Il primo maggio dello scorso anno la consueta festa dell'alienazione salariata è stata doverosamente rovinata da alcuni "provocatori". L'altrettanto consueta reazione della CGIL è stata egregiamente esposta in un falso manifesto apparso sui muri di Torino nei giorni successivi. Poiché non v'è maggior insulto ai produttori di menzogne che dire la verità, la CGIL, comprensibilmente innervosita, ne ha denunciato i responsabili. Il primo dicembre 2000 si terrà il processo - per reato di diffamazione - contro i presunti colpevoli.
Con l'invitare tutti gli interessati a tale appuntamento, non intendiamo certo chiedere una triste e patetica "solidarietà alle vittime della repressione", ma volgiamo piuttosto un caldo invito a partecipare attivamente, in tale occasione, alla pubblica derisione dei buffoni del sindacato.
Testo del falso manifesto CGIL
Maggio 99
La Camera del Lavoro di Torino,
di
fronte ai gravi episodi di violenza avvenuti durante il corteo del 1š maggio
e del vile attacco squadrista compiuto al danni della nostra sede, RIBADISCE
CON FERMEZZA IL PROPRIO RUOLO DI GARANTE DELLA PACE SOCIALE E DELL'ORDINE DEMOCRATICO.
Il nostro
sindacato si è da sempre distinto nella difesa dei diritti dei salariati, primo
fra tutti quello a restare tali. Un impegno costante, difficile ma redditizio,
sempre al fianco dei padroni e dei lavoratori, dei pensionati e dei disagiati.
Mediare, conciliare e contrattare per evitare il conflitto, rappresentare uno
scontro sociale fittizio per allontanare quello reale, per assicurare a tutti
la tranquillità e la sicurezza dei rispettivi ruoli.
I nostri slogan, del resto, parlano chiaro: "i bambini a studiare, i grandi
a lavorare" (e "i soldati a bombardare", dobbiamo purtroppo aggiungere con sincero
dispiacere in questo amaro ma inevitabile momento).
Ognuno al suo posto insomma, come in ogni democrazia che si rispetti.
La ferita aperta dell'attentato a!la Camera del Lavoro, proprio nel giorno
della sua santificazione, ci impone di riaffermare con coraggio (ché ce ne vuole)
la centralità e il valore del lavoro stesso, anche e soprattutto in quanto espropriazione
di umana fatica e intelligenza, anche e soprattutto perché è ormai chiaro a
chiunque che del lavoro salariato non c'è più alcun bisogno, anzi.
Ringraziamo l'univoca condanna del vile attentato e lanciamo un appello a vigilare
contro l'arroganza di chi pensa che si possa vivere senza di noi, senza padroni,
perfino senza eserciti e prigioni Chiamiamo i nostri militanti, le istituzioni,
le forze di polizia e tutti i sinceri democratici a una rinnovata fermezza nella
difesa dello Stato e della Proprietà.
È IN GIOCO LA CONSERVAZIONE DELL¹ORGANIZZAZIONE SOCIALE, MERCANTILE, LA NOSTRA SOPRAVVIVENZA
SEGRETERIA GENERALE DELLA CAMERA DEL LAVORO - VIA PEDROTTI 5 - 10152 TORINO
DICHIARAZIONE
AL TRIBUNALE
(verrà letta in aula dagli imputati)
Questa mia "difesa" sarà piuttosto breve. Non verranno infatti spese più parole di quante ne richieda l'ormai incontestabile impresentabilità dei miei accusatori. E non più di quante ne meriti l'altrettanto incontestabile parzialità di questo Tribunale e del diritto borghese. Non ho comunque per questo ritenuto opportuno rinunciare a dire le cose come stanno; anche, e forse soprattutto, in questo luogo cardine della menzogna e del privilegio.
Il
primo e unico argomento a sostegno della mia totale innocenza è talmente elementare
che quasi il ricordarlo temo possa essere interpretato come sintomo di scarsa
considerazione dell'intelligenza dei miei ascoltatori.
Logica vuole
che l'accusarmi di avere in qualche moda danneggiato nella reputazione, nel
prestigio, nella credibilità la Confederazione Generale Italiana del Lavoro,
presupponga che di tale prestigio e di cotanta virtù sia fornito qualche riscontro,
o per lo meno qualche indizio.
Ora, senza entrare nel merito dell'attività sindacale di difesa degli interessi
dei lavoratori, mi sembra di poter constatare che, ad esempio nell'autunno del
1992, siano stati i lavoratori stessi - e chi se no? - a ribadire, in maniera
definitiva e con argomenti convincenti, la stima e la fiducia che nutrono per
i propri rappresentanti sindacali, rispondendo ai loro consueti e reiterati
appelli alla calma, alla rinuncia, al sacrificio con bulloni, sputi, pomodori,
patate, biglie di ferro, monetine, chiavi inglesi e cubetti di porfido.
E questo per limitarsi a una soltanto delle ultime belle figure di cui è costellata
la carriera di chi si è sempre prodigato, per tutto il secolo, nel metodico
soffocamento di ogni movimento di autorganizzazione dei proletari per il superamento
della società di classe.
L'immagine di quei quattro burocrati impauriti protetti dagli scudi di plexiglas
e dai cordoni di polizie dalla rabbia di quegli stessi lavoratori a cui continuano
a predicare fatica e rassegnazione, è l'immagine che io sono accusato di avere
orrendamente guastato.
Insomma signori, io, anche volendo, non avrei dovuto inventare proprio niente,
men che meno notizie false o tendenziose, per incrinare il prestigio di chi,
tanto evidentemente, non ne ha.
E con ciò mi sembra di avere dimostrato, anche abbastanza facilmente e sveltamente,
l'infondatezza dell¹accusa rivoltami; per tanto non mi dilungherò più sulla
difesa di una verità che salta agli occhi di chiunque non sia accecato dal preporre
ad essa interessi e privilegi di classe.
Vorrei
ora ricordare, a onor di verità, le spiacevoli vicende nelle quali si inserisce
il manifesto incriminato.
Tutto incomincia molti anni fa, nel 1886 a Chicago, dove nei primi giorni di
maggio la lotta per la conquista delle otto ore di lavoro vede numerosi operai
uccisi dalla polizia; ad Haymarket Square una bomba a mano fa strage di poliziotti
impegnati a disperdere una manifestazione, otto anarchici vengono accusati di
tale attentato e condannati a morte. Il movimento operaio internazionale deciderà
di dedicare il primo giorno di maggio alla lotta rivoluzionaria contro lo sfruttamento
e il copitalismo.
Il primo maggio del 1999 a Torino, rifacendosi senza pudore alcuno a quella
tradizione, sindacati confederali e sinistra di governo sfilano in piazza per
santificare il lavoro, il capitale, e la guerra umanitaria che stanno promuovendo
insieme agli assassini della NATO. Il dissenso della piazza sfocia immediatamente
in incidenti che si protrarranno tutta la mattinata, al termine della quale
la CGIL comunica pubblicamente la sua gratitudine e complicità con le forze
dell'ordine per aver saputo così bene far sparire il dissenso dalla piazza,
garantendo in tal moda il regolare svolgimento della loro impostura democratica.
Per tutta risposta un paio di bottiglie incendiarie si schiantano contro la
sua sede.
L'indignazione è alle stelle. La CGIL condanna l'attentato subdolamente definendolo
squadrista, condanna fermamente la violenza di ogni tipo - tranne quella della
NATO e della polizia - e invita tutta la società civile a stringersi intorno
al sindacato, baluardo dei diritti e della democrazia, contro chiunque ne metta
in forse l'intoccabilità. È proprio nel corso di questa campagna vittimistica
e patetica, intorno al 15 maggio, che compare sui muri di Torino il manifesto
del quale mi si accusa essere autore e diffusore, manifesto la cui grave colpa
è quella di sostenere in maniera limpida ciò che la CGIL ha sempre sostenuto
in maniera torbida e bugiarda.
Cosa che, in questi tempi di menzogna, turba.
Il nervosismo che tale manifesto ha suscitato nei burocrati del sindacato -
oltre al fatto stesso che io mi trovi a doverne rispondere in Tribunale - non
è forse infatti la manifestazione inequivocabile del risentimento di una cattiva
coscienza? Non è forse il sintomo di una vergogna resa solamente più vergognosa
dal fatto di essere stata denunciata pubblicamente? Cos'altro è se non il segnale
della comprensibile angoscia di fronte al possibile scenario, sempre in agguato,
di un risveglio della coscienza degli sfruttati dal torpore che ogni burocrate
ha assunto il compito di sorvegliare in cambio della riconoscenza della classe
proprietaria?
Insomma signori, la verità fa male. Fa male a chi deve raccontare mille menzogne
agli sfruttati per convincerli a continuare a lavorare, soprattutto quando di
lavorare non c'è più alcun bisogno e tutti hanno imparato che il lavoro non
rende affatto liberi, anzi. La verità fa paura, fa paura a chi sente pesare
sul proprio futuro di burocrate il minaccioso proclama lanciato nel 1917 dagli
insorti di Kronstadt contro ogni separazione e ogni autorità: "I lavoratori
del mondo intero ci giudicheranno, il sangue degli innocenti ricadrà sulle teste
di coloro che si sono ubriacati di potere".
Daniele Pepino
da PORFIDO - novembre 2000