OSSERVATORIO FLASH a cura di COSPE e CRIC
25 giugno 1997 - 1
Valona, geografia dello scontro elettorale
di Antonio Mazzeo, dell'Osservatorio sul processo democratico in Albania.
Sono 45 i candidati che si contenderanno domenica 29 giugno i sei seggi del distretto di Valona. Età media 40-45 anni, istruzione universitaria, 5 indipendenti, solo 2 donne. Erano 47, ma la commissione nazionale di controllo sui candidati (la cosiddetta "commissione per la verginità") ha respinto 2 candidature, mettendo fuori gioco in particolare Myrteza Çaushi, alias "Zani", l'ormai noto boss del quartiere popolare di Çole. Solo 2 organizzazioni politiche - il Pbdnj, che rappresenta la minoranza di origine greca residente in Albania, e il Dbsh, coalizione di estrema destra - hanno presentato loro candidati in tutti e sei i collegi di Valona. Cinque su sei le zone coperte dal partito democratico; all'ultimo momento il neo segretario locale del Pd, Argent Grabova, vittima 15 giorni fa di un grave atto intimidatorio dai contorni non ancora chiari, ha ritirato la propria candidatura trasferendo i familiari a Tirana. La sparatoria contro l'abitazione di Argent Grabova è stata fino ad oggi l'unico elemento che abbia turbato direttamente la campagna elettorale a Valona, anche se gli altri candidati del Pd hanno rinunciato a organizzare meeting e incontri pubblici.
Una campagna sotterranea anche quella delle forze politiche minori (partito agrario, partito dell'unità nazionale, partito conservatore), che pure hanno presentato loro candidati nel distretto di Valona. Diverso l'impegno del partito socialista, del partito socialdemocratico, della coalizione di estrema destra e del partito di alleanza democratica, che hanno organizzato meeting con i massimi dirigenti nazionali. Incontri tra i candidati dei collegi sono stati organizzati nel salone del liceo di Valona dalla neocostituita associazione degli intellettuali, gruppo che raccoglie una cinquantina tra docenti universitari e professionisti e che ha ricevuto allo scopo un contributo di 4500 dollari da Usaid, l'agenzia statunitense per gli aiuti allo sviluppo. Secondo il presidente dell'associazione, Mihallaq Argiri, "lo scopo è quello di contribuire a sviluppare la cultura democratica in vista delle elezioni del 29 giugno. Vogliamo una normalizzazione della vita in città per creare le condizioni di una vera democrazia, senza violenza e senza terrore".
Per ciò che riguarda direttamente la competizione elettorale, nella zona 103, che raccoglie le municipalità e i villaggi a nord di Valona, spicca la candidatura del socialista Arben Malaj, ministro delle finanze del governo Fino. Un po' meno scontato appare il risultato nel collegio 104, costituito da alcuni villaggi di campagna e dalla periferia nord di Valona, dove a contendersi il seggio ci sono Kurt Kola, uno dei leader del forum per la democrazia, e altri due candidati "indipendenti', il dirigente del Ps Vladimir Fejzu, sostenuto dal comitato di salvezza, e l'ingegnere chimico Platom Arapi, membro del comitato centrale del Ps, già responsabile del partito comunista di Valona ai tempi di Hoxha. La candidatura di Fejzu e Arapi sarebbe legata al malessere interno ai socialisti valonesi, che non avrebbero digerito l'accordo nazionale tra le opposizioni di sinistra, che prevedeva di riservare nel distretto un seggio al forum per la democrazia. La competizione tra i due dirigenti sarebbe poi espressione delle due anime interne al Ps, quella più vicina alla socialdemocrazia europea e quella neocomunista.
Nel collegio 105, Valona centro, scontro aperto tra l'economista Eduard Alushi, leader locale del Ps, e il presidente del consiglio della municipalità di Valona Medim Xhelili, responsabile locale del Psd. Le due candidature sarebbero sortite dal conflitto tra i socialisti e i socialdemocratici di Valona apertosi nei giorni della rivolta. Le reciproche tensioni hanno spinto a disattendere l'accordo sottoscritto dai due partiti a Tirana per la scelta di candidati comuni in tutti i collegi uninominali. Commenta Medim Xhelili: "Abbiamo raggiunto l'accordo con il Ps solo nei collegi 103 e 107. Nel primo sosteniamo il ministro Malaj, nel secondo il Ps si è impegnato a sostenere il nostro segretario nazionale Gjinushi. Negli altri collegi abbiamo voluto presentare nostri candidati per capitalizzare voti da indirizzare sulla lista proporzionale. Per ciò che mi riguarda, so benissimo che Alushi parte nettamente favorito, avendo dietro la possente organizzazione del suo partito. Io sono preso dall'incarico assegnatomi dal governo Fino di prefetto straordinario di Valona per il periodo elettorale". Meno diplomatica la replica del leader socialista Eduard Alushi: "Avevamo ripetutamente sostenuto la nostra volontà di appoggiare il Psd locale, ma quel partito ha deciso di fare tutto da solo, candidando suoi uomini nei collegi che l'accordo nazionale ci aveva riservato. Sono loro i responsabili della rottura di questo accordo". Alushi rifiuta ogni responsabilità degli organi dirigenti del Ps nello "sgambetto" all'indipendente Kurt Kola del forum per la democrazia: "Kola non avrebbe dovuto rifiutare pubblicamente il sostegno del Ps, dichiarandosi uomo di destra. Comunque ribadiamo che i due dirigenti socialisti che hanno ritenuto di candidarsi come indipendenti lo hanno fatto in maniera autonoma da ogni decisione del partito. Il Ps e le sue strutture interne non li sosterranno".
Nel collegio 106, altro scontro Ps-Psd, stavolta attraverso due candidati protagonisti delle iniziative del comitato di salvezza: Luiza Hoxha per i socialisti e Albert Shyti per i socialdemocratici. "Contrapporre Shyti alla Hoxha è stato un colpo basso del Psd", commenta Alushi. "Considerato l'impegno che Shyti ha profuso durante i giorni della protesta di Valona, mi dispiace che si sia prestato a questo gioco". Una scelta, quella di Shyti, giudicata errata soprattutto dai rappresentanti del comitato di salvezza, che lo hanno rimosso dalla presidenza dell'organismo. "Shyti sapeva bene che avevamo deciso di sostenere la candidatura di Luiza Hoxha", spiega Dashamir Beja, portavoce del comitato di salvezza di Valona. "Gli avevamo preannunciato che se avesse accettato sarebbe stato sostituito alla guida del comitato. In un paese dove solo l'un per cento dei candidati è donna, l'eventuale elezione della Hoxha sarebbe una specificità che caratterizzerebbe l'esperienza dei comitati di salvezza". Alla presidenza del comitato è stato eletto Luftar Petroshati.
A rendere più plausibile l'ipotesi che il seggio della zona 106 possa essere assegnato al ballottaggio c'è la discesa in campo per il Pd dell'ex parlamentare Ajrim Jupi, già fondatore del partito (con una breve parentesi in Alternativa democratica), e l'inaspettata candidatura da indipendente del 22enne Albert Rama, uno dei promotori dello sciopero della fame degli studenti dell'università di Valona. Anche la candidatura di Rama ha lacerato uno dei soggetti più impegnati durante le rivolte del febbraio-marzo. Molti degli universitari di Valona hanno aspramente criticato la scelta di Rama, rivendicando la piena autonomia del movimento degli studenti, "estraneo alla logica dei partiti e delle competizioni elettorali".
Pieno d'incognite l'esito per la zona 107, il collegio riservato dal tavolo Ps-Psd di Tirana a Skendet Gjinushi, dopo essere stato promesso allo storico Paskal Milo, finito nella lista Psd per il proporzionale. A non rendere scontata l'elezione del leader nazionale socialdemocratico, oltre agli screzi interni alla sinistra locale, vi è la candidatura per il Pad del giornalista di Koha jonë Frok Çupi, insignito dai valonesi della cittadinanza onoraria per i suoi reportage durante la rivolta. Rischio di ballottaggio anche per l'ultima zona, il collegio 108, dove a contendersi il seggio dovrebbero essere l'ex deputato socialista Sabit Brokaj e il dirigente socialdemocratico Shpetim Sulce; terzo incluso l'ingegnere Tanas Naci, del Pbdnj, che dovrebbe raccogliere consensi nella comunità greco-albanese che popola i villaggi e le municipalità a sud di Valona.
Sono 98.136 gli aventi diritto al voto nel distretto di Valona, ed è polemica: "Alle elezioni del 26 maggio 1996 avevano votato in 118.000, 20.000 in più degli abitanti oggi censiti dalla commissione municipale. Ma tra gli elenchi affissi al comune mancano numerosi residenti, mentre comparirebbero centinaia di valonesi emigrati negli ultimi mesi in Grecia e in Italia.
QUATTORDICI CHICCHI DI CAFFÈ*
da Scutari Anna Maria Gravina e Rosella Simone, dell'Osservatorio sul processo democratico in Albania.
Qui in Albania il sud è il nord della Grecia, paese legato al mercato di occidente. Il nord invece è il sud del Montenegro, paese dei Balcani. E così la geografia economica dell'Albania è ribaltata rispetto a noi. Il sud è più ricco, si fa per dire, e il nord è più povero. Ed è veramente più povero. Povero da fare male agli occhi. Ma con un passato. Un passato che si vede. Nel castello di Rozafa e nel dimenticato splendore delle vecchie case di Scutari, piccole e leggiadre, ma ormai corrose dall'incuria e affondate nell'immondizia. Nelle città fortificata di Lezha, scenario delle gesta dell'eroe per eccellenza Jergy Kastriot "Skanderbeg". Il cavaliere feudale dalla barba fluente e con l'emblema del caprone sull'elmo, difensore della croce contro il turco invasore, simbolo unico ormai della nazione albanese. Unico sì, perché qui più che a Tirana o a Valona si ha l'impressione di un dolore che scava così dentro le coscienze da non avere consolazione. Gli anni della speranza della "democrazia" si sono concretizzati qui in uno guasto enorme e dimenticato.
Scutari è come svuotata di forza, sfiduciata. Trascurata da Enver Hoxha, strumentalizzata da Berisha, ignorata quasi dalle Fmp e dagli osservatori dell'Osce si dibatte in un vuoto fuori dal tempo. Tutti i negozi che vendono merci di valore hanno le saracinesche abbassate, le fabbriche sono scheletri. Come la cartiera vicino a Shëngjin, di cui sono rimasti solo i pilastri e tutto il resto è stato spolpato via: dalle attrezzature alle porte, al ferro delle strutture e persino i mattoni delle pareti. Certo ha rubato la gente, per venderne il ferro in Macedonia, per costruire la propria casa, per chissà quale altro riciclo. E perché non avrebbero dovuto farlo? Non era stata proprietà del popolo, quindi anche loro? E, soprattutto, non avevano i grandi consiglieri d'Europa consigliato, per avviare l'Albania alla nuova economia di mercato, proprio l'opzione zero, il big-bang creatore? Cioè radere al suolo ogni attività iniziata dall'esecrato regime comunista? Tanto poi sarebbero arrivati la ricchezza e il dollaro, oppure il marco o almeno la lira a risistemare tutto.
E invece sono arrivate le società piramidali, che hanno rastrellato quello che di denaro liquido c'era in circolazione. Soldi sudati con il lavoro degli emigranti o ripuliti dal rischio della vita di chi faceva contrabbando di armi, di benzina e sigarette o altro ancora, attraverso il lago o i monti, verso la Serbia. Poi sono saltate le finanziarie-truffa e anche la speranza. E quando la rabbia popolare esplosa al sud e l'occidente, spaventato da una possibile emigrazione di massa, hanno costretto il partito democratico al potere ad accettare un governo di riconciliazione nazionale, Berisha ha dato ordine che a Tirana e al nord fossero aperti i depositi e distribuite le armi (quelle almeno che non erano ancora state vendute in Bosnia). Prima alla gente vicina a Berisha, dicono qui, e il resto lo hanno preso gli altri, per difendersi o per attaccare, o magari solo per avere nelle mani un giocattolo pericoloso e che fa sentire forti. Così a Scutari e dintorni si sono formati piccoli e agguerriti eserciti. E qualcuno neanche tanto piccolo, come la banda insediata nel villaggio di Bardhaj; un centinaio di uomini armati sino ai denti e ben organizzati. C'è chi assicura che siano stati loro ad assaltare le banche. Già, perché da queste parti tutte le banche sono saltate in aria a colpi di tritolo. E c'è chi dice che non sia stato per prendere i soldi della cassa ma per nascondere il fatto che nella cassa i soldi non c'erano più. Perché erano stati generosamente prestati senza obbligo di ritorno a "famigli" di Berisha. Poi ci sono bande come quella che ruba le paghe destinate ai dipendenti della diga idroelettrica di Keman, una delle ultime industrie albanesi che continua a lavorare. E se non fanno i ladri fanno le guardie. Proteggono, a volte su richiesta del proprietario, a volte col ricatto, negozi e imprese.
In questi giorni persino la missione dei salesiani di Blinisht ha due guardie armate davanti al cancello. Là da cinque anni c'è Don Antonio Sciarra e con lui Elsa, una terziaria. Hanno lavorato con la gente, impiantato una scuola di tessitura artigianale e una di ceramica, frutteti e un corso per muratori. E poi hanno fatto anche una cosa strana: hanno piantato in un piccolo recinto del loro giardino dieci croci bianche e un cartello. C'è scritto "Vajzat e humbura te zadrimes", che in italiano vuol dire "le ragazze perdute di Zadrimë". Zadrimë è una ragione a sud di Scutari. Una pianura coltivata soprattutto a granoturco, dove le donne portano ancora il costume tradizionale di cotone bianco e spesso, la gonna pieghettata sopra i pantaloni, il corpetto rosso ricamato e il velo sui capelli da sotto il quale escono due ciocche tinte di nero. Uomini e donne piegati da una fatica senza scampo.
Ma le donne giovani sono belle, comunque sono giovani e forse hanno voglia di andare via da quella terra bassa, da questo medioevo. Magari a vedere i paesi che si vedono alla televisione, che troneggia, ultima arrivata, nelle case che hanno l'elettricità. A volte si tratta di un rapimento in piena regola, altre volte, forse, si fanno rapire dai loro sogni. Seguono uomini vigliacchi, decisi a diventare ricchi a tutti i costi e finiscono per fare le puttane in Italia o in Grecia. Diventano "donne perdute", appunto. Questo prete di Zadrimë ha deciso di ricordarle alle famiglie con quelle croci. Forse è un gesto di carità. Peccato che quelle ragazze "perdute" non siano morte ma vive, donne a cui quelle croci bianche messe lì a segnare la tomba della verginità perduta sembrano negare il diritto a un futuro. Qui le donne sono più strumenti che persone. Nelle campagne o sui monti sono pertinenza della casa, in città hanno più respiro, ma di casa non si esce se non con la madre o il padre. Neanche al funerale possono andare. Qui a Scutari una ragazza è morta uccisa da una pallottola vagante. Le donne l'hanno pianta dentro la casa, ma solo agli uomini la tradizione concede di accompagnarla al funerale.
Forse a contare meno delle donne, qui al nord, ci sono solo i Magjuk. Gente dalla pelle scura che vive oltre il fiume Drin in case piccole e ancor più povere delle altre, ai quali sono riservati i lavori più miseri, come lo spazzino. Gente gentile, che fa molti figli e chiede l'elemosina. Come Magnolia, una bambina bellissima con gli occhi scuri, ridenti e fieri di una Carmen.
Ma dare un giudizio su tutto questo attraverso lo sguardo supponente di un occidentale che viene qui ad "aiutarli" sarebbe solo stupido. Quando il presente è feroce e il futuro incerto, ci si volta al passato. Un passato lontano, oltre i cinquant'anni di Enver Hoxha. Un passato mitizzato, forse, dove trovare ordine e legge e magari anche un po' di gloria. Quella conservata gelosamente nelle "vecchie famiglie" e nelle canzoni di gesta che ne cantano il coraggio, quella che ha le sue radici nella Bessa, la parola data, e nell'onore che si tramuta in vendetta. A Scutari sono i clan antichi ad aver preso il posto della legge che non c'è. Sono loro l'onore perduto di questa Albania troppo povera e troppo sfortunata. E saranno loro a determinare il voto in questa parte del paese. Chiunque vinca, o il partito socialista o il partito democratico o la destra unita, o Vucaj o Spahja o Boriçi, sarà sempre qualcuno che appartiene alle grandi famiglie.
"Speriamo che gli albanesi sappiano accettare ogni risultato", ci ha detto un giovane consigliere del partito democratico, e non si capiva se lo diceva perché sperava di vincere o temeva di perdere. Sembrava però, come Teresa Batista, stanco di guerra. Qui si è persa anche la memoria di un ordine giusto. E quello che è arrivato a bordo delle molte bandiere delle Fmp sembra un ulteriore scherzo del destino.
Questi bei soldatoni spagnoli anche qui si vedono poco, scortano i quattro gatti dell'Osce che nei villaggi arrampicati sulle montagne, dove non si arriva neanche a dorso di mulo, non andranno mai. E magari invece, per amicizia - dice Gennaro, imprenditore italiano di Shengjin - scortano i suoi camion di acciughe sino al porto di Durazzo. Questo imprenditore italiano, tra l'altro, contribuisce ad inquinare con le acque di scarico della sua impresa il mare e paga le 200 donne che lavorano per lui a cottimo 6000 lire al giorno. Inoltre ci ha confidato che sino a poco tempo fa, tra i suoi guardiani, c'erano anche due guardie presidenziali che il governo di Berisha gli aveva fornito.
Quella dei quattordici chicchi di caffè è una storia vera. Dolce e amara come sono quasi sempre le storie vere. Quattordici chicchi, quanti servono per fare il caffè alla turca, quelli che regalava la madre di Arben a suo figlio. Quattordici e non uno di più, perché nell'85 - Arben aveva 18 anni - erano preziosi. Un privilegio speciale per il figlio prediletto. Nel 1985, al di là dell'Adriatico, un po' più in giù guardando da Rimini, si consumava, con amore e dignità, un rito di povertà che stordisce. Stordisce perché Arben è nato in Europa, anche se dalla parte sbagliata, quella dei Balcani; perché Arben è nato nel '67 e parla e scrive perfettamente quattro lingue ed è un ottimo musicista, uno che suonava il violoncello nell'orchestra sinfonica di Scutari. Allora crediamo che per capire l'Albania si debba partire da qui. Da un popolo colto e intelligente, giovane e coraggioso e dimenticato. Con una storia di cinquant'anni che nella situazione attuale non serve a niente se non, come i fogli di un vecchio libro con i discorsi di Enver Hoxha, a incartare le fette di Byrek in un chioschetto di Lezha. E con un presente che è solo la scena di un disastro. E allora non resta che un passato remoto, quello delle antiche legge, delle antiche famiglie, di una identità che guarda verso l'altro ieri. Oppure verso occidente, con il fideismo rassegnato di chi forse ha perso tutto. Tra passato e presente, tra l'occidente e i Balcani Arben, Ylli e Valbona, ragazzi di Scutari dagli occhi scuri, rischiano di essere stritolati. E sarebbe un vero peccato, perché sono più che belli. Sono vivi.
*pubblicato su Liberazione nella stessa data