Perché tutto sarà dato
a chi si aspetta nulla in cambio
A questo punto probabilmente qualcuno si
domanderà perché mai diamo vita ad una simile iniziativa.
Sputiamo nel piatto dove ci apprestiamo a mangiare? Criticare
il ruolo sedativo della cultura non significa fare lapologia
dellignoranza. Disprezzare gli artisti e larte non
significa detestare la creatività. Sebbene non abbiamo
appositamente voluto presentarci con una introduzione che fosse
una sorta di "programma di lavoro", non ci sottrarremo
ad una chiarificazione.
Uno dei problemi principali che ci siamo
trovati di fronte nel dar vita a Gratis, è stato
come fare per non partecipare al flusso indistinto che oggi ci
sommerge, senza rinunciare a tentare di interromperlo. E, tanto
per capirci, che cosa intendiamo per flusso? E linsieme
di teorizzazioni, espressioni estetiche, iniziative di movimento
(fossero anche le più audaci) che scorrono nella corrente,
trascinate o trascinandosi in un processo che non è il
loro, senza riuscire a lasciare di sè nullaltro
che la manifestazione di un mero "diritto alla parola"
privo di qualsiasi stimolo di rottura. Nulla è vietato
dire o fare, giacchè nulla ha effetto. Il flusso offre
a tutti la possibilità di partecipare, poiché tutto
annulla.
In che cosa il nostro discorso potrebbe
dunque caratterizzarsi, sfuggire allonnipresenza del recupero?
Non nel prezzo, dato che oggi i libri si possono trovare anche
a mille lire. Nemmeno nel circuito di distribuzione, perché
anche se sarebbe importante creare un circuito alternativo alle
librerie (e qualcuno ci sta provando, benché finora con
risultati assai scarsi: ci riferiamo alla Lega dei Furiosi),
questa non è di per sé una garanzia: troppe volte
il circuito alternativo è stato semplicemente il trampolino
di lancio per bottegai intelligenti ed artisti in carriera. E
non è nemmeno il caso di illudersi che a fare la differenza
sia esclusivamente il contenuto del libro per quanto non
sia secondario giacché spesso non facciamo che scoprire
testi ed autori che poi gli editori propongono sul mercato. E
quindi?
La difficoltà di evitare il recupero
solitamente genera due reazioni. Da una parte cè
chi conclude che allora tanto vale ignorare il problema e che
è inutile fare gli schizzinosi. Il che porta anche ad
aumentare il prezzo dei libri, ad appoggiarsi ai grossi distributori,
a puntare tutto su autori conosciuti per riuscire a vendere e
così via. Dallaltra cè chi fa il ragionamento
opposto: chi, per evitare di finire recuperato, si occupa unicamente
di ciò che considera irrecuperabile (i classici della
rivoluzione, le opere di militanti che esaltano di continuo la
ribellione), ritenendo che sia reazionario pubblicare, poniamo,
romanzi o poesie. Ma noi non abbiamo intenzione di accontentarci,
chiudendoci nelle nostre certezze di ciò che riteniamo
irrecuperabile ma che forse è solo non richiesto al momento
dal mercato.
Sia chiaro che non abbiamo una risposta
definitiva a questo problema, a come evitare di finire per lavorare
per il nemico. Così, una volta di più, non possiamo
che procedere per tentativi, partendo da noi e da ciò
che desideriamo.
Gratis
sorge in un momento in cui la fine delle ideologie viene brandita
dal vecchio mondo come unarma per sottomettere ogni pugnace
desiderio di rivolta e il disprezzo accompagna puntualmente le
azioni degli ultimi insorti della volontà di vivere. Se
ci avventuriamo in una iniziativa ambiziosa come questa
che non è costituita solo da carta stampata, più
o meno di qualità lo facciamo perché riteniamo
falso che oggi un progetto rivoluzionario non abbia più
nulla da dire. E da fare.
A morire è stata lideologia
rivoluzionaria, non la teoria e la pratica rivoluzionaria. E
dopo tutto, il crollo delle ideologie ha coinvolto nelle sue
rovine soltanto chi vi si era rinchiuso allinterno. Chi
per vedere la rivoluzione aveva bisogno del Muro di Berlino.
O di grandi masse di affamati e di infreddoliti. O di grandi
partiti proletari. A noi è sufficiente non sentirci a
nostro agio in questo mondo. E se la possibilità non è
di certo garantita, il desiderio e la necessità di una
rivoluzione si impongono sotto i nostri occhi ogni giorno che
passa. Ma per rilanciare questa scommessa bisogna necessariamente
rimettere in gioco il passato. Il patrimonio dei movimenti rivoluzionari
non può più costituire una tradizione da salvaguardare,
né una fiaccola da tenere accesa o un programma da realizzare,
ma un arsenale da saccheggiare ad uso e consumo dei nuovi rivoltosi.
Una cosa deve essere chiara. Se oggi un
movimento rivoluzionario ha tanta difficoltà ad emergere
è perché non è più possibile rivendicare
qualcosa di ciò che esiste su questo mondo per difenderlo,
per capirlo, ancor meno per trasformarlo in maniera "radicale",
come pretendono fare i riformisti della sopravvivenza. Così,
se la fine delle certezze segna un passo decisivo per il dominio
del capitale, in un certo senso decreta anche il trionfo dellutopia.
Finalmente la rivoluzione appare per quello che è sempre
stata, una festa gratuita. Non lattuazione di un programma
politico, non la conquista dei mezzi di produzione e tanto
meno del potere ma lirruzione nellignoto attraverso
la distruzione dellesistente. Svelata la menzogna che li
voleva muratori del socialismo, gli Argonauti della Rivolta possono
iniziare il loro viaggio. Si tratta insomma di riprendere le
ostilità, ben sapendo che stavolta non ci saranno contropartite,
giacché il fine è negli stessi mezzi.
Il potere fonda oggi parte del suo consenso
sulla promessa poliziesca di una età delloro cibernetica.
Ma non esiste una stabile pace sociale se non negli spot pubblicitari
e nelle trasmissioni televisive che colonizzano timpani e retine
denunciando come sospetto luso smodato di tutti gli altri
organi del corpo umano (si sa, le passioni sono oscure). Ciò
spiega come limpero dei mass media e la diffusione delle
nuove tecnologie vadano di pari passo con lincremento della
pace sociale, poiché la fantasiosa rappresentazione della
vita sembra proprio essere in grado di consolarne leffettiva
miseria.
Eppure, fuori da questi modelli di cretinismo
soddisfatto, fuori dalla frenesia di addomesticamento che proclama
il trionfo della democrazia, non incontriamo che conflitti. In
senso figurato, sia chiaro: bisogna che questa lotta costante,
dalle conseguenze materiali così tangibili, non superi
la semplice opposizione dei caratteri (a quanto pare, la violenza
aggressiva è oramai solo un cattivo ricordo per i garanti
dellordine). Il culto ufficiale dei diritti delluomo
ha reso illecita ogni critica del mondo democratico, facendo
un tabù di ogni violenza suscettibile di contenere
ancorché in fase embrionale tale critica.
Non a caso il partito della critica, anche
di quella che si pretende radicale, manca di virulenza. I suoi
membri non sembrano orientati verso la guerra sociale, unico
mezzo per soddisfare il desiderio di vita, quanto verso il riconoscimento
delle proprie "qualità" intellettuali, creative,
organizzative. Amputata della sua capacità combattiva,
una simile critica non può che scadere in un vistoso apparato
di note erudite, cioè in un commentario. Ecco perché
sosteniamo la necessità dellodio, che costituisce
la sensibilità attiva della guerra sociale. Mentre secondo
i partigiani della servitù volontaria, ogni idea estremista,
ogni azione radicale, ogni espressione virulenta sarebbe vana,
errata, sconfitta in partenza. In realtà, di fronte a
un mondo la cui oscenità mercantile raggiunge livelli
dissennati, sono solo la misura e la moderazione ad essere fuori
luogo.
La questione rivoluzionaria è dunque
sempre presente. E allora, che guerra sia. E che questa guerra
sia portata ovunque, che non risparmi nulla e nessuno. Non lasceremo
che i gregari di questo mondo ci rinchiudano nel limbo delloblio.
Non abbandoneremo al nemico ciò che alcuni disprezzano
come "mezzo devasione", né seppelliremo
nei musei ciò che altri stimano come "marciume ideologico".
Lasciamo le briciole agli artisti e agli intellettuali, che vadano
pure a raccoglierle dalla tavola dei loro padroni. La fine delle
specializzazioni (lazione ai militanti, la creatività
agli artisti, il pensiero agli intellettuali) deve venir affiancata
dallonnipresenza dellaggressività, dalla pratica
dellinsulto, dalla diffusione della iconoclastia. Bisogna
farla finita con questo immondo quieto vivere.
E' lavvento della barbarie
linvasione di Cosacchi invocata da Coeurderoy la
sola cosa che ci fa sperare nella scomparsa delle canaglie che
ingombrano la vita. Lo spirito primitivo infine ritrovato sovraecciterà
gli animi degli ultimi sopravvissuti allinquisizione utilitaria,
ne risveglierà le passioni, ne affilerà le armi.
Solo la barbarie può, con colpi sicuri, squarciare questa
folla di nemici con i quali ci scontriamo. Che cosè
un magistrato dinamitato, un industriale sequestrato, un politico
impiccato, uno sbirro abbattuto, un supermercato saccheggiato,
un commissariato incendiato, un giornalista lapidato, un intellettuale
molestato, un artista bastonato, di fronte allalienazione
mortale della nostra esistenza, al suono sempre troppo mattutino
della sveglia, agli ingorghi sulle autostrade, alle merci allineate
sugli scaffali?
I tempi della rivolta e dellinsurrezione
sono finiti solo per chi si trova a suo agio nello svegliarsi
ogni mattina per andare a lavorare. Questa è la sola novità
che noi rivendichiamo, una novità vecchia come il mondo
che lumanità reca in sé da quando è
uscita dalla preistoria. Una novità che ribadiamo con
tanta più gioia e convinzione oggi, nel tempo del disprezzo.
*
Il nostro sarà un tentativo gratuito,
cui non chiederemo gratificanti "ritorni", oggettivi
risultati. Abbiamo disgusto del gretto atteggiamento di chi fa
dellutilità il criterio con cui soppesare la propria
vita: chi rinnega la rivoluzione perché non è più
di moda, chi giudica un libro in base alla copie vendute, chi
organizza un concerto a seconda dei gusti degli spettatori, chi
calcola con accuratezza i propri sforzi, chi esalta la lungimiranza
politica.
Ecco perché sosterremo la gratuità
ed il piacere, laddove altri reclamano lutilità
ed il dovere. Esalteremo il sogno, lutopia, limpossibile,
laddove altri applaudono la ragionevolezza, il realismo, la praticità.
Decanteremo le gioie dellesagerazione, della rottura, della
ferocia, laddove altri predicano la beatitudine della ponderatezza,
della pacatezza, della comprensione. Rivendicheremo l'urgenza
della rivoluzione, laddove altri puntellano la democrazia. Anche
per questo, cercheremo di scartare la facile strada dei nomi
famosi, senza paura di fare da battistrada ai recuperatori; tenteremo
di sabotare il quieto vivere di artisti e intellettuali, immondi
roditori dossa; andremo alla ricerca di ciò che
è stato volutamente dimenticato e trascurato; realizzeremo
pubblicazioni che a prima vista hanno poco in comune: non ci
accontenteremo di coltivare il nostro orticello. Fare presenza
non ci interessa e non ci soddisfa.
Non sappiamo minimamente se riusciremo
nei nostri intenti, non abbiamo garanzie di successo e non ci
importa. La vita senza contropartita ci inebria. Non la porremo
fra le felicità furtive e fortuite, non la ridurremo a
unevasione, una cosa puerile, la parte del sogno prima
di tornare allutile, alla "verità oggettiva"
del lavoro, alla sottomissione ragionevole.
La sfida è lanciata.
Se le miscele
esplosive si ottengono mescolando componenti in sé innocui, allo
stesso modo tenteremo di provocare una detonazione unendo con forza
ciò che per noi ha una medesima origine: la voglia di vita, fondamento
della rivolta permanente.
|