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2000-03-20

Primo grado del processo contro i tre anarchici accusati di lesioni gravi nei confronti del giornalista D.Genco

Il primo grado del processo contro Arturo Fazio, Luca Bertola e Andrea
Macchieraldo è terminato. Dopo un'udienza durata tutta la giornata di
lunedì 20 marzo la corte ha deciso di scagionare Andrea e di emettere
una dura sentenza di condanna contro gli altri due imputati. Arturo è
stato condannato a 3 anni e 6 mesi di carcere, Luca a 3 anni e 2 mesi.
Entro sessanta giorni saranno note le motivazioni della sentenza.
Ricordiamo che i tre sono stati accusati di aver aggredito nell'aprile
del 1998 il giornalista Daniele Genco, durante i funerali di Edoardo
Massari a Brosso. La storia di quei giorni è nota, ne abbiamo riparlato
recentemente in questa lista di discussione. Proviamo a fare una breve
cronaca delle giornate processuali. L'accusa contro i tre si basava
sulle dichiarazioni dello stesso Genco e di tre altri testimoni. Genco
ha identificato in Arturo il primo dei propri aggressori, colui che lo
avrebbe riconosciuto e insultato, il mittente del primo cazzotto. Di
più, però, Genco non sa dire. Infatti, chi coinvolge Arturo anche nel
resto del pestaggio sono altri due testimoni, conoscenti di Genco e
presenti ai funerali. Ma qualche cosa non torna; i due completano sì il
racconto di Genco ma nello stesso tempo lo contraddicono. Andrea e Luca,
invece, vengono identificati dal più folcloristico tra i testimoni, tal
Mattè Cassietto. Quest'ultimo ha una certa passione per le inumazioni,
tanto da intercettare ogni corteo funebre che transiti nel circondario.
Nel nostro caso, però, non si è limitato a questo suo sport del tutto
personale. Dopo il funerale viene convocato dai Carabinieri del paese
vicino e da quel momento inizia una lunga - e non ancora chiarita -
storia fatta di interrogatori mai verbalizzati, incontri "informali" con
la forza pubblica ammessi a mezza voce, dichiarazioni, ritrattazioni e
pianti in tribunale. In un primo momento, di fronte ai Carabinieri di
Ivrea, il Cassietto si dice certo di riconoscere Andrea e Luca come
aggressori di Genco. Sbaglia a descriverne l'altezza, il colore dei
capelli… ma quando si tratta di farne i nomi la sua mente si illumina:
c'erano e menavano. Successivamente, durante la prima udienza del
dibattimento, cambia idea e racconta tutt'altro. I due c'erano, sì, ma
Andrea inseguiva giornalisti per i campi e Luca strattonava Genco, non
lo picchiava. Gli avvocati, il Pm, il giudice stesso sono stupiti, gli
chiedono se ne è proprio sicuro; lui dà ragione un po' a tutti, ma si
dice certo che, sostanzialmente, né Andrea né Luca avevano picchiato
Genco. Viene richiamato l'udienza successiva. È sorpreso. Forse si
dubita di lui? Torna alla versione originale: Genco era a terra, i due
gli erano accanto, e giù calci. L'altra volta aveva detto il contrario,
ma poi ha parlato con gente gli ha chiarito le idee, su in paese. Non
dice con chi, ovviamente. E piange. Questi che abbiamo detto sono gli
elementi processuali illustrati durante le udienze. Tutti qua. Per
l'udienza del venti marzo, gli avvocati rinunciano a riascoltare alcuni
testimoni, come avevano precedentemente richiesto: questi ultimi non
erano stati avvertiti. Chiedono di ascoltare un testimone in più, il
maresciallo dei Carabinieri che per primo aveva ascoltato Mattè
Cassietto, colloquio che non è mai stato verbalizzato. Il maresciallo,
però, è stato trasferito in Campania. Così si passa direttamente alla
requisitoria del Pm Vitari. Vitari è della scuola di tutti quei suoi
colleghi che negli ultimi hanno accusato degli anarchici. Spiega che
questo non è un processo al movimento anarchico o alle idee anarchiche.
È un processo basato su un episodio criminale specifico che, anzi, non
può che portare discredito sul movimento anarchico. Grazie, signor
giudice. Vitari ammette che Genco non avrebbe dovuto essere lì al
funerale, che era ben conscio del pericolo e che il suo comportamento è
stato per lo meno imprudente. Genco, però, faceva il proprio mestiere.
Mestiere che a volte, a detta del Pm, entra in contrasto con le
necessità altrui. In ogni caso, in Genco non c'era nessuna intenzione di
provocare, tanto che il corteo funebre lo fotografava di nascosto e che
teneva sempre nella borsa la macchina fotografica. Quindi, dice di
credere a Mattè Cassietto. Nonostante le ritrattazioni e tutte le
contraddizioni, dice, il teste è in buona fede ed è credibile. Confuso,
ma credibile. Però si rende conto che nel caso di Andrea non ci sono
abbastanza elementi e quindi, pur credendo nella sua colpevolezza, ne
chiede l'assoluzione. Sembra "magnanimo" Vitari, fino a questo punto, ma
è solo per sbarazzarsi della parte più scomoda dell'inchiesta. Ora ha le
mani libere per colpire più duro. L'episodio di Brosso è stato un
linciaggio. Non si può stabilire con esattezza quanti calci abbia dato
ogni partecipante, ma tutti sono responsabili del risultato finale. Di
questi "tutti" solo due sono stati identificati, perché altri possibili
testimoni non hanno avuto il coraggio di parlare: gli anarchici fanno
paura, sono violenti. Arturo è un po' più responsabile degli altri,
comunque. Ha iniziato il linciaggio, e poi è latitante e recidivo. Luca
un po' meno, ma non è pensabile nessuna attenuante: nelle dichiarazioni
in aula ha difeso il gesto, non si è mostrato né critico né pentito. Per
concludere, Vitari chiede 4 anni per Arturo e 3 anni e mezzo per Luca.
Gli avvocati della difesa smontano pezzo per pezzo le testimonianze.
Lamacchia, difensore di Arturo, evidenzia le dissonanze tra quella di
Genco e dei primi due testimoni. Al massimo, conclude, si può parlare di
ingiurie, minacce ed aggressione. Nessuno può provare che Arturo abbia
provocato le lesioni che hanno portato Genco all'ospedale. Novaro,
difensore di Andrea e Luca, si occupa di Mattè Cassietto che viene
definito assolutamente inattendibile. Chiede l'assoluzione per tutti e
due i suoi assistiti. Il giudice, a questo punto, si ritira per una
velocissima camera di consiglio. La sentenza, evidentemente, è già
scritta. Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza ma è certo
che le tesi di Vitari sono passate in pieno: testimoni credibili e
niente attenuanti. Andrea è stato graziato per meglio colpire gli altri
due.