Sta per uscire in libreria il numero speciale di "Futuribili" dedicato all'Albania - ne anticipiamo qui l'editoriale
"ALBANIA. TUTTA D'UN PEZZO, IN MILLE PEZZI.... E DOPO?"
di Alberto Gasparini
1. Da una società "tutta d'un pezzo" ad un'altra "tutta d'un pezzo"
senza transizione
Il titolo e il quadro di Dall scelti per il numero di Futuribili
dedicato all'Albania vogliono offrire la chiave per la interpretazione
di quello che sta succedendo in Albania, e di quello in cui potrà
evolvere la situazione. La chiave possiamo esprimerla nei termini
seguenti. Da un'Albania rigida e monolitica, "tutta d'un pezzo", era
difficile passare a un'Albania composita e complessa per articolazione
di poteri, di gruppi sociali, di gruppi economici, di ideologie, di
aree geografiche, di storie specifiche; ed anzi, semmai è esistito il
disegno, esso è fallito e ha fatto regredire l'Albania nell'Albania che
non è mai esistita o, se vogliamo, nelle tante Albanie dei tanti
signorotti e delle tante potenze straniere. Dunque dall'Albania "tutta
d'un pezzo" si è passati ai mille pezzi dell'Albania, e forse alle mille
Albanie. Eppure dai disastri più o meno annunciati o dai deserti dove
esiste realtà indifferenziata e dove non esistono centri e periferie o
reti o realtà organizzate, la carretta, forse un po' vera e un po'
fantasma, "deve" andare verso una nuova città, quella della convivenza e
dell'ordine e della prevedibilità delle regole.
Futuribili vuole esplorare il cammino fatto e ipotizzare dove pur
portare la strada non ancora costruita ma progettata da mille persone.
Si è trattato di una via che, partita da una società rigidamente chiusa
(quella comunista), non ha portato da nessuna parte e che è sfociata in
un'altra frantumata che anch'essa non porta da nessuna parte, e alla
fine imbocca la via lungo la quale è ripensata e realizzata una società
in cui il pluralismo si compone di gruppi differenti, utili
reciprocamente e non nemici da abbattere. E' una strada quest'ultima che
percorrendola costruisce un paese democratico, senz'altro imperfetto ma
capace di dialogare coi valori degli altri paesi, in particolare coi
valori della tolleranza, del pluralismo e del realismo su quello che si
può fare e sui tempi in cui questo si può concretare.
Se impostiamo il discorso in questi termini, è chiaro che possiamo
porci quesiti del tipo. Qual è stato il concetto di democrazia che ha
informato le azioni pubbliche e private: quello della tolleranza e della
accettazione delle diversità che si compone in un tutto organico? Oppure
quello del consenso dal basso? Oppure quello di una sua immagine che
poteva venire dall'esterno, direttamente per vita vissuta oppure
indirettamente ma più diffusamente dalle immagini del benessere
televisivo? Come tali idee di democrazia sono state metabolizzate in
domanda politica e sociale dalla gente e sono state trasformate in
progetti politici da parte dell'élite che ha governato l'Albania? Una
prima nostra risposta, che poi influenza l'intera lettura della
situazione albanese, è che la classe politica che ha governato il dopo
Hoxa e il dopo Alija abbia finito per identificare la democrazia con il
consenso a chi governa e al potere che detiene.
Per Berisha e la classe politica dirigente democrazia è prevalentemente
consenso, e dunque il passare da un'Albania "tutta d'un pezzo" (quella
comunista) a un'altra "tutta d'un pezzo" (quella di un capitalismo
fatto di consumo di beni vistosi) è quasi automatico. Basta credere che
sia possibile, e cioè consentire che possa avverarsi che da un'economia
dominata dalla politica per la "società nuova" comunista (Enver Hoxha)
si possa passare a un'economia della politica per un individuo, diverso
uno dall'altro a causa delle modernità consumate coi beni vistosi, senza
catarsi delle strutture sociali, economiche, culturali e dell'individuo
stesso.
Il peccato originale della classe politica è il credere che democrazia
sia solo consenso sui sogni collettivi e non sulla realtà della
transizione e dei suoi tempi; e in fondo il peccato originale del popolo
albanese è stato quello di pensare, anzi di credere, che nascesse
d'incanto e gratuitamente un'altra società perfetta, simmetrica e
opposta a quella comunista, condivisa e subita fino a qualche anno
prima.
* * *
Perché questa ubriacatura collettiva? Perché probabilmente a un'Albania
"tutta d'un pezzo" doveva succedere un'altra Albania "tutta d'un pezzo".
A un sistema chiuso in se stesso e verso l'esterno, coeso in tutte le
sue parti, com'era quella comunista, doveva succederne, era auspicabile
che ne succedesse, un altro, aperto ai consumi, in qualche modo
fittiziamente chiuso nel suo sogno di realizzare immediatamente il punto
di arrivo, una società post-moderna.
In definitiva a modo suo anche la nuova società doveva essere rigida e
incapace di adattarsi alla realtà, in quanto figlia dell'inesistenza di
vera conoscenza di ciò che sta fuori dell'Albania. E' così che un popolo
che non conosce il moderno crede alle finanziarie-piramidi che gli
promettono di diventare ricchi e consumatori dei beni propagandati dalla
televisione, senza sforzo, senza creatività e lavoro. E il grande
peccato, come detto, della classe al potere è quello di illudere che il
sogno sia reale, e che dunque il mercato, la produttività, la
competizione siano derivati dall'incanto dei sogni, per grazia ricevuta.
2. I perché del passaggio da una società perfetta a un'altra società
perfetta
Perché il passaggio da una realtà perfetta al sogno di un'altra realtà
perfetta, impossibile da realizzare? E perché tale passaggio invece
rischia di ricadere nel "solito storico" delle mille entità, nei
caratteri costanti della storia dell'Albania e nella loro evoluzione nel
regime degli ultimi cinquant'anni? Fra tali ragioni richiamiamo le
seguenti.
1 - L'Albania che ha preso in consegna il comunismo di Enver Hoxha era
un paese in qualche modo unificato da un monarca intraprendente come
Zogu e da un dominio straniero affrettato e di guerra. Ma era un paese
anche tradizionale, dalle mille comunità quasi indipendenti e rette da
capi e bey, anch'essi molto slegati da un potere centrale albanese o
esterno, fosse esso di segno serbo o turco. E si sa che proprio questa
indipendenza è sinonimo di chiusura all'esterno, di isolamento, e di
conseguenza l'esterno è nemico, è pregiudizialmente nemico. Del resto i
dominatori sono venuti dall'esterno di quello che era l'Albania o anche
della semplice comunità. Dunque l'Albania porta come retaggio storico
una polverizzazione di signorie, rette da codici, valori, sistemi
sociali profondamente tradizionali, divisi l'uno dall'altro e sicuri di
essere i detentori della "verità" tutta intera, la quale ovviamente non
è detenuta da nessun altro. E' un substrato storico che legittima
ideologicamente la polverizzazione estrema del potere per gruppi
sociali, per gruppi politici, per aree geografiche, per bande.
2 - L'Albania è un paese balcanico, in quanto condivide con quello che
era già diventato il regno di Serbia e che diventerà la Jugoslavia, la
frammentazione sociale e culturale estrema del territorio per comunità
chiuse ma anche autonome, il potere turco, anche a volta lo scontro tra
autoctoni e dominatori serbi o turchi. Ma è balcanico anche nel senso
che prevarrà alla fine della seconda guerra mondiale un regime politico
e sociale analogo a quello jugoslavo, come lo è quello comunista. Di
questi aspetti Futuribili ha avuto occasione di trattare nel numero
dedicato a "Oltre le guerre balcaniche. Cosa può succedere quando i
piccoli dei hanno grandi sogni" (n. 2, 1994).
3 - L'unica differenza rispetto al resto della Balcania è che l'esterno
esperito, e solo in parte subito, non è l'Impero Austro-ungarico ma le
potenze che vengono dal mare e in primo luogo quelle che vengono
dall'Italia. Prima sono i Normanni di Roberto il Guiscardo, poi gli
Angioini, poi gli Aragonesi di Napoli, e contemporaneamente e dopo la
Repubblica di Venezia. Sono dei vicini un po' lontani, che giocano le
armi dell'influenza politica, dei commerci e della difesa dei commerci,
e coi quali si può impostare un sistema di relazioni di apertura e di
riferimento nei casi di pericolo. L'espressione del mito eroico albanese
quale è Scanderbeg avrà come referenti l'Italia e il regno di Napoli, e
del resto i fuggitivi dell'Albania ricreeranno le piccole Albanie
comunitarie proprio in luoghi di questo regno. Ciò significa che il
nuovo, come idee e come modelli, sarà atteso da tale referente più
lontano e meno incombente (salvo che nel periodo della disgraziata
unione alla corona italiana) qual è l'Italia. E con questo riferimento
all'Italia, in realtà ci si riferisce anche all'Europa e agli Usa,
all'Occidente.
4 - Il regime comunista imposto riproduce i caratteri di chiusura e di
completezza, pur in grande, che è tipico delle comunità autonome e
profondamente tradizionali, contro le quali lo stesso Zogu ha dovuto
combattere. In definitiva il comunismo applicato in Albania diventa una
via albanese al comunismo, in quanto: 1) fa propria la monoliticità
della comunità tradizionale immettendovi una certa dose di
industrializzazione diretta dall'alto, che sostituisce alla tradizione
degli avi l'autorità laico-religiosa del partito e dell'"uomo nuovo"
socialista; 2) si fonda e reinterpreta i valori della tradizione che
vede nella propria comunità l'espansione massima della verità; e quindi
3) svuota di contenuti la necessità di avere contatti con l'esterno.
L'apertura può essere esiziale al processo di realizzazione del
socialismo: e quindi è necessario non inquinarlo con l'apertura non
solo all'occidente capitalista, ma anche al comunismo iugoslavo e al
comunismo sovietico. E se apertura deve esserci, questa sarà verso un
comunismo molto lontano, come quello cinese, il quale si fonda su molte
delle premesse di quello tradizionale e comunitario albanese, a
cominciare dal suo trarre legittimazione dalla campagna e dalle comuni
ivi realizzate.
5 - La mancanza di esperienze industriali di modernizzazione e la più
isolata tradizione, già di per sé chiusa, hanno privato l'Albania anche
di quelle esperienze che ad altri paesi dell'area comunista hanno
permesso di mantenere un contatto con l'esterno e di elaborarlo nella
cultura civile, per poi trasformarlo in strumento di controllo e di
interpretazione di quello che effettivamente avveniva al di fuori del
mondo comunista, imposto dai regimi dell'ultimo dopoguerra. Esempi
specifici sono l'Ungheria, o anche certe zone della Romania, oltreché i
paesi dell'Europa centrale. A ciò si aggiunge il fatto che è assente in
Albania anche l'emigrazione dei lavoratori o la formazione culturale
all'estero delle élites.
6 - In realtà un'apertura all'esterno per decenni c'è stata, e questa è
dovuta ai canali televisivi italiani, della Rai o di Berlusconi. E
tuttavia il dramma sta proprio nel fatto che l'unica apertura verso
l'esterno è derivata da questo mass medium, e dunque esso è diventato il
veicolo unico di una concezione della democrazia, solo vista, non
sperimentata, e mediata a sua volta da un accesso diffuso ai beni di
consumo. Abbiamo già indicato la convinzione che proprio questa unica
apertura distorta all'esterno sia stata alla base della formazione della
domanda di una nuova Albania "tutta d'un pezzo" e che una certa classe
politica per ottenere ad ogni costo il consenso "democratico" abbia
favorito l'affermarsi di questa Albania fine a se stessa e finita in se
stessa, la quale è tale proprio perché irreale. Inoltre questa nuova
Albania è "tutta d'un pezzo" pure perché il potere politico ha ancora
rigidamente infeudato a sé i poteri esecutivo, legislativo, giuridico.
Si sa tuttavia che una società rigida e monolitica è destinata a
fallire in quanto non riesce ad affrontare il cambiamento, anche se
fisiologico, in quanto non è formata di pesi e contrappesi, di un
pluralismo che è fatto di reciproca accettazione. La conseguenza è che
il mutamento avviene per "catastrofi" e non per evoluzioni più o meno
indolori. Il ritorno alle mille Albanie dei gruppi, delle bande, delle
lobbies, dei paesi del Nord e del Sud, delle ideologie radicalmente
opposte diventa la soluzione più naturale, quando crolla l'Albania
"tutta d'un pezzo", se non altro perché la storia ha insegnato che
queste "possono" essere delle soluzioni.
3. Alcune possibili vie per il futuro dell'Albania
Il "dopo" sarà veramente così? Potrà veramente essere così? E cioè il
"dopo" sarà ancora schiavo di tali incapacità di entrare a contatto con
l'esterno e di tali deformazioni dell'idea del contesto europeo e
mondiale dove l'Albania pur trovare la propria funzione, ma soprattutto
sarà in balia delle rigidità che finora hanno segnato la transizione
come passaggio per "catastrofe" da una Albania "tutta d'un pezzo" a
un'altra "tutta d'un pezzo", e poi a un'Albania in mille pezzi? Tale
sequenza di Albanie, pur forse spiegare perché la transizione della
prima ora è sembrata molto morbida e radicalmente diversa da quella
romena della caduta di Ceausescu, salvo poi piombare in questi mesi in
una drammaticamente violenta.
Le domande qui fatte possiamo rovesciarle in altrettante domande su
come sarà il futuro dell'Albania e lungo quali vie esso può avviarsi. A
nostro avviso vi sono almeno tre vie, che l'Albania pur scegliere o
lungo le quali può sentirsi spinta.
La prima è una via balcanica. In tal caso potranno risultare
enfatizzate le ragioni dell'unità degli Albanesi dispersi per i
differenti paesi balcanici secondo la logica, che produce asimmetria fra
stato e nazione, tra uno stato piccolo e una nazione albanese che si
allarga al Kossovo, alla Macedonia, alla Grecia. Il programma del
pretendente al trono Leka e i risultati elettorali pro-monarchia nel
referendum istituzionale del 29 giugno 1997 indicano come possa
riemergere tale linea balcanica, se non altro in presenza della Albania
"tutta d'un pezzo" numero due, in cui il caos e il cattivo uso delle
istituzioni hanno reso disperante la via occidentale al futuro. D'altra
parte però tale asimmetria tra stato e nazione, come già evidenziato in
Futuribili (n.2 1994), non fa che alimentare conflitti striscianti,
latenti e esplosivi. Inoltre la diffusione delle armi nel paese e la
presenza di potenti organizzazioni criminali accentuano tale instabilità
per la collocazione del paese in una regione composta da stati piccoli
e già instabili per ragioni analoghe o sotto tutela di una o dell'altra
potenza o di forze europee, a cominciare dalla Bosnia o dalla Macedonia
o dalla Serbia. Si tratta ad ogni modo di un sistema di instabilità che
per la loro circoscrizione alla regione balcanico-danubiana assumono
risonanze più regionali e quindi "micro".
La seconda è la via islamica. La lunga tradizione islamica del governo
ottomano ha lasciato profonde tracce, nonostante l'ateismo di stato
cinquantennale. Alcuni fatti indicano che le possibilità islamiche
possono rafforzarsi: certi passi verso l'integrazione del paese nelle
organizzazioni internazionali islamiche, l'iniziativa (finora non
ratificata dal parlamento) del 1992 del governo di far diventare
l'Albania membro della Conferenza Islamica, il ruolo non chiaro delle
banche islamiche in investimenti principalmente religiosi e finanziari
(e forse anche nelle piramidi). A questo proposito bisogna ricordare che
la più grande piramide fallita (Gjallica) è stata una joint venture
turco-albanese. E' chiaro che anche una via islamica può generare in
un'area tanto delicata e sensibile agli scontri etnici com'è quella
balcanica, dei forti elementi di instabilità e di conflittualità, in
particolare se poi si produce una connessione organica con la islamica
Bosnia, col suo governo e con le sue linee politiche e religiose,
conseguenti alle spartizioni della Bosnia-Erzegovina tra Serbi, Croati e
Mussulmani, nonostante gli accordi di Dayton. E' evidente che tali
instabilità assumerebbero una caratterizzazione "macro", per gli
effetti di scontro fra civiltà e interessi di potenza fra occidente e
mondo islamico turco, arabo, iraniano.
Infine forte è la via italiana ed europea, che del resto l'Albania ha
cercato di perseguire, però solo come via davvero percorsa in un attimo
per arrivare immediatamente al capolinea degli stili di vita
occidentale. Il disastro cui ha portato questo approccio è sotto i
nostri occhi, e l'abbiamo definito come nuova Albania "tutta d'un
pezzo". Nonostante ciò crediamo che questa via sia la più efficace nel
permettere all'Albania l'ingresso nella società moderna, pluralista,
realista, democratica, alla fine di una transizione che deve avere il
volto dell'umanità albanese confrontata con l'esterno. Le necessità sono
tante, ma forse la più importante è quella di un'élite civile e politica
che fondi la propria azione sui principi della convivenza, della
collaborazione, della partecipazione e non invece su quelli della
esclusione, della emarginazione, della creazione di nemici da
schiacciare. Certo, lungo questa via può farsi sentire la
globalizzazione economica che crea infeudamento del paese alle logiche
economiche dei più forti e dello sfruttamento. Lo sviluppo per l'Albania
comincia da una classe politica che sappia sfruttare l'ansia di libertà
dalla povertà e dall'emarginazione rispetto agli altri popoli europei,
che è implicita nelle ondate migratorie che famiglie intere mettono in
atto pur di raggiungere una società migliore. Si tratta d'altra parte
di una via italiana ed europea che esce rafforzata dall'esperienza di
questi mesi, in cui si constata che la frantumazione in clan e lobbies
non paga e produce solo non regole, non stato, insicurezza totale; e in
cui l'emigrazione oltre ad essere anelito verso un futuro migliore è
fuga irrazionale dal caos del presente. Del resto il passaggio dal 70%
di consensi elettorali dati nelle elezioni del 1996 al Partito
democratico al 70% di consensi dati nelle elezioni del 29 giugno 1997
alla sinistra dei socialisti e dei social-democratici può essere
interpretato come risposta propositiva e realista dell'accettazione di
una transizione in cui il sacrificio per un futuro europeo sia
sopportabile (non strangolante), e che contemporaneamente mantenga le
promesse di fare dell'Albania un paese moderno e inserito nel
cosmopolitismo delle società occidentali.
4. Il "prodotto" Futuribili
"Albania. Tutta d'un pezzo, in mille pezzi,... e la carretta che va
verso la città delle regole civili" è il progetto di Futuribili, che
abbiamo proposto a Kosta Barjaba, e che egli ha affrontato con
entusiasmo e conoscenza profonda dei problemi, del popolo, delle élites
albanesi. A Kosta Barjaba siamo profondamente grati per lo sforzo e
l'intelligenza che ha messo nel curare questo numero di Futuribili, e
quindi per avere offerto al pubblico italiano uno spaccato, visto dal di
dentro e cioè dagli albanesi stessi, di cosa sta avvenendo e può
succedere nel futuro prossimo.
Il sociologo Kosta Barjaba, una figura di spicco della sociologia e
della cultura del suo paese, è un albanese molto europeo per le sue
esperienze di ricerca in molte università italiane, tedesche, norvegesi.
Attualmente ho il piacere di averlo ospite nell'Università di Trieste e
nell'Isig per svolgere insieme ricerche sui modelli di sviluppo e le
migrazioni albanesi.
Come detto, Futuribili ha affidato a Kosta Barjaba l'onere di costruire
un numero della rivista sull'Albania. Il risultato è quello che appare
qui pubblicato. In esso sono confluiti testimonianze, documenti,
articoli di studiosi, di letterati, di politici, interviste a politici,
a ministri e primi ministri, a capi dei ribelli. Le interviste sono
state fatte in massima parte dallo stesso Kosta Barjaba, ma egli si è
avvalso pure della collaborazione di colleghi albanesi, come Fatmir
Zanaj (per le interviste a A. Shyti e Gj. Malaj), Jorgji Kote (per
l'intervista a B. Fino), Ardian Mici (per la traduzione dei testi di
Agolli e Abdiu). Sandor Mattuglia ha introdotto e curato la traduzione
del testo di I. Andric e Giuseppe Sciortino ha curato la traduzione
dell'articolo di L.K. Hart. A tutti va il gratissimo ringraziamento di
Futuribili.
Tutti i molteplici apporti hanno necessitato di un lavoro di
"codifica", cioè di omogeneizzazione all'interno dei criteri della
rivista, che ha fortemente impegnato la redazione (Antonella Pocecco,
Luca Bregantini, Emanuela Fabretti, Moreno Zago).
Il risultato di tanto lavoro risulta articolato in sei parti, con
un'apertura affidata all'intervista di Ismail Kadaré. Si comincia con
l'indagare i caratteri della situazione attuale in termini di "disastro
annunciato", per poi individuarne le "radici" e la considerazione di un
tema di fondo e specifico qual è quello delle etnie e della emigrazione.
Segue la collocazione del problema albanese entro le relazioni
internazionali del contesto regionale e mediterraneo. L'Albania, tra
presente e passato e tra interno ed esterno, viene infine proiettata al
futuro, e ciò sulla falsariga delle idee e degli scenari disegnati da
studiosi ma anche e soprattutto dai politici. Abbiamo infine scelto per
le conclusioni tre voci autorevoli: una istituzionale dall'interno
dell'Albania nella persona del primo ministro Bashkim Fino (abbiamo
sollecitato molte volte l'intervista al presidente Sali Berisha, alla
quale purtroppo abbiamo alla fine dovuto rinunciare), una istituzionale
dall'Italia nella persona del sottosegretario agli Affari Esteri Piero
Fassino, e da ultimo la voce culturale dello studioso di pace nella
persona del professor Johan Galtung.
Ci auguriamo, Futuribili, il suo direttore, la redazione, il curatore
Kosta Barjaba e tutti gli autori che hanno portato le loro idee e le
loro valutazioni, di offrire un contributo al lettore italiano perché
comprenda sempre meglio i problemi, i drammi, le ansie del popolo
albanese e quindi lo senta più amico, più fratello, più contributore di
quella Europa che è fatta di comunanze ma anche di tante anime e di
tante specificità. Anzi, potrebbe essere interessante, se il lettore
italiano di Futuribili lo vorrà, elaborare anche per qualche numero
futuro un "dossier" Albania, nel quale Futuribili e Kosta Barjaba
possono raccogliere ulteriori dati e valutazioni per monitorare e
seguire sempre meglio e a fondo il processo di transizione alla
democrazia della vicina Albania.