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![]() NOTIZIE EST #159 - JUGOSLAVIA/KOSOVO TRA BOZZE, UCK, NATO E PROFUGHI UN RAPIDO SGUARDO ALLA BOZZA DI ACCORDO PER IL KOSOVO A una prima, veloce lettura, saltano subito all'occhio alcuni particolari importanti della bozza di accordo (che abbiamo pubblicato in versione integrale nel sito "I Balcani": http://www.ecn.org/est/balcani/kosovo/kosovo14.htm). Il tono e i contenuti sono del tutto diversi da quelli dell'ultima proposta fatta a dicembre da Hill, il cui scopo era evidentemente "provocatorio", contenendo soluzioni assurde come un complicato diritto di veto per tutte le minoranze nazionali, che avrebbe bloccato totalmente l'esistenza della regione autonoma, o il controllo vincolante della Serbia sul sistema giudiziario del Kosovo. Queste soluzioni sono state abbandonate nella nuova versione, anche se rimangono ampie facoltà per le "comunità nazionali", accompagnate tuttavia ora da meccanismi che favoriscono una soluzione di eventuali dispute. Viene anche reintrodotta la figura del Presidente del Kosovo, già prevista dalla prima bozza di novembre. Sono previsti anche un Parlamento e una Costituzione del Kosovo, così come una Corte Costituzionale. Si prevede inoltre la possibilità di una partecipazione del Kosovo al Parlamento repubblicano serbo (20 deputati) e alla Camera delle Nazioni della Jugoslavia (10 deputati), con la esplicita menzione del diritto a non sfruttare questa possibilità, un'eventualità da ritenersi probabile, visto che i kosovari rifiutano comunque l'idea di fare parte delle due entità, e in particolare della Serbia. In caso contrario, le ripercussioni di una tale partecipazione sulla vita politica della repubblica e della federazione sarebbero notevoli, e probabilmente il Montenegro se ne risentirebbe, visto che il suo ruolo ne verrebbe sminuito. Molto vasti sono inoltre i poteri della Missione di Verifica in Kosovo dell'OSCE, che avrebbe una supervisione di tutto il periodo temporaneo di tre anni previsto dagli accordi, con ampie facoltà. Dalla formulazione dell'accordo si può dedurre che l'OSCE avrebbe comunque la direzione politica di un eventuale intervento NATO sul terreno. L'OSCE, inoltre, potrà avere proprie emittenti radiofoniche e televisive in Kosovo. L'accordo prevede poi l'organizzazione di elezioni entre nove mesi, ma va notato che fino a quella scadenza rimarrebbero in vigore le attuali istituzioni, seppure sotto una supervisione OSCE. E' previsto anche un ritiro ingente e ben definito di forze di polizia e dell'esercito, che tuttavia non è totale. Vi è tutta una serie di punti che potrebbero causare difficoltà rilevanti nelle trattative e che vanno contro alcune importanti richieste degli albanesi. Il Kosovo non avrà un suo esercito e la difesa sarà gestita totalmente dalla Federazione - ciò va contro le richieste dell'UCK, ma non di Rugova. Il presidente del Kosovo avrà la facoltà di disporre che i kosovari non vengano chiamati a servire nell'Esercito jugoslavo. Sia la politica estera che quella monetaria saranno di competenza della Federazione, anche se nel primo caso il Kosovo avrà diritto a mantenere contatti autonomi. Il punto cruciale è quello riguardante ciò che accadrà dopo il periodo temporaneo di tre anni: si tratta dell'unico punto riportato tra parentesi nell'accordo, segno che si prevede che sarà l'oggetto delle maggiori discussioni. Gli albanesi chiedono che si tenga un referendum, mentre la proposta per ora riportata parla solo di una "valutazione" dell'accordo sotto gli auspici internazionali, per determinare se implementare proposte avanzate dalle parti. Infine, una serie di particolari desta particolare preoccupazione alla luce dei più recenti sviluppi politici e sul campo, che lasciano intendere come qualcuno non escluda ipotesi di spartizione del Kosovo. Innanzitutto, il primo paragrafo esordisce stranamente parlando delle unità territoriali locali, mentre il Kosovo nel suo complesso non viene definito come entità.. Altrettanto stranamente, come primo punto degli aspetti di competenza della Federazione compare l'"integrità territoriale" e solo successivamente aspetti come la politica estera o la difesa. Poco più avanti, in maniera contorta, con una clausola al negativo, viene evocata comunque la possibilità di una modifica dei confini del Kosovo, laddove si dice che "nessuna modifica dei confini del Kosovo avverrà senza l'assenso del Parlamento o del Presidente del Kosovo". La bozza Hill dell'ottobre scorso, invece, dichiarava esplicitamente: "Il Kosovo manterrà i suoi attuali confini" (Punto II, 1) [il testo si trova all'URL: http://www.ecn.org/est/balcani/jugo/jugo71.htm]. Infine, preoccupazioni simili possono essere evocate dall'accoglimento di una richiesta serba, quella dello svolgimento di un censimento della popolazione prima delle elezioni. La preoccupazione nasce dal fatto che secondo la bozza d'accordo con tale censimento verranno stabilite le percentuali "di controllo" delle varie municipalità. (Andrea Ferrario) DEMACI E IL QUARTIER GENERALE DELL'UCK Adem Demaci, rappresentante politico dell'UCK, ha dichiarato il 2 febbraio: "Ho raccomandato al quartier generale dell'UCK di non andare a Rambouillet, in Francia. Tuttavia sono loro che devono dire la parola finale e che deciderano in merito", aggiungendo, del tutto esplicitamente: "Ci viene chiesto di capitolare. Quello che ci viene offerto a Rambouillet è una certa forma di autonomia e il popolo albanese non ha preso le armi per l'autonomia. Ha lottato per essere indipendente e sovrano e per negoziare successivamente con Serbia e Montenegro". Le trattative di pace in Francia, ha inoltre detto, "non sono un modo valido di risolvere i problemi in Kosovo. Non è un approccio serio" (Kosova Information Center, AFP, 2 febbraio). Il giorno successivo il Quartier Generale dell'UCK ha tuttavia deciso di partecipare ai negoziati, dopo essersi riunito in una località del Kosovo centrale. Il suo portavoce Jakup Krasniqi ha dichiarato che è stata la prima volta che tutti i membri del Quartier Generale si sono riuniti in un posto da quando 11 mesi fa è cominciato il conflitto. Egli ha inoltre detto che i rappresentanti dell'UCK non saranno certo timidi nell'esprimere le loro riserve in merito alla bozza d'accordo. "Non siamo soddisfatti (della bozza d'accordo), ma andiamo alle trattative. Il gruppo (dei negoziatori albanesi) deve essere guidato dall'UCK", ha detto il portavoce. Krasniqi ha identificato tre preoccupazioni specifiche che l'UCK manifesterà: la necessità di un "protettorato" internazionale di tre anni per il Kosovo; la necessità che il Kosovo abbia un proprio esercito; e la necessità, dopo lo scadere dell'accordo temporaneo di tre anni, che si svolga un referendum per l'autodeterminazione. Secondo Kurt Schork, corrispondente della Reuters, l'UCK attualmente dispone di un numero di combattenti compreso tra 10.000 e 15.000 e se truppe di terra NATO fossero dispiegate in Kosovo l'UCK non potrebbe più avere il controllo delle zone rurali. Alcuni dei separatisti, secondo Schork, potrebbero essere riassorbiti in una forza di polizia ricostituita, ma ciò lascerebbe pur sempre migliaia di uomini che hanno rischiato tutto per l'indipendenza senza alcun ruolo rilevante in un Kosovo autonomo all'interno della Jugoslavia (Reuters, 2 febbraio). STATI UNITI E ALLEATI METTONO A PUNTO I PIANI PER LE FORZE IN KOSOVA di Dana Priest Funzionari statunitensi ed europei hanno cominciato una dettagliata discussione dei compiti, delle dimensioni e della forma che avrà la missione NATO di mantenimento della pace in Kosovo, lasciando trasparire la sempre maggiore probabilità che vengano impegnate anche truppe americane per la turbolenta regione balcanica. Il segretario di stato Madeleine K. Albright ieri era al Congresso per valutarne il sostegno all'invio di truppe americane in Kosovo e funzionari USA hanno ripetuto che il presidente Clinton non ha preso decisioni definitive sull'argomento. Ma nel frattempo, funzionari che si occupano della questione hanno detto che gli esperti statunitensi, britannici e di altri paesi NATO stanno già discutendo i piani per l'applicazione di un accordo di pace - che includono la partecipazione di truppe USA - se quest'ultimo verrà accettato dalla Serbia e dai ribelli albanesi del Kosovo. Funzionari del Pentagono hanno cercato di mantenere limitato il ruolo degli USA - si parla di poche migliaia di soldati - mentre il piano principale messo a punto dagli europei chiede una presenza americana di almeno 5.000 soldati e forse migliaia di più, secondo funzionari bene informati sull'andamente delle discussioni. Secondo l'"Opzione A-minus", un piano messo a punto dalla NATO in ottobre e ora ripreso, il comandante sul campo di una forza composta da 28.000 soldati in Kosovo dovrebbe provenire dai Corpi di Pronto Intervento Europei del Comando Alleato della NATO. Questo gruppo è comandato da un generale britannico con tre stellette, Lt. Gen. Michael Jackson, secondo un alto funzionario militare occidentale. Il generale dell'Esercito USA Wesley K. Clark, Comandante Supremo delle forze NATO che opera a Bruxelles, avrebbe il controllo ultimo delle operazioni. Ma secondo i piani attualmente all'esame, il dispiegamento marcherebbe comunque la prima volta che truppe statunitensi lavorano per un comandante sul campo che non è americano, in un ambiente potenzialmente molto ostile. Funzionari del Pentagono hanno detto di essere disponibili a rinunciare alla posizione di comando in cambio della possibilità di mantenere bassa la consistenza numerica delle proprie truppe, perché ritengono che in questo momento l'Esercito abbia troppi impegni all'estero e il Congresso potrebbe opporsi a una forza di dimensioni maggiori. "La mia opinione personale è che i nostri alleati europei debbano prendersi carico di una sostanziale parte dell'onere per quanto riguarda il Kosovo e che ogni partecipazione degli Stati Uniti dovrebbe essere il più limitata possibile", ha detto ieri [1 febbraio] il segretario alla difesa William S. Cohen. I Corpi di Pronto Intervento, che hanno un personale di circa 1.300 unità, sono un'unità del quartier generale che sarà responsabile di comandare e coordinare le truppe di terra di stanza in Kosovo, la provincia della Serbia delle stesse dimensioni del Connecticut [o dell'Abruzzo, per esempio] con una popolazione al 90 per cento albanese. La Gran Bretagna si è impegnata a fornire 8.000 soldati per la missione in Kosovo, la Francia fino a 6.000 e la Germania circa 3.000, secondo fonti europee e statunitensi. L'Olanda, la Russia e i paesi nordici metterano probabilmente a disposizione 1.000 soldati ciascuno e i nuovi membri della NATO - Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca - hanno detto che anch'essi contribuiranno, ansiosi di mostrare di potere operare come membri NATO a pieno titolo. Secondo l'"Opzione A-minus", il Kosovo verrebbe diviso in quattro settori, ciascuno con una brigata e una o due unità delle dimensioni di un battaglione da 6.000 effettivi. Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti controllerano un settore ciascuno con le loro truppe, e a essi andrà ad aggiungersi un altro paese. Funzionari dell'amministrazione Clinton stanno spiegando ai responsabili della pianificazione di volere che il contingente USA si aggiri intorno alle 2.000 unità, una cifra che consentirebbe agli Stati Uniti di fornire un supporto in attività chiave come i servizi d'informazione, la logistica e le operazioni notturne con elicotteri. Ma funzionari europei e di altri paesi che cercano di ottenere un maggiore contributo da parte degli Stati Uniti, dicono che una presenza USA completa costituirebbe un segnale diretto al presidente jugoslavo Milosevic riguardo alla volontà dell'unica superpotenza del mondo di vedere il Kosovo pacificato. "Abbiamo i nostri dubbi sulla cifra di 2.000 soldati", ha detto un funzionario europeo. "Esprime il desiderio di avere una forza più piccola". Gli europei stanno quindi esercitando pressioni per convincere l'amministrazione Clinton a impegnare un numero più ampio di soldati per la fase iniziale e più problematica del dispiegamento. "La cosa migliore da fare è cominciare in grande per poi ridurre nel giro di sei mesi", ha detto Ivo Daalder, un ex funzionario del Consiglio di Sicurezza Nazionale che ha lavorato in Bosnia. Il fabbisogno di soldati potrebbe risentire anche di una decisione su due visioni contrastanti della missione complessiva della NATO. Secondo una visione una certa presenza militare serba dovrebbe proseguire in Kosovo fino a quandoi ribelli albanesi veranno addestrati per diventare una forza locale di polizia. Le truppe della NATO dovrebbero supervisionare il ritiro della maggior parte delle truppe serbe e fare applicare i limiti posti a quelle che rimangono. Secondo l'altra, che richiederebbe una forza potenzialmente molto inferiore, tutte le forze serbe se ne dovrebbero andare e le truppe NATO dovrebbero disarmare i ribelli. Si ritiene che quest'ultima sia meno accettabile per Milosevic. (da "Washington Post", 2 febbraio 1999) STATI UNITI, EUROPA E KOSOVO La France Presse riporta che il portavoce del dipartimento di stato James Rubin ha dichiarato il 2 febbraio: "Prevediamo una situazione in cui al popolo del Kosovo sia riservato il più alto grado possibile di autogoverno per tre anni. E ciò rimanderà nel tempo la questione di cosa accadrà al Kosovo dopo questi tre anni". La France Presse scrive che Rubin ha insistito nell'affermare che gli Stati Uniti continueranno a opporsi all'indipendenza del Kosovo. Il segretario alla Difesa Cohen, inoltre, ha dichiarato che gli europei devono fornire una parte "sostanziale" di ogni forza internazionale che interverrà in Kosovo, mentre la presenza USA dovrà essere mantenuta "quanto possibile più bassa". I membri della Commissione Forze Armate del Senato hanno affermato che il fatto che la conferenza sul Kosovo si terrà in Francia è un "importante simbolo" che dimostra come gli europei si siano pienamente presi carico della crisi nella ex Jugoslavia. (AFP, 3 febbraio) MILOSEVIC PUO' OTTENERE MOLTO DAGLI ACCORDI di Steve Erlanger Mentre sta per scadere l'ultimatum per partecipare ai colloqui di pace per la provincia del Kosovo [...] il presidente jugoslavo Milosevic ha molto da guadagnare. Le minacce dell'amminsitrazione Clinton e dei suoi alleati NATO di bombardarlo per costringerlo a cedere il controllo effettivo sulla provincia separatista non solo rendono più facile a Milosevic giustificare eventuali concessioni, ma lo rendono anche indispensabile per ogni soluzione. "Nella stessa misura in cui i funzionari di Washington attaccano pubblicamente Milosevic e lo chiamano il principale problema dei Balcani, egli è anche la soluzione", dice un diplomatico occidentale. "L'Occidente ha bisogno di Milosevic per risolvere il problema del Kosovo e Milosevic ha bisogno delle pressioni dell'Occidente per poterlo fare. Tutto il resto è ipocrisia". Data l'importanza mitica del Kosovo come luogo di nascita della nazione serba, dicono funzionari e diplomatici serbi qui a Belgrado, Milosevic è costretto a coinvolgere la NATO prima di accettare qualsiasi soluzione politica riguardo al Kosovo, dove la maggioranza etnica albanese lotta per l'indipendenza. Anche se il bastone delle bombe NATO è una condizione necessaria per ogni accordo, Milosevic avrà bisogno di qualche "carota", come ha detto il vice-primo ministro Vuk Draskovic - una cancellazione parziale del duro isolamento diplomatico ed economico che l'Occidente ha imposto alla Serbia durante la guerra bosniaca. Milosevic potrebbe anche cercare di ottenere una promessa esplicita di non venire incriminato per crimini di guerra. [...] Come è avvenuto in Bosnia, Milosevic diventerebbe nuovamente un garante chiave di ogni accordo, rafforzando così la propria posizione interna e internazionale. Milosevic sarà perfino in grado di sostenere che l'entrata di truppe occidentali in Kosovo servirà a reprimere il "terrorismo" dell'UCK, a proteggere i serbi e i loro luoghi sacri, impedendo al Kosovo di diventare indipendente. Alla televisione di stato, Milosevic viene già osannato perchè esige che il Kosovo rimanga "parte del nostro paese". Ma il nome di questo paese - Jugoslavia o Serbia - non viene deliberatamente specificato. "E' già nell'aria il modo in cui verrà messo insieme un accordo", dice Bratislav Grubacic, un giornalista che ha contatti importanti. "A Milosevic non importa nulla del Kosovo", dice Aleksa Djilas, una politologa che ha scritto alcune delle migliori analisi su Milosevic. "I suoi nemici sono i suoi migliori amici", ha detto Djilas. "Diventa più forte quando i serbi sentono che il mondo ha pregiudizi nei loro confronti. Allo stesso tempo, l'occidente lo aiuta quando lo tratta con rispetto, come qualcuno che ha tutte le carte nelle sue mani" [...]. (da "New York Times", 2 febbraio 1999) UNA NUOVA ONDATA DI PROFUGHI I nuovi combattimenti del mese scorso in Kosovo hanno messo in fuga 45.000 uomini, donne e bambini di 40 villaggi diversi, secondo l'ente per i rifugiati delle Nazioni Unite. "Alcuni sono riusciti in qualche modo a tornare alle loro case, ma la maggior parte di essi è ancora sfollata", ha detto Kris Janowski, portavoce del UNHCR, specificando che così si sono cancellati i parziali miglioramenti della situazione prodottisi dopo gli accordi di ottobre. Sono ancora circa 210.000 i profughi, di cui 20.000 in Albania, 30.000 in Montenegro, 7.000 in Bosnia. Nel 1998 circa 100.000 cittadini jugoslavi hanno chiesto asilo in Europa Occidentale e per la maggior parte si tratta di albanesi del Kosovo. (AFP, 2 febbraio 1999) |