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![]() NOTIZIE EST #14 - JUGOSLAVIA/KOSOVO IBRAHIM RUGOVA - UN PROFILO POLITICO di Milanka Saponja-Hadzic Il leader degli albanesi del Kosovo negli ultimi giorni è probabilmente uno degli uomini più soli al mondo. Alcune persone in divisa, dichiaratesi membri dell'Armata di Liberazione del Kosovo (UCK), hanno fatto la comparsa ai funerali di un albanese ucciso [nei recenti scontri a Srbica. Gli uomini della UCK hanno tenuto un discorso di fronte a un migliaio di persone]. Gli albanesi hanno così risolto il dilemma, che si trascinava da tempo, sull'effettiva esistenza di questa organizzazione. Per Rugova tutto ciò ha un particolare significato, perché potrebbe essere non solo un grosso fastidio, ma una minaccia diretta alla sua posizione. Il proseguimento delle azioni terroristiche, sempre più eclatanti, rischia di distruggere tutto quello che è stato raggiunto dagli albanesi con una lotta di resistenza gandhiana che dura da anni e sulla quale il presidente della Lega Democratica del Kosovo (LDK) ha costruito la sua indiscussa autorità. Dopo la serie di azioni terroristiche degli ultimi giorni di novembre, Rugova si è affrettato a recarsi all'estero per chiedere alle potenze europee di reagire e impedire una catastrofe sempre più vicina. La questione del Kosovo è stata messa all'ordine del giorno della conferenza dell'Unione Europea sull'applicazione degli accordi di Dayton, svoltasi a Bonn. In questo modo è stato confermato in maniera definitiva il coinvolgimento della comunità internazionale come mediatrice nella questione del Kosovo. Su di essa allo stesso tempo viene trasferita gran parte della responsabilità per l'ulteriore sviluppo della situazione nella provincia che, presumibilmente, prenderà un aspetto del tutto diverso da quello avuto finora. Tutto ciò, in un periodo di tempo molto breve, metterà a dura prova l'autorità inviolabile del leader degli albanesi del Kosovo. Indipendentemente da quale sarà la sua reazione, è noto che Rugova simboleggia il periodo in cui il movimento nazionale albanese ha ripudiato la propria lunga tradizione di mimetismo, per dichiararsi apertamente a favore del diritto all'autodeterminazione. Allo stesso tempo, questo movimento, che ha una storia di alcuni decenni, ha raggiunto un carattere di massa e un'unitarietà che non hanno precedenti e la società nel suo complesso ha vissuto un cambiamento fondamentale. Il sociologo Skeljzen Malici ha osservato che si tratta di cambiamenti non solo radicali, ma anche irreversibili. "Si tratta di un profondo rivolgimento, del quale i cambiamenti politici sono solamente la punta dell'iceberg". Si è creata una forte alternativa al regime serbo, della quale Malici dice che si tratta più di "una coincidenza di circostanze favorevoli", che di un piano intenzionale e un organizzarsi degli albanesi. Tra i fattori che ne sono all'origine vi sono la caduta del muro di Berlino, l'aggressività della controproducente politica serba e la frammentazione della federazione jugoslava. Come in tutti i paesi del campo socialista, anche in Jugoslavia a cominciare sono stati gli intellettuali (il sapere è potere). Gli albanesi non hanno scritto lettere agli amici serbi, ma sono venuti a Belgrado per avere una discussione dopo la dichiarazione di 27 scrittori serbi dell'Unione degli scrittori del Kosovo nell'aprile 1988. In quell'occasione i letterati serbi hanno per la prima volta presentato pubblicamente il proprio programma nazionale. Il dialogo è stato interrotto, gli scrittori se ne sono tornati nelle loro case e leader della resistenza è rimasto il loro rappresentante, Ibrahim Rugova. Nonostante il fatto che spesso egli susciti avversione in chi gli sta vicino (perfino il modo in cui veste suscita un'impressione di distanza) il suo carisma è cresciuto precipitosamente, attirando un gran numero di sostenitori. Rugova ha concesso numerosissime interviste a giornalisti locali e, soprattutto, stranieri, spiegando gli obiettivi del movimento e conquistandosi in tempo piuttosto breve le simpatie del mondo. Agisce razionalmente e con sicurezza, non ha emozioni né cariche negative. Le sue spiegazioni sono indirizzate in maniera ragionata e diretta verso un obiettivo definito. Ancora oggi lascia l'impressione di un uomo che con leggerezza porta il peso del problema del Kosovo, mai risolto da nessuna delle due jugoslavie e portato sull'orlo del precipizio dalla terza. Mentre gli intellettuali e i politici serbi si appellavano alla forza e all'energia del proprio popolo, illustrandone la fulgida storia e le ingiustizie che ha dovuto subire, Rugova accoglieva i giornalisti stranieri con la barba non rasata e i piedi infilati in un paio di pantofole col buco. Almeno, così ha scritto il settimanale "New Yorker". Qui questo atteggiamento viene interpretato come tentativo di ottenere benevolenza, o addirittura la compassione e la simpatia di coloro dai quali ci si attende aiuto per la realizzazione delle proprie idee. Forse in una certa misura si tratta di una posa, e forse anche un modo di mostrare la propria superiorità in un contesto jugoslavo gravato da un complesso di inferiorità che si potrebbe definire come una delle cause fondamentali della guerra. Sebbene si tenga a distanza, ora non sembra più intoccabile. Parla anche della sua famiglia: "Noi Rugova siamo stati marcati come una famiglia di kulaki. Vengo da una grande famiglia di contadini della regione montagnosa di Rugova, che si trova vicino al confine. Possedevamo alcuni ettari di terra che racchiudevano al loro interno 12 villaggi". Mentre parla butta lì l'affermazione di essere apolitico, di avere cominciato a entrare in politica per "creare le condizioni che rendano al mio popolo possibile realizzarsi, e non per fare una carriera politica. Una situazione eccezionale come quella in cui viviamo attualmente ci pone di fronte a delle grandi prove e paradossalmente ci impedisce di lavorare, di dedicarci alla nostra normale attività intellettuale". Aggiunge di passaggio di avere riflettuto, sotto l'influenza del noto semiologo Roland Barthes, sul rapporto potere/sapere e sul funzionamento dello stato - "in tal modo si può arrivare alla questione dell'esistenza o meno di un movimento per la libertà". I suoi interessi, tra l'altro, sono molto ampi. Dopo le dimostrazioni del 1991, ha scritto uno studio sul poeta albanese del XV secolo Bogdani. "C'era lo stato di emergenza, mi sono chiuso a casa e l'ho scritto", dice umilmente. Quando è stata fondata la Lega Democratica del Kosovo, nel 1989, come maggiore forza politica della Provincia, la sua autorità era ormai indiscussa. E' stato eletto presidente della Repubblica del Kosovo con oltre il 95 per cento dei voti. Dopo un certo tempo ha cominciato a circolare tra la gente la voce che Rugova si era trasferito dal suo appartamento statale in una casa comprata per lui a un prezzo di 450 mila marchi, cifra che, si sottolinea, è due volte inferiore al suo valore reale. La casa è riccamente arredata e, si afferma, lo è con i soldi raccolti per il mantenimento delle famiglie albanesi povere, che sono sempre di più. [...] Nel periodo in cui i carriarmati sferragliavano per la Slovenia e la Croazia, e i leader politici cercavano alleati, Rugova ha inequivocabilmente rifiutato ogni collaborazione. Ha avvertito che gli albanesi "di fronte a nessuno scenario si lasceranno trascinare in un conflitto generale che verrebbe perso da tutti", ma ha dato il suo appoggio all'indipendenza delle altre repubbliche, perché era lo stesso che desiderava per il Kosovo. Solo qualche mese prima aveva dichiarato che tutti i conflitti interetnici e tra le diverse nazioni dovevano essere internazionalizzati, "perché in Jugoslavia non c'è un'autorità in grado di tenere insieme tutti i diversi fili". Queste affermazioni, che non sono state bene accolte dai centri di potere delle varie repubbliche, [sono venute nel momento della disgregazione della Jugoslavia]. Il parlamento della Slovenia aveva deciso di fare di quest'ultima uno stato indipendente e Franjo Tudjman suggeriva alle imprese di cominciare a produrre attrezzature militari. Alija Izetbegovic dichiarava di fronte al parlamento della Bosnia-Erzegovina: "per una Bosnia sovrana sacrificherei la pace, e per questa pace non sacrificherei la sua sovranità". Rugova, nel frattempo, esortava i suoi connazionali a organizzare una resistenza pacifica contro l'"occupazione serba", prestando attenzione che non si giungesse a eccessi che avrebbero potuto comportare l'inizio di scontri gravi. In quel tempo il Kosovo era la zona più a rischio e sembrava che l'incendio sarebbe scoppiato lì prima che altrove. Ma la JNA (l'esercito federale jugoslavo), quel miscuglio colorito di volontari e, pochi, cittadini mobilitati, si sono diretti verso occidente. Quando sono cadute le prime vittime in Croazia, e poi in Bosnia, Rugova ha chiesto l'insediamento stabile di truppe NATO e ONU in Kosovo. Una richiesta sulla quale ha insistito continuamente, soprattutto quando hanno cominciato a giungere notizie sulla pulizia etnica nelle repubbliche, o negli stati, vicini. Quando la guerra in Bosnia è cessata, il presidente della Lega Democratica del Kosovo, nei suoi contatti internazionali e nelle conferenze stampa date a intervalli regolari, ha modificato la sua richiesta, passando a domandare un protettorato internazionale. Dati biografici Rugova è nato nel 1944 nel villaggio di Crnca kod Istoka. Ha cominciato ad andare a scuola a nove anni, fino ad allora, come racconta lui stesso, era un "figlio di mamma". Secondo alcune fonti, la sua famiglia dopo la guerra ha subito repressioni, i suoi membri essendo stati dichiarati "nemici del popolo". Il padre e il nonno sono stati liquidati dall'Ozna [la polizia politica jugoslava - N.d.T.], così come successivamente due zii. Ha frequentato la scuola a Istok, Pec e Pristina, dove nel 1971 ha concluso gli studi di lingua albanese. Ha lavorato come insegnante, giornalista e ricercatore presso l'Istituto di Albanologia ed è stato redattore capo della rivista "Studi albanologici". Ha compiuto gli studi di dottorato a Parigi. In Francia, durante l'anno accademico 1976/77 ha frequentato la Scuola per gli alti studi in scienze sociali, come ricercatore presso Roland Barthes. I soggiorni e i viaggi all'estero gli hanno "passato il morbo della democrazia" e hanno influito decisamente sulla sua formazione politica, che è giunta a piena espressione nella Unione degli scrittori del Kosovo. E' stato membro della Lega dei comunisti, dalla quale è stato espulso (nel 1988) per avere firmato la petizione di intellettuali "Apel 215" contro l'approvazione dell'emendamento della Costituzione della Serbia [con la quale è stata cancellata l'autonomia della Provincia del Kosovo - n.d.t.] Tra i più importanti successi di Rugova va annoverato il suo viaggio negli USA nel 1993, quando Peter Tarnof gli ha promesso che l'abolizione delle sanzioni economiche contro la Jugoslavia sarebbe stata legata alla questione del Kosovo. La settimana successiva a Bonn, Tarnof ha dato prova di non essersi dimenticato della promessa. Paradossalmente, su ciò ha influito proprio quello che rappresenta il più grande pericolo per Rugova e per la sua prassi politica. Un Kosovo pacifico è stato indubbiamente nell'interesse non solo degli albanesi, ma anche del regime di Belgrado, rimasto inaspettatamente a lungo e profondamente invischiato nel conflitto bosniaco. Questo fatto ha causato nell'ala più radicale della LDK una messa in questione di Rugova, che tuttavia quest'ultimo è riuscito a tenere a bada. Ora, invece, sembra giunto il momento in cui è costretto nuovamente a lottare non solo per conservare la sua posizione di leader, ma anche per vedersi confermare la fiducia dei suoi connazionali. [...] (da "Nasa Borba", dicembre 1997 - traduzione A. Ferrario) |