Naufraghi di Antonello Mangano Un triste resoconto degli "incidenti" avvenuti al largo delle coste italiane negli ultimi anni. Un resoconto eloquente che aiuta a capire fino a che punto si è spinta la retorica del governo italiano, capace di trasformare in eventi fortuiti i disastri provocati dalla sua politica AI MARGINI DELL'EUROPA-FORTEZZA I mari italiani trasformati in cimiteri, popolati da cadaveri albanesi, kurdi, tunisini, pakistani. I militari italiani che diventano assassini, direttamente come nel caso della "Sibilla", indirettamente come in altre circostanze. La stampa italiana divisa tra le lacrime di coccodrillo per "l'ennesima tragedia del mare" e i silenzi omertosi gonfi di ipocrisia. I politici di tutti gli schieramenti che danno la colpa alle "mafie" (personificazione del male assoluto cui attribuire ogni nostra responsabilità). Parenti e concittadini delle vittime che scaricano parole di odio, primi segnali di un muro di rancore destinato ad innalzarsi ed a produrre nuove tragedie, sempre più gravi. Non si tratta di apocalittiche previsioni ma di una realtà già in atto e generalmente ignorata: la chiusura delle frontiere decisa dalla convenzione di applicazione del trattato di Schengen e dagli altri accordi comunitari ha trasformato le coste italiane e greche nel baluardo meridionale dell'Europa fortezza. Una illusoria e violenta costruzione che di fatto ha decretato l'espulsione o la morte per coloro che vogliono entrarvi senza sufficiente denaro in tasca. Ed i morti, ormai, si contano a centinaia. [...] IL VENERDI SANTO Almeno 85 persone sepolte in fondo all'Adriatico. La tragedia avvenuta la notte del 28 marzo nel canale d'Otranto è stato solo l'ultimo e più drammatico atto dei rapporti neocoloniali intessuti tra Italia ed Albania, oltre che uno dei risultati più drammatici della politica dell'Europa-fortezza spinta alle estreme conseguenze. Tuttavia, il 28 marzo sarà probabilmente ricordato come una data storica non solo per i rapporti tra i due paesi, ma anche per quelli tra Nord e Sud del mondo. Nella notte in cui l'egoismo dei benestanti è diventato assassino, dall'Albania sono giunte parole cariche di odio e desiderio di vendetta. I fatti sono noti, ma vale la pena ricordarli in un'epoca di informazione usa-e-getta e di perdita della memoria. Era il periodo della rivolta contro il presidente criminale Berisha (grande amico dell'Italia) e le finanziarie truffa. Era il periodo in cui l'esodo verso le coste italiane si era fatto ancora più intenso ed i media gridavano all'invasione dei criminali venuti dai Balcani. Già il 23 marzo cinque albanesi partiti da Valona erano morti nel tentativo di raggiungere la costa italiana. Non avevano commosso nessuno, anzi era quasi unanime la volontà di fermare l'arrivo dei profughi con qualunque mezzo. Il governo decideva quindi di predisporre il blocco navale denominato in codice "Operazione bandiere bianche": il compito affidato alle navi della marina militare era di fermare tutte le imbarcazioni dei profughi. Il dragamine "Kater 1 Rades" parte dall'isoletta di Saseno, luogo di raccolta dei profughi. Si tratta di una vecchissima imbarcazione militare riadattata per traghettare i profughi. A 35 miglia dalle coste leccesi, in acque internazionali, il Kater è individuato dalle unità italiane ed inseguito per un breve tratto. La nave italiana che più si avvicina è la corvetta Sibilla, che intima l'alt agli albanesi e continua ad avanzare. Non si ferma neanche la nave dei profughi, perché ignora il pericolo o semplicemente perché il mare forza sette non glielo permette. La Sibilla sperona sulla fiancata il Kater. Decine di persone annegano nelle acque gelate, donne e bambini per la maggior parte. Dal 29 marzo, per qualche giorno, è il tempo delle lacrime di coccodrillo. Berlusconi va a Brindisi a fare le sceneggiata, dimenticando che il suo quotidiano (Il Giornale) è stato il più violento nella campagna razzista contro gli albanesi. Il governo farfuglia scuse confuse, e non ricorda le profetiche parole dell'UNHCR, l'organismo ONU che si occupa dei rifugiati. Infatti, appena appresa la decisione del blocco navale, dalle Nazioni Unite erano arrivate pesanti critiche contro un'azione che mirava a fermare i profughi in acque internazionali. E' bene ricordare che l'accoglienza dei rifugiati era un dovere per il governo Prodi, in ossequio alla Costituzione (art. 10) ed ai trattati internazionali. Il 30 marzo, domenica di Pasqua, i primi superstiti giungono a Brindisi. Alcuni parenti delle vittime urlano "italiani assassini" di fronte alle telecamere. E' il momento di massimo sconcerto anche per i razzisti più duri. Rimane imperturbabile solo il vertice della Marina militare: l'ammiraglio Mariani spiega ai giornalisti che la colpa è degli irresponsabili albanesi, "perché sono loro che sono venuti addosso a noi". Ma anche i volti commossi e le facce corrucciate mostrati subito dopo la tragedia erano falsi ed ipocriti, e la prova è nei dati fin qui elencati: l'Adriatico e gli altri mari che circondano l'Italia continuano ad essere mari della morte, anche senza speronamenti e stragi di massa. Purtroppo, lo stillicidio di naufragi non interessa i media né il governo italiano, troppo impegnato a predisporre i mezzi più efficaci per le espulsioni e per la "blindatura" delle frontiere. A novembre, a circa sette mesi dalla strage, le salme sono state recuperate e trasportate in Albania, per i funerali svolti alla presenza della autorità albanesi ed italiane. Si è detto da più parti che è stato questo l'epilogo delle vicenda. Ma la strage non è finita. Poco più tardi, il 21 novembre, avviene l'ennesimo naufragio nel basso Adriatico. Due gommoni affondano, cinque albanesi muoiono, undici sono dichiarati dispersi ed altrettanti sono i superstiti. Partiti da Durazzo, sono rimasti per quattro giorni in balia del mare in tempesta. Una imbarcazione si è danneggiata già a poche ore dalla partenza, e quando i soccorsi sono giunti hanno trovato solo pochi superstiti stremati dalla fame e dal freddo. Tra le vittime una bimba di cinque anni morta di freddo tra le braccia della madre, aggrappata come gli altri al relitto del gommone. I sopravvissuti hanno denunciato atti di sciacallaggio da parte del traghettatore e il comportamento di alcune navi: "ci avevano avvistati ma nessuno si è fermato". ADRIATICO, MARE DELLA MORTE E' lunghissima la lista dei morti nel canale di Otranto: il 31 dicembre del 1992 una imbarcazione si scaglia contro una scogliera: muoiono 9 albanesi ed un greco, solo una persona si salva. Nella notte tra mercoledì 12 e giovedì 13 ottobre del 1994 l'ennesima tragedia, a dieci miglia nautiche a sud-est di Capo d'Otranto. L'imbarcazione di un gruppo di albanesi naufraga, giungono i mezzi di soccorso, che traggono in salvo 13 persone e recuperano i cadaveri di due donne. I dispersi sono circa 10 (tra cui un bambino), quasi certamente morti in mare. Il gruppo aveva lasciato l'Albania nella tarda serata di mercoledì, nella speranza di raggiungere le coste del basso Salento, con una barca in vetro-resina di sette metri, dotata di motore fuoribordo, ma senza alcun mezzo di salvataggio. Contemporaneamente viene salvata un'altra imbarcazione, che rischiava di affondare con 25 albanesi a bordo. Il trafficante albanese, avvertita la tragedia imminente, aveva chiamato i soccorsi col suo cellulare. Mezzi civili e militari pattugliavano la zona col mare in tempesta. Dopo alcune ore (il tempo è stato perduto a causa della segnalazione sbagliata) venivano individuate le due barche. Per alcuni la salvezza, per altri era già troppo tardi. Il 18 ottobre del 1994 vengono ritrovati sulla spiaggia delle Cesine, nei pressi di Otranto, i resti di due neonati semi-sepolti dalla sabbia. Si tratta probabilmente dell'unica, drammatica traccia di un naufragio di kurdi di cui nulla si è saputo. Alla fine del 1995 altri morti albanesi: un gommone affonda il 30 novembre (trascinando con sé 19 persone), un altro si incendia l'11 settembre (15 morti). La tragedia è stata causata da un tentativo maldestro di segnalare la propria posizione, bruciando stracci bagnati di benzina. Tutto il gommone prese fuoco e i dodici superstiti riportarono gravi ustioni. Gli albanesi deceduti nella serata del primo dicembre 1995 sono affogati quando il sogno era a portata di mano e già si vedevano le luci della costa salentina. Un'onda più violenta delle altre ha sbriciolato la barca lunga sei metri ed ha gettato in mare 22 persone. Due sono morti, cinque sono riusciti a salvarsi, gli altri sono stati dichiarati dispersi. "Ognuno pensava per sé", ha affermato uno dei superstiti, che è rimasto avvinto per otto ore ai resti del gommone distrutto. Insieme ad altri quattro compagni è stato individuato e tratto in salvo dalla nave militare tedesca "Kln", quindi è giunto con gli altri al centro di accoglienza di Otranto. Limi Balabani, 24 anni, un altro dei superstiti, racconta quei momenti: "Aiuto, Dio mio, dicevano [gli altri], qualche imprecazione e si staccavano da noi che non potevamo fare nulla per loro. Uno dopo l'altro. Io non li conoscevo, non li avevo mai visti prima di giovedì quando ci siamo imbarcati per l'Italia. Io sono stato fortunato e ringrazio Dio". E' difficile capire cosa succede, quando si rimane sospesi tra la vita e la morte. "Non so cosa sia successo, è accaduto tutto all'improvviso, siamo caduti insieme tutti in mare. L'acqua era fredda, è stato davvero un miracolo che sto qui a raccontarlo". Nello stesso giorno del naufragio, il primo dicembre, un altro albanese è stato trovato in gravissime condizioni sul litorale tra Torre Vado e Santa Maria di Leuca. Era caduto sugli scogli mentre sbarcava da un gommone. La notte di giovedì 25 aprile 1996 6 cingalesi sono stati inghiottiti dal mare nel basso Adriatico, al largo di Vieste. Nei giorni successivi erano ancora ufficialmente 'dispersi', ma le ricerche condotte dai mezzi della capitaneria di Bari e dagli elicotteri dell'aeronautica non hanno dato esito. I 14 superstiti hanno raccontato l'accaduto ai militari della Marina olandese, agli uomini della polizia di frontiera di Bari e della Capitaneria di porto. Durante il naufragio, sono giunti miracolosamente dei mezzi di soccorso, un gommone di salvataggio sul quale salivano 13 uomini ed una donna. Altri quattro uomini e due donne, invece, non riuscivano a salvarsi. Pochi giorni dopo la sciagura, la Procura di Foggia disponeva l'arresto di due italiani trovati su una nave russa nella zona del naufragio. Per i due, oltre alle solite accuse di omicidio plurimo e di introduzione di clandestini, anche quella di omissione di soccorso. [...] PER I MORTI IN SILENZIO I dati parlano di circa 550 morti in 5 anni. Questa cifra è già drammatica, ma riguarda solo i naufragi accertati, cioè una piccola parte del totale. Chi pagherà per i morti di cui non si sa nulla ? Chi sarà chiamato a rispondere per coloro che se ne sono andati in silenzio, inghiottiti dalle onde ? Per i naufragi citati, c'è almeno un capro espiatorio, qualche trafficante incriminato in un tribunale italiano. Naturalmente, non saranno mai rivolte accuse agli eurocrati che vogliono blindare il benessere. Nessuno lancerà accuse contro le leggi xenofobe o contro militari troppo zelanti nell'applicarle. Almeno per ora. Un giorno qualcuno dovrà rendere conto di queste morti e di quelle che verranno. E, continuando per questa strada, saranno quelli che oggi sono soltanto gli "extracomunitari disperati" ad alzare la voce e chiedere giustizia per tutti. Giustizia per Mohamed che voleva operarsi in Italia, per i kurdi che sfuggono ai torturatori, per i trecento annegati nel naufragio-fantasma di Natale e per gli uomini, le donne e i bambini uccisi in mare dalla corvetta Sibilla. (FONTI: Quotidiani del 15 ottobre 1994, 12 agosto 1995, 2 dicembre 1995, 27 aprile 1996, 17 agosto 1997, 21 novembre 1997; Quotidiani dal 28 marzo al 3 aprile 1997; "Narcomafie" settembre 1997.) [da "Guerre&Pace"] |