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N.E. BALCANI #527 - BOSNIA
3 febbraio 2002


LA BOSNIA NELLA LOTTA CONTRO IL TERRORISMO
di Esad Hecimovic e Vildana Selimbegovic - ("Dani" [Sarajevo], 25 gennaio 2001)


**I retroscena della consegna agli USA del "gruppo degli algerini": come sono state violate le più elementari regole del diritto, il ruolo del Team antiterrorismo, le minacce guerresche degli Stati Uniti, il misterioso colonnello CIA di Roma, la nota inviata dall'ambasciata USA alla Bosnia-Erzegovina**

Solo cinque giorni prima della tanto attesa accettazione della Bosnia-Erzegovina (BiH) nel Consiglio d'Europa, in questo paese sono stati violati nel modo più eclatante - con la deportazione del cosiddetto "gruppo algerino" - la Convenzione europea sui diritti umani e la Costituzione della BiH approvata a Dayton, mentre allo stesso tempo è stata ignorata la Delibera della Casa per i Diritti Umani nella BiH e, cosa più grave di tutte, è stata rinnovata la già nota prassi dei tempi del governo HDZ-SDA, con l'unica differenza che questa volta la violazione della legge è avvenuta per volontà non di un governo bipartitico, bensì di una coalizione. Lo schiaffo ai principi della democrazia, dei diritti e della legge, questa volta non è stato arrecato solo dai partiti del paese: ha avuto l'acceso supporto - o, per essere più precesi, le dure pressioni - dei rappresentanti internazionali nella BiH.

"La Casa per i diritti umani della BiH è un'istituzione le cui decisioni sono definitive e non soggette ad alcuna revisione, nemmeno da parte della Corte costituzionale", afferma Sadudin Kratovic, presidene della Corte Suprema della Federazione BiH. [...] Questo giudice con lunghi anni di esperienza non cerca nemmeno di nascondere la sfacciatezza con la quale l'istituzione di cui è a capo si sta lavando le mani della recente deportazione del cosiddetto "gruppo algerino" dalla BiH.

Né lui, né il suo sostituto Vlado Adamovic, né nessuno dei due giudici per le indagini che hanno lavorato su questo caso - Jasminka Putica e Zdenko Eterovic - sono stati informati in alcun modo, e tantomeno coinvolti nel processo di deportazione dei sei sospettati, nei confronti dei quali è ancora in corso una procedura presso tale tribunale, afferma categoricamente il giudice Kratovic, senza nascondere, inoltre, di essere pronto a sfruttare le sue facoltà per sapere chi sia quel "qualcuno" che ha richiesto alla Corte Suprema la deportazione dal carcere.

La responsabilità della deportazione dei sei 12 ore dopo il loro rilascio dalla prigione è di responsabilità di coloro che sono stati disponibili a prendere la decisione di consegnarli nonostante la Delibera della Casa per i diritti umani. Gli esecutori della delibera sono, innanzitutto, i funzionari del ministero degli interni federale, ma Ramo Maslesa, il ministro federale degli interni, non ha agito di propria iniziativa e la decisione sulla "seconda fase dell'azione" (per utilizzare il termine di servizio poliziesco) è stata presa ai livelli più alti, cioè nel corso di una riunione alla quale hanno preso parte 15 rappresentanti delle istituzioni in questo momento più importanti nella BiH. Presso l'ufficio di Zlatko Lagumdzija, che presidede il Consiglio dei ministri ed è anche ministro degli esteri, si trovavano, oltre all'incaricato d'affari dell'Ambasciata degli Stati Uniti in Bosnia, Christopher Hoh, anche il vice di Jacques Klein, cioè il capo gabinetto Vincent Courderoy, il commissario dell'IPTF in BiH, un colonnello della SFOR, alcuni loro collaboratori di altri settori della comunità internazionale in BiH, nonché il ministro per i diritti umani della BiH, Kresimir Zubak, il viceministro per gli affari civili, Jusuf Halilagic, il premier federale Alija Behmen...

DUE BINARI PARALLELI
La riunione è durata fino a mezz'ora prima della mezzanotte del 19 gennaio di quest'anno, dopo essere cominciata intorno alle 20.30 presso l'ufficio del ministro della polizia con l'arrivo dei funzionari internazionali. Il motivo diretto di tale riunione era la Delibera emessa dal Segretariato della Casa per i diritti umani nella BiH, nella quale Hoh ha immediatamente individuato tutta una serie di carenze, adottando insieme ai suoi colleghi una posizione inflessibile sul fatto che si trattasse di un pezzo di carta che non comportava alcun vincolo?! Ma tutta la storia della deportazione è cominciata molto prima e ha preso a svilupparsi in pratica nel momento in cui è emersa la possibilità di una revoca dell'incarcerazione da parte della Corte Suprema della BiH.

Ma andiamo con ordine. L'8 ottobre è stato arrestato a Zenica Bensayah Belkacem. Lo stesso giorno, l'allora ministro degli interni federale Muhamed Besic aveva dichiarato di fronte alle telecamere che presso l'abitazione dell'arrestato, a Zenica, era stato ritrovato il numero di telefono di Abu Al Maida, "un alto ufficiale militare di Al Qaeda". I media americani e britannici hanno rapidamente corretto Besic, spiegando che non si trattava dell'inesistente Abu Maidu, bensì di Abu Zubeyda, e che non era stato trovato solo il numero di telefono di quest'ultimo, ma che si trattava dell'intercettazione di una conversazione telefonica tra Belkacem e Zubeyda. La chiusura dell'ambasciata americana è stata evidentemente una conseguenza diretta delle informazioni sulla base delle quali è stato richiesto l'arresto di Belkacem. Ricordiamo: l'ambasciata americana e quella britannica a Sarajevo sono state chiuse il 17 ottobre per "fondate minacce alla sicurezza" di cui si era venuti a conoscenza sulla base di dati dei servizi segreti. Alcuni media americani hanno affermato che tali informazioni erano state ottenute mediante l'intercettazione di conversazioni telefoniche, ma non ne sono state fornite le prove. Fonti militari degli USA hanno spiegato che non si desiderava rendere pubblici i metodi con cui le informazioni erano state raccolte. Poco dopo sono state arrestate altre cinque persone.

L'affermazione secondo cui alle autorità locali è stato consegnato un elenco di persone sospette è stata confermata da Zlatko Lagumdzija quando il 21 ottobre ha fatto ritorno da Berlino e Bruxelles: "Per quanto ne so, sono attualmente cinque le persone indagate che fanno parte dell'elenco consegnato, riportante i nomi delle persone che debbono essere oggetto di indagini per il potenziale pericolo di attività terroristiche". Il giorno successivo sono state riaperte le ambasciate e le autorità giudiziarie locali hanno avviato il 30 ottobre la prima indagine per terrorismo internazionale presso la Corte Suprema della BiH.

A questo punto si potevano osservare già due binari di azione: da una parte c'erano le istanze giudiziarie, dall'altra il Team di coordinamento antiterroristico, che le autorità locali avevano creato evidentemente prese dal panico dopo gli eventi dell'11 settembre negli USA e per cercare di dimostrare il proprio impegno nella lotta contro il terrorismo. Il Consiglio dei ministri, quindi, ha adottato il 24 settembre un Piano di attività per la lotta contro il terrorismo che, detto per inciso, già nella sua seconda settimana si è trasformato dalle solite ciance politiche in un vero e proprio piano operativo. L'elemento politico rappresenta in realtà la sostanza ultima del piano, la cui realizzazione ha confermato tutta l'incompetenza degli "addetti ai lavori" L'idea di base era evidentemente quella di sfruttare la campagna contro il terrorismo per rafforzare la statualità della BiH, dalla questione della cittadinanza fino a quella del rafforzamento delle istituzioni della BiH e alla collaborazione tra le diverse entità, ma sono stati fatti errori fin dal primo passo.

E' stato creato un Team di coordinamento composto da quattro membri del Consiglio dei ministri (il viceministro degli esteri, capo del team, e i viceministri per l'integrazione europea, gli affari civili, i diritti umani e i profughi), nonché da due rappresentanti di ogni entità. Il piano prevede che "del Team di coordinamento, secondo necessità, entreranno a fare parte e verranno invitati anche i rappresentanti di altre istituzioni impegnate nella realizzazione di tali attività". La campagna antiterroristica è diventata così per le autorità un compito quotidiano, la cui realizzazione viene coordinata in maniera scandalosa, come viene dimostrato nella maniera più illustrativa proprio dal caso del "gruppo algerino": grazie al coordinamento sono stati sospesi con successo lo stato di diritto e il governo della legge.

GLI AVVOCATI DISCORDI
"Il governo degli USA ha offerto al governo della BiH indizi affidabili sul fatto che gli appartenenti al menzionato gruppo algerino possono fornire informazioni rilevanti su questioni di interesse per la lotta contro il terrorismo internazionale", ha dichiarato il Team di coordinamento antiterroristico. "Le persone che sono state consegnate alla custodia degli Stati Uniti hanno dei dossier eloquentemente molto simili.", afferma nuovamente il Team antiterroristico, che altrimenti preferisce pronunciarsi per mezzo di comunicati. Fonti di "Dani" affermano che all'interno dello stesso Team è stata esaminata a più riprese l'idea dell'indispensabilità di un approccio unitario e di informare l'opinione pubblica riguardo a tutti i problemi generatisi dopo la revoca della cittadinanza ai sei uomini del gruppo algerino. Ivica Misic, capo del team, ha ritenuto che la migliore variante fosse quella di lasciare a Rasim Kadic il compito di rivolgersi all'opinione pubblica, ma quando le telecamere si sono accese, Kadic ha desistito. Lo stesso Misic non ha voluto parlare per motivi di sicurezza, secondo una versione, mentre secondo un'altra nel corso dei lavori del Team antiterroristico aveva formulato un gran numero di giustificate critiche per la maniera volontaristica in cui quest'ultimo lavorava e per il fatto che veniva utilizzato in vista delle prossime elezioni.

Su un totale di sei arrestati, l'opinione pubblica è venuta a sapere solo nel caso di Belkacem, durante il procedimento giudiziario, il modo in cui questo algerino ha ottenuto la cittadinanza della BiH fornendo dati falsi. Negli altri cinque casi, la revoca della cittadinanza è stata decisa senza che l'opinione pubblica ne venisse informata. Riguardo a tali revoche della cittadinanza sono state avviate due procedure di appello - una presso la Corte suprema e l'altra presso la Casa per i diritti umani.

Nemmeno il team degli avvocati ha agito in maniera unitaria. Fahrija Karkin, Rusmir Karkin e Mustafa Brackovic hanno sporto denuncia il 20 dicembre presso il tribunale della Federazione bosniaca, chiedendo l'annullamento delle sentenze con la quale il ministero degli interni federale aveva revocato la cittadinanza ai loro assistiti. Nelle sentenze si scriveva che la cittadinanza veniva revocata per "sospetti fondati che gli accusati abbiano tentato di compiere atti perseguibili penalmente". Gli avvocati e i funzionari dell'ONU affermano che il ministro degli interni federale rifiuta di consegnare l'atto alla Corte suprema, motivo per cui la denuncia non è stata nemmeno presa in esame. Gli avvocati affermano che il ministero degli interni federale viola "un postulato fondamentale del diritto penale, quello dell'articolo 3 della Legge sulle procedure penali della Federazione bosniaca, secondo cui una persona viene considerata innocente sotto il profilo penale fino a quando non vengono accertate a norma di legge le sue colpe". Questo contenzioso è stato avviato da tre dei sospettati - Boumediene Lakhdar, Mohamed Nechia e Boudellaa Hadz, mentre i tre rimanenti sospettati non lo hanno fatto. Nermina Pivic, avvocato di Bensayah Belkacem non ha sporto querela per la revoca della cittadinanza, perché il suo assistito aveva già ammesso durante il procedimento svoltosi a Zenica di avere compiuto la violazione penale di fornire dati falsi in occasione del ricevimento della cittadinanza bosniaca. Saber Lahmar, da parte sua, aveva solo un permesso di residenza permanente in BiH, ma nel corso delle indagini della Corte suprema, che lo sospettava di avere fornito dati falsi, ha ammesso di avere compiuto tale violazione penale.

Le posizioni degli avvocati sono discordi anche nel contenzioso portato di fronte alla Casa per i diritti umani. L'avvocato Mustafa Brackovic ha presentato per primo la domanda relativa al suo cliente in data 14 gennaio, mentre il 16 gennaio sono state presentate altre tre domande. Gli avvocati Namik Silajdzic e Nermina Pivic spiegano di non avere presentato una domanda, poiché ritenevano che la delibera che era stata richiesta alla Casa per i diritti umani al fine di impedire la deportazione, avrebbe avuto di principio validità per tutti gli arrestati. Nella delibera, tuttavia, viene precisato che "si ordina alla BiH e alla Federazione BiH di adottare tutte le misure necessarie al fine di impedire che coloro che hanno presentato domanda - Boudellaa Hadz, Boumediene Lakhdar, Mohamed Nechla e Saber Lahmar vengano portati al di fuori della BiH con l'impiego della forza". Tale delibera era di carattere temporaneo ed era destinata a rimanere in vigore fino all'11 febbraio di quest'anno.

La delibera è stata pubblicata a Sarajevo e a Parigi il 17 gennaio, mentre l'operazione di deportazione è stata in pratica avviata già il 16 gennaio. In quella data, come prima cosa, la Corte penale del Tribunale municipale di Zenica, su proposta del giudice Aida Smajic ha disposto la scarcerazione del "prigioniero di Zenica", cioè di Belkacem. Venivano menzionati due motivi per la scarcerazione: il procedimento principale era stato rimandato a data da destinarsi per raccogliere prove e, in secondo luogo, non esisteva la possibilità di una fuga di Belkacem, perché esisteva anche la sentenza della Corte suprema della Federazione bosniaca che lo condannava a un mese di carcere. Dopo che è stata revocata la sua reclusione a Zenica, Belkacem è stato trasferito il 16 gennaio, intorno alle 20.30, nel carcere di Sarajevo. Così è terminata con successo la prima parte dell'azione del ministero degli interni federale (stiamo sempre parlando delle deportazioni).

Nel frattempo si attendeva la decisione della Corte suprema della Federazione bosniaca, poiché era scaduto il termine di carcerazione preventiva di tre mesi. La Procura federale non aveva chiesto una proroga della carcerazione: in questi giorni i giudici di Sarajevo si meravigliano per l'ufficio del procuratore che ha avuto in mano la questione e ha opposto resistenza di fronte a pressioni di ogni genere al fine di ottenere il prolungamento di una detenzione in carcere per la quale non vi erano più motivi validi. Il giudice Jasminka Putica, che altrimenti è stata giudice per le indagini in questo procedimento, ha richiesto a più riprese, affermano persone bene informate, di potere ottenere in visione le trascrizioni delle conservazioni, al fine di potersi convincere della validità degli indizi. Non le ha ottenute. Nel momento critico, a causa di un altro procedimento nel quale è giudice per le indagini, il giudice Putica si trovava in viaggio di lavoro. In assenza di una richiesta di prolungamento della carcerazione e con elementi tratti dall'elenco, il 17 gennaio, intorno alle 16, il giudice per le indagini Zdenko Eterovic ha emesso una Sentenza di scarcerazione per tutti i sei sospettati. Il giudice Eterovic si basava sul rapporto della Procura federale del 17 gennaio, con il quale si comunicava al giudice per le indagini che "non esistono più i motivi e le circostanze per i quali era stata disposta la carcerazione, e quindi tale misura può essere cancellata per tutti gli accusati, che possono essere messi in libertà". L'indagine presso la Corte suprema non è stata interrotta a causa di ciò, ma la Corte suprema evidentemente non ha potuto ottenere in visione nessuno dei potenziali indizi secondo cui si tratterebbe di persone che sono "terroristi pericolosi, pronti a minacciare la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni degli USA nella BiH, ma anche di importanti edifici e istituzioni nella stessa Sarajevo" (cioè la formulazione messa a punto dai servizi segreti esteri, ma anche da quelli bosniaci).

"Sarebbero sicuramente stati tenuti in carcere, se vi fossero state prove a sufficienza che avessero indicato tale necessità. Poiché nulla di ciò è stato fornito, è stata formulata la sentenza con la quale veniva annullata la carcerazione e tale sentenza è stata inoltrata nel corso dell'orario lavorativo del 17 gennaio alla Direzione delle Carceri centrali. Da quel momento è terminata ogni ingerenza della Corte suprema", spiega il presidente della Corte Kratovic.

LA BOSNIA SUL TAVOLO DI BUSH
La deportazione è stata eseguita dal ministero degli interni federale, dopo alcune sedute del Team antiterrorismo. All'inizio di questo mese ha soggiornato a Sarajevo un noto colonnello della CIA, che ha cercato a più riprese di presentarsi ufficialmente presso le istituzioni e i tribunali locali, ma non ha trovato assolutamente un'accoglienza benevola. Funzionari bosniaci (che hanno chiesto a "Dani" di rimanere anonimi) affermano di avere semplicmente chiesto che tale signore dicesse i motivi per cui deciderava essere ricevuto. Alcuni di loro sono così riusciti a evitarlo, ma all'incirca allo stesso tempo si svolgeva la prima riunione del Team antiterrorismo durante la quale si è menzionata la possibilità di una deportazione dei sei algerini. Nel corso di tale riunione, alla quale hanno preso parte, oltre i membri ordinari del team, anche Lagumdzija, Behmen, Ramo Maslesa, Tomislav Limov e Munir Alibabic, Kresimir Zubak e Jusuf Halilagic, si è svolto un accesso dibattito su chi avrebbe dovuto prendere la decisione della deportazione. La scelta è caduta sul ministero degli interni federale e l'unica destinazione che era all'esame era Algeri, oppure l'Italia per due dei sei per i quali era stato accertato che erano arrivati in BiH dall'Italia. Munir Alibabic si è assunto il compito di organizzare, attraverso un colonnello dei servizi segreti americani a Roma, la tecnologia della deportazione?! Nessuno dei presenti ha posto la domanda del perché proprio un colonnello americano a Roma, ma alcuni dei nostri interlocutori oggi ritengono che si trattasse dello stesso colonnello della CIA che si era presentato da loro.

In occasione di quella riunione nessuno ha nemmeno menzionato gli USA come paese destinato a prendere in consegna il sestetto degli algerini. Solo all'inizio della settimana scorsa, quando Algeri ha chiesto ufficialmente che i problemi creatisi venissero esaminati solo in febbraio, il Team antiterrorismo si è nuovamente riunito nella già menzionata composizione allargata e nel corso di tale incontro è emersa l'informazione che gli americani erano interessati a venire in soccorso della BiH prendendo in consegna gli algerini. Fonti di "Dani" da parte loro affermano che tale riunione del Team è stata preceduta da un incontro presso il ministero degli esseri svoltosi su richiesta del generale americano John Sylvester, comandante della SFOR, e di Christopher Hoh, incaricato d'affari della ambasciata americana, che sostituiva l'ambasciatore assente. Nel corso dell'incontro, durato due ore, Sylvester ha detto senza molte cerimonie di avere già informato il sabato precedente gli Stati Maggiori Riuniti delle forze armate USA dell'imminente scarcerazione dei sei algerini?! Questi ultimi, sebbene la cosa sia molto poco usuale, lo hanno chiamato già il mattino seguente, dicendogli che di tutto ciò era stato informato il vicepresidente americano Dick Cheney, il quale a sua volta aveva chiesto un rapporto completo sulla questione entro la fine della giornata. Il rapporto è stato poi presentato in occasione di una riunione tra George Bush e il suo gruppo di collaboratori più ristretto incaricato della sicurezza. Bush si è infuriato e ha detto che non gli interessa né la Bosnia né la regione, e che se la Bosnia non avesse consegnato i sei agli USA le forze americane sarebbero state costrette ad arrestarli?!

Le stesse fonti affermano che Sylvester, alla fine di tutta questa storia avrebbe detto, sempre senza peli sulla lingua: "Abbiamo finito con l'Afghanistan e siamo alla ricerca di nuovi territori dei quali sospettiamo che possano essere un rifugio per i terroristi!", una dichiarazione che probabilmente rappresenta (e così è stata accolta) una dichiarazione implicita di guerra.

Lagumdzija, a quanto si riferisce, gli ha risposto: "Se proprio dobbiamo violare i diritti umani, e per questo saremo sottoposti a un fuoco di fila da parte delle associazioni per la difesa dei diritti umani, cerchiamo almeno di farlo nella minore misura possibile". A voce gli ha detto che lo avrebbero fatto le autorità bosniache, ma non per gli USA, bensì per la Bosnia stessa.

Sono seguite tre riunioni urgenti del Team antiterrorismo, nel corso delle quali gli americani hanno mostrato a una parte selezionata del team le prove di cui dispongono. In un caso si tratta di spese di denaro incontrollate da parte di un'organizzazione umanitaria araba. Ne hanno ricevuto la conferma, a quanto affermano, dall'ambasciata saudita, che ha finanziato tale organizzazione e ha dato loro somme in denaro circa dieci volte superiori a quelle riportate nei libri, mentre in libri paralleli venivano riportate spese ufficiali per un ammontare ancora minore. In un'altra organizzazione araba i soldati americani, a quanto si afferma, hanno trovato anche CD con materiali pornografici per pedofili.

CONSEGNA A TUTTI I COSTI
Dunque, il team nella sua composizione ampliata è stato incaricato solo dell'effettuazione dei compiti assegnati: la Legge sulle procedure penali precisa le modalità della consegna, ma in questo caso non si è agito in conformità a essa. Ai sospettati non era stata imposta una carcerazione pre-estradizione, né alcun tribunale competente ha approvato la loro consegna. Il presupposto della consegna è che la persona per la quale essa viene richiesta, con una domanda del paese estero, non sia cittadino della BiH o una persona che vi abbia ricevuto asilo. Una delle condizioni per la consegna è che l'atto per cui si chiede la consegna stessa non sia stato compiuto sul territorio della Federazione bosniaca. In tutti i casi precedenti, il ministero degli interni federale aveva ignorato i contenziosi amministrativi presso la Corte suprema e quelli giudiziari presso i tribunali della BiH, emettendo senza indugi una Delibera di deportazione. Chi e come abbia emesso tali delibere di deportazione nei casi precedenti riguardanti almeno quattro cittadini dell'Egitto e della Giordania è rimasto ignoto. L'altra possibilità è quella di una Delibera di divieto a stranieri di entrare nel territorio dello stato, basata sulla Legge sull'immigrazione e l'asilo. Naturalmente, tale misura di norma viene messa in atto dalla polizia di confine, e non da unità speciali all'uscita di un carcere. Le norme di legge prevedono il divieto di estradizione e di persecuzione delle persone per le quali esistano sospetti fondati che possano essere sottoposte a tortura o ad altri atti inumani, nonché a procedure fuori dal diritto, in tali territori.

In questo caso concreto, il ministro federale della polizia Maslesa ha approvato una Delibera di deportazione sulla base delle decisioni adottate in occasione della riunione del Team antiterrorismo. Maslesa ha anche ricevuto una nota scirtta degli USA, che gli è stata consegnata intorno alle ore 17 del giorno in questione, cioè il 17 gennaio. Due ore dopo, Maslesa ha ricevuto la delibera della Casa per i diritti umani, che era stata approvata come abbiamo già descritto. Ma bisogna aggiungere anche questo: Madeleine Rees, capo della missione del commissariato per i diritti umani dell'ONU a Sarajevo, aveva avvisato la Casa per i diritti umani della possibile deportazione di tre cittadini e di una persona con permesso di soggiorno permanente, prima che la Corte suprema approvasse la sentenza finale riguardo ai loro ricorsi per la revoca della cittadinanza e il ritiro del permesso di soggiorno permanente. Secondo tale avviso, sembra che il ministero degli interni federale abbia approvato la Delibera di divieto di entrata sul territorio, motivo per cui, dopo il loro rilascio, i sei si trovavano illegalmente sul territorio della BiH. Madelein Rees avvisava la Casa che "la sentenza del tribunale con la quale venivano respinte o ritirate le accuse di terrorismo per mancanza di prove rende più facile l'adozione di una delibera contro il sollevamento di eccezioni" che nelle convenzioni internazionali consentono alle autorità di estradare uno straniero senza diritto di appello, se ciò è nell'interesse dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale. E' emerso, tuttavia, che tali sentenze di tribunale per la liberazione degli algerini per mancanza di prove non esistono assolutamente.

La Presidenza della Bosnia ed Erzegovina non è stata informata dei fatti da nessuna istituzione federale o statale. Alcuni giorni prima, Radisic, Krizanovic e Belkic hanno ricevuto in occasione di una loro riunione Srdan Dizdarevic, presidente del Comitato Helsinki per i Diritti Umani nella BiH e in tale occasione hanno esaminato un rapporto sulla situazione dei diritti umani nella BiH, pubblicato da tale istituzione. Si è parlato anche del "gruppo degli algerini": rimane un mistero se proprio questa visita di Dizdarevic e la valutazione della Presidenza, espressa in occasione di tale incontro, secondo cui bisogna rispettare i diritti umani è stato il motivo diretto per cui il più alto organo dello stato è stato completamente ignorato nell'operazione di deportazione. Beriz Belkic, membro della Presidenza della BiH, sorpreso da tutto quello che ha letto sui giornali e premuroso di esprimere il proprio sostegno incondizionato a ogni azione contro il terrorismo, afferma: "Per il futuro di questo paese, la legge deve essere rispettata in ogni occasione".

[...]

[RIQUADRO]: LA NOTA DEGLI STATI UNITI INVIATA ALLA BOSNIA-ERZEGOVINA

02-100/S

"L'Ambasciata degli Stati Uniti d'America esprime i suoi rispetti al Ministero degli Esteri della Bosnia ed Erzegovina e ha l'onore di informare il governo della Bosnia ed Erzegovina che il Governo degli Stati Uniti è pronto a prendere in consegna per la carcerazione i sei cittadini algerini in questione (elencati sotto). Queste sei persone sono state incarcerate dall'ottobre 2001 sulla base di informazioni fornite dal governo degli Stati Uniti e che indicavano come per tali persone esista il sospetto di un coinvolgimento nel terrorismo internazionale.

I sei carcerati sono Bensayah Belkacem, noto anche come Abu Majd, Sabir Lahmar, noto anche come Abu Omar, Mustafa Itiolir, noto anche come Mustafa ait-Idr, Al-Muntaser, noto anche come Lakhdar Boumediene, e Mohammed Nechele, noto anche come Sharfuldin.

Se tale richiesta sarà ritenuta accettabile dal governo della Bosnia ed Erzegovina, provvederemo a prenderci carico della carcerazione fisica di tali persone in un momento e in luogo conveniente per entrambi.

L'Ambasciata degli Stati Uniti d'America coglie l'occasione per esprimere ancora una volta i propri più profondi rispetti al Ministero degli Esteri della Bosnia ed Erzegovina.