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![]() NOTIZIE EST #119 - BULGARIA **** SPECIALE BULGARIA / 3 **** LA DOTTRINA NAZIONALE BULGARA: IL "MEMORANDUM" DEI NAZIONALISTI DI SOFIA Negli ultimi mesi del 1997 i giornali di Sofia hanno pubblicato alcuni estratti di un documento intitolato "Dottrina nazionale bulgara", redatto da un collettivo composto da numerosi accademici bulgari. Si trattava di alcuni anticipi da un volume che sarebbe stato pubblicato di lì a poche settimane, con il finanziamento di una ditta privata e di un istituto dell'Accademia delle Scienze Bulgara. Gli estratti pubblicati dai giornali hanno immediatamente suscitato una vasta eco a Sofia e a Skopje, a causa di alcune affermazioni con le quali si lasciava intendere a chiare lettere che la Macedonia è territorio legittimamente spettante alla Bulgaria, eco che ha a sua volta portato alcuni degli autori a precisare che i passi citati non potevano essere correttamente interpretati al di fuori del contesto dell'opera complessiva, ancora non pubblicata. Si tratta di una successione di anticipi, precisazioni e pubblicazione in volume solo in un secondo tempo che ricorda molto da vicino quanto era avvenuto negli anni '80 a Belgrado con la pubblicazione del "Memorandum dell'Accademia delle Scienze Serba". Le polemiche sulla "Dottrina nazionale bulgara", tra l'altro sopitesi presto, non hanno tuttavia trovato alcuna eco al di fuori della Bulgaria e della Macedonia, nonostante il documento proponga tesi nazionaliste e revansciste di portata sicuramente non minore di quelle del suo analogo serbo. La pubblicazione del testo è avvenuta in un periodo delicato della vita politica bulgara e delle relazioni del paese con la vicina Macedonia. Alcuni mesi prima, infatti, a Sofia era stato eletto un nuovo governo monocolore della SDS (Unione delle Forze Democratiche), la principale forza di destra della Bulgaria. Nei messi successivi la SDS ha lavorato intensamente a una consolidazione del proprio potere, conquistato dopo alcuni anni di governo del Partito Socialista, culminati in una gravissima crisi economica. E' proprio nei mesi in cui la SDS riusciva con successo a consolidare le proprie basi di potere, grazie anche all'aperto appoggio fornitole dall'Occidente, che la "Dottrina Nazionale" è stata elaborata e pubblicata. Oggi, con la crisi nel vicino Kosovo e la vittoria in Macedonia della destra nazionalista, dalle posizioni tuttavia più aperte nei confronti della Bulgaria, il suo contenuto appare ancora più preoccupante IL TESTO DELLA "DOTTRINA" L'intero testo della dottrina [1] è impostato su toni vittimistici, o che pretendono comunque di dare un'impressione non aggressiva del nazionalismo bulgaro, con frequenti dichiarazioni di fede nei processi di integrazione europea e di negazione di ogni ambizione espansionistica. I toni sono spesso sfumati o ambigui e l'obiettivo è chiaramente quello di inviare un messaggio che risulti chiaro ai lettori bulgari (o macedoni), senza usare una terminologia che possa provocare critiche dall'estero, che difatti non sono mai venute. Tuttavia, a una lettura attenta, che tenga conto anche del contesto della Bulgaria attuale, gli intenti revanscisti appaiono chiari. Gli autori della Dottrina iniziano affermando che il testo contiene "le idee che costituiscono la base necessaria per un consenso e un'unità nazionale [...]. Siamo fermamente convinti, che esso verrà adottato come sacro obiettivo nazionale da ogni bulgaro" (p. 6), affermando poi che "la dottrina nazionale costituisce un sistema teoricamente fondato di opinioni e principi ufficialmente [i corsivi nel testo sono tutti dell'autore - a.f.] accettati riguardo alle aspirazioni storiche, alle prospettive e agli obiettivi della nazione e che indicano la via per la realizzazione dell'ideale nazionale. La formulazione e la conferma della dottrina nazionale come documento ufficiale richiedono un consenso nazionale" (p. 7). La Dottrina è un prodotto della "scienza", affermano gli autori, che asseriscono di averla scritta per "indirizzare l'energia creatrice e la volontà della nazione verso il consolidamento e lo sviluppo dell'unità nazionale nel nome dell'ideale nazionale". Come modelli della Dottrina vengono citati esplicitamente documenti analoghi di altri paesi balcanici: la "Megali idea" greca, il "Nacertanije" serbo di Garasanin e il "Memorandum" dell'Accademia serba delle scienze, nonché la dottrina nazionale turca di Ataturk (p. 8). Il suo compito è quello di riprendere gli obiettivi formulati dai politici bulgari fin dall'indomani della liberazione dalla dominazione turca e mai realizzatisi, secondo gli autori, a causa di un'insufficiente unità politica. Tali obiettivi non vengono formulati nel testo a chiare lettere, ma è più che lecito presupporre, sulla base del resto della Dottrina, che il principale tra di essi sia quello dell'unione di "tutti i bulgari" in un solo stato, che non potrebbe che comportare l'annessione della Macedonia. "L'ideale nazionale", prosegue il testo, "rappresenta un grande e sacro obiettivo al quale aneliamo e che realizzeremo come nazione e come stato", esso pertanto "dovrà avere il sopravvento sulle motivazioni e gli interessi di partito, di ceto, di classe, etnici, religiosi e di stretto egoismo personale" (p. 9-10). Dopo avere attaccato il passato regime comunista del quale gli autori sembrano tuttavia dimenticarsi di essere stati quasi tutti esponenti non di secondo piano, accusandolo di avere messo al bando l'idea di nazione (un'accusa del tutto infondata, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi anni del regime di Todor Zivkov), gli autori passano in rassegna l'evoluzione storica del concetto di nazione, passando poi all'esempio concreto della Bulgaria, nel cui caso "il fattore etnico e quello della religione ortodossa hanno svolto un ruolo decisivo nella formazione della nazione bulgara". Oggi però, secondo gli autori, la formazione della nazione bulgara è un fatto storicamente compiuto: essa è "una comunità durevole, che si sviluppa autonomamente e funziona su un territorio che rappresenta uno spazio politico, economico, sociale e spirituale unico. Tale spazio include i valori materiali e spirituali che sono il prodotto della specificità collettiva dei suoi membri, indipendentemente dalla loro provenienza etnica, religiosa, razziale ecc." (p. 14-15). Questa definizione, un po' contorta e apparentemente moderata, acquista un altro significato quando si legge, poco più avanti, come gli autori definiscono i soggetti che costituiscono la nazione bulgara, che secondo loro sarebbero: "coloro i quali custodiscono e trasmettono lungo le generazioni lo spirito del destino storico della Bulgaria; coloro che parlano la lingua bulgara in modo tale da potere partecipare in maniera equa ai destini della nazione; coloro i quali non aspirano a una identità nazionale straniera" (p. 15), tre definizioni che negano la possibilità di rivendicare un'identità collettiva non bulgara soprattutto ai cittadini del paese di religione musulmana o di etnia turca, che costituiscono approssimativamente il 12% degli abitanti della Bulgaria. Poco più avanti, inoltre, si specifica che "oggi il soggetto dell'identità nazionale bulgara non è tanto la classe, la religione o l'appartenenza politica, quanto piuttosto quella parte della nazione che in ogni tappa della sua evoluzione storica risulta in grado di unirsi intorno a un certo numero di idee, di principi, di valori e di ideali fondamentali" (pp. 16-17), ovvero, per forza di cose, la parte di etnia bulgara, cosa che risulta più evidente quando qualche passo più avanti si scrive che per costruire la tanto necessaria unità nazionale è necessario optare per una soluzione integrativa, ovvero per un processo che, secondo gli autori, consisterebbe nell'"eliminare tutti gli elementi puramente etnici che dividono la nazione" (p. 17). L'invocazione di un'unità puramente territoriale e non etnica, con uguali diritti per tutti, diventa così chiaramente il paravento per una politica assimilatrice, che elimini (un termine particolarmente inquietante) nel paese il diritto a ogni identità collettiva di tipo etnico, diversa da quella bulgara. A tale proposito, gli autori tengono a ricordare, poco più avanti, che l'art. 2 della Costituzione definisce la Bulgaria come "uno stato unitario, nel quale non sono ammesse formazioni territoriali autonome" (p. 19). Un altro fatto grave è che la Dottrina neghi l'esistenza delle repressioni contro le minoranze musulmana e turca, spesso cruente e di vasta portata, organizzate a più riprese dalla fine del secolo scorso fino alla caduta del regime comunista: "E' noto che dopo la Liberazione della Bulgaria [dai turchi] il nostro paese non è stato caratterizzato da fenomeni di conflitto etnico e di xenofobia" (p.14), scrivono gli autori cercando, come in altri testi nazionalisti di tipo analogo, di creare una falsa immagine di 'innocenza' per la nazione di cui asseriscono gli interessi. Una volta occupatisi delle minoranze turca e musulmana, gli autori passano ad affrontare di petto il tema che più di ogni altro interessa loro, quello della Macedonia. La Bulgaria, secondo gli autori, sarebbe un'eterna vittima innocente dei propri vicini: "Mai, nella propria storia, il popolo bulgaro o i suoi uomini di stato hanno dato prova o si sono dimostrati sciovinisti, prova ne è il fatto che la Bulgaria, dopo la Liberazione dai turchi e ancora oggi, confina solo con sue terre e sue popolazioni", una frase con la quale si rivendicano in un colpo solo territori della Macedonia, della Serbia, della Romania, della Grecia e della Turchia; e infatti, poco più avanti, si dice: "di un tale sciovinismo hanno dato prova i nostri vicini durante le guerre. Essi si sono impadroniti di terre che erano legittimamente bulgare e abitate da bulgari - Serbia: i territori bulgari lungo la Morava e il Timok, nonché le Province occidentali e la Macedonia del Vardar [cioè l'intera odierna Repubblica di Macedonia - a.f.]; Grecia: la Macedonia dell'Egeo e la Tracia del Mar Bianco; Turchia - la regione tracia di Edirne" (p. 23). Gli autori non si limitano a definire "legittimamente bulgari" tutti questi territori, ma asseriscono ancora una volta l''innocenza' della Bulgaria affermando che mai i bulgari hanno in passato hanno cercato di conquistare territori di altri paesi, come per esempio una regione "legittimamente della Serbia come il Kosovo" [2]. Sulla base di tali presupposti, gli autori della Dottrina indicano come uno degli obiettivi principali da perseguire oggi quello della lotta contro il 'nichilismo nazionale': "una dimostrazione concreta di nichilismo nazionale nel nostro paese è la posizione accomodante di alcuni uomini di stato e politici, nonché di una parte della nostra intelligencija, nei confronti della denazionalizzazione e della assimilazione dei bulgari nella Macedonia del Vardar e dell'Egeo, nella Tracia del Mar Bianco e in quella Orientale, in atto da almeno 80 anni, così come nei confronti dei tentativi di sradicare dalla nostra stirpe parti significative della nazione bulgara", ovvero turchi e musulmani, che i nazionalisti di Sofia ritengono bulgari che hanno smarrito la loro coscienza nazionale con la conversione forzata all'islam. Il nichilismo nazionale sarebbe nato in Bulgaria "con il crollo dell'ideale di unione nazionale prodottosi dopo le guerre balcaniche e dopo la Prima guerra mondiale [...], che ha portato all'umiliazione della nazione e al complesso di 'irrealizzabilità degli ideali nazionali'", cioè dell'annessione della Macedonia, della Dobrugia ecc.; "con l'erosione della coscienza nazionale in seguito alla diffusione, in tale periodo e dopo di esso, di idee di sinistra da parte dei comunisti, dei socialdemocratici e degli anarchici; [...] con la politica di denazionalizzazione forzata della popolazione bulgara in atto da decenni in Macedonia e in Tracia" (pp. 23-24). Nel successivo, lungo capitolo 3 gli autori ripercorrono la storia del paese, nell'intento di giungere a una più dettagliata definizione dell'ideale nazionale. Dopo avere rivalutato il dittatore Stambolov, l'uomo che ha costruito con metodi autoritari e sanguinari lo stato bulgaro negli anni successivi alla liberazione dalla dominazione ottomana, gli autori procedono a una rilettura della storia bulgara contemporanea con la quale, come vedremo qui sotto, vengono apertamente riabilitate le guerre di conquista della Bulgaria tra il 1912 e il 1918, le forze fasciste e terroriste e più in particolare la VMRO, la figura di un uomo autoritario e compromessosi con i nazisti come il re Boris III, nonché la "liberazione" (ovvero l'occupazione) della Macedonia durante la Seconda guerra mondiale. Per cominciare, si accusa in un lungo passo (p. 86) il Partito Agrario, la maggiore forza di sinistra e di governo di allora, di avere sconvolto negli anni '20 il paese con le sue riforme sociali, di avere provocato le reazioni di ampi strati sociali e di avere condotto una politica estera traditrice degli interessi nazionali, ma al colpo di stato fascista del 1923, uno dei fatti più tragici della storia bulgara, costato la vita a migliaia di persone, vengono dedicate esclusivamente le seguenti scarne righe: "Il 9 giugno 1923 l'Unione Militare effettua un colpo di stato e instaura al potere il governo di Aleksandar Cankov. I dirigenti degli agrari emigrano in Jugoslavia, dove alcuni di loro si mettono al servizio dei governi jugoslavo e greco" (p. 86). Dopo avere così liquidato e giustificato in appena due righe l'avvento al potere dei fascisti, gli autori si scagliano in una lunga pagina contro nichilismo nazionale dei comunisti e del Comintern, diffondendosi su un loro attentato del 1925 di cui vengono descritti nei dettagli vittime e modalità (p. 87), affermando che esso "divenne il motivo per una vasta campagna di omicidi politici", anch'essa costata la vita a centinaia di antifascisti, tra cui alcuni tra i migliori intellettuali bulgari, ma della quale, si noti bene, non si citano né le vittime né gli autori, questi ultimi essendo stati gli ambienti reazionari dell'epoca, di cui gli attuali nazionalisti altrove si dichiarano esplicitamente gli eredi. Lo stesso atteggiamento viene applicato riguardo alle sanguinose repressioni messe in atto da due dei personaggi più truci della storia bulgara, i terroristi "grande-bulgari" Todor Aleksandrov e Ivan Mihajlov, contro attivisti democratici e antifascisti. La loro opera sarebbe giustificata dalle cospirazioni del Comintern, che hanno portato "a conflitti, terminati con una serie di omicidi [...] tra gli attivisti della VMRO guidati da Aleksandrov e Mihajlov, da una parte, ed esponenti del Comintern in Bulgaria e in Macedonia, dall'altra" (pp. 88-89). Anche qui non si dice che 'i conflitti terminati con una serie di omicidi' sono stati in realtà repressioni sistematiche, violentissime e concordate il più delle volte con i fascisti bulgari o italiani, messe in atto dagli stessi Mihajlov e Aleksandrov contro centinaia di persone dalle convinzioni anche solo moderatamente democratiche. E' d'altronde l'intera storia della VMRO a essere rivalutata nelle pagine successive come modello di difesa degli ideali nazionali che gli accademici bulgari ritengono valido ancora oggi. Gli autori procedono quindi a giustificare l'adesione della Bulgaria all'Asse durante la Seconda guerra mondiale, lodando il "perfetto lavoro diplomatico" del re Boris III nel riuscire a ottenere dalla Romania la Dobrugia del sud (p. 92), senza specificare come ciò sia stato reso possibile da una tragica "pulizia etnica" che ha portato allo spostamento forzato di decine di migliaia di romeni e bulgari che abitavano entrambe le parti di tale regione etnicamente mista. Il re Boris III avrebbe inoltre avuto il merito, secondo la Dottrina, di avere fatto propria la "formula della realizzazione dell'ideale nazionale - la Bulgaria Unita. Senza che nessun soldato bulgaro dovesse versare sangue la Bulgaria è stata unita. Seppure per breve tempo, la Bulgaria ha raggiunto il suo ideale nazionale - la Patria unita e indivisibile" (p. 93), così gli autori descrivono, senza esporsi nominandola direttamente, l'occupazione della Macedonia, avvenuta senza spargimenti di sangue da parte bulgara tra le altre cose perché il suo territorio è stato prima occupato dai nazisti e solo in un secondo momento da questi ceduto 'in amministrazione' al governo di Sofia. Va rilevato inoltre che, sempre in relazione a quegli anni, nel testo viene riabilitata l'associazione Rodina, che negli anni '30 e '40 aveva proceduto, con metodi il più delle volte violenti, alla "bulgarizzazione" forzata di decine di migliaia di musulmani e turchi; gli autori della Dottrina lamentano il fatto che i suoi membri siano stato processati dopo la Seconda guerra mondiale come fascisti (p. 99). Del periodo del dopoguerra si condanna per alcune pagine soprattutto l'opera di denazionalizzazione dei "bulgari" in Macedonia e in Grecia e con particolare veemenza la politica accondiscendente del Partito Comunista Bulgaro a riguardo. Va tuttavia notato, in merito al PCB, che gli autori della Dottrina approvano apertamente l'indirizzo nazionalista adottato agli inizi degli anni '80 dal regime di Todor Zivkov (cosa del tutto scontata, visto che la maggior parte di essi ha cominciato la propria carriera proprio in quegli anni, come vedremo più avanti), in particolare le cerimonie promosse dal dittatore per celebrare i 1300 anni dello stato bulgaro, "un tentativo molto energico e coraggioso di fare rinascere l'ideale nazionale dell'unione spirituale di tutti i bulgari nel paese e nel mondo" (p. 102), un tentativo che in realtà ha aperto la strada, oltre che alle rivendicazioni egemoniche nei confronti della Macedonia, anche al tragico processo di "rinascita" nazionale, con il quale si è tentato di assimilare con la forza la popolazione musulmana o turca, causando decine di morti ed esodi di massa. Nel periodo successivo alla caduta del regime di Zivkov, secondo la Dottrina, l'ideale nazionale è stato erroneamente trascurato a causa di altri problemi ritenuti più pressanti. Grazie all'arrivo al potere del nuovo governo di destra e alla relativa stabilità politica venutasi così a creare, tuttavia, gli autori si sentono sufficientemente sicuri da affermare che "oggi la nazione bulgara si trova nuovamente di fronte alla necessità di fare sentire alta la propria voce per il proprio ideale nazionale non realizzato. Il futuro appartiene all'ideale non realizzato" (p. 104), e cioè quello nazionale che, come abbiamo visto, secondo la Dottrina è stato realizzato negli anni '40 con l'occupazione della Macedonia sotto l'egida nazista e che internamente deve essere perseguito "eliminando" ogni fattore di diversificazione etnica. Quali siano gli obiettivi più immediati per la realizzazione di tale ideale, gli autori lo spiegano qualche pagina più avanti: "il popolo bulgaro, per una serie di fattori storici, abita non solo il territorio compreso nei suoi confini statali, ma anche territori confinanti con il nostro paese e che appartengono ad altri stati. Ciò richiede alla Bulgaria di trasformarsi in un centro spirituale, che attraverso l'educazione e la cultura riesca a unire la nazione bulgara all'interno dei confini dei territori che legittimamente le appartengono nei Balcani [...]. Ricca ed economicamente forte, la Bulgaria si trasformerà in un centro di attrazione per i nostri connazionali, fino a diventare un potente fattore di lievitazione della cultura e dello spirito nazionale bulgaro" (p.113). La realizzazione di queste ambizioni egemoniche richiede, nel progetto degli autori della Dottrina, la caduta dei confini statali protezionisti, nonché la piena libertà dei flussi di mercato e una nuova corsa alle armi. Così, paradossalmente, la Dottrina si differenzia da altri documenti nazionalisti per l'aperto sostegno a strutture sovranazionali come l'UE e la NATO, nelle quali molto realisticamente gli autori individuano contesti ideali per mettere in atto le proprie mire egemoniche: "la Bulgaria è membro del Consiglio d'Europa dal 1992. Si tratta di un atto importante, che ci aiuterà a difendere meglio i nostri interessi nazionali. L'adesione all'UE e alla NATO aumenterà ulteriormente le possibilità di realizzare tali interessi" (p. 20). Per favorire questi processi di adesione, infine, secondo gi autori, è indispensabile accelerare le riforme economiche e procedere a una rapida privatizzazione (p. 123). GLI AUTORI Gli autori della "Dottrina" hanno sottolineato che il documento non è ufficiale, ma ne hanno comunque chiesto apertamente l'adozione come documento programmatico da parte del Consiglio di Sicurezza Nazionale presso la presidenza della repubblica, cosa che tuttavia fino a oggi non è avvenuta. Un rapido sguardo al collettivo redazionale, dà tuttavia un'idea del grado di ufficialità che il documento ha e consente allo stesso tempo di individuarne le "radici genetiche". Gli autori sono tutti professori universitari e per la maggior parte anche membri dell'Accademia. Tra i nomi, i primi a saltare all'occhio sono quelli di Konstantin Kosev, vicepresidente dell'Accademia delle Scienze, di Ivan Matev, presidente dell'Unione degli Studiosi Bulgari e l'arch. Hristo Gencev, un accademico noto per avere pubblicato svariate opere divulgative di carattere nazionalista. Ma ve ne sono altri ben più significativi dal punto di vista politico e storico. Il primo è quello di Georgi Markov, direttore dell'Istituto di Storia dell'Accademia delle Scienze e presidente della Commissione di attestazione presso il Consiglio dei Ministri, uno studioso che ha cominciato la propria carriera ai tempi del regime comunista di Todor Zivkov e che ha pubblicato negli ultimi anni numerosi volumi che reinterpretano la storia bulgara in base ai princìpi del revisionismo storico. E' significativo che in occasione della morte di Zivkov, avvenuta l'estate scorsa, egli ne abbia rivalutato in un'intervista l'opera di promozione degli ideali nazionali [3]. Tra gli autori figura poi Dimitar Gocev, uno storico che è tra i più radicali antimacedonisti di Sofia e che già durante il periodo del "socialismo reale" ha proceduto con i suoi volumi a una riabilitazione di fatto di importanti e cruenti fascisti bulgari come Ivan Mihajlov, il tutto sotto l'ala protettrice dell'allora Partito Comunista. Sempre godendo di tale protezione, Gocev è stato tra i fondatori, ancora prima della caduta del regime comunista, della nuova VMRO, una forza nazionalista e revanscista che fa parte dell'attuale maggioranza di governo. Negli ultimi anni, inoltre, Gocev ha allacciato rapporti stretti con il presidente croato Franjo Tudjman [4]. Un altro degli autori della Dottrina che ha avuto un ruolo inquietante durante il periodo del regime comunista è Orlin Zagorov (alias Sukri Tahirov), un intellettuale di origine etnica turca, oggi professore, che in passato ha svolto un ruolo centrale nella campagna di cambiamento forzato dei nomi dei membri della minoranza turca di Bulgaria, messa in atto da Zivkov negli anni '80, un processo che ha portato all'uccisione di decine e decine di persone e all'emigrazione forzata di centinaia di migliaia di altre [5]. Ma il nome che più di tutti conferisce al documento un carattere ufficiale è senz'altro quello del gen. Miho Mihov, l'attuale Capo di Stato Maggiore dell'Esercito bulgaro, che occupa tale posizione da quando la SDS è giunta al potere. La presenza del capo supremo delle forze armate bulgare dà un accento particolarmente inquietante a tutte le rivendicazioni nei confronti degli stati vicini e alle intenzioni di "eliminare gli elementi etnici che dividono la nazione" [6]. CONCLUSIONE La provenienza dei suoi autori e il loro stretto legame con gli ambienti ufficiali, così come il momento in cui è apparsa, fanno della "Dottrina nazionale bulgara" non solo il manifesto del nuovo nazionalismo bulgaro, ma anche il documento programmatico di una élite politica e intellettuale che è passata indenne attraverso gli anni della "transizione" e sta ora cercando di riguadagnare per intero le posizioni e l'influenza di un tempo, aiutata in ciò dal nuovo governo [7], che concede ai suoi esponenti un monopolio di fatto nella trattazione degli argomenti storici e di politica internazionale, che va dalla propaganda di massa attraverso la televisione, al campo più strettamente specialistico dell'editoria e della ricerca scientifica e che non risparmia nemmeno le forze armate. L'obiettivo dell'esecutivo è, evidentemente, quello di ottenerne una legittimazione a livello interno, soprattutto in vista dell'eventualità non improbabile che le riforme avviate non dovessero avere gli esiti sperati, con conseguenze a livello sociale facili prevedersi. Particolarmente inquietante è poi il fatto che al centro della dottrina vi siano rivendicazioni relative a territori definiti "legittimamente bulgari" e in particolare verso un paese confinante come la Macedonia. Anche se attualmente sembra improbabile che Sofia sia materialmente in grado di dispiegare i mezzi necessari per mettere in atto una politica espansionistica, non è escluso che una crisi interna (per nulla improbabile) possa spingere a breve o medio termine più pressantemente verso un tale sbocco. A tale proposito va notato che, fino a oggi, tutti i principali soggetti internazionali, dai paesi europei, agli Stati Uniti, alla NATO e al FMI, per citare solo i più importanti, hanno nei fatti favorito le posizioni nazionaliste di Sofia, appoggiandone attivamente il governo e ignorando l'ondata revanscista. Va detto anche, così come abbiamo già osservato in merito alle politiche autoritarie del governo bulgaro, che anche le ONG e i media, fatte alcune isolate eccezioni, hanno mancato di denunciare con la dovuta attenzione il crescente clima revanscista instaurato dai nuovi poteri del paese. ------------------- NOTE: [1] Il lunghissimo titolo originale del testo è: "Bulgarija prez dvadeset i purvi vek - Bulgarskata nacionalna doktrina, Purva cast: Fundament na bulgarskata nacionalna doktrina", a cura del 'Centro Scientifico per la Strategia Nazionale Bulgara', ed. Znanie, Sofia, 1997, pp. 125. Si tratta della della prima parte, teorica. La secondo parte, strategica, è uscita proprio nei giorni in cui viene pubblicato il presente articolo e ne riferiremo quanto prima. [2] Questa asserzione ha in primo luogo lo scopo di esprimere solidarietà con le attuali politiche egemonistiche di Belgrado nei confronti di altre nazioni, ma costituisce allo stesso tempo un'enorme falsità. La Bulgaria ha infatti occupato due volte il Kosovo: la prima volta dal 1915 al 1918, controllandone più della metà del territorio con particolare crudezza e violenza; la seconda volta durante la Seconda guerra mondiale, in misura molto più ridotta, ma non trascurabile, nell'ambito della spartizione dei Balcani tra Germania, Italia e, per l'appunto, Bulgaria (si veda "L'occupazione bulgara del Kosovo (1915-1918)", in Notizie Est #65, 9 luglio 1998). Questa falsa affermazione dà un'idea del basso livello polemico degli accademici nazionalisti bulgari, che si scatenano a bollare chiunque non sia d'accordo con loro di non essere "scientifico" (attacchi di tale genere sono stati per esempio lanciati a più riprese contro l'altrimenti internazionalmente apprezzato studioso tedesco Troebst), ma allo stesso tempo ricorrono per la loro opera propagandistica ai metodi meno "scientifici" che vi possano essere, come in questo caso. Va sottolineato che questi accademici rappresentano in realtà una minoranza, per quanto vociante e favorita dai legami politici di cui gode. Centinaia di altri studiosi bulgari continuano con coscienza e coraggio il proprio lavoro nelle condizioni estremamente difficili in cui versa il paese. [3] "Novinar", 8 agosto 1998 [4] Si veda, per esempio, l'appendice di documenti a Vasilevic, Djordje, "VMRO Vance Mihajlova", Belgrado, 1991. Non a caso, in un paese come la Bulgaria dove mancano i fondi per pubblicare traduzioni di molte opere fondamentali mai uscite durante i 45 anni di regime comunista, la casa editrice dell'Accademia delle Scienze ha ritenuto opportuno pubblicare l'anno scorso proprio la traduzione in bulgaro di un voluminosissimo libro di Tudjman, "Il destino storico delle nazioni", numerose copie del quale giacciono a tutt'oggi invendute nelle librerie di Sofia [5] Più precisamente, Orlin Zagorov è stato nella seconda metà degli anni '70 vicepresidente del "Comitato per lo sviluppo dei valori spirituali della società", del quale era presidente Ljudmila Zivkova, figlia del segretario generale del PCB, Todor Zivkov. Il Comitato si è occupato in principio di operazioni come la "trasformazione" delle cerimonie nuziali islamiche in cerimonie "socialiste", per passare con gli anni a un ben più impegnativo ruolo ideologico di primo piano nella campagna di bulgarizzazione forzata e violenta dell'etnia turca. Nel 1985, mentre all'estero cominciavano a trapelare i primi particolari di questa sanguinosa campagna, Zagorov firmava con uno sparuto gruppo di altri intellettuali e funzionari di partito di origine turca una "Dichiarazione dei bulgari che hanno ristabilito i propri nomi", nella quale si esprimeva pieno appoggio al regime e si affermava: "Siamo figli della nazione bulgara, siamo signori in questa terra, qui per noi è il paradiso, un altro paradiso per noi non esiste e non può esistere", e si criticava "la campagna antibulgara" messa in atto in occidente. Oggi Zagorov si è convertito a un nazionalismo su posizioni simili a quelle del partito di destra al potere, ma negli anni '80 i suoi libri portavano titoli come: "L'unità di classe, di partito e nazionale del popolo bulgaro", "Alcuni problemi dell'ideologia e della lotta ideologica", "La coscienza socialista bulgara". (Su Zagorov si veda Stojanov, Valeri, "Turskoto naselenie v Bulgarija mezdu poljusite na etniceskata politika", Sofia, 1998, pagg. 149, 183 e 188-189 n.). [6] Che il Capo di Stato Maggiore bulgaro possa inoltre collaborare fianco a fianco con personaggi come Zagorov e continuare a ricevere lodi incessanti dalla NATO per il suo operato, la dice lunga su quali siano gli intenti "democratici" del Patto Atlantico in Bulgaria e non solo in Bulgaria. [7] Che la destra anticomunista bulgara abbia radici genetiche in realtà non molto lontane da quelle degli accademici collaboratori del passato regime, anche se più tecnocratiche, lo dimostra un rapido sguardo alle biografie "ante 1989" dei suoi più alti esponenti. E' sufficiente a tale proposito citare gli esempi del premier Ivan Kostov, ex economista dell'Istituto di Marxismo-Leninismo, o di altri tra i più potenti uomini politici, come Evgeni Bakurdziev, uomo forte a Sofia del Partito Agrario, che ai tempi di Zivkov era un clone del Partito Comunista, oppure l'ex premier e oggi sindaco di Sofia, Sofijanski il quale, insieme all'attuale presidente del parlamento Jordan Sokolov (uno dei nazionalisti e anticomunisti più accesi), era dirigente della BTK, la telecom bulgara. |