LA RIVISTA DELLA CANAPA
444 GALERE PRIVATE PER I CONSUMATORI L’AFFARE CARCERE Guerra
aperta alle strategie di riduzione del danno e al servizio pubblico,
riaffermazione del patto di ferro tra governo e comunità terapeutiche
promosse a nuove carceri private per i tossicodipendenti, imperante
ideologia "drug-free". Dopo il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini a San Patrignano, la Casa delle libertà si accinge a compiere un primo passo concreto in Parlamento per portare avanti la sua "guerra alla droga". Il Ccd ha infatti presentato una mozione (primo firmatario Volontè) che mira a sancire una volta per tutte il nuovo status quo. La mozione, che ha valore di indirizzo nei confronti del governo, sarà discussa alla camera entro breve. Il testo della mozione Volontè cancella con un colpo di spugna saperi ed esperienze nel campo della politica sulle droghe e del trattamento delle tossicodipendenze che sono ormai consolidati a livello europeo. Tra i punti più preoccupanti vi sono le limitazioni imposte ai trattamenti sostitutivi (metadone, buprenorfina) che il Ccd vorrebbe ridotti "al minimo necessario", con una durata massima di tre mesi e con "dosi contenute"; l'attacco alle unità di strada, alle quali è rivolta l'assurda accusa di aver goduto di troppi finanziamenti, a danno delle comunità; la definitiva consacrazione delle comunità residenziali quali luoghi privilegiati, nei quali "sperimentare forme innovative di detenzione per i tossicodipendenti", con la previsione di costruire "nuove strutture residenziali". Sotto attacco è insomma la nozione stessa di riduzione del danno, della quale si nega il valore terapeutico, e la concezione di un "sistema integrato dei servizi", basato su forme di coordinamento tra servizio pubblico e privato sociale. La mozione nega anche il valore di esperienze avanzate condotte in Europa. È il caso ad esempio della somministrazione controllata di eroina, che in Svizzera ha dato ottimi risultati ed ora è stata avviata anche in Spagna, Germania, Olanda. CARCERE La direzione che va prendendo il carcere odierno si orienta su due livelli. Il primo è la sua funzione “classica” di contenimento ed attenuazione dell’enorme pressione sociale determinata dalla nuova massa sempre crescente di poveri, disgraziati e diseredati che il neoliberismo sta generando, e qui l’espressione più visibile e lampante è l’istituzione dei lager per gli immigrati, luoghi questi, dove la gente viene rinchiusa senza aver commesso alcun reato, ma semplicemente per il fatto di essere sprovvista del “permesso di soggiorno”. Va sottolineato come, per raggiungere gli obiettivi che il periodo di reclusione si prefigge, tra le altre cose le autorità carcerarie usino sempre di più droghe e farmaci. Questi contenimenti chimici sono costituiti principalmente da sostanze psicotrope come antidepressivi, sedativi, tranquillanti, con potere ipnotico. Droghe come il Valium, il Tavor o il Serenase offrono l'equivalente chimico di una camicia di forza e il loro uso sta diventando sempre più massiccio con l’aumento della popolazione carceraria e con un sempre maggior numero di prigionieri "trattati". In USA
questa tendenza è diventata un “percorso terapeutico” che raggiunge
la sua apoteosi con le “modificazioni del comportamento”, ed all’interno
del quale l’uso di meccanismi di ricompensa e punizione è la prassi
per condizionare il comportamento. Il secondo
livello su cui si sta orientando il carcere odierno è quello di convertire
progressivamente la struttura carceraria alle regole del mercato globale,
alle speculazioni finanziarie e di borsa. Renderla sempre più produttiva
e redditizia, sempre più affine al modello di “sviluppo” mercantil-tecnologico-ipercapitalista
che la borghesia imperialista impone. Perché limitarsi a sorvegliare
e punire, quando questo può diventare anche un lucroso affare? Ad esempio negli USA, in base ad una nuova legge le imprese private possono utilizzare a scopo di profitto il lavoro dei detenuti (ma questo accade anche in Inghilterra e nei paesi del nord Europa, e presto si estenderà a tutti quanti). Manufatti che prima erano prodotti all’esterno, vengono oggi lavorati dai carcerati che ricevono una paga pari al 20% del salario minimo, ai quali è impedito di aderire ai sindacati o di godere dei più elementari diritti riconosciuti a ogni lavoratore. La legge inoltre ha fatto decadere il principio in base al quale il lavoro in carcere dovrebbe essere volontario, facendo passare invece quello che sancisce il dovere del detenuto a lavorare per pagare la sua carcerazione (lavoro forzato). Come già detto, la maggior parte dei paesi europei si sta allineando sulle stesse posizioni, con provvedimenti analoghi. Ad esempio il governo inglese sta letteralmente vendendo intere strutture carcerarie ad aziende private. Il carcere si va dunque scindendo in pubblico e privato. Quello
privato per tutti quei soggetti che vanno a costituire la nuova miniera
di forza lavoro e facili profitti per la borghesia imperialista, formata
soprattutto da microcriminalità facilmente controllabile e ricattabile,
con secondini altrettanto sfruttati e sottopagati. LE PRIGIONI PRIVATE Forse parlare di carceri private può apparire strano. Il fenomeno della privatizzazione delle carceri è però sintomatico del cambiamento di mentalità che si è verificato negli ultimi anni: chi, fino a poco tempo fa, avrebbe immaginato che in diversi paesi del mondo si sarebbero privatizzati i simboli della potestà punitiva dello Stato: le galere? Eppure negli Stati Uniti quella delle carceri è ormai un'industria multimiliardaria con le sue fiere e i suoi convegni, con pagine web, cataloghi postali, ricerche di marketing, e broker, i quali, su richiesta degli Stati, si impegnano a ricercare per i detenuti i posti adatti al prezzo migliore. La giustificazione delle prigioni private, costruite e gestite da società private che ricevono dallo Stato una retta per ogni detenuto ospitato, è che i monopoli pubblici, come i vecchi istituti di correzione, sono generalmente inefficienti e spesso fonte di sprechi, e che il settore privato, attraverso la concorrenza degli appalti, può fornire un servizio migliore a un costo più basso. E infatti il successo delle carceri private da questo punto di vista è stato indiscutibile, dato che i costi per detenuto non solo sono risultati inferiori, ma le condizioni dei detenuti sono molto superiori a quelle delle vecchie e sovraffollate prigioni statali, dove la vita è pericolosa e degradante. Le carceri private, invece sono spesso nuove di zecca, meno sovraffollate e hanno minori probabilità di ospitare detenuti violenti. Oggi negli Stati Uniti le prigioni private sono presenti in almeno 27 Stati, e ospitano circa 90 mila prigionieri. In Australia le carceri private sono ancora più diffuse che in America, tanto che il 20 percento di tutti i detenuti sono reclusi in prigioni costruite, gestite e possedute dalle multinazionali delle sbarre: nello Stato di Vittoria questa percentuale supera il 45 %! Anche in Inghilterra negli ultimi dieci anni sono sorte sei carceri privatie, le ultimi due inaugurate recentemente vicino a Liverpool e nel Galles del sud. In America, le privatizzazioni del sistema penitenziario sono iniziate già negli anni ’80 con un considerevole aumento dei contratti tra società private, stati e città per sistemare i detenuti e gestire le prigioni. Prigione vuol dire denaro L’Amministrazione
della pena è diventata, come tutto il resto, una fonte di profitti.
Maggiore è la domanda di internamento, maggiore è l’offerta; il problema
è di vendere bene la merce “pena” e far funzionare bene l’industria
del controllo sulle classi pericolose: i poveri, i disoccupati, gli
extracomunitari, i giovani delle periferie urbane, gli immigrati clandestini. Come buona regola di ogni sistema produttivo che si rispetti, a questo punto entra in campo l’indotto. Esistono più di cento ditte specializzate soltanto nella progettazione di carceri, che guadagnano dai quattro ai sei miliardi di dollari. Sul Correction Today, una pubblicazione edita dall’Associazione penitenziaria statunitense, si possono leggere inserzione del tipo: costruttori chiavi in mano, servizi di gestione penitenziaria, bracciali elettronici, armi speciali, sistemi di controllo per detenuti pericolosi, ecc. Una perfetta show-room per un giro di affari valutato in miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi anni, prigioni e istituti per minori hanno dato in gestione a fornitori privati una serie di servizi, compresa la ristorazione, la sanità, l’assistenza psicologica, l’orientamento professionale, l’istruzione ed il trasporto dei carcerati. Naturalmente il privato è sinonimo, per principio, di creatività: via le uniformi paramilitari e il rozzo vocabolario che puzza di caserma. Maglioni color cammello con il marchio della ditta, guardie che diventano tecnici della sicurezza aziendale o residenti supervisori, le prigioni che si trasformano in imprese di correzione ed i carcerati che vengono chiamati residenti. LE NUOVE TECNOLOGIE In primo luogo la schedatura, che non interessa solo chi è incappato nei rigori della legge, ma che si allarga a rete, tirando dentro familiari, parenti prossimi, vicini di casa, conoscenti e amici. Il braccialetto elettronico utilizzato per assicurare il controllo del condannato fuori dal carcere. È collegato ad un apparecchio telefonico; se il sorvegliato si allontana dalla sua abitazione, il collegamento con il telefono si interrompe e nella caserma di polizia suona l’allarme. Le tecnologie della seconda generazione, in fase di sviluppo, vengono progettate invece per seguire l’individuo 24 ore su 24. Contemplano dispositivi che permettono di registrare il ritmo cardiaco, la pressione, il tasso di adrenalina e l’eventuale presenza di alcool o droga nel sangue. Le tecnologie di terza generazione non prevedono solo un uso di semplice controllo ma anche una interazione con il soggetto pericoloso: il sistema indicherà infatti se la persona controllata è sul punto di commettere qualche infrazione, nel qual caso sarà possibile intervenire sul suo organismo attraverso segnali sonori, scariche elettriche od altro. Il sistema elettronico sarà in grado di avvisare, punire o tentare di impedire l’infrazione. ABOLIRE IL CARCERE Il problema
fondamentale è elaborare e diffondere coscienza e cultura abolizionista.
Che ognuno prenda coscienza e si adoperi e si impegni come meglio può
per un effettivo salto in avanti del genere umano. Abolire il carcere
non è un’utopia, è una necessità assoluta sulla strada di una società
che si voglia minimamente dire “civile”. È importante praticare una cultura abolizionista, esprimere ovunque l’importanza della libertà, battersi contro ogni forma di sopraffazione, di negazione, di morte annunciata e differita, nell’universale quanto nel particolare, e viceversa.
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