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NOTIZIE EST #145 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
17 gennaio 1999


TRA OSTAGGI E TAMBURI DI GUERRA / 1
a cura di Andrea Ferrario

Con la cattura degli otto soldati jugoslavi da parte dell'UCK e il loro rilascio dopo breve tempo si è giocato un altro capitolo dell'inverno kosovaro, mentre la situazione sul terreno sembra sempre più indirizzarsi verso una soluzione militare, complici "involontari" anche i fattori internazionali.

[Mentre terminavo questa rassegna di notizie collegate alla "crisi degli ostaggi" sono giunte le notizie relative al massacro di Racak. Mi riservo di affrontare fra breve con la dovuta attenzione e riflessione anche quanto è avvenuto e sta avvenendo in questi giorni. Per chi fosse interessato, intanto, segnalo un documento completo, puntuale e onesto che ricostruisce un altro simile agghiacciante massacro, quello compiuto nella regione di Drenica nel marzo scorso e che le autorità serbe avevano allora spiegato come un "suicidio collettivo" messo in atto dai "terroristi schipetari". Si tratta del rapporto di Amnesty International sui crimini in Kosovo (http://www.amnesty.org/ailib/aipub/1998/EUR/47003298.htm). In particolare, il capitolo sul massacro di Drenica (http://www.amnesty.org/ailib/aipub/1998/EUR/47003398.htm)getta una luce su molti aspetti che sicuramente potranno aiutare a capire quanto è avvenuto venerdì scorso, 15 gennaio - a.f.]

La cattura l'8 gennaio scorso di otto soldati dell'Esercito jugoslavo da parte di guerriglieri dell'UCK ha riportato l'attenzione dei media internazionali sulla situazione nel Kosovo. Come abbiamo fatto già in precedenza per l'offensiva di Podujevo svoltasi alla vigilia di Natale e la situazione nella regione nei primissimi giorni di gennaio, passiamo in rassegna gli eventi e gli aspetti meno seguiti in questi giorni dai grandi mezzi di comunicazione, riportando poi alcune valutazioni sulla situazione.

La stessa mattina in cui gli otto soldati jugoslavi sono stati presi in ostaggio c'era stato uno strascico delle polemiche tra europei e americani su chi fosse da considerare maggiormente "colpevole" per la situazione sul terreno. Lo statunitense Walker, capo della missione dei verificatori OSCE, aveva infatti dichiarato quella mattina che "a nostro parere la maggior parte dei casi di mancato rispetto [degli accordi] viene dalla parte del governo, [...] penso che si possa dire che siamo meno che soddisfatti", aggiungendo che "quando l'UCK ha liberato due giornalisti e due politici locali serbi, per esempio, il governo jugoslavo non ha fatto altrettanto" (Reuters, 8 gennaio). Mentre l'attenzione di tutti gli osservatori era incentrata su Stari Trg, nei pressi di Kosovska Mitrovica, dove erano stati catturati i soldati, in altre zone del Kosovo si verificavano offensive o altri episodi che facevano crescere la tensione. Nell'area di Malisevo un mezzo corazzato delle forze speciali della polizia serba veniva attaccato da guerriglieri dell'UCK e tre poliziotti rimanevano uccisi. L'episodio è stato preso a pretesto dalla polizia serba per effettuare il bombardamento del vicino villaggio di Slapusane, facendone fuggire gli 800 abitanti. Il giorno successivo, 50 carriarmati e mezzi corazzati dell'Esercito jugoslavo arrivati dalla Serbia centrale (in aperta violazione degli accordi di ottobre) si sono schierati lungo la strada tra Pristina e Podujevo, alcuni nei pressi di case civili. Lapastica e altri villaggi circostanti sono stati sottoposti a bombardamenti delle forze serbe per più di due ore nel pomeriggio dello stesso giorno, facendone fuggire la popolazione e uccidendo almeno una persona, un ragazzo di 15 anni, mentre a Decani la polizia ha ucciso tre persone che, secondo quanto essa ha dichiarato, erano "terroristi dell'UCK", mentre fonti OSCE hanno confermato che nella zona vi sono stati combattimenti (Reuters, 9 gennaio). Ma ciò che in retrospettiva sembra più preoccupante è quello che è accaduto a Pristina. Come racconta l'agenzia AIM in un servizio dell'11 gennaio, e come era già stato segnalato dalla AFP mentre i fatti accadevano, nella notte tra l'8 e il 9 gennaio Pristina è stata circondata da circa 50 carriarmati e corazzati, concentratisi soprattutto nella zona di Dragodan, nel momento in cui a Belgrado si era riunito il Consiglio Nazionale della Difesa, mentre il Media Centar serbo di Pristina ha lavorato tutta la notte, secondo l'AIM, perché i giornalisti erano "in attesa di qualcosa". La sera dello stesso 9 gennaio i militari jugoslavi, dopo una trattativa con i verificatori OSCE, si sono ritirati (AIM, 11 gennaio; AFP, 9 gennaio). Nello stesso giorno dozzine di mezzi militari jugoslavi, anche pesanti, si sono diretti verso Kosovska Mitrovica, mentre l'OSCE accusava duramente l'UCK, lodando l'operato delle autorità jugoslave: "azioni irresponsabili compiute dall'UCK a cominciare da ieri mattina sono la causa principale del considerevole aumento della tensione in Kosovo", ha dichiarato l'organizzazione in un comunicato ufficiale, nel quale si afferma inoltre che "l'UCK ha eseguito un agguato pianificato meticolosamente" contro una colonna del ministero degli interni serbo "ha preso prigionieri otto soldati dell'Esercito jugoslavo, rifiutando fino a ora di liberarli, nonostante fosse stato preso l'impegno di farlo". Nello stesso comunicato si dice anche che "la reazione delle autorità jugoslave nei confronti di queste provocazioni dell'UCK sono state fino a ora molto contenute. I rappresentanti delle autorità jugoslave hanno dimostrato la propria disponibilità a collaborare nella attuale situazione". Il giorno dopo la Francia ha unito ufficialmente la propria voce a questa valutazione, con un comunicato con il quale il ministero degli esteri di Parigi dà anch'esso la colpa all'UCK per avere aumentato le tensioni e loda quella che definisce l'autocontrollo delle forze jugoslave (AFP, 9 gennaio; Reuters, 10 gennaio). Il 10 gennaio si è pronunciato anche il segretario della NATO Solana, il quale ha dichiarato che "i kosovari albanesi devono evitare azioni che provocano le forze armate serbe e la polizia speciale serba non deve impegnarsi in azioni di violenza sproporzionata" (AFP, 10 gennaio).

Riguardo ai dislocamenti citati sopra di forze militare serbe nelle zone di Podujevo e di Kosovska Mitrovica, va notato che la Reuters il 10 e l'11 gennaio ha segnalato che in diverse aree del Kosovo l'Esercito jugoslavo ha dispiegato nuove forze sul terreno. Come nel caso dell'offensiva di Podujevo del 24 dicembre scorso, i ritiri avvenuti successivamente sono stati parziali e, anche se mancano dati complessivi precisi, la presenza militare serba è di conseguenza aumentata nell'intera regione. A Kosovska Mitrovica, poi, secondo l'OSCE, non vi è stato nemmeno un ritiro parziale, bensì unicamente un "arretramento", come riporta l'AFP il 10 gennaio. I 50 mezzi giunti il 9 gennaio nella zona di Podujevo dalla Serbia centrale rimangono per la maggior parte a tutt'oggi dove sono stati dispiegati, infatti la Reuters scrive il 14 gennaio che si sono ritirati solo due carriarmati e tre mezzi corazzati, insieme a un pullman di soldati. E' quindi chiara la strategia di Belgrado di aumentare, mediante queste offensive, la presenza militare nell'area. Tutto questo costituisce un'aperta violazione di uno dei più importanti accordi presi tra Milosevic e Holbrooke, quello sulla riduzione delle forze di polizia e militari presenti in Kosovo, che a pochi giorni dall'incontro tra i due era già stato reso più morbido, passando dai 18.000 effettivi previsti inizialmente a un totale di 25.000 effettivi. Un'altra grave violazione è quella del mancato rispetto dell'impegno a liberare le migliaia di albanesi arrestati nel corso dei combattimenti dell'anno scorso: non solo non ne sono stati liberati, ma altre centinaia sono stati arrestati e in alcuni casi sono scomparsi. Viene ignorato completamente anche l'impegno a garantire indagini sui crimini di guerra e ogni timido tentativo internazionale in tal senso viene impedito dalle autorità serbe. Gli attacchi della diplomazia agli "atti irresponsabili" dell'UCK sono evidentemente anche un diversivo per coprire tali violazioni, che non vengono assolutamente denunciate dalle grandi potenze.

L'11 gennaio viene ucciso a Pristina, da tre uomini armati che gli tendono un agguato, il giornalista albanese Enver Maloku. Maloku era direttore del Kosova Information Center, il centro di documentazione e informazione per anni controllato da Rugova e dalla sua più stretta cerchia. Fino al 1990 aveva lavorato per le trasmissioni in albanese della Radio-Televisione di Pristina, prima che venissero chiuse dal regime di Belgrado. L'anno scorso era entrato a fare parte del Consiglio Direttivo della Lega Democratica del Kosovo, in un momento in cui venivano marginalizzate e nei fatti espulse tutte le voci anche solo moderatamente critiche nei confronti di Rugova. Maloku aveva già subito nel luglio scorso un attentato non rivendicato (AFP, Reuters, KIC, 11 gennaio). In una conferenza stampa tenuta a Ginevra, il rappresentante dell'UCK all'estero, Bardhyl Mahmuti, ha affermato che l'omicidio di Maloku è opera dei servizi segreti serbi che, secondo Mahmuti, organizzano attentati e omicidi, alimentando poi le speculazioni in merito per disseminare la discordia tra gli albanesi (KIC, 14 gennaio).

L'11 gennaio si è tenuta a Pristina una manifestazione di circa 500 serbi del Kosovo contro il governo di Belgrado, organizzata dal Movimento di Resistenza Serbo di Momcilo Trajkovic (su di lui si veda "Notizie Est" #140, 9 gennaio 1999). La manifestazione si è svolta in un palazzetto dello sport e i manifestanti hanno scandito a più riprese "Tradimento, tradimento" e "per il Kosovo in Serbia, per i serbi nel Kosovo". Trajkovic ha affermato che "i serbi del Kosovo sono stati abbandonati (dalle autorità di Belgrado)" e che essi "devono prendersi carico del proprio destino e svolgere un ruolo politico". Altri oratori hanno affermato che i serbi della provincia devono "organizzarsi e prepararsi per la battaglia decisiva in primavera". I manifestanti hanno inoltre chiesto l'espulsione dei verificatori OSCE e un ex esponente del Partito Radicale Serbo ha dichiarato che "la situazione si è deteriorata da quando sono arrivati i verificatori e noi rifiuteremo loro la nostra ospitalità. Coloro che hanno consentito il dispiegamento dei verificatori hanno contribuito alle perdite umane" (AFP, Reuters, 11 gennaio). In merito a questa manifestazione e ai precedenti blocchi stradali organizzati da "civili" serbi, l'agenzia AIM scrive che "queste presunte azioni di protesta dei civili serbi sono guidate da alcune persone che si sono distinte nell'organizzazione delle manifestazioni serbe durante la cosiddetta "rivoluzione antiburocratica" del decennio scorso [così viene chiamato il processo di scalata al potere di Milosevic e dei suoi colleghi burocrati negli anni '80, giocatosi in gran parte in Kosovo e del quale Trajkovic è stato uno dei protagonisti - a.f.]. E' evidente che si tratta di un'estrema strumentalizzazione della situazione in Kosovo ai fini della lotta interna per il potere in Serbia" e, oltre a ciò, scrive l'AIM, "si minaccia la creazione di una cosiddetta Regione Autonoma Serba all'interno del Kosovo, un fatto che tra gli albanesi viene interpretato nei fatti come una ripresa dell'idea serba di spartizione territoriale del Kosovo" (AIM, 14 gennaio). E' interessante notare che, proprio nei giorni in cui i serbi del Kosovo tenevano le loro dimostrazioni, l'ex membro del Partito Radicale Serbo ed ex ministro per la famiglia nel governo di Belgrado, Rada Trajkovic, ha rilasciato alcune dichiarazioni. La Trajkovic era stata rimossa dal proprio posto di ministro ed espulsa dal partito a novembre dopo una serie di scontri verbali con Seselj (per maggior particolari si veda "Notizie Est" #124, 12 dicembre 1998); nelle settimane successive alla sua espulsione è riuscita a portare con sé via dal Partito Radicale la quasi totalità delle sezioni di partito locali del Kosovo, del quale è originaria. Rada Trajkovic ha sostenuto apertamente le critiche del suo omonimo Momcilo Trajkovic nei confronti della politica del governo di Belgrado in Kosovo e ha approvato le azioni di "autorganizzazione dei cittadini [serbi] del Kosovo". La Trajkovic ha infine preannunciato un suo imminente ritorno in politica e non ha né confermato né smentito le voci secondo cui potrebbe aderire alla "Lega per i cambiamenti" del miliardario Panic ("Danas", 10 gennaio). Va infine rilevato che svariate fonti serba parlano da giorni di un'entrata di Vuk Draskovic e del suo partito SPO nel governo federale jugoslavo, probabilmente come viceprimo ministro. Lo scrive per esempio il "Dnevni Telegraf" del 16 gennaio, secondo cui Draskovic starebbe per prendere la decisione "per l'allarmante situazione nel Kosovo" e per l'intenzio del suo partito di "salvare quello che si può salvare nei prossimi due mesi, prima che cominci la nuova offensiva dei terroristi nel Kosovo".

Il 13 gennaio, dopo che sembrava si fosse arrivati alla rottura delle trattative e dopo cinque ore di negoziati, l'OSCE ha annunciato la liberazione degli 8 prigionieri serbi. Le autorità jugoslave hanno dichiarato immediatamente che gli otto sono stati liberati senza condizioni, mentre la Reuters ha riferito che secondo un'alta fonte occidentale gli jugoslavi si sarebbero impegnati in cambio a liberare entro dieci giorni al massimo nove guerriglieri albanesi arrestati nel dicembre scorso. Che vi siano comunque stati degli accordi lo dice, oltre alla logica, anche il fatto che l'inviato europeo Petritsch, l'inviato statunitense Hill e il capo della missione OSCE Walker abbiano ufficialmente dichiarato "di avere dato la propria garanzia per l'adempimento di tutti i punti discussi" (Reuters, 13 gennaio). Il giorno stesso, anche l'UCK ha affermato ufficialmente che gli accordi prevedono la liberazione dei 9 guerriglieri arrestati il 14 dicembre scorso. E' importante precisare che i nove sono gli unici testimoni noti della strage compiuta in tale data, con la quale l'esercito aveva ucciso a freddo, in circostanze non chiarite, 36 membri dell'UCK che cercavano di entrare in Kosovo dall'Albania con armi e denaro. Le autorità jugoslave non hanno mai consentito l'accesso ai nove albanesi da parte di commissioni di inchiesta (si veda "Notizie Est" #133, 27 dicembre). Due giorni dopo l'accorso sulla liberazione dei soldati prigionieri, il 15 gennaio, il tribunale competente per il distretto dove i guerriglieri dell'UCK sono detenuti, ha ulteriormente esteso il loro periodo di detenzione ("Dnevni Telegraf", 16-17 gennaio). La confusione e le tensioni che derivano dalle differenti dichiarazioni riguardo al contenuto degli accordi vengono rese più intense dal fatto che i rappresentanti occidentali affermano che essi sono segreti e rifiutano di rivelare particolari in merito.

La liberazione degli otto soldati prigionieri è stata seguita da nuove dichiarazioni di esponenti diplomatici. Il ministero britannico degli esteri Cook ha ammonito l'UCK a non compiere più "queste azioni irresponsabili" e ha lodato la moderazione di cui ha dato prova Belgrado (Reuters, 15 gennaio). Il 15 gennaio il ministro degli esteri italiano Dini e il premier D'Alema hanno fatto una vera e propria ramanzina al primo ministro albanese Majko, accusandolo di non sostenere gli sforzi di pace nel Kosovo e di permettere attraverso il suo territorio il rifornimento di uomini e mezzi per l'UCK . Dini ha inoltre rivolto un'accusa agli Stati uniti, affermando che "mentre Belgrado rispetta gli accordi firmati con il mediatore americano Richard Holbrooke la guerriglia dell'UCK ha sfruttato il ritiro delle milizie serbe per tornare nelle campagne, rientrare nelle città e guadagnare così terreno anche grazie alle armi che passano attraverso l'Albania". Responsabile di tutto questo, sempre secondo Dini, sarebbe l'Amministrazione USA che "ha incoraggiato le speranze kosovare verso una forte autonomia e l'indipendenza. Hanno fatto di più di quanto avrebbero dovuto e oggi i kosovari ritengono che, se ci sarà la guerra, la NATO interverrà in loro soccorso". Anche il ministro della difesa Scognamiglio ha mandato un messaggio inequivocabile: "l'UCK s'illude se spera nella guerra per spingere la Nato all'attacco contro la Serbia: non esiste una forza capace ora d'intervenire" ("Il Manifesto", 16 gennaio). Due giorni prima, un alto funzionario della NATO, commentando la richiesta del premier albanese Majko di un intervento dell'alleanza in Kosovo, aveva dichiarato all'agenzia serba Beta che la NATO "non ha nei piani alcun nuovo tipo di intervento in Kosovo". Il funzionario ha inoltre precisato che secondo l'alleanza "nessuna delle due parti [in Kosovo] rispetta gli accordi per la riduzione delle tensioni e per trovare una soluzione pacifica". Egli ha infine affermato che la NATO ha già effettuato centinaia di voli di osservazione sopra il Kosovo e che le autorità jugoslave "rispettano le regole del gioco" disinserendo il sistema antiaereo ogni volta che un aereo dell'alleanza (sempre con il preavviso alle autorità jugoslave) sorvola il territorio della provincia (notizia della Beta, riportata da "Dnevni Telegraf", 14 gennaio). Il presidente dell'OSCE Vollebaek, in visita nella regione, ha affermato che "ulteriori provocazioni e l'uso della forza non faranno che apportare nuove sofferenze agli abitanti del Kosovo", aggiungendo che "è chiaro che in alcuni circoli degli albanesi del Kosovo la missione dei verificatori OSCE non è accolta con favore come uno strumento di pace e viene vista piuttosto come un ostacolo a una specifica soluzione". Egli ha inoltre dichiarato che riuscire a creare una piattaforma comune degli albanesi del Kosovo per le trattative è una priorità e che l'OSCE sta cercando di organizzare a tale fine una riunione a Vienna, della quale tuttavia non ha indicato quali saranno i tempi (AFP, 14 gennaio).

La mattina del 13 gennaio, poche ore prima che venisse annunciato il rilascio dei prigionieri, a Pristina si è tenuta una conferenza stampa di Albin Kurti, segretario del rappresentante politico dell'UCK Adem Demaci (Kurti è stato fino a pochi mesi fa leader dell'Unione degli Studenti). Kurti ha commentato con favore i risultati della visita a Tirana di Demaci e di un altro esponente dell'opposizione a Rugova, cioè Rexhep Qosja, leader del Movimento Democratico Unito. "Sono stati compiuti grandi progressi nell'intensificazione del ruolo della diplomazia albanese nel cooperare e creare un'unica entità delle forze politiche albanesi che possa contribuire a trovare una soluzione della situazione e della lotta di liberazione", ha detto Kurti, aggiungendo che altri funzionari kosovari sono stati invitati a Tirana. Riguardo agli ostaggi, l'UCK "chiede che essi vengano scambiati con albanesi rapiti e arrestati". Kurti ha inoltre detto che gli assassini di Maloku "devono essere scoperti e che l'UCK darà il proprio contributo a tal fine". Egli ha infine invitato i membri della comunità serba del Kosova a "non farsi manipolare e usare dal regime di Belgrado", come è avvenuto quando civili armati hanno bloccato le strade. Kurti ha affermato che i serbi del Kosova non vanno identificati con il regime di Belgrado: "tale regime non li rappresenta, così come non difende i loro interessi e quelli di tutti gli altri abitanti del Kosova" (ATA, 13 febbraio). Fehmi Agani, il politico albanese che guida il totalmente inattivo team dei negoziatori kosovari albanesi e che ultimamente prende sempre più di frequente posizioni che si distinguono da quelle di Rugova, fino a poco tempo fa suo stretto alleato, ha dichiarato il 15 gennaio che "l'UCK ha compiuto un buon passo con il sequestro dei soldati [...]. L'UCK ha agito in maniera corretta ed è riuscita ad acquisire importanza presso gli osservatori stranieri. Insistendo su uno scambio, inoltre, ha dato prova di essere favorevole a una soluzione pacifica del problema del Kosovo" (Dnevni Telegraf, 15 gennaio).

L'11 gennaio il quotidiano di Belgrado "Danas" ha riportato le dichiarazioni di varie forze politiche serbe, sia di governo che di opposizione, in merito alla cattura degli otto soldati jugoslavi da parte dell'UCK. Il Partito Radicale del vice-primo ministro Seselj ha dichiarato in un comunicato: "Siamo convinti che la dirigenza statale della Serbia e della Jugoslavia [...], con un'azione decisa che comprenderà anche l'uso della forza più brutale, soffocherà ogni ulteriore inselvatichimento delle orde terroristiche schipetare". Secondo il Partito Socialista, "le azioni coordinate dei terroristi schipetari e degli immorali mercenari della Sfor" sono la prova del fatto che l'obiettivo della NATO e delle organizzazioni internazionali è "la frammentazione dello spazio nazionale serbo e la creazione di una serie di staterelli-marionette", dimenticandosi di spiegare perché tuttavia il suo leader Milosevic sia diventato da svariati anni l'interlocutore privilegiato di questi 'immorali mercenari', che hanno firmato accordi storici proprio con lui e non certo con i 'terroristi schipetari'. La coalizione di opposizione "Alleanza per i cambiamenti", guidata dal miliardario serbo-americano Panic e che comprende al suo interno anche il Movimento di Resistenza Serbo di Trajkovic, ha dichiarato: "Puntiamo l'indice sulla politica errata e incapace delle autorità serbe, che hanno portato a una situazione in cui i cittadini della Serbia e i membri degli organi statali temono per la loro vita sul territorio del loro stesso stato". Secondo il Movimento di rinnovo serbo di Vuk Draskovic, "i terroristi albanesi e i loro leader politici rispondono ormai da mesi alla buona volontà dimostrata dalla Serbia con cattiva volontà e con crimini sempre più frequenti, confermando la verità delle parole di Cristo, secondo cui non vale la pena di 'gettare le perle ai porci'. Speriamo che ciò verrà compreso anche dalla comunità internazionale e che venga posto fine alla prassi insensata con la quale, dopo ogni crimine dei terroristi albanesi, i serbi e il nostro stato vengono invitati a dimostrare autocontrollo, mentre la NATO minaccia la Serbia di bombardamenti dopo ogni azione dei terroristi". Un'altra forza di opposizione, il Partito Democratico di Zoran Djindjic, ha dichiarato che "il nostro partito appoggia l'intenzione dei serbi del Kosovo e Metohija di organizzare la propria difesa" e che "il regime serbo ha fatto dei poliziotti e dei soldati in Kosovo e Metohija delle vittime". Lo stesso quotidiano di opposizione "Danas", in un commento di A. Nenadovic, scrive lo stesso giorno che "la chiave per la soluzione [della crisi del Kosovo] risiede nell'unità nazionale, ovvero nella disponibilità 'panserba' ad adattarsi con saggezza, come unico modo per difendere i diritti legittimi della Serbia sovrana".

Sempre sul fronte serbo, "Danas" del 12 gennaio fa il punto della situazione dopo tre mesi dall'approvazione della legge sui media: il quotidiano di opposizione "Nasa Borba", un tempo ampiamente aiutato da Washington e dall'UE, ha ormai terminato la propria esistenza nell'indifferenza generale; il "Dnevni Telegraf" viene stampato in Montenegro e in Serbia ne giungono solo poche copie, che la distribuzione statale si rifiuta di diffondere. Lo stesso vale per il quotidiano "Danas". Il settimanale "Evropljanin" viene stampato ora in Croazia, dopo avere interrotto le pubblicazioni per alcuni mesi. Il settimanale montenegrino "Monitor" ha ricevuto un'enorme multa e le autorità serbe intercettano e sequestrano i camion che dal Montenegro ne trasportano copie in Serbia. Il settimanale "Ekonomska politika" è stato abbandonato in massa dai propri giornalisti dopo che il quotidiano "Borba", una vera e propria 'velina' del governo, ne ha acquisito il controllo. In questi tre mesi, solo 12.068 persone hanno firmato un appello per la cancellazione della legge, una cifra che corrisponde allo 0,12% degli abitanti della Serbia o al 10% dei lettori di giornali, mentre il numero di coloro che ascoltano la radio e la TV (controllate per la maggior parte dal governo) è superiore di almeno tre volte ai lettori della stampa.

Il 12 dicembre il regime di Belgrado ha arricchito la sua campagna propagandistica di un nuovo elemento, un "documento segreto della CIA", firmato da un non meglio specificato Istituto per i Balcani, contenente un piano per distruggere la (mini) Jugoslavia. I media statali hanno nei giorni successivi dato enorme risalto alla notizia, diffondendola come "sensazionale". Peccato che il documento fosse normalmente disponibile da più di un mese in Internet (http://www.usip.org) e che sia stato redatto dall'Istituto degli Stati Uniti per la Pace, una delle tante organizzazioni paragovernative statunitensi, venuta alla ribalta questo autunno per un documento in cui si descriveva il possibile scenario di una caduta del regime di Tudjman in Croazia e si auspicavano pressioni di Washington per l'instaurazione di un "regime democratico" nel paese (si veda "Globus", 9 ottobre 1998). Il 13 gennaio il quotidiano "Danas" ha pubblicato per intero il documento, che promuove l'assegnazione di finanziamenti ai media, alle ONG, ai sindacati ecc. serbi non controllati dal governo, nonché la creazione di un comitato di figure pubbliche internazionali che chieda la "democratizzazione" della Serbia, una politica che Washington e l'UE mettono in atto già da anni non solo in Serbia, ma in tutta l'Europa Orientale. Quello che semmai colpisce del documento è come esso illustri in modo chiaro come le intense politiche repressive a tutto campo messe in atto dal regime di Belgrado consentano alle potenze occidentali di trovare con facilità ampi spazi di proselitismo. Sullo stesso tema, non si può non segnalare una grottesca reclame comparsa nel primo numero del 1999 del settimanale "Vreme". Sull'ultima di copertina di tale numero compare una pubblicità della ICN, la ditta farmaceutica del miliardario serbo-americano Panic, leader della coalizione di opposizione "Lega per il cambiamento" (la stessa dello sciovinista Trajkovic, di cui sopra). Nello stesso numero viene tra l'altro pubblicata un'intervista con un dirigente della ICN che si lamenta della situazione del settore farmaceutico in Serbia, una "combinazione" già avvenuta in passato sulle pagine della stessa rivista. La pubblicità mostra la foto di un cubo di ghiaccio all'interno del quale è chiusa in una morsa di freddo una pillola farmaceutica recante la scritta "Democracy". Sotto la fotografia, compare il testo "Anche la primavera verrà - ICN Jugoslavija s.p.a. - La forza è in noi". Rimane la domanda del perché la scritta sulla pillola sia un "democracy" in inglese e non in serbo e sia per giunta seguita dal segno di "marchio registrato". Una spiegazione la si può forse trovare nel sostegno che Washington dà da lungo tempo a Panic e ai suoi. D'altronde, in perfetta coerenza con la scelta del marchio registrato "democracy" per la Serbia, in un'intervista concessa allo stesso "Vreme" nei mesi scorsi Panic aveva raccontato di avere spiegato una volta a Rugova che non ha alcun senso chiedere un'università in albanese in Kosovo, perché l'unica lingua del futuro è l'inglese...

(continua)