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NN edizioni

 

 

OS CANGACEIROS
Un crimine chiamato libertà

pag. 80 - 4 euro

Collaborazione fra le edizioni NN e l'arrembaggio:

"Teoria e pratica di una lotta contro le prigioni condotta in Francia nella seconda metà degli anni '80. Fuori da ogni intento apologetico, la lettura dei testi contenuti in questa pubblicazione può fornire alcuni spunti di riflessione sulle possibili prospettive anti-politiche di una lotta contro l'istituzione carceraria, che non si può concepire senza attaccare in tutti i suoi aspetti la società che la ospita."

 

 

 

Crisso Odoteo

" BARBARI - L'insorgenza disordinata"

pag. 72 - 3 euro

"Chi non parla con me e come me non ha nulla da dire. Chi non agisce con me e come me è malato di impotenza. Chi non vive con me e come me desidera suicidarsi. E' questo l'insegnamento che l'Impero lancia ai suoi sudditi. A diffonderlo sono due suoi emissari, Michael Hardt e Antonio Negri, i quali al di là di blande critiche all'Impero formulate per attirare l'attenzione dei suoi nemici, mostrano di essere totalmente plasmati dai suoi valori, genuflessi davanti alla sua organizzazione, obbedienti alle sue norme, assimilati alla sua tecnologia, usi al suo linguaggio. Ma i barbari sono sordi a simili moniti, le loro orecchie sono sensibili solo alla voce che li chiama all'assalto dell'Impero, alla tabula rasa dell'esistente. La loro furia incute terrore persino in molti nemici dell'Impero, desiderosi sì di vincerlo ma con le buone maniere. Da bravi civilizzati, costoro condividono il dissenso ma non l'odio; comprendono l'indignazione ma non la rabbia; lanciano slogan di protesta ma non urla di guerra; sono pronti a versare saliva ma non sangue. Abituati a consumare i propri giorni nell'attesa di poter cominciare a vivere, i nemici perbene dell'Impero scambiano l'immediatezza barbara per sete di sangue. E come potrebbe essere diversamente? Essi sono del tutto incapaci di comprendere in favore di cosa si battono i barbari, il cui linguaggio è incomprensibile anche per le loro orecchie. Troppo infantili le loro urla, troppo gratuito il loro ardire. Di fronte ai barbari costoro si sentono impotenti come un adulto alle prese con dei bambini scatenati. Perché è inutile cercare di insegnare a parlare a chi non ha una lingua. E' inutile spaventarsi di fronte a suoni gutturali e a gesti inconsulti. E' inutile proporre mediazioni a chi vuole l'impossibile."

 

Il ROS è nudo 

Come si fabbrica un’inchiesta giudiziaria 

pag. 40, lire 2.000 

Si tratta della riproduzione integrale di una "nota informativa di servizio" realizzata da alcuni carabinieri del Ros di Roma — spedita da un anonimo mittente ad una radio indipendente torinese nel luglio dell’anno passato, proprio nel periodo dello scandalo scoppiato sul Ros di Genova — che spiega le ragioni e le tecniche per costruire un procedimento giudiziario contro decine e decine di anarchici. Procedimento che è ancora in corso. 

Le ragioni indicate sono: l’incapacità da parte degli inquirenti nel corso degli ultimi quindici anni di ottenere significativi successi in sede penale nei confronti di alcuni individui; e la pericolosità sociale delle idee da questi pubblicamente diffuse. Mentre le tecniche adottate per compiere questa lodevole opera ruoterebbero tutte attorno all’utilizzo di una ragazza, amica di uno degli inquisiti che i benemeriti hanno considerato facilmente addestrabile per recitare il ruolo della pentita. I suggerimenti del Ros indicati in questo documento, datato dicembre 1994, sono stati effettivamente raccolti l’anno seguente dal magistrato Antonio Marini, che rappresenta la pubblica accusa nel processo che si sta svolgendo a Roma contro gli anarchici. Presentato in aula, il documento — che dimostra come un’intera inchiesta sia stata preparata a tavolino dai carabinieri — ha causato non poco imbarazzo ad un pubblico ministero che ne ha immediatamente proibita la divulgazione. Contemporaneamente, la radio torinese che lo aveva ricevuto e reso pubblico è stata fatta oggetto delle attenzioni dei carabinieri dello stesso Ros, i quali l’hanno perquisita ben due volte sequestrandone alcune attrezzature e indagando tre redattori. Nei giorni successivi il cavo del trasmettitore della radio è stato tranciato da mani esperte e recentemente i tre redattori sono stati rinviati a giudizio per falso dalla magistratura romana. 

Il documento che pubblichiamo è accompagnato da un’introduzione che ricorda in quale modo siano stati poi messi in pratica i consigli dei carabinieri, e da una postfazione che mette in luce come più volte nel passato siano stati proprio gli stessi servi del potere a parlare troppo e a denunciare apertamente le vergognose nudità del re, favorendo in tal modo, seppur involontariamente, i propri nemici ribelli.

Sylvie Deneuve - Charles Reeve 

"Al di là dei passamontagna del Sud-Est messicano" 

pag. 56, lire 4.000 

Il Chiapas è la nuova terra promessa degli innumerevoli orfani occidentali dell’Utopia. Messo da parte il sogno rivoluzionario di libertà in cambio della realtà democratica della sopravvivenza, a questi orfani non è rimasto che volgere altrove il proprio sguardo pur di non affliggersi di fronte allo specchio che riflette la loro odierna immagine. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. 

é in Chiapas, ad un oceano di distanza dalle nostre quotidiane misere faccende, che tutte le aspirazioni di libertà riprendono rigore, al punto da far diventare ciechi gli apologeti della rivolta zapatista di fronte alla reale natura dei propri beniamini mascherati. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Come tutte le strutture gerarchiche di questo mondo, non mira affatto a liberare gli sfruttati messicani dalla loro schiavitù, ma solo a modernizzarla. Oltre a farsi portatori di valori come il nazionalismo e il militarismo, fonti di millenarie oppressioni, gli zapatisti si propongono apertamente come nuova classe dirigente. 

Ad ispirare la poesia di Marcos — buona per tutti i palati, per i leader della sinistra europea come per molti anarchici — è quindi l’opportunismo di chi da anni conduce la propria battaglia per diventare interlocutore privilegiato del potere. 

Questo testo, assieme alle appendici che lo completano, è una puntuale e precisa critica all’Ezln inteso come organizzazione politica che si appropria della rappresentatività delle lotte autonome degli sfruttati messicani. Inoltre esso smaschera le menzogne celate dietro l’ideologia dei fascinosi passamontagna, come ad esempio il preteso mito della libertà di cui godevano le antiche comunità indiane. 

Al tempo stesso è una critica all’attuale movimento che in tutto il mondo ha espresso un sostegno incondizionato agli zapatisti. Giacché «chi è pronto ad accettare per altri ciò che è inaccettabile per sé non è lontano dall’accettare l’inaccettabile».

Ai ferri corti 

Con l’Esistente, i suoi difensori e i suoi falsi critici 

pp. 40, lire 3.000 

La vita non è che una ricerca continua di qualcosa a cui aggrapparsi. Ci si alza al mattino per ritrovarsi, uno stock d’ore più tardi, di nuovo a letto, tristi pendolari tra il vuoto di desideri e la stanchezza. Il tempo passa e ci comanda con un pungolo sempre meno fastidioso. Obbediamo senza la fatica di dir di sì. 

La morte si sconta vivendo, scriveva il poeta da un’altra trincea. Possiamo vivere senza passione e senza sogni — ecco la grande libertà che questa società ci offre. Possiamo parlare senza freni, in particolare di ciò che non conosciamo. Possiamo esprimere tutte le opinioni del mondo, anche le più ardite, e scomparire dietro il loro brusio. Possiamo votare il candidato che preferiamo, chiedendo in cambio il diritto di lamentarci. Possiamo cambiare canale ad ogni istante, caso mai ci sembrasse di diventare dogmatici. Possiamo impegnarci utilmente e, se proprio non sappiamo scrivere, diventare giornalisti. Possiamo fare politica in mille modi, anche parlando di guerriglie esotiche. Nella carriera come negli affetti, possiamo eccellere nell’obbedire, se proprio non riusciamo a comandare. 

Anche a forza di obbedienza si può diventare martiri, e questa società ha ancora tanto bisogno, a dispetto delle apparenze, di eroi. Con un po’ di esercizio, potremmo trascorrere intere giornate senza una sola idea. I ritmi quotidiani pensano al posto nostro. Dal lavoro al "tempo libero", tutto si svolge nella continuità della sopravvivenza. Abbiamo sempre qualcosa a cui aggrapparci. Con un po’ di esercizio, potremmo percorre la strada da casa a scuola, dall’ufficio al supermercato, dalla banca alla discoteca, ad occhi chiusi. 

Stiamo compiutamente realizzando l’adagio di quel vecchio sapiente greco: «Anche i dormienti reggono l’ordine del mondo». é venuta l’ora di rompere con questo noi, riflesso dell’unica comunità attuale, quella dell’autorità e della merce. Una parte di questa società ha tutto l’interesse che l’ordine continui a regnare, l’altra che tutto crolli al più presto. 

Decidere da che parte stare è il primo passo. Ma ovunque sono i rassegnati, vera base dell’accordo tra le parti, i miglioratori dell’esistente e i suoi falsi critici. Ovunque i moderati apologeti del nostro tempo proclamano la fine di ogni sogno di sovversione sociale, ovunque si preferiscono i piccoli passi riformatori o rassicuranti vecchi slogan mal assemblati. 

Ma l’autentico luogo della guerra sociale è la nostra vita, con i nostri desideri, la nostra risolutezza o con le nostre piccole, quotidiane sottomissioni. Con tutto questo occorre venire ai ferri corti, per arrivare finalmente ai ferri corti con la vita.

Albania - laboratorio della sovversione 

pp. 40, lire 3.000 

«é lungo l’elenco delle parole usate per definire ciò che sta accadendo in Albania, e ci si rifiuta di utilizzare la parola rivoluzione. C’è stato assicurato che in Europa non ci sarebbero state mai più rivoluzioni: ed eccone una. Gli "insorti", "quelli che si sollevano", che producono il "caos" e "l’anarchia" sono dei "ribelli"... ma non una radio, non una televisione, non un giornale che abbia parlato di rivoluzione. Non conviene.» — scriveva un quotidiano spagnolo il 15 marzo 1997. 

L’insurrezione in Albania ha portato un soffio di aria fresca nella soffocante atmosfera di pace sociale che regna nel vecchio continente. Partiti dalla richiesta di rimborso dei soldi versati a società finanziarie dichiarate poi fallite, i rivoltosi albanesi sono ben presto passati agli attacchi alle banche e alle caserme, agli incendi dei commissariati, dei municipi, dei tribunali, ai saccheggi dei magazzini di viveri e delle armerie, agli assalti delle prigioni e alla liberazione dei detenuti. 

Con le loro azioni, che denunciano apertamente tutte le strutture dello Stato come nemiche, gli insorti d’Albania hanno ridato vita per alcune settimane a quella esigenza di libertà assoluta che tanti anni di difesa della democrazia sembravano aver gettato per sempre nell’oblio. Ma se l’esaltazione di fronte alla gioia di vivere che si manifesta in tutta la sua totalità e pienezza è più che giustificata, il nostro interesse non può comunque limitarsi ad una passiva ammirazione. 

L’insurrezione in Albania — la sua esplosione come il suo successivo recupero — ci deve invece spingere a prendere in considerazione le domande che un simile evento inevitabilmente solleva. Cosa fare? Come intervenire? E dove? Questi e tanti altri sono i quesiti che ci si pongono, e a cui sarebbe il caso di trovare al più presto qualche risposta. Se non vogliamo, alla prossima occasione, accontentarci nuovamente di sedere davanti alla televisione... a fare il tifo. 

Questo opuscolo comprende una introduzione, una cronologia dei momenti più salienti dell’insurrezione, un testo scritto a caldo sul significato di quanto stava avvenendo in Albania, e la riproposizione di un articolo sugli interessi economici italiani in quel paese.

Ultima fermata 

Dall'attacco all'Alta Velocità in Valsusa alla difesa degli spazi occupati a Torino 

pp. 96, lire 6.000 

Sono passati pochi mesi dagli avvenimenti che hanno turbato una delle più grandi città italiane, Torino. L’arresto di tre anarchici accusati di essere coinvolti in una lunga serie di sabotaggi contro i cantieri dell’Alta velocità in Val Susa e la successiva morte di uno degli arrestati, avevano provocato la rabbiosa reazione dei loro amici e compagni, le cui azioni hanno alimentato per giorni le prime pagine dei grandi mezzi di informazione, guardate con una certa preoccupazione dalle forze istituzionali e sociali. 

Concepite prima dell’ulteriore sviluppo degli avvenimenti torinesi — con la morte anche di Maria Soledad e tutto ciò che ne è seguito —, le pagine che presentiamo, pur riportando gli episodi avvenuti e mettendo a disposizione di tutti una parte consistente dei documenti circolati in quel periodo, non pretendono — né intendono — di rappresentare quanto è accaduto a Torino nei mesi di marzo e aprile passati. Lungi dall’accontentarsi di riprodurre una mera documentazione, gli autori di queste pagine hanno voluto esprimere un preciso punto di vista, presentando la propria interpretazione dei fatti. 

Questo che pubblichiamo è quindi un dossier a tesi, fazioso come tutti i dossier ma in questo caso, se è possibile, in maniera ancora più marcata. 

A grandi linee, la tesi che qui viene sostenuta è che l’obiettivo principale della magistratura da un paio di anni a questa parte è stato di circoscrivere la rivolta diffusa — che incuteva timore per le sue notevoli potenzialità di sviluppo — in atto contro il progetto dell’Alta velocità in Val Susa rinchiudendola poi all’interno della fantomatica organizzazione "Lupi grigi". Inaspettatamente, gli arresti scattati a Torino hanno segnato per i padroni dell’Alta velocità un altro successo, giacché sono riusciti nell’impresa di spostare ulteriormente l’attenzione generale, non solo geograficamente ma anche sostanzialmente: dalla Val Susa a Torino, dalla questione dell’Alta velocità a quella degli spazi occupati. E la magistratura non avrebbe potuto condurre a termine con tanta disinvoltura questa doppia mistificazione, se non si fosse avvalsa dell’aiuto dei mass media e di quello — naturalmente involontario — di alcuni suoi nemici. 

Dalla lettura di questo dossier trapela anche l’occasione perduta, quella di ripercorrere al contrario il tragitto imposto dai guardiani dell’Ordine, aprendo però nuove strade percorribili da tutti gli sfruttati. 

Documenti, articoli di giornali, volantini, foto, cronologia... 

Completamente visibile in rete: Ultima fermata