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![]() NOTIZIE EST #148 - JUGOSLAVIA/KOSOVO IL MASSACRO DI RACAK E IL SUO CONTESTO / 1 [Per comprendere meglio la collocazione geografica degli eventi degli ultimi giorni potete consultare una mappa in rilievo del Kosovo sul sito "I Balcani": http://www.ecn.org/est/balcani/kosovo/kosovo98small.jpg (229 Kb), oppure graficamente più definita: http://www.ecn.org/est/balcani/kosovo/kosovo98big.jpg (890 Kb). Per un quadro complessivo della cruciale evoluzione della situazione in Kosovo dalla metà di dicembre circa fino a oggi si consiglia di fare riferimento anche ai materiali precedentemente pubblicati sull'offensiva di Podujevo ("Notizie Est" #132, #133, #134, 26-19 dicembre 1998), sulla situazione in Kosovo all'inizio di gennaio ("Notizie Est" #140, 9 gennaio 1999) e sulla recentissima "crisi degli ostaggi" ("Notizie Est" #145, #146, 17 e 18 gennaio 1999) - a.f.] IL MASSACRO DI RACAK La mattina del 15 gennaio, il giorno in cui è avvenuto il massacro reso poi noto il 16 gennaio, il corrispondente della Reuters Julijana Mojsilovic scriveva quanto segue: "Ne pressi della città di Stimlje, a sud, lungo la strada Pristina-Prizren, la polizia ha fatto tornare indietro i reporter della Reuters, impedendo loro di accedere alla regione per motivi di sicurezza. 'Non potete proseguire. La strada non è sicura a causa degli spari', ha detto un poliziotto. 'In realtà tutto era piuttosto tranquillo', ha raccontato alla Reuters Sandy Blyth, portavoce dei monitor internazionali, aggiungendo che il loro gruppo si trovava lì per verificare segnalazioni ricevute giovedì 14 di scontri a fuoco nella regione meridonale. 'Stiamo cercando di verificare segnalazioni che parlano di spari di carriarmati intorno alla regione di Javor e Luznica' ha proseguito. Entrambe le località si trovano tra Stimlje e Suva Reka, lungo la strada Pristina-Prizren, nel sud della regione. Blyth ha anche detto che i monitor hanno ricevuto segnalazioni di attacchi con spari di carriarmati nell'area a est di Decani (Kosovo occidentale), ma 'non vi sono indicazioni su dove i colpi siano caduti'" (Reuters, 15 gennaio). Lo stesso giorno, la polizia di Belgrado faceva sapere attraverso il Media Centar serbo, con uno scarno comunicato, che "15 terroristi dell'UCK erano stati uccisi durante un'operazione nei pressi di Racak" e che "è stata sequestrata una grande quantità di armi, munizioni e materiali" (a quanto ci risulta mai mostrati in pubblico, a differenza di quanto avviene normalmente) (AFP, 15 gennaio e altre agenzie). Il corrispondente della Reuters da Tirana ha scritto che "le uccisioni di Racak sono venute in un momento in cui l'Albania stava cercando di convincere i politici kosovari divisi tra di loro a formare un team negoziale congiunto per avviare trattative con Belgrado sul futuro della provincia, sulla base di un accordo temporaneo di autonomia per tre anni", e fa notare inoltre che "venerdì l'Albania ha inviato carriarmati al proprio confine settentrionale con la Serbia e ha messo le proprie forze in allerta dopo che un ministro jugoslavo aveva duramente accusato il paese di essere un santuario del terrorismo internazionale" (Reuters, 17 gennaio). Il 16 gennaio le agenzie di tutto il mondo segnalano il ritrovamento dei corpi di una ventina di albanesi uccisi, alcuni in gruppo, altri sparsi per il villaggio di Racak e orrendamente mutilati, specificando che il conteggio delle vittime era ancora in corso essendo i corpi sparsi in tutto il centro abitato. I giornalisti parlano inoltre con alcuni abitanti della zona che danno testimonianze identiche sull'avvenuto, incolpando la polizia serba. Ecco cosa scrive, per esempio, la Reuters: "Un albanese del posto il cui padre e due fratelli erano tra i morti ha raccontato che essi sono stati arrestati dalla polizia con altri uomini del villaggio di Racak, all'incirca a 25 km. a sud della capitale regionale del Kosovo, Pristina, nella sera di giovedì. Sami Syla, 41 anni, dice che i corpi di suo padre, di 65 anni, e dei suoi fratelli, di 30 e 36 anni, sono tra quelli esposti nel letto prosciugato di un torrente sul colle di Bebus, che sovrasta Racak. 'Sono stati presi dalle loro case, li hanno arrestati e hanno detto loro che sarebbero stati portati a Urosevac (una città vicina)' ha detto Syla, 'ma poi sono stati portati sul colle e giustiziati', ha proseguito. Le autorità serbe non hanno fatto dichiarazioni. Le unità della polizia e dell'esercito che sono state dispiegate nell'area venerdì e si sono impegnate in un sostenuto scambio di fuoco con guerriglieri albanesi non si vedevano più da nessuna parte. Un elicottero della polizia volteggiava sulla zona. Un altro gruppo di uomini ha raccontato che 25 di loro sono stati arrestati dalla polizia venerdì mattina e portati in un'area vicina dove vi erano combattimenti tra le forze di sicurezza e guerriglieri separatisti albanesi. 'Ci hanno detto di correre. Ma non potevamo correre perché saremmo stati colpiti dal fuoco incrociato e così ci siamo sdraiati per sette ore fino a quando la polizia non si è ritirata e noi siamo tornati a Racak', racconta Hyzer Emin, di 65 anni, mentre si trova con altri tre uomini del villaggio che hanno raccontato le stesse cose. [...] I verificatori si sono poi spostati per ispezionare altri luoghi in cui gli albanesi dicono vi siano altri corpi. Syla ha detto che in tutto sono più di 40, ma non è stato possibile confermare il dato immediatamente". La Reuters scrive anche che "reporter che avevano osservato i combattimenti nei pressi di Racak il giorno prima [15 gennaio] hanno potuto osservare l'impiego di fucili e di mortai contro la polizia e l'esercito, che ha risposto con carriarmati e mitragliatrici pesanti. Un portavoce della missione di monitoraggio internazionale ha detto che uno dei propri responsabili era riuscito a fare fermare i combattimenti venerdì pomeriggio. Egli non ha parlato di vittime. Il capo della missione si è diretto a Racak sabato [16 gennaio] per vedere i corpi. Infine, il Media Centar non ha parlato di vittime tra i poliziotti e i militari serbi a Racak e nel vicino villaggio di Petrovo" (Reuters, 16 gennaio). Secondo le testimonianze raccolte sul posto da Alberto Negri, inviato del "Sole 24 Ore", l'attacco sarebbe stato sferrato con le truppe serbe che passavano letteralmente a pochi centimetri dai verificatori OSCE all'entrata del villaggio. Negri racconta altri particolari: " Quasi tutti gli uomini e le donne trucidati a Racak sono stati trovati nel canalone con il portafoglio vicino al corpo: segno, dicono quelli dell'OSCE, che forse gli avevano chiesto i documenti, facendo credere che li avrebbero identificati per portarli in carcere. Sono stati uccisi invece sul posto, quasi tutti con un colpo alla nuca. Due, però, sarebbero riusciti a fuggire. Di fronte all'operazione di Belgrado l'UCK sotto il profilo militare non ha potuto fare molto. I serbi hanno come obiettivo quello di conquistare una sacca strategica che gli impedisce di controllare la via di comunicazione tra Pristina e Prizren, un asse di collegamento Est-Ovest vitale nella battaglia del Kosovo. Per questo, stanno muovendo anche altre truppe, a nord della capitale Pristina, nella zona di Podujevio: qui, dove il mese scorso è stato ingaggiata una battaglia furiosa, lo schieramento serbo è a meno di un chilometro dalle prime postazioni dell'UCK ("Il Sole 24 Ore", 19 gennaio). Il 16 gennaio, sabato, veniva diffusa anche la versione ufficiale delle autorità serbe. Il ministero degli interni di Belgrado dichiarava che "negli scontri sono morte alcune decine di terroristi, che per la maggior parte indossavano uniformi con l'insegna e non è stato possibile compiere un'ispezione venerdì, perché i terroristi hanno aperto il fuoco impedendolo. Non è stato possibile nemmeno sabato, perché i verificatori OSCE hanno insistito affinché il procuratore effettuasse l'ispezione in assenza della polizia. Il ministero degli interni ha affermato di avere effettuato l'"azione" di venerdì per cercare gli uccisori di un poliziotto [ma come abbiamo visto un'offensiva serba nell'area era in realtà in corso già da numerosi giorni] e inoltre che il ministero "ha informato dell'inizio dell'azione la missione dei verificatori OSCE, che si è recata sul posto". Il ministero dell'interno specifica infine che all'ingresso del villaggio di Racak, "i terroristi hanno assaltato la polizia da cespugli e bunker con armi automatiche, bombe a mano e mortai e in tal modo è stato ferito il poliziotto Goran Vucevic" ("Danas", 18 gennaio). Il giorno dopo, il ministero dell'informazione dichiarava che le prove "fanno chiaramente pensare che i terroristi abbiano in un secondo tempo profanato i corpi dei loro morti e li abbiano vestiti con abiti civili". Il 18 gennaio l'organo del Partito Socialista di Milosevic, "Politika", ha pubblicato la versione del presidente della Serbia, Milutinovic: "Quando venerdì (15 gennaio) la polizia si è messa a cercare nei pressi del villaggio di Racak, comune di Stimlje, i terroristi che in un attacco terroristico avevano ucciso il poliziotto Svetislav Przic, i terroristi la hanno assaltata con armi automatiche, bombe a mano e mortai. La polizia è stata costretta a rispondere a tale ferocia terroristica, in conformità a quanto le compete. La missione dell'OSCE e l'ambasciatore Walker sono stati avvisati nei tempi dovuti dell'intraprendimento di questa azione di arresto. Subito dopo gli scontri, sul luogo è giunta una commissione di inchiesta guidata dal procuratore del Tribunale provinciale di Pristina e da un sostituto del pubblico ministero provinciale, ma i terroristi, che erano concetrati sui colli circostanti, hanno aperto il fuoco e hanno impedito l'effettuazione dell'indagine. L'altro ieri il 16 gennaio, è stata ancora una volta impedita l'effettuazione dell'indagine, perché William Walker ha chiesto al procuratore Danica Marinkovic di proseguire senza scorta militare" e, prosegue Milutinovic, il sito è stato visitato solo da Walker e da giornalisti stranieri ("Politika", 18 gennaio), ma altre fonti (Reuters, AFP) specificano che sono stati gli stessi giornalisti serbi a rifiutarsi di procedere. Va precisato che Danica Marinkovic è lo stesso procuratore che a dicembre e gennaio ha mandato a monte le ispezioni internazionali sui luoghi delle presunte stragi di questa estate usando a tappeto la stessa tattica, cercando cioè di costringere gli ispettori internazionali a farsi accompagnare da forze di polizia serba per provocare reazioni dell'UCK, come abbiamo già descritto in "Notizie Est" #140, 9 gennaio. Marinkovic è nota tra l'altro da anni anche per essere l'organizzatrice della maggior parte dei processi politici contro gli albanesi, ampiamente denunciati come irregolari da organizzazioni internazionali come "Amnesty International" e altre ancora. Per riassumere, secondo la versione del presidente e dei ministri serbi sarebbe successo quanto segue: le squadre speciali che da giorni effettuano offensive con mezzi corazzati e anche carriarmati e tengono sotto controllo tutta la zona sono state oggetto di un'improvvisa e feroce imboscata terroristica, tanto feroce che ben 45 "terroristi" muoiono, mentre tra i poliziotti vi è solamente un ferito. Dopo di che le forze serbe, nonostante abbiano evidentemente sconfitto i "terroristi", escono dal villaggio senza arrestare nessuno (l'obiettivo ufficiale della loro missione) per osservare da lontano i "terroristi" che dopo avere subito tali perdite devastanti e mentre sono esposti ai cannoni a lunga gittata dei serbi rimasti sempre nei pressi scendono dai colli e prendono i 45 corpi, tolgono loro le divise, trovano degli abiti civili e glieli mettono addosso, risalgono sopra il villaggio per mettere 22 corpi in un canalone e poi riscendono disseminando in tutto il centro abitato i rimanenti 23 corpi dei loro commilitoni, in pose adatte e decapitandone uno, terrorizzando inoltre gli abitanti del paese per convincerli a mentire dicendo che gli uccisi sono loro parenti e sono stati uccisi dai serbi. Sui motivi di questo massacro e della sua sfacciata esibizione torneremo i una successiva parte di questo articolo. Subito dopo la scoperta del massacro, il 17 gennaio, sono ripresi gli attacchi serbi con mezzi corazzati contro Racak (dove era stata organizzata la camera ardente per le vittime) che hanno costretto a un fuggi-fuggi generale i pochissimi albanesi rimasti e i verificatori OSCE (Reuters, 17 gennaio). Il 19 gennaio, il "Dnevni Telegraf" riferisce che "sulla cresta dei colli al di sopra di Racak sembra siano in corso "operazioni simultanee in tre o quattro villaggi della regione. Non lo sappiamo ancora con precisione, ma sembra che stia accadendo. Sembra trattarsi di un piano per passare sistematicamente da un villaggio all'altro". Nella stessa giornata, e per il secondo giorno di seguito, i poliziotti serbi hanno assaltato Racak per portare via i corpi dei 45 albanesi uccisi e ci sono infine riusciti. Sempre il "Dnevni Telegraf" pubblica una notizia dell'agenzia Beta che ha del clamoroso e che dà un'idea del comportamento della missione dei verificatori OSCE: il portavoce dell'OSCE Sandy Blyth ha infatti dichiarato (la notizia a tutt'oggi non è stata smentita) che "i verificatori hanno presenziato ai momenti in cui i poliziotti hanno prelevato i corpi, ma ha aggiunto di non sapere ancora se hanno accompagnato la polizia lungo l'intero tragitto fino a Pristina. Alla domanda se si cercherà di fare in modo che i corpi vengano restituiti ai parenti, Blyth ha detto di non saperlo e che tutto dipende dagli accordi tra i parenti delle vittime e le autorità jugoslave". Se a Kosovska Mitrovica una settimana fa l'OSCE si mobilitava per fare da mediatore per i soldati jugoslavi presi prigionieri, oggi non si muove nemmeno per ottenere la restituzione dei corpi delle vittime di un massacro ai loro parenti e, anzi, a quanto pare scorta addirittura la polizia che tali corpi ha sottratto con la forza e attacando con le armi Racak ("Dnevni Telegraf", 19 gennaio). Sarebbero compresi tra 1.000 e 2.000 civili, tra cui molti bambini, fuggiti dai villaggi attaccati e che vivono all'addiaccio nei boschi circostanti mentre prosegue l'offensiva serba. L'UNHCR parla di 5.500 nuovi profughi per le offensive degli ultimi giorni (Reuters, 18 gennaio, AFP 19 gennaio). Il quotidiano di Skopje "Nova Makedonija" ha infine pubblicato il 19 gennaio un lungo servizio del proprio corrispondente dal Kosovo nel quale si descrive il nuovo massiccio attacco portato il giorno precedente con l'uso di cannoni della contraerea e mortai contro il villaggio di Racak, causando tra le altre cose notevoli danni alle case. Il quotidiano macedone descrive anche la tattica provocatoria del procuratore Danica Marinkovic, di cui sopra, per fare apparire di essersi vista impedire l'accesso alla scena del massacro. L'agenzia AIM ha pubblicato il 17 gennaio un nuovo commento del giornalista Fehim Rexhepi: "Dopo questi fatti si fa più pressante la domanda se sia ancora in atto una tregua, o se comunque è possibile mantenerla. Come è noto, la parte albanese è stata fino a oggi molto critica in merito al modo in cui le autorità serbe e i verificatori OSCE interpretano e valutano le condizioni e il proseguire della tregua. A quanto sembra, all'interno dell'UCK vi sono in merito dilemmi molto seri. Essi si sono fatti evidenti dopo le grandi sofferenze subite dai civili albanesi. In questo periodo alcune sue posizioni sono state interpretate in una certa misura in occidente come una dissociazione di fatto dalla tregua. Posizione critiche nei confronti della tregua l'UCK le ha espresse anche dopo quanto è accaduto a Recak. L'UCK sostiene di avere accettato la tregua unilateralmente, ovvero di non essere stata coinvolta come parte in alcun accordo scritto relativo a essa. Inoltre, essa insiste sempre più sul fatto che la tregua consente alle forze serbe di muoversi più liberamente all'interno dei territori che sono sotto il controllo dell'UCK, nonché di organizzare in maniera più facile azioni armate per le quali soffre soprattutto la popolazione civile albanese. Accanto a ciò, vi è la constatazione che la tregua ha portato alla parte albanese enormi sofferenze umane, soprattutto tra la popolazione civile. Tuttavia, nonostante le critiche, non bisognerebbe attendersi che l'UCK rompa formalmente la tregua. E più realistico attendersi che essa agirà seguendo lo sviluppo della situazione militare, soprattutto al fine di difendere le proprie posizioni e, nella misura possibile, la popolazione civile. In ogni caso, gli eventi di Recak metteranno a dura prova l'UCK sia dal punto di vista militare che dal punto di vista politico. Tra i numerosi obiettivi del massacro compiuto dalle forze serbe a Recak, quello principale dovrebbe essere quello di arrestare o impedire l'unificazione dello spettro politico albanese, anche solo su un programma politico minimo. In tale contesto bisognerebbe guardare con maggiore attenzione all'uccisione, non chiarita, del capo del Kosova Information Center, un uomo che faceva parte della più stretta cerchia di Rugova, e cioè Enver Maljoku. Contando sulla disponibilità incondizionata della corrente albanese moderata alle trattative, Belgrado ritiene che in futuri negoziati per l'unificazione dello spettro politico albanese intorno a un programma politico minimo, l'atmosfera politica dopo Recak potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di divisione interna. Come è noto, i rappresentanti degli albanesi del Kosovo dovranno parlare proprio di ciò nei prossimi giorni e si prevede che un accordo definitivo per presentarsi uniti nei confronti della parte serba dovrebbe essere raggiunto a Vienna alla fine di questo mese. Tuttavia, tra gli osservatori albanesi della situazione ci sono anche quelli che ritengono che queste macchinazioni serbe potrebbero rivelarsi un'arma a doppio taglio" e portare a una maggiore unificazione delle posizioni albanesi. Sempre sul fronte albanese, il presidente-ombra Rugova, oltre naturalmente a condannare il massacro, ha immediatamente chiesto un intervento militare della NATO. L'UCK, in un comunicato ufficiale del suo portavoce politico Demaci, ha invece attaccato molto duramente l'occidente affermando che "la comunità internazionale si accontenta dell'alibi dei risultati della missione dei verificatori OSCE, che tuttavia si sono rivelati incapaci di proteggere non solo la sicurezza della popolazione del Kosovo, ma anche la propria. Questa missione incapace di garantire anche solo la propria sicurezza, rimane a guardare i crimini dei serbi da lontano [...] questa incapacità a garantire sicurezza e indisponibilità a utilizzare tutte le risorse per fermare il regime fascista serbo non fa che incoraggiare il regime serbo", ma l'UCK, a differenza che in passato, non richiede come Rugova un intervento NATO e si limita ad affermare che "l'unico modo per annientare questi ruderi fascisti è quello di aiutare l'UCK e raccogliersi intorno a essa o entrare a farne parte" ("Albanews", 17 gennaio). Intanto, l'UE, attraverso l'ambasciatore austriaco Petritsch, si sta muovendo per creare un team negoziale albanese sotto la guida di Rugova. Petritsch ha dichiarato che Rugova, "nonostante l'aggravarsi della situazione è disposto a unirsi a una tale piattaforma [...]; è importante avviare il più presto possibile negoziati" e ha aggiunto di avere ricevuto segnali incoraggianti anche dall'UCK, ma non ha voluto menzionare nemmeno approssimativamente quando vi potrebbe essere un incontro tra i leader albanesi (AFP, 19 gennaio). (continua) |