
Home
L'Italia...
Scriveteci
|
|

L'Italia e i Balcani
Porzus
Anche l'estate 1997 ha visto l'attenzione dei mass media rivolgersi alle frontiere orientali dell'Italia durante gli anni della seconda guerra mondiale, seppure più in sordina rispetto allo scorso anno, quando vennero "riscoperte" le vittime delle foibe. Quest'anno, complice un film, vi è stata la "riscoperta" dell'eccidio compiuto nel febbraio 1945 nei pressi di Porzûs da parte di una formazione dei GAP ai danni di un gruppo partigiano delle formazioni Osoppo.
La località di Porzûs si trova nel Friuli orientale, ed esattamente nelle Valli del Torre, comune di Faedis. Queste valli, insieme alla Val Resia e alle Valli del Natisone, sono conosciute con un nome unitario: la "Slavia friulana" o più comunemente "Benecija", in versione italianizzata "Benecìa", annesse all'allora Regno d'Italia nel 1866. Queste terre sono da sempre abitate da una compatta popolazione slovena, assottigliatasi dal secondo dopoguerra per vicende politiche e soprattutto economiche. Attualmente nella provincia di Udine vivono circa 25-30.000 cittadini italiani di nazionalità slovena, al 70% concentrati nella "Benecìa", senza nessun tipo di tutela nazionale (la prima classe elementare bilingue - privata - ha iniziato a funzionare nel 1987) e con alle spalle un'opera di snazionalizzazione tenace. Negli anni '50 le famiglie che mandavano i propri figli nelle scuole slovene di Trieste venivano minacciate dai Carabinieri con fermi in caserma, convocazioni in Tribunale a Tarcento, minacce di scomunica da parte dei parroci - la "Benecìa" venne definita da un uomo di governo in quegli anni "un antemurale in difesa della civiltà latina e cristiana".
E' in queste vallate che si consuma la tragedia di Porzûs. Le formazioni Osoppo erano sorte formalmente nel dicembre 1943 con il concorso politico principale di Democrazia Cristiana e Partito d'Azione, quest'ultimo marginalizzato a partire dall'agosto 1944: i loro tratti distintivi erano antifascismo, anticomunismo e antislavismo (gli ultimi due termini uniti - lo "slavocomunismo"). In queste vallate i rapporti con i garibaldini e le formazioni partigiane slovene furono, soprattutto a partire dall'autunno 1944, estremamente tesi, con una popolazione che vedeva di cattivo occhio le formazioni partigiane, sia italiane che slovene, soprattutto dopo le feroci rappresaglie naziste seguite alla caduta del territorio libero di Attimis-Faedis-Nimis a fine settembre 1944.
Nell'inverno 1944-1945 si intrecciano una serie di colloqui clandestini (in realtà risaputi) tra direzione dell'Osoppo e comando delle SS e almeno in una caso tra l'Osoppo e la X MAS di Junio Valerio Borghese, con l'intento da parte fascista e nazista di costituire un fronte contro l'avanzante "slavocomunismo" - e almeno retrospettivamente, da parte dell'Osoppo, con l'intento di raggiungere un'accordo sull' "umanizzazione" della guerra. Agendo in questo modo le formazioni Osoppo ricaddero sotto l'ordinanza del Comando Volontari della Libertà che a livello di direzione Italia Nord nell'ottobre 1944 qualificavano di "tradimento" - e questo in tempo di guerra equivale alla fucilazione - ogni trattativa con il nemico (direttiva ripresa dal CVL del Triveneto nel novembre 1944). D'altra parte queste trattative non si conclusero con alcun accordo (ed altrettanto vero era che l'applicazione rigida delle regole militari nelle formazioni partigiane fu raramente attuata): le formazioni Osoppo non furono l'equivalente italiano dei belogardisti e delle Guardie Azzurre slovene che si schierarono militarmente con i nazisti - anzi parteciparono patriotticamente insieme ai garibaldini alla liberazione di diverse zone friulane a cavallo tra l'aprile e il maggio 1945.
In questo intreccio e in questa contraddizione prese forma l'azione dei GAP di "Giacca"-Toffanin contro gli osovani di "Bolla"-De Gregori nel febbraio 1945. Quest'azione venne poi pesantemente pagata in termini politici dalle formazioni garibaldine e poi soprattutto dal PCI.
Più che l'individuazione del mandante dell'eccidio (il comando partigiano sloveno in accordo alla federazione del PCI di Udine, o quest'ultima da sola, o azione decisa ed attuata al momento esclusivamente da "Giacca", o provocazione nazista, oppure infine provocazione angloamericana) su cui si sono sbizzarriti i quotidiani e i settimanali estivi, quello che ci sembra degno di rilievo è quanto è stato considerato unanimemente scontato dalla pubblicistica della sinistra nel corso di questa polemica: l'esaltazione di Togliatti "uomo responsabile del nuovo stato italiano... [con un progetto su Trieste] in una logica tutta interna all'interesse nazionale" (Pestalozza su Liberazione preceduto da Gualtieri sull'Unità) e la denuncia dei "progetti annessionistici e prevaricatori del nazionalismo sloveno" (Buvoli ancora sull'Unità) e dei nazionalismi che vengono a rinfocolarsi con queste polemiche (Fogar sul Manifesto).
Esaltazione a parte, mentre la prima affermazione è indubitabilmente vera, la seconda rinvia a questioni un po' più complesse. Allorquando si parla di "nazionalismo prevaricatore sloveno" ci si riferisce solitamente alle rivendicazioni territoriali del Movimento di Liberazione verso l'Italia, che includevano una serie di territori "etnicamente" abitati da sloveni (come la Benecìa) con al loro interno delle "isole" cittadine con popolazione di nazionalità maggioritaria italiana (Trieste, Monfalcone, Gorizia), città con forti componenti operaie. Questa rivendicazione, del tutto legittima, era uno dei contenuti della battaglia nazionale slovena, un popolo che aveva dovuto subire nel "Litorale" incorporato all'Italia nel 1918 un fortissima oppressione nazionale, e che dopo l'occupazione italo-tedesca di tutta la Slovenia nel 1941 si trovava nel suo complesso in questa situazione - un capitolo sfortunatamente dimenticato sono le repressioni indiscriminate e di massa compiute dall'esercito italiano in quelle terre.
Tra le due guerre nel "Litorale" il nazionalismo sloveno e croato fu operaio e contadino (e di comunisti che sfuggivano alle indicazioni del proprio partito!) e non di "agenti dei servizi segreti di Belgrado che fomentavano il terrorismo", come tuonava la propaganda fascista. A dimostrazione di questo vi è la vicenda della effimera TIGOR, organizzazione irredentista jugoslava filo-monarchica ed "unitarista", senza alcun seguito, nata-morta nel 1934 a Trieste. Le correnti nazionaliste popolari (la TIGR e il suo braccio politico, il MNRSC) ebbero un'evoluzione a sinistra nel corso degli anni '30 - con PCI frontepopulista preoccupato per un'evoluzione troppo a sinistra ! -, conscie di non poter raggiungere i propri obiettivi di liberazione nazionale contro il fascismo senza l'appoggio e il concorso del proletariato italiano. Infine nel corso della seconda guerra fu una preoccupazione sempre presente nella direzione del PC Sloveno la battaglia contro "il nazionalismo piccolo-borghese" e la sua influenza all'interno del fronte di liberazione (l' OF) - e per questo si adeguavano gli strumenti di propaganda, si ricercava un rapporto costante e stretto con le organizzazioni italiane, si isolavano quegli intellettuali o quelle personalità che potevano essere portavoci di questo "nazionalismo".
Quello che solitamente viene definito "nazionalismo prevaricatore sloveno" era in realtà l'assunzione da parte del PC Sloveno e del fronte di liberazione dei compiti democratici e nazionali della rivoluzione slovena - con un processo ben intellegibile a quanti hanno un minimo di familiarità con la teoria della rivoluzione permanente.
Il "nazionalismo italiano" era invece l'espressione degli interessi della borghesia italiana - fascista e non. La linea politica sostenuta da Togliatti in quell'occasione fu "unità nella lotta contro i tedeschi e rinvio delle questioni territoriali al dopoguerra": approccio non isolato, visto che la stessa cosa era sostenuta anche per l'assetto istituzionale e di potere in Italia. Del tutto similmente lo stesso approccio sostanziò i ricatti di Stalin nei confronti della direzione comunista jugoslava fin dal 1942: unità militare con le formazioni cetniche monarchiche e riconoscimento politico del governo jugoslavo in esilio a Londra - unità quindi nella lotta antinazista e rinvio delle altre questioni a dopo la guerra. Per fortuna la direzione comunista jugoslava rigettò questo tipo di posizioni: le rivendicazioni democratiche e nazionali sostanziavano la lotta nel corso della guerra mondiale, ne erano il contenuto, e per questo si battevano in massa nelle formazioni partigiane i lavoratori jugoslavi.
In Italia invece si ebbe "solidarietà nazionale", e Union Sacrée finalizzata alla sconfitta del nemico: una politica che è ben stata definita l' "impegno a non vincere il fascismo assieme alle classi che l'avevano generato", classi che mantenevano, rivendicandoli apertamente, i propri "interessi nazionali" e imperialisti di sempre. Fu la politica "ciellinista", che nelle regioni orientali giuliane volle dire accordi con le forze borghesi antifasciste italiane con cui costruire una larga unità, assenza di rapporti con le organizzazioni popolari e comuniste slovene, rifiuto di sostenere le richieste nazionali slovene che avrebbero portato inevitabilmente ad una rottura all'interno del CLN (Vincenzo Marcon-"Davila", segretario comunista giuliano che nel 1942-1943 aveva avuto un diverso orientamento, con accordi con il PC e la resistenza slovena , e con la costruzione di organismi "di massa" nelle fabbriche, italiani e binazionali, venne processato per "trozkismo" e fucilato - mentre le embrionali "organizzazioni di massa" vennero sciolte). Di contro vi era l'OF sloveno - struttura larga egemonizzata dal PC, in cui il ruolo di esponenti borghesi era ridotto a quello di "ostaggi", con comitati di base diffusi capillarmente, strutture del futuro potere in rottura radicale con il vecchio apparato statale.
Se di nazionalismo vale dunque parlare, questo è riferibile piuttosto alla componente italiana (pur se verbalmente ammantato di "internazionalismo") che non riconosceva i diritti nazionali di un popolo oppresso. Ma più che "nazionalismo" in sé, se guardiamo al PC italiano, quello che si ebbe fu un problema di linea strategica e di prospettiva politica. Da parte del PC sloveno ancor meno è possibile parlare di "nazionalismo".
Ma se non era problema di "nazionalismo", è indubitabile che anche sul terreno nazionale vi furono degli errori da parte della direzione slovena. Quest'ultima non si era mai interessata ai problemi del "Litorale" fino al 1941, e formulava le proprie richieste nazionali in termini di unificazione delle terre con linee di demarcazione "etniche". Ma ciò cozzava talvolta contro la reltà economica e territoriale: così ad esempio in Benecìa uno dei motivi della "freddezza" della popolazione slovena nei confronti dei partigiani sloveni era data dal fatto che questi contadini avevano come unico sbocco per i loro poveri prodotti la piana udinese - e la separazione da questa avrebbe per loro significato la miseria. D'altro lato la direzione del PC sloveno si limitò per suo conto ad esprimere le aspirazioni nazionali slovene e a ricercare un'unità politica su questa base con il proletariato italiano, ma non sviluppò alcuna politica di classe per riuscire a conquistare i lavoratori di nazionalità italiana: per un (breve) periodo di tempo puntò su un'organizzazione di massa per italiani denominata "Amici della Jugoslavia", con un insuccesso ovviamente totale; non stimolò alcuna rappresentanza diretta dei lavoratori; si arrivò addirittura a propagandare che nella nuova Jugoslavia le opportunità per gli imprenditori sarebbero state più promettenti che in Italia, e vennero banditi i simboli del movimento operaio (le bandiere rosse vietate nella Trieste "occupata" dall'esercito partigiano jugoslavo).
Detto in altri termini: il problema giuliano era da un lato un problema di territorio non segmentabile lungo linee "etniche" - anche se queste potevano essere tracciate sulla carta, e dall'altro un problema di mobilitazione dei lavoratori italiani su un programma di classe, di autorganizzazione e di rottura con il capitalismo. Su questo complesso di problemi influirono la formazione stalinista del PC sloveno, le sue forti deformazioni burocratiche e l'emprismo politico - oltreché i ricatti dell'Unione Sovietica, per cui dovevano essere fatte delle concessioni non sostanziali sul fatto che non di socialismo si sarebbe parlato in Jugoslavia. Concessioni che però ebbero peso nella politica di massa, dove non valgono i sottili giochi diplomatici e di corridoio. Di qui un'adesione di massa dei lavoratori giuliani alla resistenza slovena nella misura in cui quest'ultima era "avanguardia dell'Armata Rossa", con le note conseguenze nel giugno 1948, all'epoca della rottura tra Cominform e Jugoslavia. La parola d'ordine che per noi più si avvicinava a quella realtà fu formulata troppo tardi, e quando "i giochi erano fatti", nel settembre 1945: per la "VII Repubblica della Jugoslavia" (meno ambigua sarebbe stata la dizione "Repubblica sovietica binazionale della Venezia-Giulia", federata alla Jugoslavia). Anche Togliatti in una certa misura assunse una posizione autonomista, ma coerentemente alla sua impostazione, lo fece appoggiandosi ai ceti mercantili e borghesi di Trieste, e non alla classe operaia, rispolverando vecchie proposte che risalivano alla prima guerra mondiale.
Il programma e gli strumenti d'azione approntati per i lavoratori sloveni non erano sufficienti per il complesso dei lavoratori della Venezia-Giulia. La formazione stalinista, le forti deformazioni burocratiche del PC Sloveno, il suo empirismo politico e il disinteresse fino al 1941 del problema del "Litorale", i ricatti dell'Unione Sovietica - tutto ciò, e non il "nazionalismo" - costituirono problema negli anni della guerra e della resistenza.
In conclusione ritengo che le vicende giuliane del 1943-1945 non siano leggibili né in termini di "nazionalismo sloveno prevaricatore", né di "opposti nazionalismi" che oggi corrono il rischio di rinforcolarsi, e che allora potevano essere composti attraverso "l'abile politica nazionale e mediatrice" di Togliatti. Durante la Resistenza questioni nazionali e questioni di strategia operaia erano sul tappeto in modo inestricabile in questo "nostro" estremo lembo occidentale dei Balcani. Al di là delle sterili e vuote polemiche giornalistiche dell'estate 1996 e 1997, la ripresa e il confronto a sinistra su queste tematiche può non avere un esclusivo interesse storico.
Brescia, 27 settembre 1997
Ilario Salucci
1 Si veda Bandiera Rossa, n. 64, novembre 1996.
2 "Riscoperta" relativa, vista l'ampia bibliografia sulla vicenda, riepilogata da Alberto Buvoli in "Formazioni autonome della Resistenza", F. Angeli editore, 1996. A quanto elencato da Buvoli va aggiunto il volume di Alessandra Kersevan, "Porzus. Dialoghi sopra un processo da rifare", ed. Kappa Vu, 1995, con seguito di polemiche in "Storia Contemporanea in Friuli", n. 25, 1994 e n. 26, 1995. Infine Marco Cesselli, scomparso pochi mesi fa, aveva rimesso mano al suo vecchio "Porzus - due volti della resistenza" (pubblicato nel 1975), e se ne attende quindi la nuova edizione.
3 Si veda Pavel Stranj, "La comunità sommersa", EST, 1989.
4 Andrebbe a questo proposito ristampato in economicissima il diario del 1942 di don Pietro Bagnoli, cappellano militare in Slovenia, pubblicato con il titolo "Santa Messa per i miei fucilati" da Longanesi nel 1973. A livello di studi storici finalmente è disponibile un primo studio organico sull'occupazione italiana della Slovenia: Tone Ferenc, La provincia "italiana" di Lubiana, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1994.
5 Da non confondersi con la quasi omonima organizzazione TIGR, che a cavallo degli anni '20 e '30 si battè contro il fascismo e a difesa della popolazione slovena. Le prime condanne a morte comminate dal regime di Mussolini furono contro militanti di quest'organizzazione, nel 1930.
6 Danilo Montaldi, "Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970)", Edizioni Quaderni Piacentini, 1976. A livello aneddottico, ma che pure ci pare significativo, ricordiamo che neppure la più famosa canzone partigiana si salvò da questa politica. Il Comando brigate d'assalto Garibaldi, Delegazione piemontese, in data 24 aprile 1944, emanò un documento in cui si legge: "E' all'unità di tutti gli italiani che vanno i nostri sforzi. [...] La nostra lotta è l'espressione più genuina che noi vogliamo in nome della libertà e della democrazia lottare per battere i tedeschi. La vostra canzone dice invece, che i partigiani marciano "per conquistare la rossa primavera..." e conclude dicendo che i partigiani torneranno a casa vittoriosi "sventolando la rossa bandiera". Politicamente è un errore [...] Indirettamente si favorisce la propaganda nemica". Così al posto di "rossa primavera" si sarebbe dovuto cantare "l'Italica bandiera".
7 Dall'autunno 1944 la situazione mutò e si ebbe rottura del CLN, accordo con "gli sloveni", la formazione di quella meravigliosa organizzazione di fabbrica, binazionale, che fu "Unità Operaia" (ritirata fuori dal cassetto dei vecchi accordi gestiti da "Davila" un anno e mezzo prima) e che gestì l'insurrezione a Trieste dal 28 maggio 1945. Ma a mio parere fu svolta troppo tardiva e vennero scontati tutti i travagliati trascorsi. Togliatti si oppose, per quello che poté, a questa dinamica - e talvolta fu costretto per calcolo o perché costretto dagli avvenimenti a fare "capriole" politiche. Su queste vicende - note con la dizione "caso Bianco", dal nome del delegato del PCI presso il PC Sloveno - la bibliografica è particolarmente abbondante.
8 Scarsissime le informazioni a stampa rintracciabili su questo periodo del PC triestino e giuliano - oltre tutto largamente inquinate (così per esempio si afferma solitamente contro ogni evidenza che il giornale comunista Il Lavoratore iniziò le sue pubblicazioni solo nell'agosto-settembre 1943).
9 Si può a giusto titolo parlare di un "doppio potere territoriale" riguardo alle zone liberate dai partigiani sloveni e jugoslavi fin dall'estate 1942, data alla quale controllavano i 2/3 della "provincia di Lubiana"!
10 Interessantissimo a questo proposito Marino Qualizza, "L'atteggiamento della popolazione delle Valli del Natisone di fronte alla questione nazionale secondo i documenti sloveni", in: AAVV, "Resistenza e questione nazionale", Del Bianco Ed., 1984.
|
|