronti crebbero rapidamente
dopo il congedo di John. Alienati, e sempre meno in contatto con l'insieme
della sottocultura punk, ce ne stavamo nel LAPS a stonarci, ascoltando
qualunque cosa riuscissimo a procurarci e registrando la nostra musica,
scarna ed essenziale.
Dopo una lunga crociera oltreoceano, il moralismo nei nostri confronti
toccò lo zenith. Uno di noi era costantemente molestato e aggredito,
soprattutto dopo che s'era inciso sull'avanbraccio FTN, Fuck The Navy
['Fanculo la Marina]. Io mi trovavo sempre nei casini, il capitano mi
convocò tre volte in tre mesi.
Dopo due mesi trascorsi al largo della costa iraniana durante la crisi
degli ostaggi, la Cook ricevette l'ordine di tornare a casa. Durante
il viaggio io e Jim W. decidemmo di produrre una fanzine per marinai
punk. A tarda notte, con chiavi prestateci da amici, ci intrufolammo
nell'ufficio del personale per usare le macchine da scrivere e le fotocopiatrici.
Fu così che nacque il primo numero di «PDL (Punk Dialogue)».
Poco dopo l'uscita della fanzine, Jim venne congedato. Cercammo di fare
uscire un secondo numero, ma il comando scoprì che usavamo macchine
di proprietà del Governo e fermarono l'uscita di quella «rivista anti-Marina
di natura sovversiva». Tra le altre cose, avrebbe contenuto un articolo
di Mike H. sui suoi recenti problemi disciplinari a causa di un seme
di maria trovatogli nelle tasche. Anche Mike venne congedato. Giù di
morale, con tutti i miei compari andati via e Darby Crash morto, mi
venne una gran depressione e mi tuffai a capofitto nei miei incubi.
Il resto della mia carriera in Marina lo trascorsi come unico punk a
bordo. Intanto in Marina era aumentato l'uso di droghe, e spesso si
facevano test delle urine senza preavviso. Io mi ripresi, evitai di
mettermi nei guai, e diventai il sottufficiale responsabile dei rifornimenti.
Lo feci per quasi due anni, e riuscii a ordinare quaderni, penne, cucitrici
e altri articoli di cancelleria da usare dopo il mio congedo.
A Salt Lake City, due ex-agenti della sicurezza in una base dell'Aeronautica
militare si sono dichiarati colpevoli del furto di due motori di cacciabombardiere,
per un valore complessivo di dieci milioni di dollari. Il giudice li
ha condannati alla detenzione in un carcere federale. Al processo si
era arrivati dopo un'indagine del Pentagono durata due anni, avviata
per porre fine ai numerosi furti nelle basi militari dell'ovest e del
sud-ovest. L'inchiesta ha condotto all'imputazione di oltre trenta persone
tra militari e civili.
- Pair Sentenced in Air Force Thefts, «Los Angeles Times», 28 gennaio
1990, A17
Quando
una persona non ha nessun controllo su un lavoro, con ogni probabilità
- oltre all'assenteismo e alle varie forme d'astensione dal lavoro -
troveremo il sabotaggio, «l'intenzionale atto di mutilazione e distruzione»
che riduce tensioni e frustrazioni.
- Gerald Mars, Cheats at Work: An Anthropology of Workplace Crime, Boston,
George Allen and Unwain, 1982, pag. 87
Ed
- infermiere
Assisto pazienti che stanno per morire, gente che ha un piede nella
fossa e l'altro sulla buccia di banana. Quasi tutti muoiono. Il mio
compito è far loro superare le crisi. Eseguo gli ordini del dottore,
ma penso anche con la mia testa. Devo stare molto attento perché ogni
cambiamento, in meglio o in peggio, deve essere segnato. Il mio lavoro
è molto importante.
è raro che un infermiere dica: «Non sta funzionando», perché nessuno
vuole crederlo, è quasi un tabù. La burocrazia è un buon modo di mantenere
la parvenza di un ambiente stabile, che per la compagnia che possiede
l'ospedale è più importante dei bisogni dei pazienti e dei dipendenti.
Gli ospedali non sono che aziende, i pazienti vengono visti come i problemi
da risolvere per ottenere profitti. Gli ospedali curano la gente, ma
il profitto viene prima. Ciò che fanno per il profitto mi disgusta:
non puoi trasformare la salute in un business.
La società esalta il nostro lavoro, per loro facciamo miracoli tecnologici
aiutando le persone, ma in realtà noi non risolviamo i problemi, noi
li creiamo. Noi causiamo dolore e sofferenze costringendo i pazienti
a sopravvivere oltre il tempo naturale. Vedo persone intelligenti, i
dottori, infliggere dolore solo perché seguono regolamenti insensibili
verso gli esseri umani.
Tra gli anziani il problema n.1 sono le infezioni, che causano la morte.
Quando gli anziani sono in ospedale, hanno bisogno di antibiotici altrimenti
moriranno. È comune tra gli infermieri e le infermiere avere scrupoli
etici sul somministrare antibiotici agli anziani: perché prolungare
le loro sofferenze? Se vogliono morire, hanno il diritto di essere lasciati
in pace, ma la nostra società rimuove la morte, noi non vogliamo pensarci,
così quelle persone soffrono. Spesso gli infermieri scrivono di aver
dato le medicine anche se non è vero. Le grandi case farmaceutiche e
le compagnie di prenotazione e assistenza ospedaliera guadagnano milioni
di dollari tenendo "vivi" quei pazienti - immaginatevi quanti soldi
perderebbero se fosse permesso morire quando è giunta l'ora?
I pazienti che assisto sono lucidi. Sono ancora esseri umani, ma non
vengono più trattati come tali. Prima di metterli nel programma di life
support, il dottore descrive la loro condizione critica, spiega loro
che il personale farà di tutto per evitare peggioramenti, infine chiede
se vogliono il life support. Tutti rispondono di sì, per istinto di
conservazione e perché sono all'oscuro delle implicazioni. Firmano documenti
in cui si dice che verranno tenuti in vita a ogni costo, poi se cambiano
idea e vogliono spegnere le macchine, sono costretti a ingaggiare un
buon avvocato e una frotta di burocrati e di specialisti per dimostrare
di essere in pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Ma quando
sei agonizzante e desideri morire, non sei proprio nella condizione
di sfidare la burocrazia. Ho visto pazienti implorare di essere lasciati
morire, e il dottore ordinare che li si legasse mani e piedi per impedire
che staccassero le spine. Tutti i giorni sentivamo queste persone lamentarsi
e strillare, senza che potessimo fare niente.
Vi descriverò alcune forme di sabotaggio diffuse tra le infermiere e
gli infermieri. Le ho viste praticare in tutti gli ospedali in cui ho
lavorato, dal Michigan alla California.
Di solito se il cuore di un paziente sta andando in tachicardia e in
fibrillazione, l'infermiere chiama i dottori, che cercano di rianimarlo.
Si tratta di persone anziane giunte alla fine, con quadri clinici che
comprendono problemi polmonari e respiratori, reni che non funzionano,
trombosi ecc. Spesso, quando un infermiere si accorge che i ventricoli
di un paziente stanno smettendo di funzionare, tirano la tenda tutt'intorno
al letto e spengono il monitor così non registrerà nessuna fibrillazione.
Il paziente smette di respirare, l'infermiere aspetta altri due minuti
poi riaccende il monitor e solo a quel punto chiama i dottori, che accorrono
e cercano di "salvare" il paziente. Devono farlo per legge, anche se
di solito è troppo tardi.
Gli infermieri e le infermiere lo fanno spessissimo, per pietà e per
compassione. Questo tipo di sabotaggio è del tutto illegale ma è l'unico
modo per vincere contro un sistema sanitario che fa più male che bene.
La medicina non è per niente ciò che dovrebbe essere.
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