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![]() NOTIZIE EST #146 - JUGOSLAVIA/KOSOVO TRA OSTAGGI E TAMBURI DI GUERRA / 2 ALCUNI COMMENTI SULLA SITUAZIONE In un articolo di Laura Smakaj, pubblicato l'11 gennaio, in piena "crisi degli ostaggi", l'agenzia AIM scrive che "la situazione nel vicino comune di Podujevo, o più precisamente nella regione di Bajgorska Sala, che confina con Kosovska Mitrovica, rimane sempre tesissima. Dopo lo scadere del primo ultimatum per la liberazione degli ostaggi il 9 gennaio sono cominciate operazioni di bombardamento di cinque villaggi della zona di Podujevo. Secondo il Media Centar la polizia lo fa come misura per assicurare un ritorno sicuro agli abitanti serbi del villaggio di Perane". L'articolo prosegue raccontando come "dopo alcune ore e con l'intermediazione dell'OSCE i bombardamenti sui villaggi sono terminati, ma essi sono durati abbastanza per fare fuggire buona parte dei loro abitanti. Si ritiene che nella precedente offensiva serba di fine anno, siano dovuti fuggire circa 5.500 albanesi che abitavano i villaggi attaccati" e conferma le notizie, date anche da altre fonti, del dispiegamento di ingenti forze lungo la strada Pristina-Podujevo". L'autrice continua: "E' difficile prevedere cosa succederà nella regione di Podujevo. Gli esperti del Kosovo ritengono che si possa trattare di un nuovo aprire il fuoco per ipotecare una futura soluzione della questione del Kosovo, con la creazione di un corridoio o di una zona tampone, che nella fase finale potrà rassomigliare a un cantone. La linea Kosovska Mitrovica-Podujevo-Vucitrn, rispettivamente la regione di Bajgorska Salja, che più oltre si collega con parte del Kosovo centrale, in cui ormai non esiste quasi più una popolazione albanese, con il Kosovo occidentale fino al confine con l'Albania, controllato per una fascia di dieci chilometri all'interno del territorio del Kosovo dall'esercito jugoslavo. Corrono voci secondo le quali anche alcuni esponenti dell'UCK ritengano che se dovesse cadere Bajgorska Salja, cadrebbe l'intero Kosovo...". Il giornalista Fehim Rexhepi ha pubblicato il 14 gennaio, sempre per la AIM, un lungo articolo intitolato "I verificatori tra le autorità serbe e l'UCK", di cui riportiamo qui alcuni brani: "[...] La crisi del Kosovo rappresenta un problema 'a catena' molto complesso. Per questo ogni approccio parziale, sia nella valutazione sia nella ricerca di una soluzione, è immancabilmente unilaterale e di conseguenza irreale. E' del tutto evidente che nelle ultime settimane la missione OSCE di verifica in Kosovo (KVM) si sia distinta proprio per un tale approccio. Fin dall'inizio in questa missione è stata chiara la cosiddetta interpretazione diplomatica della situazione sul terreno. Si trattava di qualcosa in una certa misura comprensibile e accettabile fino al momento in cui molte cose accadevano sotto la superficie, senza grandi conseguenze evidenti e fino al momento in cui le parti in conflitto hanno creato per i verificatori le condizioni che permettevano di non osservare quello che era loro dovere osservare. Tuttavia, i membri della missione hanno conservato un tale approccio anche dopo che le cose hanno cominciato a emergere da sotto la superficie e quando a tutti loro è diventato chiaro che la situazione non era come desideravano rappresentarsela, probabilmente secondo le istruzioni dei propri rispettivi governi" "Sembra che ciò abbia portato all'interno della KVM a vistose differenze nella valutazione della situazione, in particolare per quanto riguarda l'attribuzione delle responsabilità per la violazione della tregua. E' possibile quasi senza alcuna difficoltà tracciare la linea delle divisioni e delle differenze interne, a seconda di qual è il paese al quale nel momento dato spetta decidere quali fatti selezionare e quali valutazioni portare a conoscenza del pubblico nei rapporti sulla situazione o nelle reazioni ai singoli fatti. Ciò crea la sensazione, non senza fondamento, che i verificatori si presentino con dei modelli preparati in anticipo che poi devono essere imposti come soluzioni temporanee o durevoli. L'approccio parziale ai fatti di cui danno prova i verificatori porta, intenzionalmente o meno, molti osservatori locali a essere convinti di essere lontani dall'afferrare e comprendere la situazione reale. Spostandosi da un posto all'altro essi, dopo ogni successo nel pacificare singole situazioni, creano l'impressione irreale di una pacificazione della situazione complessiva. Forse perché non sono in grado di capire che, in quanto eruzioni singole e isolate, esse sono solo la conseguenza di una condizione generale anormale, che in ogni momento può provocare eruzioni analoghe, minori o maggiori, in ogni zona del Kosovo, oppure addirittura portare a una ripresa della guerra generale". "Un evidente nervosismo misto a insoddisfazione viene provocato negli albanesi dal fatto che i verificatori nei loro rapporti rilevino e condannino praticamente nello steso momento ogni incidente nel quale siano coinvolti membri delle forze armate serbe o civili serbi e non rilevino, o lo facciano solo successivamente, i casi in cui le vittime siano albanesi. Gli albanesi continuano a considerare questa descrizione della situazione come una questione di giustizia o ingiustizia, sebbene sia evidente che non di questo si tratta. Si tratta innanzitutto dell'approccio adottato riguardo alla situazione. In particolare, la KVM ritiene e accetta come legali solo le autorità serbe e le loro forze armate. L'UCK e le forze politiche albanesi che sfidano le autorità serbe vengono da essa considerate come qualcosa che pesa su di una costellazione definita di rapporti e di processi e che bisogna cercare di pacificare e, nella misura possibile, di integrare in tale sistema di legalità. Ciò significa che le forze armate serbe hanno il diritto di intraprendere ogni azione che ritengono opportuna al fine di riportare l'ordine e la legge sull'intero territorio del Kosovo. Nell'ottica di una tale posizione di partenza, ogni resistenza albanese è illegale, o addirittura una causa del peggioramento o dell'anormalità della situazione. Agli albanesi non viene riconosciuta una volontà politica autonoma e da ciò conseguono i rapporti e le descrizioni della situazione che essi ritengono come di parte e profondamente ingiusti". "Per quanto possa essere spiegato ed esposto in maniera formalmente corretta, questo approccio evita di affrontare l'essenza dei problemi che hanno portato agli scontri e al crearsi di un pericolo di guerra. Innanzitutto, esso esclude completamente le preoccupazioni degli albanesi del Kosovo e chiude le prospettive che consentirebbero di comprendere e spiegare processi come l'aumento dell'inclinazione degli albanesi a offrire resistenza alle autorità serbe, il grande numero di albanesi uccisi - oltre cento solo dall'inizio della tregua, l'ampliarsi dei sintomi di scontro anche nelle aree che non erano in precedenza state coinvolte da scontri, il ripetersi degli esodi e molti altri fatti che rendono quasi impossibile la vita degli albanesi sotto il dominio serbo". "Nel mondo, e in particolare tra i diplomatici, questo approccio è direttamente connesso alla tesi secondo la quale gli albanesi fanno tutto questo solo al fine di provocare un intervento occidentale, ovvero della NATO, in Kosovo. Secondo questa tesi è questo il motivo per cui gli albanesi hanno dimostrato e si sono scontrati con la polizia nelle città del Kosovo, hanno aggredito la polizia, hanno preso la via dell'insurrezione armata. Naturalmente, ogni politica, e quindi anche quella del Kosovo, se è possibile parlarne al singolare, tiene conto dell'equilibrio delle forze nei rapporti internazionali. Ma è assurdo spiegare la politica albanese e in genere gli atteggiamenti politici degli albanesi pressoché esclusivamente con l'intenzione o il desiderio di provocare un intervento occidentale. Gli albanesi del Kosovo si sono posti, sotto il dominio serbo, una serie di obiettivi politici dai quali consegue l'evoluzione della loro resistenza fino all'insurrezione armata". "E' ovvio che i fatti sono di gran lunga più seri di ogni superficiale calcolo politico di tale tipo. In Kosovo si sono definitivamente venute a creare due diverse volontà politiche con obiettivi profondamente opposti. Pertanto, ogni negazione o sottovalutazione di una delle parti, in questo caso di quella albanese, esclude una soluzione politica e quindi un compromesso diplomatico e, nel caso estremo, lascia la soluzione del problema esclusivamente alla violenza bellica. Tutti sanno, anche gli albanesi, che nell'attuale equilibrio di forza, la parte albanese è di gran lunga più debole a livello militare, e probabilmente anche a livello diplomatico. Ma, almeno fino a ora, ciò non è stato sufficiente a cancellare la disponibilità ad accettare rischi per raggiungere l'obiettivo proclamato e allo stesso tempo, come la si definisce, la libertà, tanto più che, come si ritiene qui, gli albanesi sotto il dominio serbo non hanno altra scelta [...]". Il settimanale kosovaro "Zeri" ha pubblicato nel suo ultimo numero del 1998 numerose interviste con politici albanesi, diplomatici internazionali e studiosi del problema del Kosovo (chi è interessato può trovarne una traduzione in inglese all'indirizzo: http://www.xs4all.nl/~pressnow/zeri/zeri.html). Tra le altre, vi è un'intervista con lo studioso inglese Noel Malcolm, di cui abbiamo recensito recentemente il libro "Kosovo - A Short History" ("Notizie Est" #141, 10 gennaio). Ne riportiamo alcuni brani: ZERI: Mr. Malcolm, dopo i massacri dell'estate scorsa, sembrava che alla fine fosse stato raggiunto un consenso tra le potenze occidentali per imporre militarmente la pace in Kosovo. Perché non c'è stato un intervento militare? MALCOLM: Ritengo che vi siano state delle resistenze all'idea dei bombardamenti sia tra gli eserciti che tra i ministri degli esteri dei paesi occidentali. I loro timori si basavano sul fatto che i soli bombardamenti non avrebbero avuto un grande significato dal punto di vista militare, perché a una tale azione avrebbe dovuto fare seguito il dispiegamento di truppe di terra. Nessuno dei governi NATO vuole inviare truppe di terra in Kosovo. Pertanto, le minacce di bombardamento sono state, in buona parte, un grande bluff. La posizione dell'occidente durante questo scontro è stata, nei fatti, molto debole. Ritengo che ciò diventerà ancora più chiaro nel tempo. E' stato chiaro dopo che Holbrooke ha ripreso i suoi viaggi a Belgrado. Ogni volta che rientrava in gioco, tutti sapevano che i suoi superiori politici avevano un gran bisogno di giungere un accordo, indipendentemente da quale fosse. Tutti lo sapevano e anche Milosevic lo sapeva. Il risultato lo si può vedere nell'accordo che è stato raggiunto. Holbrooke in molti punti ha fatto concessioni. Ciò è riscontrabile in particolare nel fatto che sono stati imposti [dei verificatori] che sono personale OSCE e non NATO. Si tratta di una grande concessione a Milosevic. Quanto alle indagini sui crimini di guerra, vi sono stati dei cedimenti in questo campo che l'accordo anticipava. Altri cedimenti riguardano le scadenze e le modalità del ritiro delle forze serbe. Ai serbi è stato concesso di continuare a mantenere più che ingenti forze nelle guarnigioni. Se si tiene presente tutto questo si può dire che l'Occidente ha fatto delle grandi concessioni a Milosevic e ciò è una dimostrazione della posizione debole dell'Occidente. ZERI: Il suo libro sul Kosovo, sta rendendo questa categoria di persone convinta della verità sul Kosovo. Vi sono altri mezzi per spingere in questa direzione, oppure gli albanesi devono attendere che persone come lei continuino a scrivere tali libri, visto che evidentemente, non hanno successo quando lo fanno loro? MALCOLM: Spero di avere chiarito in parte la storia del Kosovo al lettore occidentale. Determinati argomenti che vengono avanzati contro l'indipendenza del Kosovo sono patetici sia per il futuro del Kosovo che per le conseguenze a cui portano. Due argomenti classici, che sono continuamente, monotamente presenti, sono quelli per cui si sostiene che vi saranno delle conseguenze per la Repubblica Serba di Bosnia e delle conseguenze per la Macedonia. Ritengo che entrambe queste argomentazioni non abbiano alcuna base. L'asserzione secondo la quale se il Kosovo dovesse diventare indipendente anche la Repubblica Serba di Bosnia dovrebbe diventare indipendente è totalmente priva di senso. Non vi è alcun parallelismo o altro elemento logico a tale proposito. La Repubblica Serba di Bosnia non era un'unità federale della Jugoslavia e non aveva basi giuridiche simili per l'indipendenza. E' stata creata successivamente e unicamente in virtù di una brutale pulizia etnica e legalmente esiste solo negli accordi di Dayton, i quali dicono chiaramente che questa repubblica dovrà rimanere nel territorio della Bosnia. Per quanto riguarda la Macedonia, penso che i diplomatici occidentali abbiano in mente solo essa quando riflettono sull'indipendenza del Kosovo e dicono che tale indipendenza rappresenterebbe una minaccia per la Macedonia perché destabilizzerebbe tale paese, per il fatto che, secondo loro, gli albanesi che vivono nelle sue regioni occidentali chiederebbero immediatamente la secessione dallo stato macedone, con la conseguenza di una guerra ecc.... Ritengo che sia totalmente sbagliato e che la realtà sia decisamente differente. A quanto mi è noto, i leader politici albanesi della Macedonia non vogliono la secessione dalla Macedonia o la sua distruzione. Questi leader hanno sufficientemente chiaro quello che vogliono e cioè pari diritti costituzionali all'interno dello stato macedone. E' chiaro che non vogliono la secessione, perché oltre 200.000 albanesi vivono a Skopje. Se la Macedonia dovesse venire divisa è certo che i macedoni si terrebbero Skopje. ZERI: Come lei ha detto, l'Occidente non è ancora pronto ad accettare l'indipendenza del Kosovo. D'altra parte, però, nulla lascia pensare che gli albanesi intendano recedere dalla richiesta di indipendenza. In quale modo l'Occidente affronterà la crisi che si approfondirà ancora di più nella primavera? MALCOLM: Sono pessimista, dati gli errori, gli imbarazzi e le follie, data la storia della politica occidentale in Bosnia. Ritengo che ci possiamo attendere qualcosa di molto simile nel caso del Kosovo. Posso solo sperare e pregare che in un momento successivo avvenga un cambiamento nelle menti dei politici occidentali quando considereranno questioni a lungo termine. Ma se prendono l'attuale autonomia come l'unico fatto, ciò destabilizzerà la regione. Se si riuscirà a comprendere la vera natura del problema, invece, il conflitto in Kosovo potrà essere risolto [...]. (fine) |