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NOTIZIE EST #150 - ITALIA/KOSOVO
22 gennaio 1999


IL MASSACRO DI RACAK E IL SUO CONTESTO / 3
a cura di Andrea Ferrario


IL FRONTE ITALIANO
Se da una parte il primo ministro D'Alema con le sue dichiarazioni ha confermato per l'ennesima volta la disponibilità dell'Italia a svolgere il ruolo di "portaerei" della NATO, dall'altra il modo in cui la diplomazia e il governo di Roma si muovo rispetto al conflitto in Kosovo danno alla posizione italiana nel suo complesso un tratto ancora più inquietante.


LE MANOVRE DI DINI
La diplomazia italiana ha anticipato il massacro di Racak di un giorno, muovendosi in assoluta coincidenza con l'offensiva serba di cui tale massacro è stato solo il culmine. Il 14 gennaio, in fatti, nello stesso momento in cui decine di mezzi pesanti di Belgrado aprivano il fuoco su villaggi del Kosovo nella zona di Racak, il ministro della difesa Scognamiglio e quello degli esteri Dini hanno aperto il loro "fuoco di fila" di fronte alla Commissione esteri del Parlamento, alla vigilia dell'arrivo del premier albanese Majko a Roma. I due ministri hanno subito affrontato il tema Kosovo chiarendo che per il governo italiano la responsabilità della preoccupante situazione è degli albanesi: "il dialogo tra gli indipendentisti di Pristina e le autorità di Belgrado non decolla a causa delle divisioni interne tra i gruppi armati kosovari". Tirana, poi, "ha un atteggiamento equivoco nei confronti della guerriglia indipendentista kosovara di etnia albanese e il suo comportamento delude e preoccupa l'Italia". Dini si è inoltre dichiarato favorevole alla "concessione di una larga autonomia al Kosovo, ma pur sempre all'interno della federazione jugoslava. Questa è la linea sostenuta dalla comunità internazionale che esclude l'indipendenza. Conosciamo le responsabilità del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic ma in questo momento è lui l'interlocutore e non riteniamo che la soluzione dei suoi problemi passi dalla sua rimozione. Se poi gli Stati Uniti hanno un disegno diverso, questo noi non lo sappiamo" e ha aggiunto: "Secondo i dati dell'Onu risulta una presenza nelle file kosovare di cittadini albanesi" e "si sa che le armi per i nuclei armati giungono attraverso l'Albania" ("Corriere della Sera, 15 gennaio). Inoltre Dini ha detto che "la situazione è peggiorata per il comportamento dell'Esercito di Liberazione del Kosovo con armi che vengono dall'Albania o passano attraverso l'Albania - che sta appofittando del ritiro delle forze speciali serbe [ritiro in parte condonato dalle potenze occidentali e subito violato da Belgrado, come abbiamo visto nei numeri scorsi - a.f.]. Il governo italiano è deluso e preoccupato dall'atteggiamento albanese, un atteggiamento equivoco, perché incontriamo difficoltà a fargli accettare la linea definita dalla comunità internazionale. Il nostro compito è di esercitare tutta l'influenza che possiamo avere perché tale atteggiamento cambi" e critica ancora gli Stati Uniti: "l'amministrazione USA forse più di ogni altro ha incoraggiato i kosovari alla ricerca dell'autonomia [un enorme lapsus: Dini infatti appena dopo essersi dichiarato favorevole all'autonomia, evidentemente per motivi di facciata, si scaglia proprio contro chi tale autonomia dice di sostenere, tra l'altro contro il volere dei kosovari che non vogliono l'autonomia, bensì l'indipendenza - a.f.] ("Repubblica", 16 gennaio). Dini, da lungo tempo uno dei maggiori sponsor a livello europeo del regime serbo (per il reiterato e costante appoggio a tale regime da parte di questo ex alto burocrate del FMI si veda "Notizie Est #32, 19 marzo 1998), ha così scelto per un'ennesima volta Belgrado e le sue forze di polizia come il proprio punto di riferimento. Lo stesso era accaduto anche all'indomani del massacro di Drenica del marzo scorso quando, come oggi, Dini si era scagliato contro gli albanesi del Kosovo. Non si può a proposito non rilevare che la zona di Urosevac, in cui è avvenuto il massacro, è di competenza di un contingente OSCE comandato dal colonnello italiano Fantini. Dini aveva pertanto un canale informativo privilegiato che sicuramente gli permetteva di avere una perfetta conoscenza della massiccia offensiva serba in atto sul terreno mentre pronunciava le sue parole. E, ancora, non si può non rilevare che questa offensiva e il ridispiegamento di forze pesanti in violazione degli accordi di ottobre sono stati rilevati dall'OSCE, ma non denunciati dai governi occidentali, che pure alcuni giorni prima avevano denunciato immediatamente in massa l'UCK per l'uccisione di due "teste di cuoio" delle forze speciali serbe nella stessa zona.

L'Italia comunque non ha rinunciato a inviare nei giorni successivi una sua missione diplomatica, naturalmente a Belgrado e per trattare con le autorità serbe. Il sottosegretario agli esteri Ranieri, cioè il vice di Dini, è riuscito a ottenere da Belgrado il permesso per l'arrivo di un "gruppo di esperti finlandesi per l'effettuazione di indagini sul massacro" e la concessione di un visto al giudice Arbour del Tribunale Internazionale dell'Aja, "ma solo per colloqui nella capitale con il ministro della Giustizia jugoslavo" ("Il Sole 24 Ore", 19 gennaio). Che la presenza della missione degli esperti finlandesi sia vincolata alla mediazione di un governo la cui posizione è quella di Dini è certamente poco incoraggiante. Inoltre, il team dei finlandesi, che negli ultimi mesi si è visto già più volte impedire dallo stesso magistrato Marinkovic, ora competente per Racak, le indagini sui massacri di questa estate (e questo nonostante fosse stato concordato che le indagini si sarebbero svolte solo nei siti di "gradimento" del governo serbo, senza libertà di movimento - si veda a proposito il servizio dell'agenzia AIM in "Notizie Est" #140, 9 gennaio), è un team totalmente stipendiato e finanziato dall'UE, cioè proprio dai governi che intendono palesemente utilizzare il caso di Racak per il loro scontro interimperialistico con gli USA. E infatti la commedia è già iniziata, il team è arrivato quando i medici statali serbi avevano fatto le autopsie sui corpi, prelevati dai serbi dopo un'ennesimo attacco, e non ha potuto finora assolutamente muoversi liberamente.

I PROFUGHI E LE POLITICHE COLONIALI ITALIANE
Di fronte al grande pubblico, tuttavia, per il governo il problema del Kosovo è un problema innanzitutto di immigrazione. Il 18 gennaio D'Alema dichiarava: "Stiamo studiando strutture per una prima accoglienza di profughi direttamente in Albania. Non è un problema semplice. Si tratta di predisporre strutture in una zona nel nord dell'Albania, al confine con il Kosovo, nel quale non esistono condizioni piene di sicurezza" ("Corriere della Sera", 19 gennaio), un'affermazione che lascia intendere come tale sicurezza debba essere garantita da qualche corpo di spedizione. Negli stessi giorni, il ministro della difesa Scognamiglio, che ormai di fatto ha la delega del governo per i problemi dell'immigrazione, faceva le seguenti dichiarazioni in una lunga intervista al "Corriere della Sera", poco dopo avere attaccato gli albanesi del Kosovo in coro con il ministro Dini: "Potrebbe scatenarsi una nuova ondata di profughi. Dobbiamo evitare che 500.000 [?? - a.f.] disperati in fuga si riversino sulle nostre coste. Sarebbe un disastro [...]. Bisogna trattenere le persone che fuggono dal Kosovo nell'area settentrionale dell'Albania. Lì verranno creati, anche con il nostro aiuto, centri di accoglienza, rifugi in grado di ospitare migliaia di persone [...]. In nome della pietà si poteva anche condividere l'impostazione della legge sull'immigrazione, ma adesso il flusso è diventato enorme, incontrollabile. E' ora di dire basta [...]. Con la legge attuale in pratica non si riesce a espellere quasi nessuno". Ma non si potrebbe fare di più per impedirgli di entrare?, chiede il giornalista e Scognamiglio risponde: "Sicuro. Come la immagino io, la nuova legge dovrebbe contemplare strumenti più efficaci. Se un italiano va all'estero, quando torna all'aeroporto di Fiumicino trova la polizia che gli chiede i documenti. Siamo all'assurdo che controlliamo di più i nostri concittadini che gli stranieri". Ma Scognamiglio tuttavia non abbassa la guardia: "Un'ampia zona del canale d'Otranto sfugge ai controlli. Adesso la zona franca verrà chiusa. Siamo a buon punto con l'installazione di un radar sull'isola di Saseno, davanti al porto albanese di Valona. I gommoni dei trafficanti di carne non potranno più sfuggire" e se non basterà, si può riflettere sulla possibilità "di allungare il fermo di polizia di 48 ore", forse in omaggio all'alleato Cossiga, dalla nota esperienza in materia ("Corriere della Sera", 18 gennaio).

Lo show del ministro Scognamiglio, raccolto dal quotidiano della Fiat (che, guarda un po', così come il governo italiano per il tramite della STET, ha importanti interessi economici in Serbia...) è una vera e propria antologia delle falsità propagandistiche dei politici italiani. Perché e su quali basi egli parla di 500.000 profughi? Forse perché i suoi amici di Belgrado gli hanno anticipato quali saranno i risultati delle prossime offensive? Allora in tal caso risulterà utile smaltire un po' di massa dirottandola in un paese già disastrato come l'Albania e facendola magari "sorvegliare" da qualche contingente italiano che, come è già regolarmente avvenuto in passato, sarà solo l'avanguardia di un'ancora maggiore presenza militare ed economica dell'Italia nei Balcani. Scognamiglio, poi, sa benissimo che gli italiani si vedranno anche controllare i documenti quando rientrano in Italia dall'estero, ma che in realtà gli "stranieri" dei Balcani all'estero non ci possono nemmeno andare, visto il muro di Schengen, se non attraverso canali illegali la cui esistenza è dovuta proprio alla creazione di tale muro. Questa estate, per fare solo un esempio, in Bulgaria si sono rischiate manifestazioni e sono stati minacciati assalti alle ambasciate dei paesi europei da parte di cittadini esasperati per dovere fare file di giorno e di notte, quotidianamente, per settimane intere, anche solo per cercare di fare una vacanza di un mese all'estero o recarsi in visita da parenti o amici, con il risultato, nel 90% dei casi di vedersi comunque rifiutare il visto. Come hanno reagito i paesi europei? "Se ci sarà anche solo una manifestazione pacifica chiuderemo a tempo indeterminato le ambasciate", hanno dichiarato in un comunicato congiunto ("Sega", 16-22 luglio). Scognamiglio sa inoltre benissimo che perfino gli italiani "colpevoli" di avere parenti o amici nei paesi "extracomunitari" sono costretti a umilianti, lunghissime trafile per avere l'autorizzazione (bontà loro) delle questure a invitarli in Italia, garantendo totalmente per il loro mantenimento e rientro. E anche quando si ha un reddito sufficientemente alto per potere dare tali garanzie, il permesso vale comunque al massimo per un solo mese.

Infine, l'agenzia AIM (28 novembre 1998) ipotizzava che all'Italia fosse ampiamente convenuta l'ultima "crisi dei profughi", con la cui scusa è riuscita a insediarsi con forze di polizia e radar nella strategica isola di Saseno (Mussolini la voleva a ogni costo), alla quale non a caso fa riferimento Scognamiglio. All'interno del gioco di spartizione della torta dei Balcani, l'Italia è riuscita così a conquistare una posizione che innervosisce decisamente la vicina Grecia, con la quale l'Italia è in aperta concorrenza riguardo all'Albania e non solo. Ma questa strategia non è una novità di oggi: i problemi dell'immigrazione e dei profughi, dall'operazione "Pellicano", alla strage di Otranto a oggi, sono stati ampiamente sfruttati a livello diplomatico da Roma per rivendicare e attuare, come paese "di frontiera", una maggiore presenza militare ed economica nei Balcani meridionali. E la proposta di D'Alema e Scognamiglio di creare dei campi profughi "a tutela italiana" nel nord dell'Albania non può che essere interpretata in tal senso.

Alla luce delle posizioni diplomatiche italiane e del modo in cui Roma sfrutta il problema dell'immigrazione e dei profughi, non ci si può che domandare chi siano i "trafficanti di carne umana" che provocano gli effetti più devastanti: i mafiosi albanesi dei gommoni, o i ministri e gli uomini d'affari che dall'alto delle loro comode poltrone gestiscono nei Balcani, in collaborazione con governi violenti, autoritari e corrotti, migliaia di miliardi e interi eserciti?

(continua)