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![]() NOTIZIE EST #158 - JUGOSLAVIA/KOSOVO I DISACCORDI TRA GLI ALBANESI PRIMA DELLE TRATTATIVE SUL KOSOVO L'attuale situazione in Kosovo viene descritta il più delle volte, a chiare lettere o in maniera "fiorita", come una situazione in cui sta cominciando o è imminente un conto alla rovescia. Questa è all'incirca la descrizione che ne danno coloro che, nonostante tutti i timori, sono portatori di convinzioni che pur non potendosi definire ottimistiche, alimentano comunque speranze in qualcosa che potrebbe annunciare una soluzione che eviti il rinnovarsi dei conflitti di guerra dell'anno scorso. Queste convinzioni si basano esclusivamente sulla disponibilità delle grandi potenze di immischiarsi militarmente nella crisi del Kosovo e di imporre una via risolutiva. Si ha l'impressione che esse esprimano i desideri di un gran numero di albanesi, ma non della maggioranza. Parallelamente o immediatamente dietro di esse, si evidenzia un interesse per la proposta delle grandi potenze di un futuro status temporaneo oppure duraturo per il Kosovo. Di questo, qui a Pristina, si è parlato molto, ma tutto rimane ancora nella sfera delle congetture. Fino a oggi nessuno ha citato nemmeno un elemento concreto che potrebbe definire più da vicino il contenuto di questo status, un fatto che porta a concludere che la proposta, ovvero i suoi elementi fondamentali, forse non è ancora stata messa del tutto a punto.Tuttavia, gli albanesi del Kosovo maggiormente informati, così come lo spettro politico albanese, sono ben consci del fatto che in tutte le possibili combinazioni di idee e di proposte le grandi potenze escludono l'indipendenza del Kosovo. Nonostante tutti tali timori e punti non chiariti, questa descrizione dei fatti esprime una visione più sobria dell'attuale situazione e una significativa convinzione nella soluzione meno dolorosa della crisi. Tuttavia, sotto le pressioni e l'influenza degli stessi fatti, emergono punti di vista nei quali la soluzione dei problemi del Kosovo viene vista e descritta a fosche tinte. Si richiama l'attenzione sulla situazione sempre più pesante ed esplosiva sul terreno. Accanto agli scontri armati di volta in volta minori o maggiori, la tregua viene erosa o violata ogni giorno, pressoché in ogni parte del Kosovo. Come indicatore più eloquente della situazione esplosiva si cita il numero niente affatto limitato di perdite di vite umane che si verifica ogni giorno, soprattutto dalla parte albanese. Accanto alla per nulla promettente situazione sul terreno, alla quale vanno aggiunti i preprativi intensi e la conquista di posizioni per effettuare operazioni di guerra, si avanzano dubbi sull'effettiva disponibilità delle grandi potenze a intervenire militarmente e sospetti su ciò che le grandi potenze intendono imporre come soluzione. Si citano numerosi esempi di incoerenza tra "le parole e i fatti" nel passato recente e più in là, ma l'orizzonte di queste considerazioni include anche la complessa situazione giuridica dal punto di vista del diritto internazionale, nonché gli interessi e i rapporti estremamente intricati tra le grandi potenze. Questi, e probabilmente molti altri elementi disegnano un intrecciarsi di rapporti dal cui angolo visuale un intervento militare dall'estero non sembra un fatto poi così scontato. Il mosaico delle relazioni non sarebbe completo se non comprendesse ciò che non ha ancora nemmeno le basi fondamentali, quelle politiche, psicologiche e di altro tipo per il raggiungimento di un compresso tra albanesi e serbi che, sebbene a malavoglia, in qualche modo, senza gli ultimatum annunciati, le parti accetterebbero. Insomma, per riassumere il tutto, ogni parte ha la propria argomentazione e i propri interessi. Dal punto di vista albanese, ovvero dall'attuale prospettiva, ogni orientamento che cerchi una soluzione per il Kosovo sotto una giurisdizione, in maggiore o minore misura, da parte della Serbia non dovrebbe avere alcuna possibilità di successo. In una situazione comunque intricata, le divisioni all'interno del movimento albanese rappresentano un fattore aggiuntivo di incertezza. In particolare, nel processo diplomatico che si annuncia, l'unificazione dello spettro politico albanese viene indicata come un importante fattore che favorirebbe un successo dell'attuale campagna delle grandi potenze riguardo al Kosovo. Al movimento albanese si chiede di adottare un'unica piattaforma per presentarsi di fronte a Belgrado e al mondo, ovvero, come si usa dire, di parlare con un'unica voce. In superficie sembra trattarsi di un atteggiamento benevolo nei confronti degli albanesi, o di un indice della disponibilità ad aiutare gli albanesi affinché non si lacerino in scontri interni. E' ormai da alcuni anni che la stessa richiesta viene sia dagli albanesi che dai loro dirigenti, a partire da quelli meno importanti fino a quelli più rilevanti, di tutti i partiti politici e le organizzazioni albanesi. Non vi sono state eccezioni al diffondersi in Kosovo di tale idea. Dopo il recente raggiungimento di un consenso politico tra tutte le forze politiche più importanti, a questo sforzo ha preso parte direttamente anche l'intero spettro politico di Tirana. Eppure, l'attuale stato dei rapporti dà la sensazione che lo spettro politico albanese in Kosovo non sia mai stato più diviso di oggi. Ciò è piuttosto sconcertante e probabilmente la prima cosa che viene da pensare in questo contesto (quello appena descritto) è che gli attori albanesi non siano sinceri, ovvero che non pensino effettivamente quello che dicono pubblicamente ogni giorno già da anni. L'impressione è quella che si tratti di acrobazie politiche: lavorare in senso del tutto contrario alle dichiarazioni e alle promesse fatte in pubblico [...]. Si tratta di una fonte di preoccupazione riguardo alla situazione all'interno dello spettro politico albanese, sia per la più ampia opinione pubblica albanese, che per gli stranieri che cercano di analizzare e comprendere giorno per giorno gli sviluppi in Kosovo, soprattutto quelli interni al corpo nazionale e politico albanese. Se si guarda sotto l'involucro politico dai colori e dallo spessore di ogni varietà, si può concludere che il profondo baratro esistente tra i due blocchi politici albanesi che, per semplificare, sono simboleggiati da Adem Demaci e da Ibrahim Rugova, non è solo un fatto di antipatie e di animosità personali di figure politiche immature in un contesto balcanico non sviluppato. Forse la maggior parte dei politici albanesi non sarebbe d'accordo con la constatazione che uno dei motivi fondamentali delle divisioni tra gli albanesi è il disaccordo in merito alla disponibilità a impegnarsi per realizzare quella che è l'ambizione della enorme maggior parte degli albanesi, e cioè che il Kosovo sia indipendente. Ciò non vuole dire che non tutti desiderino l'indipendenza, ma in ogni caso significa che alcuni vi rinuncerebbero, o vi abbiano già rinunciato, in considerazione del prezzo che bisognerebbe pagare per l'indipendenza del Kosovo. In merito a tale questione tra il pubblico albanese regna un vero e proprio caos. Ma quando si riescono a superare tutte le nebbie delle illusioni e si cerca di andare al di là delle inimicizie e delle rivalità, o addirittura delle furbizie di politici senza scrupoli, si ha la sensazione che tale questione sia il motivo fondamentale, o almeno la prima causa, delle divisioni tra gli albanesi. Dopo che le grandi potenze hanno condizionato la partecipazione degli albanesi del Kosovo alle future trattative alla rinuncia a ogni richiesta di indipendenza del Kosovo, sembra che tale questione, almeno in una certa misura, si stia chiarendo. La maggioranza che abbiamo appena menzionato preferirebbe che tali differenze venissero presentate pubblicamente non come riferentisi all'obiettivo finale, quanto piuttosto alle modalità del suo conseguimento. Per quanto significative e vistose, le differenze riguardo alle modalità di conseguimento non sembrano essere di natura sostanziale. E' grande invece l'abisso riguardo ai mezzi da impiegare tra l'UCK, che predica e applica l'uso della forza, e Rugova che predica una politica di attesa passiva. Ma entrambe le parti accettano la soluzione delle trattative (Rugova unicamente il ricorso alle trattative, l'UCK se possibile anche con il ricorso alle trattative), esprimono la disponibilità a dare il proprio assenso a una soluzione temporanea e a fare a tale fine delle significative concessioni, con la condizione che venga esclusa la possibilità che lo status temporaneo diventi permanente. Sebbene in relazione al modo di creazione di un'unità intorno a un programma minimo in Demaci si possano individuare elementi di flessibilità, fondamentalmente entrambe le parti considerano come una condizione la messa dell'altra parte sotto il proprio comando. Nelle loro preoccupazioni sono lontane le normali riflessioni democratiche sui rapporti di collaborazione che sottintendono necessariamente coordinazione, compromessi e concessioni. Demaci e il Quartier Generale dell'UCK insistono affinché tutti si uniscano intorno all'UCK, mentre Rugova e la sua Lega Democratica (LDK), nonché i partiti satelliti di quest'ultima che hanno preso parte alle elezioni presidenziali e parlamentari dell'anno scorso, chiedono la sottomissione a tutte le istituzioni che sono sotto il loro controllo assoluto. Con il tempo queste istituzioni hanno assunto un importante ruolo nel nascondere o cancellare gli attriti interni, indipendentemente dal fatto che la fonte di questi ultimi siano differenze nel modo di vedere la situazione o una mera lotta di potere, ambizioni personali o di gruppo o l'intolleranza. Sembra che le ambizioni e l'intolleranza abbiano avuto un importante ruolo nel provocare le divisioni interne al movimento albanese. Ma è difficile accettare l'opinione prevalente tra l'opinione pubblica albanese e assolutamente semplicistica, secondo cui gli interessi personali e di gruppo sono il fattore determinante delle divisioni tra gli albanesi. Sulla scena politica albanese del Kosovo in modo più o meno nascosto, ormai da alcuni anni, i disaccordi e le divisioni tra i due blocchi politici vengono presentati nell'ambito della propaganda anche come una lotta tra irriducibili nemici di classe all'interno della nazione albanese. Ad alcuni potrà forse sembrare ridicolo, ma chiunque guardi con attenzione alla vita politica interna degli albanesi non può non notare come vi sia una resa dei conti tra i cosiddetti marxisti e gli ex comunisti riformisti. E' questo che essi una volta erano e che oggi non vogliono che nessuno ricordi loro. Naturalmente, ognuno ha il diritto di cambiare, e probabilmente molti sono cambiati. Ma nel contesto di una lotta politica che mira a uno sfacciato discredito politico, il diritto al cambiamento e lo stesso cambiamento in positivo - si intende verso la democrazia - viene riconosciuto solo ai propri compagni. Secondo una tale logica gli altri sono gli stessi di prima, insinuando con ciò che non sono in grado di risolvere i compiti che i nuovi tempi costringono ad affrontare. Da qui tutte le etichette che si scambiano le varie parti politiche, come marxisti, comunisti, democratici, veri patrioti, avventurieri guerrafondai, veri nazionalisti, internazionalisti comunisti, anarcocomunisti, nazionalisti al quadrato, rivoluzionari, istituzionalisti, falsi patrioti, traditori, nuova destra, titoisti, nazionaldemocratici... I partiti politici raggruppati intorno al Movimento Democratico Unito di Rexhep Qosja e all'UCK mettono in dubbio il patriottismo dell'altra parte, la quale a sua volta li accusa di essere stati e di essere ancora oggi dei marxisti di sinistra e degli estremisti. Ogni parte accusa l'altra di porre come fine di ogni propria mossa politica la lotta per conquistare il potere e il monopolio politico, e non la lotta per la libertà degli albanesi del Kosovo e per l'indipendenza del Kosovo. Il blocco di Demaci non riconosce le istituzioni statali, considerandole come una foglia di fico il cui scopo è quello di nascondere la sconfitta di un programma politico e delle promesse che Rugova ha fatto per gli ultimi dieci anni, mentre Rugova non riconosce l'UCK che i suoi uomini ritengono esclusivamente come uno strumento per conquistare il potere. Per finire, qualcosa anche sull'influenza del fattore estero sulle divisioni tra gli albanesi. Non vi è alcun dubbio che le grandi potenze svolgeranno un ruolo importante, forse addirittura decisivo, nella pacificazione e successivamente nella risoluzione della crisi del Kosovo. Non si può dire che esse siano il fattore che genera i disaccordi e le divisioni, ma il loro influsso è stato comunque presente. Da due anni fa, quando sono cominciate le manifestazioni degli studenti, tale influsso, soprattutto quello americano, si è contraddistinto per una continua tendenza ad aumentare. Fin dall'inizio l'influsso è stato indirizzato a moderare o a minacciare le tendenze radicali, ovvero a impedire l'evoluzione dei fatti in direzione di un conflitto armato. E' stato così fino allo scoppio di quest'ultimo, vale a dire fino al momento in cui la crisi del Kosovo è diventata un acuto problema regionale ed europeo, la cui soluzione non può più essere rimandata. Gli stessi fatti hanno reso inattuali preoccupazioni politiche come l'attesa passiva, la resistenza non violenta attiva, le dimostrazioni pacifiche, i problemi relativi al trattamento degli arrestati, il diritto all'istruzione... Con lo scoppio del conflitto si sono fatti attuali i soldati, le armi, le tregue, i territori, i confini... Un numero limitato di media albanesi monopolizzati ha scritto per anni, o ha provveduto in altro modo a incutere nelle coscienze dei propri lettori e ascoltatori, che il mondo intero, e in particolare i paesi occidentali, appoggiano l'aspirazione degli albanesi a un'indipendenza del Kosovo. Solo da 2-3 anni si è cominciato a scrivere e a parlare del fatto che i paesi occidentali non appoggiano una tale ipotesi. Tuttavia, nelle teste degli albanesi a quel punto ormai non c'era più posto per un'informazione così sgradita. Eppure è giunto il momento per prendere atto in maniera diretta anche di fatti sgradevoli come questi. Dalla fine della primavera scorsa, quando all'estero si è cominciato a parlare a voce sempre più alta della necessità del raggiungimento di un'unità tra gli albanesi, era facile osservare che i diplomatici stranieri non pensavano all'unione sulla base di una piattaforma messa a punto dagli stessi soggetti politici albanesi, bensì a una piattaforma moderata di soluzione che avrebbero proposto le grandi potenze. E' questa la sostanza di quello che le grandi potenze aggiungono alle attuali divisioni tra gli albanesi. Il risultato di tutto questo è il condizionamento della partecipazione a future trattative alla rinuncia preventiva all'indipendenza del Kosovo. Anche se tali richieste vengono indirizzate in senso generico agli albanesi, è del tutto evidente che esse in concreto vengono rivolte innanzitutto all'UCK. Si dice senza mezzi termini che se l'UCK non rinuncerà all'indipendenza, verrà accettato come partner nei negoziati solo Rugova con i suoi consiglieri. Oltre all'esclusione dal processo delle trattative, l'UCK viene minacciato di essere militarmente neutralizzato nel caso in cui dovesse tentare di ostacolare o rendere impossibile il processo negoziale. A tali richieste il Quartier Generale dell'UCK ha reagito molto prudentemente, ma concludendo che l'UCK non può rinunciare all'obiettivo dell'indipendenza del Kosovo. (AIM-Pristina, 30 gennaio 1999 - traduzione di A. Ferrario) LO SCIOPERO DELLA FAME DEGLI STUDENTI DI PRISTINA [Un gruppo di 51 studenti della Unione degli studenti indipendenti di Pristina ha avviato uno sciopero della fame per chiedere ai dirigenti delle forze albanesi del Kosovo di unirsi per procedere a trattative di pace. Un articolo della AIM, di cui riportiamo qui sotto alcuni brani, individua in Rugova e, indirettamente, nel Partito Democratico di Berisha, gli ispiratori di questa iniziativa] [...] E' poco probabile che sia stata la dirigenza dell'Unione degli studenti indipendenti albanesi a promuovere l'idea di un'unificazione dei fattori politici e militari del Kosovo. Un buon numero dei suoi dirigenti lavora infatti presso l'ufficio del rappresentante politico dell'UCK, Adem Demaci, che promuove una piattaforma più radicale per la soluzione della questione del Kosovo. Gli studenti raggruppatisi intorno a questa organizzazione studentesca hanno già dato il loro contributo a rompere lo status quo politico in Kosovo, organizzando a più riprese delle proteste [...] Il Movimento Democratico Unito, del quale fanno parte i partiti che sono in opposizione rispetto alla politica della LDK e del suo leader Ibrahim Rugova, difficilmente può avere dato l'idea dello sciopero della fame degli studenti. A capo di tale movimento vi è infatti Rexhep Qosja, e la politica di questo movimento è molto vicina alle posizioni di Adem Demaci. Per questo vi è il sospetto che dietro a tutto l'evento vi siano dei singoli che sono vicini al più massiccio ragguppamento politico, la Lega Democratica del Kosovo, perché è quest'ultima che ha i maggiori motivi per promuovere tali richieste. Finora nessuno dei suoi dirigenti lo ha ancora confermato, ma Rugova in uno dei suoi incontri regolari con i giornalisti ha dichiarato, il giorno dopo l'inizio dello sciopero, di tenere conto delle richieste degli studenti e di essere disposto a farle proprie [...]. E' noto che ormai da qualche anno vi è una profonda frattura all'interno del movimento politico albanese. [...]. Le ultime dichiarazioni dell'UCK, tra l'altro, hanno causato un certo nervosismo negli ambienti politici moderati. Il Quartier Generale ha chiesto al presidente del governo del Kosovo in esilio, Bujar Bukoshi, di fare pervenire i fondi raccolti all'UCK "nel paese", perché in caso contrario dovrà adottare un'altra decisione, "in armonia con le esigenze del tempo e le necessità in atto". Un'altra sua decisione è quella di avviare una consultazione con "i fattori politici del Kosovo fino al 10 febbraio, dopo di che verrà organizzata un'Assemblea Civile e un governo del Kosovo". Se si tiene presente che già esistono delle istituzioni degli albanesi del Kosovo, che fino a oggi non sono state completamente aggirate, una tale idea viene considerata nei corridoi politici come un colpo arrecato contro l'esistente. Dunque, a qualcuno forse è venuto in mente di potere guadagnare tempo con l'organizzazione dello sciopero degli studenti e di potere così frenare gli ultimatum e le richieste. In ogni caso, alcuni circoli mettono in collegamento l'azione degli studenti anche con gli effetti del recente sciopero della fame degli studenti di Tirana [organizzato a dicembre con il sostegno del Partito Democratico di Berisha - a.f.], i quali, secondo molti osservatori, hanno contribuito al riavvicinamento delle posizioni fino ad allora inconciliabili dell'opposizione di Berisha e del governo socialista di Majko. Tali circoli si chiedono anche perché gli studenti hanno deciso di limitare il numero dei partecipanti allo sciopero. Forse perché l'eco che avrebbe ricevuto una chiamata generale a scioperare avrebbe dimostrato quanti sono in realtà coloro che aderiscono a tale linea. Un fatto che è anch'esso una dimostrazione di come anche gli studenti, come gli altri fattori politici albanesi del Kosovo, non sono uniti [...]. (da AIM-Pristina, 30 gennaio 1999 - traduzione di A. Ferrario) |