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![]() NOTIZIE EST #229 - BALCANI 19 maggio 1999 I VICINI DELLA JUGOSLAVIA E LA GUERRA DELLA NATO ("Vreme", 1 maggio 1999) [Quella che segue è una rassegna delle posizioni di Romania, Ungheria, Macedonia, Bulgaria, Croazia e Bosnia-Erzegovina di fronte alla guerra della NATO contro la Jugoslavia, pubblicata a inizio maggio dal settimanale di Belgrado "Vreme"] ROMANIA La posizione ufficiale della Romania nei confronti degli avvenimenti nella vicina Jugoslavia è dettata per intero dalla volontà del paese di essere integrato nel più breve tempo possibile nelle strutture europee ed euroatlantiche. "Vie di mezzo o vuote neutralità non sono possibili", ha detto il presidente Emil Constantinescu rivolgendosi alla nazione, esprimendo un appoggio deciso e senza riserve di Bucarest per l'azione militare della NATO in Jugoslavia, che ancor prima del suo inizio il presidente ha definito come "giusta e legittima. Per la Romania non ci sono dilemmi - si ritiene alleata dell'Occidente, dice il presidente romeno. La medesima valutazione la hanno data i leader di tutti i partiti della coalizione di governo, che, come il leader dei democristiani Ion Diaconescu, ritengono che tale posizione non vada in alcun modo contro il popolo serbo. I rapporti di profonda amicizia nei confronti della Serbia e del popolo serbo vengono menzionati anche dai leader dell'opposizione. Il presidente del maggiore partito di opposizione, Ion Iliescu, ha affermato che "nella loro lunga storia, i romeni hanno avuto solo due amici sinceri - il Mar nero e i serbi". E tuttavia, nonostante tutte le valutazioni critiche e le osservazioni legalistiche che l'azione militare della NATO in Jugoslavia non è "coperta" da alcuna risoluzione esplicita del Consiglio di sicurezza dell'ONU, sembra proprio che nemmeno per l'opposizione, nel momento attuale, vi siano dilemmi riguardo alla posizione nei confronti della guerra in Jugoslavia. Il migliore esempio della posizione dei partiti di opposizione è il recente voto in parlamento per la decisione di concedere senza limitazioni lo spazio aereo romeno agli alleati occidentali. Con l'eccezione del piccolo Partito dell'Unità Nazionale e alcuni deputati indipendenti, contro tale decisione non hanno votato non solo i socialdemocratici di Iliescu, ma nemmeno i parlamentari del Partito della Grande Romania, che altrimenti, insieme alla Lega democratica dei serbi di Romania ha organizzato alcune manifestazioni anti-NATO a Bucarest e a Timisoara. Così questa decisione è stata adottata con una maggioranza come di rado si vede nel parlamento romeno, poiché a suo favore hanno votato 225 parlamentari, mentre solo 21 si sono espressi contro. I deputati e i senatori dell'opposizione (sono 99) si sono astenuti dal voto, affermando nelle loro dichiarazioni che, pur non essendo d'accordo con i bombardamenti come metodo per risolvere la crisi del Kosovo, non è loro intenzione pronunciarsi contro il sostegno della Romania agli alleati occidentali. Dai personaggi ufficiali fino ai media, qui nessuno definisce l'azione militare della NATO come un'aggressione contro la Jugoslavia. Non c'è un'aggressione, perché gli attacchi aerei degli alleati occidentali non sono stati qualificati come tali dall'unica entità internazionale che ha il diritto di farlo, ovvero il Consiglio di sicurezza dell'ONU, è questa la posizione del Ministero degli esteri romeno. Concedendo il proprio spazio aereo alla NATO, la Romania per gli stessi motivi non ha violato le clausole del Trattato di buon vicinato, amicizia e collaborazione tra la Jugoslavia e la Romania. Tale trattato prevede esplicitamente la non partecipazione dei due paesi ad aggressioni di paesi terzi contro uno di loro, ma non si vieta l'impegno in altri tipi di applicazione della forza, afferma il Ministero degli esteri romeno. Anche se gli obiettivi strategici dello stato romeno (rispettati sia dai partiti di governo che da quelli dell'opposizione) hanno determinato in maniera chiara la posizione ufficiale delle Romania nei confronti della guerra in Jugoslavia, presso l'opinione pubblica in generale sono evidenti le oscillazioni tra le diverse persone e anche tra diversi media. Nel momento in cui gli attacchi contro la Jugoslavia non erano ancora iniziati, nell'opinione pubblica era prevalente un sostegno, marcato dall'indifferenza, alla posizione del governo. Qui quasi nessuno credeva che Belgrado avrebbe rifiutato il piano di Rambouillet, che è stato ritenuto come un'uscita parziale dalla crisi. Quando è cominciato l'intervento aereo, tra la gente hanno cominciato a evidenziarsi dei dubbi. Sebbene persista il sostegno della maggioranza nei confronti di un'alleanza con la NATO, molti cittadini e alcuni media hanno cominciato a esprimere il dubbio che un male (le pulizie etniche in Kosovo) possa essere risolto con un altro male (i bombardamenti di civili innocenti in Serbia). Secondo alcune indagini di opinione, i romeni si sono davvero spaventati per la guerra ai loro confini, arrivando addirittura ad esprimersi per l'85 per cento contro la guerra e per una soluzione pacifica del conflitto del Kosovo. Questo nuovo orientamento dell'opinione pubblica si è prodotto dopo la decisione del parlamento jugoslavo di aderire all'unione con la Russia e la Bielorussia. Tale decisione ha suscitato delle reazioni univocamente negative, non solo negli ambienti di governo, ma anche tra la gente comune. E' stata vissuta come una nuova e potenzialmente pericolosa minaccia di una ripresa di un vecchio bolscevismo e panslavismo, che costituirebbe un pericolo non solo per l'integrità dello stato romeno, ma anche per la stessa condizione della Romania come nazione latina. UNGHERIA La soddisfazione dell'Ungheria per l'entrata nel Patto atlantico è stata smorzata dagli attacchi della NATO contro la Jugoslavia. Se si escludono alcune dichiarazioni di fuoco del premier Viktor Orban, l'Ungheria desidera tenersi il più possibile lontana da questo conflitto. Prima che scoppiasse la crisi nella Jugoslavia, noti esperti militari ungheresi hanno espresso delle valutazioni errate, proprio come i loro colleghi occidentali: hanno previsto che gli attacchi aerei della NATO sarebbero stati "esclusivamente di carattere limitato" e che avrebbero rappresentato solo un "ammonimento politico" e non un esplicito passo militare. Probabilmente la stessa valutazione la hanno data anche i deputati del parlamento ungherese, quando hanno approvato l'apertura dello spazio aereo del proprio paese agli aerei della NATO. Tuttavia, l'impegno per i deputati di concedere agli aerei della NATO gli aeroporti ungheresi solo qualche ora prima dei primi attacchi contro la Jugoslavia, ha avuto l'effetto di una doccia fredda. L'Ungheria ufficiale non desidera andare più in là di così e cerca di sfuggire ad alcune richieste eccessive del Patto atlantico. Per questo il 21 aprile il premier Viktor Orban ha tenuto una riunione con i leader dei partiti politici ungheresi, durante la quale tutti si sono dichiarati d'accordo che l'Ungheria non è disponibile a partecipare a un'operazione via terra contro la Jugoslavia e che non darà il proprio territorio per una tale azione. I leader dei partiti ungheresi, è stato detto in tale occasione, appoggiano la decisione del governo di fare partecipare l'Ungheria alle azioni della NATO contro la Jugoslavia solo nei limiti precedentemente fissati dal parlamento. Per la sua posizione specifica, e nonostante le pressioni dell'Occidente, l'Ungheria non è disposta a oltrepassare determinati limiti, con il rischio di trovarsi in una situazione dalla quale non c'è ritorno. Il possibile arrivo di un grande numero di aerei negli aeroporti ungheresi viene spiegato con la precedente decisione del parlamento del paese, anche se il ministro degli esteri Janos Maronji - che, a differenza di alcuni suoi colleghi al governo, non è per una partecipazione più attiva dell'Ungheria nel conflitto - dopo l'apertura degli aeroporti ungheresi alla NATO ha detto che a suo parere "questa decisione riguarda solo la base di Tasar, e in pratica non riguarda gli aeroporti civili". Nel governo ungherese, evidentemente, riguardo ad alcune questioni non c'è una posizione unitaria; tuttavia, esiste un accordo di principio sul fatto che non bisogna "immischiarsi troppo" e che, inoltre, non bisogna avanzare pretese nei confronti della Jugoslavia. Voci fuori dal coro vengono solo dalle fila del Partito della Verità e della Vita Ungherese, di estrema destra, che ha poco più di dieci deputati in parlamento. Questo partito non fa parte della coalizione di governo, ma in alcune situazioni dà il suo appoggio al gabinetto di Viktor Orban. E stato contro l'entrata dell'Ungheria nella NATO, ma dopo gli attacchi del Patto atlantico contro la Jugoslavia ha cominciato a chiedere una revisione dei confini. I rappresentanti degli altri partiti politici, e lo stesso Viktor Orban, tuttavia, rifiutano nettamente una tale ipotesi. MACEDONIA Subito dopo il ritorno dal summit NATO a Washington, il presidente macedone Kiro Gligorov ha confermato che cercherà di ottenere dal Consiglio di sicurezza nazionale la dichiarazione di pericolo diretto di guerra, che prevede la messa dell'esercito in stato di massima allerta, nonché il conferimento al presidente della repubblica di poteri straordinari, mentre le sue funzioni sono di norma soprattutto cerimoniali. Anche se gli esperti dei giornali macedoni prevedono che l'iniziativa di Gligorov con ogni probabilità non passerà [e infatti non è passata - N.d.T.], soprattutto a causa dei poteri di ingerenza che in tal modo il presidente otterrebbe insieme alla possibilità di sfruttarli nelle prossime elezioni presidenziali, c'è anche chi pensa che nella situazione esplosiva in cui si trova oggi la Macedonia ciò sarebbe utile. Di tutti i vicini della Jugoslavia la Macedonia è quello maggiormente danneggiato dalla guerra in corso, che ha portato nella ex repubblica della federazione jugoslava 140.000 profughi [ora sono 240.000, nonostante circa 30.000 siano già stati evacuati - N.d.T.]; si tratta di un fatto che ha seriamente sconvolto il suo equilibrio etnico e ha reso più difficile il problema delle ambizioni del terzo circa di popolazione macedone che è di etnia albanese. Gligorov, in una conferenza stampa rilasciata negli ultimi giorni in occasione del summit NATO, ha detto che se il flusso di profughi dovesse ancora proseguire, gli albanesi saranno più del 40% della popolazione macedone. Gligorov ha espresso anche forti proteste per l'insufficienza degli aiuti umanitari e dell'impegno degli stati esteri nel trasferire i profughi del Kosovo in altri paesi dell'Europa, che recentemente ha offerto di ospitare 85.000 persone. Comunque, il maggiore motivo di irritazione per Gligorov, così come per la maggior parte dell'opinione pubblica, è il fatto che la NATO non abbia invitato la Macedonia a entrare nell'Alleanza e che, anzi, il paese si sia ritrovato al penultimo posto nella lista di attesa, con solo l'Albania dietro di sé. "La Macedonia è stata ingannata. La NATO non ha dimostrato di riconoscere i grandi sforzi che la Macedonia ha compiuto per qualificarsi come membro dell'Alleanza", ha detto Gligorov. Le aspirazioni territoriali storiche dei vicini hanno reso da sempre la Macedonia fragile e questo è uno dei motivi per cui la sua dirigenza già nel 1992 ha accettato il dispiegamento di un contingente ONU sul territorio macedone [missione UNPREDEP - N.d.T.]. Su richiesta della Cina, i soldati dell'UNPREDEP sono stati ritirati quest'anno, dopo che la NATO si è offerta di fare da garante per la sicurezza di questa regione, giustificando la propria presenza tra le altre cose anche con i piani per la realizzazione dell'accordo di Rambouillet, che prevedeva l'entrata di 10.000 soldati del Patto atlantico in Kosovo dal territorio della Macedonia. Secondo i dati forniti da Erik Munjo, portavoce della NATO a Skopje, in Macedonia ora si trovano circa 13.000 militari [oggi sono arrivati a 16.000 - N.d.T.]: tedeschi, francesi, italiani e britannici al servizio della NATO. I media macedoni hanno annunciato che nelle prossime settimane, secondo i dati dei rappresentanti ufficiali dell'Alleanza responsabili della coordinazione dell'afflusso di truppe, da 10.000 a 15.000 soldati passeranno per l'aeroporto di Salonicco per dirigersi verso la Macedonia. Essi fanno parte del contingente di 28.000 soldati che la NATO prevede di dispiegare in questa regione. Il quotidiano di Skopje "Dnevnik" ha commentato in questi giorni che "non è corretto che la NATO ci abbia forzato ad accettare i suoi soldati e i profughi dal Kosovo, per poi non ottenere nulla da Washington", ricordando che fin dall'inizio il popolo macedone ha dato prova di un'eccezionale insofferenza nei confronti dei soldati dell'Alleanza. Fin dall'inizio della guerra a Skopje si sono tenute numerose proteste per la presenza delle forze NATO e di tutta la serie di incidenti il più grave è quello verificatosi il 27 aprile a Kumanovo, quando persone ignote hanno tirato due granate su una caserma nella quale si trovano soldati francesi. Le esplosioni non hanno causato né vittime né gravi danni. I media macedoni sottolineano che i pessimi rapporti tra il presidente macedone Kiro Gligorov e il premier Ljupco Georgievski potrebbero peggiorare ulteriormente con la nuova situazione, mentre lo stesso governo ha già subito il primo colpo come le dimissioni del ministro dell'economia Zanko Cado: "Ho l'impressione che larga parte delle mie proposte non corrispondano allo spirito che prevale nella politica del governo, che per questo le ha rifiutate", si dice nella lettera che Cado ha inviato a Georgievski per comunicare le proprie dimissioni in segno di protesta "per il comportamento della comunità internazionale, che ha promesso molto e non ha fatto nulla per aiutare la Macedonia ad affrontare l'ondata di profughi". [NOTA: senza sollevare la NATO dalle proprie enormi responsabilità nell'affrontare la crisi dei profughi, ricordiamo che il governo macedone ha frapposto enormi ostacoli all'organizzazione dell'afflusso di aiuti, da una parte, mentre dall'altra ha ottenuto dai paesi occidentali una donazione di quasi 500 miliardi di lire. L'Albania, che ospita un numero doppio di profughi rispetto alla Macedonia, ha ricevuto una donazione di 100 miliardi. L'UNHCR gestisce un fondo straordinario per i profughi dell'ammontare di circa 150 miliardi (cioè pari a un terzo della donazione effettuata alla sola Macedonia) che copre sia la Macedonia che l'Albania]. BULGARIA La settimana scorsa, il quotidiano indipendente "Monitor" è uscito con un enorme titolo in prima pagina: "Un governo contro un popolo". La ragione di questo titolo è la disponibilità dei partiti al potere di concedere lo spazio aereo bulgaro per gli attacchi della NATO contro la Jugoslavia, nonostante il parere negativo dell'opinione pubblica. E' questa la situazione in atto in Bulgaria. La maggior parte dei bulgari - due terzi secondo tutte le indagini indipendenti - è contraria alla concessione dello spazio aereo, e addirittura anche solo di una zona aerea di un'ampiezza di 120-150 km. lungo il confine occidentale. La maggior parte dei bulgari non approva il bombardamento della Jugoslavia, oppure, come ha detto il premier Ivan Kostov, "non lo capisce". Ma, allo stesso tempo, essi non approvano nemmeno la politica di Belgrado nei confronti degli albanesi del Kosovo. I bulgari, in qualche modo, si sentono "ingannati" dallo stato, dalla NATO e dalla "scelta civilizzatrice per la solidarietà euroatlantica" fatta dalla coalizione di governo. Forse anche la filoccidentale Unione delle Forze Democratiche (SDS) e il suo leader, il premier Ivan Kostov, si sentono ingannati a causa dell'evolversi dei fatti intorno alla Jugoslavia, ma il potere non ammetterà mai di avere effettuato una valutazione sbagliata. L'attuale governo è decisamente più forte di quello dei socialisti, terminato con agitazioni sociali all'inizio del 1997, un fatto che è ben visibile nel modo in cui esso oggi controlla i media statali e alcuni di quelli privati, nella propaganda sempre più forte, nonché nelle limitazioni poste alle proteste contro la guerra. L'opinione pubblica cambia, ma non abbastanza come vorrebbe la SDS. Il governo bulgaro non ha mai avuto la possibilità di influire in maniera incisiva sul conflitto del Kosovo, e quando è cominciata l'aggressione della NATO, ha ottenuto uno spazio di manovra ancora minore. E' stata costretta a fare continue concessioni di fronte alle richieste della NATO, spinta dal desiderio fermo e dichiarato di divenire uno dei membri dell'alleanza. Le autorità di Sofia hanno tuttavia rifiutato categoricamente di accogliere più di 5.000 profughi dal Kosovo. La "quota" dei posti disponibili per i profughi viene tenuta per la maggior parte libera per i bulgari che vivono in Serbia e, eventualmente, per i macedoni. La questione dei profughi è l'unico problema originato dalla guerra contro la Jugoslavia riguardo alla quale l'opinione del governo e quella dell'opinione pubblica coincidono. Gli umori antiguerra riguardano la gran massa della gente, ma non sono per nulla rumorosi. Alcuni giorni prima dell'inizio dei bombardamenti, un'indagine effettuata dalla "Alfa Research" ha rilevato che il 72 per cento dei bulgari non approvava gli attacchi aerei contro la Jugoslavia. La percentuale è rimasta pressoché intatta anche dopo l'inizio dell'aggressione. Un sondaggio effettuato la settimana scorsa dal Centro nazionale per le indagini sull'opinione pubblica (NCIOM [controllato dal governo - N.d.T.) ha indicato che il 66 per cento (vale a dire i due terzi degli intervistati), non approva le attività della NATO in Kosovo. I media statali sono entrati in una sorta di "regime speciale" e la cosa è risultata evidente nel corso della settimana scorsa. Per esempio, il bombardamento dell'edificio della RTS [televisione di stato serba - N.d.T.] è stata la terza notizia del telegiornale, dopo il summit NATO e le dichiarazioni del presidente Petar Stojanov a Washington. Ma la stessa sequenza di notizie la ha avuta anche la più popolare televisione privata di Sofia, "Nova Televizija", di proprietà di un uomo d'affari serbo, Darko Tamindzic. La dichiarazione di alcuni noti intellettuali bulgari contro i bombardamenti contro la Jugoslavia ha avuto come risposta la dichiarazione di altri noti intellettuali a favore della NATO. Dopo avere espresso il proprio accordo di principio alla concessione dello spazio aereo, i funzionari di governo e la dirigenza della SDS sono passati a spiegare la politica di "solidarietà euroatlantica", la "difficile scelta" del governo, la "mancanza di alternative alla decisione" e così via. E alla fine, in questa guerra per l'opinione pubblica, si è fatto sentire anche il nazionalismo bulgaro, che il premier Kostov al momento della ratifica, alcuni mesi fa, della Convenzione per la difesa dei diritti delle minoranze, aveva definito come ormai seppellito: "Perché fuori (davanti al parlamento) non gridano 'Macedonia' ", ha detto la settimana scorsa lo stesso Kostov tornando da Bruxelles. "La Bulgaria si comporterà forse ancora una volta come una madre irresponsabile nei rapporti con la Macedonia? In questo momento abbiamo solo una preoccupazione, ed essa deve essere la Macedonia. Perché l'opinione pubblica non tiene conto di questa responsabilità? Oppure per la quarta volta in questo secolo tradiremo la Macedonia? Se esiste un paese fratello che noi in questo momento possiamo realmente aiutare e al quale possiamo dare un appoggio politico, questo è la Macedonia". Dopo questa dichiarazione, le autorità bulgare hanno continuato ad appoggiare l'operazione della NATO motivandola con l'aiuto alla Macedonia. Se a questa posizione si aggiunge l'offensiva dei media statali, un cambiamento dell'opinione pubblica a favore della posizione del governo diventa inevitabile. CROAZIA E' stato osservato che il presidente croato Franjo Tudjman non ha pronunciato nemmeno una parola, né di approvazione né di condanna, riguardo all'intervento della NATO in Jugoslavia. Anche il partito al governo ci ha messo molto tempo prima di fare sentire il proprio sostegno chiaro ed esplicito agli americani: solamente la settimana scorsa il portavoce della HDZ, Ivica Ropus, dopo una riunione di partito, ha dichiarato: "appoggiamo per intero l'azione della NATO, ma, come ogni società civilizzata, siamo addolorati per ogni vittima civile". Un politico croato, ai vertici del potere statale, è tornato dopo un lungo soggiorno negli USA con il sorriso sulle labbra, dopo una svolta decisiva nei rapporti croato-americani. Mate Granic, ministro degli esteri, ha parlato con piena soddisfazione di una "partnership strategica" tra gli USA e la Croazia, due paesi che fino a ieri erano due mondi politici in disaccordo e in conflitto, di una cancellazione dell'embargo sull'importazione di armi americane, che riguarderebbe a quanto pare anche i tanto anelati aerei F-16, mentre si accenna a gran voce anche a una possibile entrata della Croazia nella Partnership per la Pace. Dal primo giorno dell'intervento, l'economia croata (molti affermano che è sull'orlo della bancarotta) sta subendo perdite. Inoltre, le autorità croate non hanno dovuto dare l'assenso alla NATO per l'utilizzo dello spazio aereo del paese ai fini del transito degli aerei dell'alleanza, perché la NATO semplicemente lo ha ordinato, anche se alcuni giorni dopo gli aeroporti sono stati comunque aperti per il traffico civile, almeno di giorno. I tour operator tedeschi, comunque, hanno nello stesso momento dirottato i propri turisti verso destinazioni al di fuori della regione e subito dopo, dal Lloyd di Londra è arrivata la notizia che sono state aumentate le spese per l'assicurazione dei trasporti navali, causa la prossimità della zona di guerra" - il fatto che la misura, qualche giorno dopo, sia stata limitata "solo" all'Adriatico meridionale, non ha sollevato per nulla coloro che si attendevano che quest'anno gli affari procurati dal turismo sarebbero stati almeno simili a quelli dell'anno scorso. La prova che la situazione non sia così soddisfacente per la Croazia la ha data il governo croato dichiarando la possibilità che la Croazia riformuli il proprio bilancio statale, al massimo entro l'estate, commentando che la ridefinizione del bilancio è indispensabile per la "necessità di ridefinire la politica economica in considerazione della situazione venutasi a creare dopo l'intervento della NATO". La domanda logica, se si tiene conto dei fallimenti di imprese e di banche che si verificano ogni giorno, è dunque: da dove la Croazia prenderà i soldi per acquistare armamenti, come i tanto anelati aerei, quando in bilancio non ci sono soldi nemmeno per i fabbisogni più fondamentali dei contribuenti e di un'economia ormai allo stremo? BOSNIA-ERZEGOVINA La profonda divisione nazionale della Bosnia-Erzegovina si riflette nel problema della crisi del Kosovo e degli attacchi aerei della NATO contro la Jugoslavia. Mentre nella Repubblica Serba di Bosnia dall'inizio dell'intervento militare continuano le proteste contro gli attacchi, nella federazione bosniaca si dà pieno appoggio alla NATO. In prima linea ci sono soprattutto i bosniaki, i cui politici a più riprese hanno rilasciato dichiarazioni che hanno ulteriormente complicato i rapporti tra le due entità e i due popoli. Il copresidente della Camera dei ministri della Bosnia, Haris Silajdzic, ha chiesto recentemente in un'intervista alla CNN un'azione militare americana contro la Jugoslavia "fino a quando la Serbia non verrà riportata nei confini di un tempo", parole con le quali evidentemente intendeva riferirsi ai confini della Serbia prima delle guerre balcaniche di inizio secolo. Questa dichiarazione è stata ritenuta nella Repubblica Serba di Bosnia come guerrafondaia e antiserba. Il governo della Repubblica Serba ha chiesto le immediate dimissioni di Silajdzic dali organismi unitari della Bosnia. Perfino l'alto rappresentante Carlos Westendorp ha "rimproverato" l'attuale copremier, avvertendolo che le dichiarazioni infiammate danneggiano la fragile stabilità della Bosnia. Oltre alle autorità ufficiali bosniache, anche i partiti di opposizione della Federazione hanno dato il loro pieno appoggio ai bombardamenti contro la Jugoslavia. Le uniche riserve nei confronti degli attacchi della NATO sono state espresse dalla Comunità Popolare Democratica (DNZ) di Fikret Abdic, che in un breve comunicato ha chiesto l'interruzione degli attacchi e la soluzione del problema con modalità pacifiche, e da uno dei vicepresidenti del Partito Socialdemocratico, Sejfudin Tokic. Parlando di fronte alla Camera dei ministri alternativa, un'organizzazione che opera come "governo-ombra", Tokic ha dichiarato che l'intervento della NATO non è stato sufficientemente preparato e che causa innanzitutto danni. Egli ha in particolare dichiarato che il risultato degli attacchi NATO è stato la scacciata di oltre mezzo milione di albanesi dal Kosovo, una forte omogeneizzazione dei serbi intorno a Milosevic e la distruzione ingiustificata di un paese. Tokic ha inoltre sottolineato come problema particolare il fatto che ciò avvenga senza l'approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Gli attacchi della NATO contro la Jugoslavia fanno tornare la Bosnia, da un punto di vista politico, indietro di due anni. I rapporti tra i politici bosniaki e quelli serbi negli organismi collegiali, non sono mai stati a livelli così bassi dai tempi di Momcilo Krajisnik e questo proprio per le differenti opinioni riguardo all'intervento NATO. La situazione della sicurezza nella Repubblica Serbia di Bosnia è peggiorata e tutte le organizzazioni internazionali hanno dovuto abbandonare questa entità. Gli scambi commerciali tra le varie entità, che si basavano sul commercio di merci provenienti dalla Jugoslavia o attraverso di essa, si sono completamente fermati, mentre il traffico aereo civile della federazione ha subito oltre 10 milionidi dollari di danni a causa della chiusura per dieci giorni degli aeroporti da parte della NATO. In una situazione in cui i serbi della Bosnia vivono l'attacco alla Jugoslavia come una questione emotiva, guardando a esso esclusivamente come il bombardamento dei loro fratelli e della loro madrepatria, mentre bosniaki, e in parte i croati, lo vedono come un regolamento di conti con un regime nazionalista che accusano di averli fatti soffrire per quattro anni, è difficile attendersi qualsiasi tipo di collaborazione all'interno delle istituzioni collegiali. E' chiaro che la comunità internazionale dovrà governare ancora a lungo la Bosnia-Erzegovina mantenendo tutte tre le nazioni "imbrigliate". |