Nota introduttiva
Sono passati pochi mesi dagli avvenimenti che hanno turbato una delle più grandi città italiane, Torino. Larresto di tre anarchici accusati di essere coinvolti in una lunga serie di sabotaggi contro i cantieri dellAlta velocità in Val Susa e la successiva morte di uno degli arrestati, trovato impiccato nella sua cella in carcere, avevano provocato la rabbiosa reazione dei loro amici e compagni, le cui azioni hanno alimentato per giorni le prime pagine dei grandi mezzi di informazione, guardate con una certa preoccupazione dalle forze istituzionali e sociali.
Passata la tempesta, ora tutto sembra essere rientrato nella normalità. Le pagine che seguono, pur riportando gli episodi avvenuti e mettendo a disposizione di tutti una parte consistente dei documenti circolati in quel periodo, non pretendono né intendono di rappresentare quanto è accaduto a Torino nei mesi di marzo e aprile appena trascorsi. Lungi dallaccontentarsi di riprodurre una mera documentazione, gli autori di queste pagine hanno voluto esprimere un preciso punto di vista, presentando la propria interpretazione dei fatti.
Questo che pubblichiamo è quindi un dossier a tesi, fazioso come tutti i dossier ma in questo caso, se è possibile, in maniera ancora più marcata.
A grandi linee, la tesi che qui viene sostenuta è che lobiettivo principale della magistratura da un paio di anni a questa parte è stato di circoscrivere la rivolta diffusa che incuteva timore per le sue notevoli potenzialità di sviluppo in atto contro il progetto dellAlta velocità in Val Susa rinchiudendola poi allinterno della fantomatica organizzazione "Lupi grigi". Inaspettatamente, gli arresti scattati a Torino hanno segnato per i padroni dellAlta velocità un altro successo, giacché sono riusciti nellimpresa di spostare ulteriormente lattenzione generale, non solo geograficamente ma anche sostanzialmente: dalla Val Susa a Torino, dalla questione dellAlta velocità a quella degli spazi occupati. E la magistratura non avrebbe potuto condurre a termine con tanta disinvoltura questa doppia mistificazione, se non si fosse avvalsa dellaiuto dei mass media e di quello naturalmente involontario di alcuni suoi nemici.
Dalla lettura di questo dossier trapela anche loccasione perduta, quella di ripercorrere al contrario il tragitto imposto dai guardiani dellOrdine, aprendo perņ nuove strade percorribili da tutti gli sfruttati.
Va da sé che molti non condivideranno simili conclusioni, e ci sarà anche chi vedrà in questo testo una offesa alla propria identità. Fin troppo facile poi è prevedere, fra le accuse che pioveranno sulla testa degli autori, quella di «voler salire in cattedra per dare lezione agli altri». Accusa per altro infondata se si considera che gli autori di questo dossier hanno preso parte direttamente agli avvenimenti torinesi, e sono quindi anchessi responsabili degli esiti finali. In effetti le analisi qui sviluppate non ci sembrano minimamente dettate da malanimo personale o da presunzione, quanto dalla convinzione che in prospettiva la rivolta non ha bisogno dellammirazione cieca e scevra da ogni critica, ma semmai di una continua ricerca degli errori commessi e dei limiti che emergono nel proprio agire.
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