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NOTIZIE EST #420 - CROAZIA
25 marzo 2001


CROAZIA: L'ESTREMA DESTRA ALLA RIBALTA
di Emilio Cocco

[Nei mesi scorsi Notizie Est ha pubblicato, seppure non in maniera sistematica, alcuni materiali sull'estrema destra e la destra populista nei Balcani. Proseguiamo ora con un approfondito e aggiornato articolo sull'estrema destra croata di cui è autore Emilio Cocco, dottorando di ricerca presso l'Università di Trieste, che ringraziamo per avere scritto e messo a disposizione il suo testo]

"Ja sam Mirko Norac" (Io sono Mirko Norac), oppure "Mi smo Mirko Norac" (Noi siamo Mirko Norac), è stata la frase ricorrente sui muri, le maglie e i diversi simboli mostrati spavaldamente nel corso delle grandi adunate nazionaliste tenutesi a Spalato e a Zagabria l'11 e il 15 febbraio scorsi. Le manifestazioni a favore del generale Mirko Norac, latitante indagato per crimini di guerra, hanno segnato il culmine di un processo di rigenerazione politica delle forze di destra in Croazia. Queste ultime, sebbene mai scomparse, hanno sofferto per il crollo politico e morale dell'HDZ, partito nazionalista dominatore della scena politica croata negli anni 90'. Infatti, orfano del suo padre-padrone, il partito di Franjo Tudjman fu pesantemente sconfitto alle elezioni presidenziali e parlamentari del gennaio 2000 ed è stato progressivamente dilaniato dalle lotte interne tra "falchi" e "colombe" che hanno liberato le energie politiche della destra nazionalista, disperdendole sotto forme dai contorni tuttora incerti.

Formazioni politiche rinnovate, associazioni di veterani, frati francescani dell'Erzegovina, personalità del vecchio regime e dell'elite militare costituiscono gli estremi più rilevanti del frammentato panorama politico della destra in Croazia. Un "nuovo" fronte impiantato su una ben nota amalgama ideologica che raccoglie l'amarezza di un grigio dopoguerra, il timore di epurazioni istituzionali, la frustrazione identitaria e il rancore anti-serbo. Di conseguenza, una miscela esplosiva per il primo ministro Ivica Racan ed il presidente Stipe Mesic, che auspicano per la Croazia verso una collocazione internazionale più rilevante, facendone un ponte tra Europa, Balcani e mondo mediterraneo. L'apertura al Tribunale Internazionale dell'Aja e il rinnovamento morale delle istituzioni si scontrano con l'opposizione di forze reazionarie pronte ad far leva sulla depressione economica della Croazia che soffre per la povertà crescente e la disoccupazione diffusa. Il tutto, in un paese a suo tempo bollato da Marx e Engels come "illiberale per eccellenza" e che tuttora sconta la diffidenza internazionale per il mito di una presunta vocazione autoritaria intrecciata indissolubilmente alla nazionalità.


IL FRONTE DI DESTRA IN CROAZIA

Le manifestazioni nazionaliste di Spalato e Zagabria, organizzate in difesa della dignità della guerra patriottica, rappresentano l'apice di una vicenda politica che vede al suo centro Mirko Norac, giovane generale (33 anni) indagato per crimini di guerra e neonato simbolo del nazionalismo croato. Norac, è stato glorificato dai manifestanti nelle sue vesti di duca (Vojvoda) dei Alcari di Sinj (Sinjska Alka), divisione militare di antica memoria, già attiva contro gli Ottomani ai tempi della frontiera militare asburgica e poi nuovamente glorificata dal Maresciallo Tito sotto la Jugoslavia comunista. Una sintesi della tradizione militare croata e dell'orgoglio nazionale maturato dai "difensori" (branitelji) del paese nella guerra contro i serbi.

Il generale Norac era ormai da mesi oggetto di un'indagine condotta dal magistrato Sajonara Culina (Tribunale di Fiume) in relazione all'uccisione di decine civili serbi a Gospic (Croazia centrale) nell'ottobre 1991. Il generale, al tempo, comandante della brigata 109 dell'esercito croato (HV) di stanza presso Gospic, non si è presentato il 7 febbraio all'ordine di apparizione di fronte al tribunale di Fiume e per circa due settimane si è dato alla macchia per poi finalmente consegnarsi. Nel frattempo, le forze di destra del paese sono scese in piazza a difesa dell'eroe, presunta vittima della vile svendita dell'onore e della dignità croata al Tribunale dell'Aja (nonostante il generale fosse oggetto di un'indagine interna condotta da un tribunale croato).

Erano circa 150.000 sulle rive di Spalato, un numero impressionante per il capoluogo dalamata, pari a metà della popolazione cittadina. Tuttavia, si calcola che 2/3 dei partecipanti non fossero locali, ma giunti dalla vicina Erzegovina con autobus finanziati con tutta probabilità dall'HDZ e da Zagabria con un treno organizzato dall'ex-generale e deputato HDZ Ljubo Cesic Rojs. Quest'ultimo figura di spicco nei contatti tra Zagabria e le lobbies erzegovesi è stato protagonista, a pochi giorni di distanza, di un'aggressione fisica nei confronti del deputato Dino Debeljuh dell'IDS (Istarski demokratski sabor, partito regionalista e antimilitarista), nel bel mezzo del dibattito parlamentare sul caso Norac. Sulle rive di Spalato si sono alternati per ore i discorsi di capi militari, rappresentanti politici, veterani di guerra e nazionalisti di ogni tipo. La folla ha manifestato entusiasta, sventolando bandiere croate e bruciando quelle Jugoslave, innalzando ritratti di Pavelic (duce degli Ustascia) e caricature ingiuriose raffiguranti i "filo-serbi" Racan e Mesic.

Appena 13000 sono invece stati i partecipanti all'adunata di Zagabria, snobbata dagli zagabresi nonché da molte delle associazioni patriottiche e filo-militari, che hanno invece sfilato al completo nella città dalmata. Nella centralissima Piazza S. Marco, cuore della città alta di Zagabria, le canzoni Ustascia e le grida "Franjo, Franjo"(Tudjman) non hanno entusiasmato la cittadinanza. Quest'ultima al contrario veniva decisamente turbata nei giorni precedenti dal fantasma di una "Marcia su Zagabria", teoricamente finalizzata alla deposizione dei "banditi rossi" del governo, ritenuti responsabili dell'umiliazione nazionale.

L'obiettivo delle adunate nazionaliste di Spalato e Zagabria era la dimissione del governo, l'indizione di nuove elezioni e la promulgazione di una legge sull' amnistia per tutti i difensori croati. Tali risultati non siano stati raggiunti ed il governo Racan è uscito dalla vicenda parzialmente rinforzato, dimostrando all'opinione pubblica che l'estremismo di destra non trova il supporto popolare necessario e che la Croazia sia fondamentalmente uno stato di diritto. Tuttavia la tipologia dei partecipanti e la loro connotazione ideologica non lascia ben sperare per il futuro, considerando anche un certo imbarazzo governativo nella risposta politica alla sfida dell'estremismo di destra. Le ricorrenti minacce di morte a parlamentari e giornalisti, la strisciante paura del terrorismo e il rientro in scena dei nazionalisti erzegovesi suggeriscono di seguire con attenzione l'evoluzione politica della destra in Croazia.

Innanzitutto, si rileva come tale sfera sia estremamente variegata, composta da alcuni partiti fondamentali e costellata di micro-formazioni che il più delle volte contano solo qualche migliaia di iscritti e nessuna rappresentanza parlamentare. Per quanto riguarda i partiti politici più rappresentativi, la Comunità democratica croata (Hrvatska demokratska zajednica – HDZ) e il nuovo Centro democratico (Demokratski centar – DC) costituiscono le formazioni più moderate (anche se l'HDZ continua a raccogliere molti estremisti). L'HDZ è senz'altro il partito di destra più conosciuto in quanto fondato nel 1990 dall'ex-presidente Franjo Tudjman grazie ai finanziamenti della diaspora croata d'oltreoceano. Grazie al ruolo di "partito unico" svolto negli anni 90', con ampio controllo degli apparati statali e dei mezzi di informazione, l'HDZ manteneva al suo interno una discreta varietà di posizioni e correnti, che tuttavia convergevano nella manifestazione personalistica di lealtà a Tudjman. Tuttavia, il partito ha sempre avuto al suo interno un'ala estremista molto significativa che si è appoggiata alla retorica antiserba, al militarismo e all'espansione territoriale ai danni della Bosnia-Erzegovina. E' fondamentale in questa prospettiva la relazione speciale che l'HDZ mantiene tuttora con i nazionalisti dell'Erzegovina, abbondantemente finanziati e sostenuti durante tutta l'era Tudjman e ancora oggi pedina politica fondamentale per le sorti politiche della Croazia.

DC è un invece un partito di fondazione ancora più recente, costituito dall'ex Ministro degli Esteri e candidato alle presidenziali HDZ Mate Granic all'indomani della sconfitta elettorale di Gennaio 2000. Granic, è stato il primo rappresentante HDZ ad ammettere la sconfitta elettorale e uno dei primi ad autosospendersi dalla direzione del partito. DC aspira ad una posizione di centro più che di destra e si propone come l'ago della bilancia ( e lo e', poiché la maggioranza di due terzi – modifiche di costituzione, leggi costituzionali - rende necessario il voto del DC) tra governo ed opposizione, bramando presumibilmente la guida di un nuovo ipotetico fronte di destra nazionale moderata.

Spostandosi più a destra nell'arco parlamentare, troviamo il Partito croato dei diritti (Hrvatska stranka prava, HSP), formazione storica che si rifà al pensiero e alla personalità di Ante Starcevic, figura centrale del nazionalismo croato ottocentesco. Fondato nel 1861 dallo stesso Starcevic e da Eugen Kvaternik, l'HSP è il partito croato più antico, sebbene sia stato dichiarato fuori legge nel 1929 e rifondato solo nel 1990. L'ideologia del partito dei diritti si basa sulla rivendicazione dei diritti storici e legali di sovranità della nazione croata su tutto il territorio etnico e storico. I diritti della nazione croata al proprio "stato", indipendentemente dal tipo di stato, costituiscono il nucleo della dottrina del partito. Tali aspirazioni sarebbero legittimate dall'esperienza del Regno croato medievale che si estendeva anche all'attuale Bosnia-Erzegovina e a una parte della Serbia, prima di capitolare di fronte agli ungheresi, ai turchi e ai veneziani. L'ideologia del HSP venne abbondantemente saccheggiata durante la seconda guerra mondiale dal movimento Ustascia, che infatti costituisce un altro punto di riferimento centrale per l'attuale partito dei diritti. Tuttavia la direzione del partito ha recentemente promosso un cambiamento di immagine e stile molto rilevante, eliminando dall'armamentario simbolico tutte le foto di Ante Pavelic (Poglavnik, "Duce", della Croazia Ustascia), le "U" simbolo degli Ustacia, le "camice nere" molto in voga tra i militanti del partito e il saluto "romano" con la mano alzata.

La stessa affiliazione ideologica agli insegnamenti di Ante Starcevic si ritrova nel HSP – 1861, un "ulteriore" partito dei diritti che si propone come l'autentico erede storico dell'antica formazione, ribadendo la radicalità dei principi e della linea politica "dei diritti" così come il ruolo fondamentale della diaspora croata nella vita pubblica nazionale. Tuttavia, si tratta di una formazione non parlamentare di modesta entità, proprio come il partito croato dei diritti dello stato (Stranka hrvatskog drzavnog prava - SHDP), il puro partito croato dei diritti ( Hrvatska cista stranka prava- HCSP) e partito patriottico cittadino (Domovinska gradanska stranka – DGS). Quest'ultimo, di fronte impronta tradizionalista, propone la riorganizzazione sociale del paese sulle basi del Regno medievale di Croazia. Tra le altre formazioni estremiste non parlamentari che vedono in Starcevic un riferimento politico si segnalano l'unione croata repubblicana (Hrvatska republikanska zajednica - HRZ) che si immagina come la continuazione di un partito stabilito a Buenos Aires da un gruppo di profughi politici anticomunisti, e il movimento di liberazione croato (Hrvatski oslobodilacki pokret – HOP) fondato in Argentina nel 1956 dal poglavnik Ante Pavelic, fuggito dalla Jugoslavia comunista. Il movimento è rimasto attivo clandestinamente fino al 1991 quando fu reso nuovamente legale. Infine, il quadro viene completato da alcune micro-formazioni di spirito militarista e patriottico quali il movimento croato per i diritti – Croazia libera (Hrvatski pravaski pokret – slobodna Hrvatska – HPP-SH ), l'ordine di difesa croato (Hrvatski obranbeni red – HOR) e il partito patriottico croato (Hrvatska domovinska stranka- HDS)

Oltre ai partiti politici, una posizione di rilievo nel panorama dell'estrema destra è occupata dalle associazioni di veterani e dalle società sorte a difesa dell'onore della guerra patriottica. Tra le associazioni di veterani, la più importante per dimensioni e peso politico è quella presieduta dal colonnello Duro Decak: Associazione dei veterani croati della guerra patriottica        (Udruga hrvatskih veterana domovinskog rata - UHVDR).

Ugualmente rilevanti per importanza e dimensioni sono l'Associazione dei croati difensori volontari nella guerra patriottica (Udruga Hrvatskih Branitelja Dragovoljaca Domovinskog Rata-UHBDDR), presieduta da Ilija Majic, e l' Unione degli invalidi croati della guerra patriottica (Savez hrvatskih vojnih invalida domovinskog rata-HVIDRA) presieduta da Marinko Liovic. Quest'ultimo, figura inquietante nonché apertamente razzista, affermò nel corso di un intervista radiofonica: "serbi, ebrei, zingari, donne, cani e gatti non sono ammessi neanche nella mia cantina!"

Un riferimento speciale va fatto all'Associazione dei volontari croati nella guerra patriottica (Udruga Hrvatskih Dragovoljaca Domovinskog Rata –UHDDR), che costituisce il gruppo più estremo in quanto a rivendicazioni politiche e xenofobia. Non a caso, è stata l'unica associazione di veterani a sostenere ufficialmente la manifestazione di Zagabria. Il presidente Tomislav Mercep era considerato da molti un pericoloso estremista già nell'era Tudjman ed esistono pesanti accuse a suo carico per crimini di guerra. In particolare, Mercep (la brigata di cui era comandante è coinvolto nel brutale episodio dello sterminio di una famiglia serba che abitava nel centro di Zagabria e di numerose efferatezze commesse a Pakrac, in Slavonia Occidentale.

A completare il quadro segnaliamo il gruppo dei Volontari Croati Indipendenti (Nezavisni Dragovoljci Hrvatski – NDH), presieduto da Slavica Hruskar, e l' Associazione dei difensori (sotto cura per curati da disordini per stress post-traumatico (Udruga Branitelja Lijecenjih od PTSP-a), presieduto da Tihomir Apari.

Lo scorso settembre, sulla scia della risposta reazionaria ad una serie di arresti eccellenti di membri dell'esercito (più avanti nel testo) viene costituito lo Sredisnji Stozer za Obranu Digniteta Domovinskog Rata (Comitato centrale per la difesa della dignità della guerra patriottica), presieduto da Mirko Condic, invalido di guerra costretto alla sedia a rotelle che ha ho svolto da allora un attività rilevante soprattutto a livello "mediatico". Condic è stato protagonista di apparizioni televisive ed interviste giornalistiche impostate sulla difesa retorica ed oltranzista della guerra patriottica. Un esempio del suo stile si è avuto nel corso della manifestazione del 11 febbraio a Spalato, quando dal palco Condic ha affermato: "E' finito il tempo in cui il potere poteva vendere i croati per i denari di giuda. Non lasceremo che la Croazia diventi un protettorato dell'internazionale socialista, ne che per il calcolo degli interessi balcanici si arrestino i migliori figli della Croazia. A Mesic e Racan diciamo: no pasaran!". La retorica del tradimento racchiusa nel tono da comizio non nasconde il modesto acume discorsivo, nonché la banalità del ragionamento.

Sulla stessa lunghezza d'onda si muove anche la società patriottica dell'onore e dell'orgoglio (Drustvo domovinskog ponosa i casti), presieduta dal generale in pensione Janko Bobetko. I principi ispiratori della società patriottica sono stati espressi a Spalato dallo stesso Bobetko, che ha istruito la folla così: "Ci siamo battuti per la Croazia e ci batteremo ancora fino all'ultimo giorno. Questa è la nostra terra e per lei ci batteremo. Signori (Mesic e Racan), non manderete mica all'Aja i migliori frutti della Croazia? Dovreste andare voi all'Aja!".

La presenza di frati francescani alla manifestazione di Spalato e il discusso coinvolgimento di alcune autorità ecclesiastiche costituiscono l'ultima nota sulla composizione del fronte di destra. Infatti, il riferimento alla religione cattolica è una dimensione dominante del discorso politico della destra in Croazia. Tale ascendente del cattolicesimo sul nazionalisti croati deriva dalla consapevolezza popolare di rappresentare il baluardo militare della cristianità: convinzione maturata nel corso del secolare confronto con il pericolo ottomano d'oriente per poi essere confermata dall'appoggio ambiguo dato dalla chiesa cattolica alla Croazia fascista nel 1941-1945. Inoltre, anche nel processo che ha portato all'indipendenza croata nel 1991 il Vaticano ha giocato un ruolo tutt'altro che secondario, sostenendo politicamente le aspirazioni della giovane repubblica.

Un attenzione speciale va dedicata ai francescani dell'Erzegovina, una sorta di avanguardia spirituale del nazionalismo croato e che si è spesso trovata alleata delle frange più estremiste. Sono in parte noti e dibattuti i coinvolgimenti di frati francescani in massacri antiserbi nello Stato croato retto dagli Ustascia e dalle forze dell'Asse. Inoltre, l'ordine francescano dell'Erzegovina è anche conosciuto per un passato di insubordinazione all'autorità vaticana e un'aspirazione quasi "autonomista" alle gestione indipendente delle faccende spirituali, favorita senz'altro dalla condizione di marginalità geografica e di asprezza ambientale della regione erzegovese.

L'adunata di Spalato si distingue anche per la benedizione e l'appoggio dato ai manifestanti dall'Arcivescovo della città dalmata Marin Barisic. Al sostegno morale si sono uniti anche gli arcivescovi di Zara (Prenda), di Gospic (Mile Bogovic) e di Dubrovnik (Zelimir Puljic) Tale appoggio, che non ha mancato di sollevare polemiche, ha suscitato la reazione delle gerarchie ecclesiastiche che hanno condannato la condotta degli arcivescovi coinvolti. Questi ultimi, hanno avuto un richiamo ufficiale e a Zagabria, in occasione della seconda adunata, l'arcivescovo della capitale, Monsignor Bosanic, non ha celebrato la solenne messa nella cattedrale, tanto attesa dai manifestanti, ribadendo così la posizione della Chiesa. Inoltre, al posto della messa, i manifestanti si sono ritrovati ad ascoltare un comunicato redatto su richiesta delle alte cariche vaticane il cui contenuto era in sintesi: "Nessuno ci ha mai chiesto di celebrare una messa". I manifestanti hanno abbandonato la cattedrale inveendo contro la "Chiesa comunista".


RIFORMISMO POLITICO, QUESTIONE NAZIONALE E REVIVAL FILOMILITARE

Le adunate nazionaliste dello scorso febbraio, benché estremamente diverse nei numeri e nell'ampiezza delle adesioni, hanno tracciato il fronte di un nuovo scontro politico nel paese. Con le dovute differenziazioni regionali si sta delineando una formazione eterogenea di destra populista, critica verso la coalizione governativa di centro-sinistra e pronta a cavalcare la tigre del risentimento dei veterani di guerra e della sconsolante situazione socio-economica croata. Il tutto a riprova che le ferite della guerra serbo-croata (1991-1995, con la definitiva conquista della sovranità sulla Slavonia orientale solo nel 1998) bruciano ancora.

Nel rinvigorire la fiamma del nazionalismo sono stati comunque decisivi alcuni aspetti del "nuovo corso politico croato" inaugurato di Racan e Mesic. Infatti, proprio nella condotta politica del primo ministro Social-Democratico Ivica Racan e del presidente Popolare Stipe Mesic, vanno cercate alcune delle cause del revival della destra filo-militare in Croazia. Se il crollo politico dell'HDZ corrisponde alla frantumazione del vaso di pandora del nazionalismo croato, il risentimento nazionalista è rianimato da un atteggiamento governativo di revisione critica di 10 anni di gestione politica firmata Tudjman. La morte del "Supremo" (come Tudjman amava farsi chiamare) ha aperto la strada alla politica di riconsiderazione critica delle fasi più turpi della guerra, della spregiudicata condotta presidenziale e della gestione familistica delle risorse statali. Di tale riconsiderazione, il presidente Mesic si è fatto paladino e trascinatore, con Racan più spesso cauto e, talvolta, eccessivamente indulgente verso i rigurgiti del vecchio regime.

La condotta disinibita di Mesic ha portato alla superficie tutto quello che prima non poteva essere nemmeno sfiorato, rendendo pubblici e trasparenti i segreti del passato regime. Il presidente ha messo in circolazione nomi scomodi, ha aperto gli archivi nell'ufficio di Tudjman, ammonito le mafie erzegovesi e documentato gli accordi segreti di Tudjman sulla spartizione della Bosnia. Questi ultimi sono stati scoperti in centinaia di cassette registrate e conservate nell'ufficio presidenziale, a conferma dell'ossessività con cui l'ex presidente curava la documentazione storica del suo ruolo di padre della patria. Dalle conversazioni segrete di Tudjman con collaboratori croati e leaders serbi è emersa la lucidità con cui il "Supremo" trattava di trasferimenti di popolazione, massacri e compromessi con poteri criminali funzionali alla costruzione della grande Croazia. La ricerca di un accordo con Milosevic rappresentava un punto chiave di tale politica, secondo la quale il riassetto territoriale della ex Jugoslavia dipendeva in ultima istanza da un accordo tra serbi e croati funzionale alla costituzione di due stati sovrani a spese dell'integrità bosniaca.

Mesic, al contrario, si è proposto di chiarire definitivamente il ruolo ambiguo della Croazia nei confronti dell'Erzegovina, proclamando l'abbandono di ogni idea di modificazione territoriale, aggirando il più possibile l'autorità dei poteri criminali locali ed interrompendo il flusso di finanziamenti e coperture alla componente croata. In questo modo il presidente ha voluto spingere decisamente verso l'estinzione delle strutture politiche ed economiche dell'Herceg-Bosna, costruite su un connubio di saccheggio e mafia sotto l'ombrello della politica benevolente di Zagabria. Inoltre Mesic, che già due anni fa testimoniò al Tribunale dell'Aja provocando le reazioni delle frange politiche più nazionaliste, rimane un forte sostenitore delle persecuzioni dei criminali di guerra ed ha spesso criticato l'approccio troppo soffice del nuovo governo Racan verso l'estrema destra. In questo il presidente fa eco ad una buona parte dei sostenitori della coalizione che giudicano troppo lento il ritmo di trasformazione e gradirebbero un atteggiamento governativo più deciso. Già lo scorso anno, Racan veniva accusato di non aver incoraggiato un inchiesta sulla dissacrazione di un memoriale per le vittime degli Ustascia e di non aver ostacolato al contrario l'erezione di una statua in onore di Jure Francetic, famoso comandante Ustascia. A questo proposito Ivan Fumic, presidente dell'Associazione dei combattenti antifascisti ha dichiarato che in 10 anni di governo HDZ più di 3000 monumenti antifascisti sono stati danneggiati in tutta la Croazia. Gli stessi nomi delle vie e delle piazze sono stati oggetto di revisioni in senso nazionale e anticomunista; il caso più eclatante riguarda la famosa "Piazza delle vittime del Fascismo", trasformata sotto Tudjman in Piazza degli Illustri croati" per poi ritornare alla vecchia dicitura alla fine dello scorso anno. Lo scorso 9 maggio, come tutti gli anni da quando e' cambiato il nome, in occasione della giornata celebrativa della vittoria sul Fascismo un migliaio di persone sono scese in piazza in favore della vecchio nome, confrontandosi con una contromanifestazione organizzata dall'estrema destra. L'anno precedente si erano avuti scontri e feriti tra manifestanti antifascisti ed esponenti della destra. Quest'anno, a differenza degli anni precedenti polizia era presenti in forze (2000 agenti in tutto) e ha presidiato la piazza, teatro di un vero e proprio confronto politico tra chi si oppone alla negazione del passato antifascista della Croazia e chi osteggia il nuovo corso politico del "serbo" (così qualificato dagli estremisti) Stipe Mesic.

L'eclissi dell'HDZ e l'inaugurazione di un nuovo corso croato ha rappresentato una combinazione politica propizia per la transizione democratica (si pensi alla difficoltà della transizione Jugoslava con Milosevic ancora in gioco) ma allo stesso tempo pericolosa, soprattutto perché giocata sullo sfondo di un malcontento crescente per la situazione economica in cui versa il paese e per l'improbabilità di una integrazione di breve periodo nelle strutture dell'Unione europea. Inoltre, le infrastrutture quali la polizia, l'ufficio del procuratore, il sistema giudiziario e l'esercito sono state modellate sulla base della lealtà personale alla fazione tudjmaniana e rappresentano per Mesic e Racan un problema difficilmente risolvibile e potenzialmente esplosivo. La difficoltà deriva anche dal fatto che il cambiamento politico a livello nazionale non corrisponde ad un cambiamento a livello locale e nelle strutture amministrative e giudiziarie. In attesa delle prossime elezioni locali, previste per la primavera di quest'anno, l'Hdz detta ancora legge in molti comuni (opcine) e contee (zupanije).

Al cuore del problema vi è l'annosa questione dell'identità collettiva, ovvero il denominatore etnico e nazionale del paese che subisce le conseguenze di un decennio di isolamento internazionale sotto forma di spinte centrifughe regionaliste ed invadente militarizzazione della vita pubblica. Paradossalmente, con la svolta democratica della vicina Jugloslavia, la Croazia per soddisfare le sue ambizioni europee e seguire le sue propensioni adriatiche e continentali, si ritrova proiettata nei delicati equilibri della politica balcanica ed è chiamata dalla Comunità internazionale ad interpretare fino in fondo il proprio ruolo. Una parte estremamente difficile per un paese che nell'ultimo decennio ha fatto della separazione dall'universo balcanico il fattore simbolico privilegiato di determinazione nazionale. In questa prospettiva, l'ostacolo maggiore ad una riconciliazione nazionale sufficientemente solida sono proprio le frange estremiste nazionaliste e filo-militari, recentemente tornate alla ribalta.

Quando a marzo dell'anno scorso il bosniaco-croato Tihomir Blaskic fu riconosciuto colpevole di crimini di guerra e condannato a 45 anni di prigione dalla giustizia internazionale (la pena piu' severa mai data fino ad allora) la destra inscenò grandi dimostrazioni (2000-3000 persone) di fronte all'ambasciata Usa che hanno impressionarono sensibilmente l'opinione pubblica e la coalizione governativa. Lo stesso presidente Mesic e' stato bersaglio di minacce: un fax spedito dalla "fratellanza rivoluzionaria croata" dichiarava la condanna a morte senza appello del presidente croato, a un giorno di distanza dall'assassinio del super-testimone all'Aja Milan Levar, ucciso da una bomba nella sua autofficina a Gospic il 28 agosto. Levar aveva puntato il dito contro importanti figure politiche e militari riguardo alle atrocità commesse a Gospic contro i serbi nel 1991. Aveva addirittura affermato che Drazen Budisa, presidente del HLSL, e Zdravko Tomac, vice-presidente del Sdp di Racan, fossero a conoscenza delle efferatezze. Levar aveva chiesto la protezione delle autorità croate e auspicava una stretta collaborazione tra le autorità locali e il Tribunale Internazionale. Il governo croato aveva accettato di proteggere Levar il 15 aprile del 1999 ma, secondo le dichiarazioni dell'attuale ministro del Interno Lucin, le istruzioni furono insabbiate e non giunsero mai alla polizia di Gospic. Il caso ha chiaramente provocato un ondata di timore nel paese.

Mladen Schwartz, presidente della Nuova destra croata (Nova hrvatska desnica), partito estremista nazionalista che si pensava disciolto nel 1991, si e' dichiarato soddisfatto e sollevato per l'assasinio di Levar, concludendo senza mezzi termini: "Onoriamo i nostri soldati patrioti a Gospic per questo atto coraggioso". Sempre a difesa del prestigio dell'esercito si sono mosse le varie organizzazioni di veterani i cui leaders, tra cui Marinko Liovic, si sono apertamente schierati contro Racan, Mesic e la loro politica di revisionismo della "guerra patriottica". La rabbia dei veterani è nutrita tanto dal disonore delle ingerenze giudiziarie internazionali quanto dalla più prosaica paura di perdere i generosi provvedimenti assistenziali di cui godono molti ex soldati.

Un punto chiave per comprendere il risveglio politico dell'estrema destra in Croazia sta proprio nel inedito atteggiamento governativo verso l'esercito ed in particolare l'elite militare. Con la fine dell'era Hdz impressionanti rivelazioni sono venute ala luce a proposito del coinvolgimento delle Forze amate in traffico di droga, corruzione e palese incompetenza. Precedentemente ogni investigazione sull' esercito ed sul ministero della Difesa era stata prontamente bloccata per mano del defunto ministro della difesa Gojko Susak, collaboratore di Tudjman, punto di riferimento privilegiato per la diaspora croata d'oltreoceano e leader della "lobby erzegovese". Ma a partire dalla fine di giugno 2000 addirittura tre generali – Ljubo Cesic Rojs, Matko Kakariga, Vladimir Zagorec – sono stati accusati di essere coinvolti in una truffa di 14 milioni di kune (1,6 milioni di dollari) al ministero della difesa. Gli ultimi due sono tutt'ora sotto processo mentre il primo, già citato deputato HDZ, resta ancora protetto dall'immunità parlamentare.

Mesic e Racan sono apparsi consapevoli che la via all'integrazione del paese nelle strutture del Patto atlantico passa necessariamente per la ristrutturazione del esercito, pesantemente coinvolto nelle vicende della guerra in Bosnia-Erzegovina. A questo proposito, significativa e' la grande disponibilità dimostrata dal nuovo governo verso la collaborazione col Tribunale dell'Aja, costantemente osteggiato da Tudjman al fine di difendere quello che ere una volta l'intoccabile esercito croato. Con Tudjman si erano visti preti benedire carri armati e ogni soldato riceveva un'assoluzione in nome del patriottismo ispiratore di azioni militari. Il presidente della Corte Suprema Milan Vukovic aveva addirittura esposto la tesi per la quale al tempo delle operazioni di riconquista della Krajina e Slavonia nel 1995 i croati erano impegnati in una guerra difensiva e pertanto non si potevano ritenere autori di crimini di guerra. Al contrario il nuovo ministro della Giustizia Stjepan Ivanisevic e il presidente Mesic si sono immediatamente pronunciati favorevolmente verso la criminalizzazione internazionale di singoli individui al fine di liberare la Croazia dai fantasmi delle colpe collettive. In questo senso Zarko Puhovski, presidente del Comitato di Helsinki in Croazia, ha affermato che le 267 persone uccise o disperse durante l'operazione Oluja continueranno ad essere "crimini croati" fino a che i veri assassini non saranno consegnati alla giustizia internazionale.

Estremamente rilevante per le relazioni tra L'Aja e Zagabria è stato lo sviluppo del caso Ahmici, la piccola' citta' della Bosnia centrale dove piu' di 100 civili Bosniaci sono stati uccisi nell'Aprile 1993. Al centro delle accuse vi erano Dario Kordic, ex leader politico dei croati di Bosnia, e Mario Cerkez, ex comandante della brigata di Vitez e supposto autore di un massacro premeditato. Fino a qualche anno fa, tali personaggi rientravano nell'elenco dei protetti del presidente Tudjman ed ogni indagine contro di loro era ostacolata ed insabbiata dai servizi segreti diretti dal figlio stesso di Tudjman. Tuttavia, nel 1998 è proprio l'ex-presidente a convincere sia Kordic che Cerkez a consegnarsi all'Aja e fungere, si suppone, da capri espiatori nel tentativo di coprire responsabilità altrui ben più pesanti Entrambi gli accusati sono stati estradati e recentemente condannati a 25 e 15 anni di carcere. Kordic, tra parentesi, è il primo rappresentante politico ad essere condannato dal Tribunale dell'Aja. Molti dei soldati dell'esercito croato (HV) e croato-bosniaco (HVO) godevano di un sistema di protezione organizzato dalla polizia segreta che forniva i potenziali sospetti di false identità, documenti sostitutivi, nuove proprietà immobiliari e di un sostentamento mensile. Tali rivelazioni hanno orientato la freccia delle accuse verso figure chiave del precedente regime politico, tra cui Ivan Brzovic, capo dei servizi segreti civili (SZUP), Markica Rebic, consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale con Tudjman e Ciro Grubisic, ex console Croato a Mostar.

Tra gli arresti eccellenti si ricordi lo scorso settembre quello del generale Ivan Andabak, che ha prestato servizio nell'HVO ed ha comandato l'unità di combattimento di Mladen Naletilic Tuta. Tristemente famoso per la distruzione del "Ponte vecchio" (Stari most) di Mostar, Andabak è sotto processo a Fiume per traffico di narcotici (660 chili di cocaina trovati nel porto di Fiume). Di recente, anche Sarajevo ha chiesto la sua estradizione per il sospetto di aver ordinato l'uccisione di Jozo Leutar, viceministro degli interni croato, noto per la lotta all criminalita' organizzata e corruzione. Nello stesso periodo, un'altra operazione ha consegnato alla giustizia il generale in pensione Tihomir Oreskovic, accusato di uccisioni di civili a Gospic nel 1991 nonché figura ricorrente nelle testimonianze di Levar. Tuttavia, l'operazione ha provocato sviluppi imprevedibili. Infatti, oltre al consueto schieramento dell'estrema destra intorno agli autoproclamati "quartieri generali per la difesa della dignità della guerra patriottica" , lo scorso 28 settembre viene pubblicata una lettera firmata da 12 noti generali dell'esercito croato, tra cui i già citati Janko Bobetko (presidente della società patriottica dell'orgoglio e l'onore), e il giovane Mirko Norac, eroe degli Alcari di Sinj. Con tale lettera i militari hanno fatto appello al popolo, alle istituzioni e ai media chiedendo che la rappresentazione della guerra patriottica non sia distorta negativamente. La reazione furiosa di Mesic è stato il pensionamento dei generali coinvolti con tanto di accuse dirette all'Hdz: la lettera, secondo il presidente, era il tentativo di tastare il terreno in previsione di un colpo di stato militare. La decisione di Mesic ha gettato scompiglio nel governo e solo la conferma della costituzionalità del suo atto (peraltro mai contestata seriamente) ha riportato la quiete tra le file delle maggioranza. Particolarmente infastidito si era dichiarato il ministro della difesa Jozo Rados, che avrebbe voluto essere informato preventivamente.

Ma nel frattempo tutti i calciatori della nazionale di calcio croata scendono in piazza e firmano compatti una petizione in Piazza Jelacic, nel centro di Zagabria, per la "difesa della dignità della guerra per la patria" in cui si accusa il governo di aver tradito "i conseguimenti della centenaria lotta croata per la libertà e l'indipendenza". L'allenatore Ciro Blazevic, presunto artefice dell'"impresa", viene spinto a dimettersi dalle critiche compatte della stampa. A fine anno, la famiglia Tudjman torna alla ribalta con la fondazione di un nuovo partito politico, l'Associazione per la prosperità e l'identità croata (udruga za hrvatski identitet i prosperitet - HIP), presieduto dal figlio del defunto Franjo, Miroslav Tudjman e che vede tra i soci fondatori il calciatore Zvonimir Boban, proprietario di alcuni ristoranti che godevano di un regime speciale (non pagavano l'affitto dal 1997) nell'era HDZ. Il partito, almeno nominalmente, fa leva sui punti più deboli della transizione croata, ed in particolare sulla frustrazione e la paura di categoria di persone che hanno raggiunto ricchezza e protezione negli anni precedenti e che temono ora di essere perseguite. Infatti, generali in pensione, associazioni di veterani ed esponenti di spicco del vecchio regime hanno contribuito ad infoltire la platea il giorno della fondazione del HIP.


DISAGIO ECONOMICO E DERIVE NAZIONALISTE ERZEGOVESI

Il 16 marzo a Zagabria, e' esploso il quarto ordigno in cinque mesi. L'ultima esplosione risaliva all'1 febbraio, quando una bomba e' stata posizionata sul monumento alle vittime del fascismo nel cimitero Mirogoj a Zagabria. Nessuno ha rivendicato ufficialmente gli attentati ne si ha un'idea precisa delle intenzioni dei terroristi. L'unica certezza è che in un clima politico già teso, le esplosioni ottengono un effetto particolarmente destabilizzante poichè alimentano il sospetto di un'attività terroristica legata all'estremismo.

In realtà, il sentimento di insicurezza collettiva si accresce a dismisura perchè dietro al revival dell'estrema destra si profila la difficile situazione economica in cui versa la Croazia e in particolare il penoso problema della povertà che ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e viene ripetutamente riportato dai giornali all'attenzione dell'opinione pubblica. Secondo dati recenti dell'Istituto statale di statistica il numero delle persone con un lavoro sarebbe leggermente inferiore a 1,3 milioni, su una popolazione totale di circa 4,5 milioni di abitanti. Una ricerca della Banca Mondiale condotta in collaborazione con lo stesso Istituto stima che la povertà in Croazia tocchi l'8,4% della popolazione; sulla base di ulteriori stime del Ministero del Lavoro, si apprende che l'80% dei cittadini croati si ritiene povero, soprattutto le persone anziane e poco istruite provenienti da zone rurali e colpite dalla guerra. In un sondaggio del quotidiano Vecernji List, si legge che la spesa media giornaliera del consumatore croato per l'anno 2000 sarebbe stata di circa 15 Kune, pari a 1,7 dollari, con le quali è possibile acquistare solo generi di prima necessità.

La fragile realtà sociale della Croazia è lo sfondo su cui si proietta il risentimento dei veterani di guerra, delle élite militari e degli esponenti di spicco degli apparati statali tutelati nell'era Tudjman. La frustrazione identitaria, amplificata dall'ipotesi attuale di un approccio regionale alla democratizzazione dei balcani (che sposterebbe il baricentro verso Belgrado), trova nella depressione economica e sociale della Croazia un facile terreno d'innesto. I leaders nazionalisti hanno dimostrato di saper cavalcare agevolmente i sentimenti che si condensano attorno al fantasma del tradimento collettivo del sogno nazionale. Il binomio di disagio economico e mortificazione simbolica della discussa guerra patriottica alimenta la fiamma dell'estremismo e traccia nel contempo una via per un'eventuale aggregazione politica di opposizione al governo. Pertanto, le forze di destra e filo-militari si propongono come la controparte reazionaria di un corso politico che cerca con difficoltà di precisare per la Croazia un ruolo strategico di ponte tra Europa e Balcani.

E proprio nel cuore dei balcani, in Bosnia-Erzegovina, la Croazia si confronta attualmente con la deriva nazionalista dell'HDZ. Tale evento non può lasciare indifferente il governo Racan, nonostante quest'ultimo desideri fortemente recidere ogni legame con la lobby erzegovese.

Il 22 febbraio i nazionalisti croati dell'HDZ hanno proclamato un'autonomia provvisoria e promosso un boicottaggio di tutte le istituzioni della B-H rifiutando di nominare i rappresentanti della camera dei popoli per i cantoni in cui l'HDZ ha ottenuto una schiacciante maggioranza in occasione delle elezioni dello scorso 11 novembre. Tuttavia il blocco all'opposizione, Alleanza per il Cambiamento, è riuscito a formare un governo moderato e Bozidar Matic, candidato del SDP (social democratici) viene eletto primo ministro della B-H. L'Alleanza per il cambiamento riesce a piazzare il suoi candidati come presidente (Ivo Komsic SDP) vice-presidente (Meliha Alic SDA)nella camera alta del parlamento federale, ovvero la camera dei deputati.

Il 23 febbraio, la stessa camera, nonostante l'assenza dei deputati HDZ procede all'elezione di Karlo Filipovic (SDP) come presidente della Federazione e di Safet Halilovic ( partito per la Bosnia-Erzegovina) come vicepresidente.

I rappresentati dell'HDZ hanno condannato la formazione della compagine governativa e in particolare l'elezione di Matic, bollando tali eventi come "storicamente vergognosi". Inoltre, aggiungono i nazionalisti croati, Matic non sarebbe in grado di rappresentare correttamente gli interessi dei croati di Bosnia e a sottolineare tale convinzione Ante Jelavic, ex-rappresentante croato della presidenza tripartita della B-H, ha denunciato le presenti autorità federali come "illegali". Lo stesso Jelavic è stato in seguito sospeso da ogni incarico politico su ordine di Petritsch, alto rappresentante delle Nazioni Unite in B-H.

Le reazioni nazionaliste convergono in un incontro a Mostar il 3-4 marzo a cui partecipano esponenti delle associazioni di veterani, dell'esercito e dei partiti politici croati della Bosnia di destra. A conclusione dell'evento viene annunciata la creazione di un'autonomia provvisoria nei comuni dove i croati sono la maggioranza all'interno della federazione croato-musulmana di B-H. La prospettiva della costituzione di istituzioni croate parallele della rischia di essere una delle crisi politiche più acute dalla firma degli accordi di Dayton, soprattutto se si considera che le forze nazionaliste croate dell'HDZ, benché sconfessate dal nuovo corso politico in Croazia, mantengono tuttora roccaforti elettorali nella BiH, nonché una presenza significativa negli apparati di sicurezza del paese.

In questa prospettiva, se si connettono le dimissioni di soldati ed ufficiali di etnia croata dall'esercito bosniaco, ai tentativi di destabilizzazione del governo Racan da parte gruppi terroristici filo-militari, si ottengono i sintomi di una preoccupante radicalizzazione politica. Pertanto, la ribalta politica dell'estrema destra in Croazia rischia di essere un tassello tra i più delicati dell'equilibrio balcanico