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NOTIZIE EST #174 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
22 febbraio 1999


ERRORI TATTICI FANNO ANDARE ALLA DERIVA LE TRATTATIVE SUL KOSOVO
di Paul Taylor

RAMBOUILLET, 21 febbraio - Una serie di grossolani errori tattici ha fatto andare alla deriva le trattative di pace per il Kosovo, sottraendo agli Stati Uniti il risultato netto che essi cercavano come base per un'azione militare della NATO contro i serbi. Il Segretario di Stato Madeleine Albright è rimasta costernata quando ha sentito i leader degli albanesi rifiutare sabato scorso di dare un "sì" deciso ai piani dei mediatori internazionali per un periodo temporaneo di autonomia del Kosovo della durata di tre anni, sotto la sorveglianza di truppe NATO. "Gli americani avevano pensato di avere gli albanesi nelle loro tasche. Hanno sbagliato i loro calcoli", ha detto un funzionario europeo.

Quando la scadenza di sabato per un accordo è arrivata dopo due settimane di "trattative ravvicinate" in un castello vicino a Parigi, gli albanesi del Kosovo hanno condizionato la loro accettazione allo svolgimento dopo tre anni di un referendum sull'indipendenza della provincia serba. Nel frattempo, la delegazione serba - lungi dal rifiutare l'intero piano - ha accettato in linea di principio la parte politica, esprimendo obiezioni nei confronti dell'imposizione di una presenza di truppe NATO sul suolo della Jugoslavia. Il risultato è stato esattamente l'esito "grigio" che gli Stati Uniti hanno cercato di evitare chiedendo una scelta in "bianco e nero".

La Russia, propensa a limitare il ruolo della NATO, ha sostenuto la richiesta dei serbi che gli accordi militari siano separati da quelli politici. L'Italia, che fa parte della NATO, ha suddiviso equamente le colpe tra serbi e albanesi. La Francia e la Gran Bretagna, i due paesi copresidenti della conferenza, sono interessate a lasciare ulteriore tempo per far sì che la loro conferenza sia un successo. Sono tutte due preoccupate di evitare i bombardamenti NATO della Serbia, se possibile, a causa delle conseguenze destabilizzanti che essi avrebbero per l'intera regione balcanica. Isolata tra i sei paesi del Gruppo di Contatto incaricato di condurre gli sforzi di pace internazionale, Albright ha accettato una proroga di tre giorni della scadenza, fino alle ore 15 di martedì. "Siamo riusciti a dividere il Gruppo di contatto", ha detto con soddisfazione un consulente della delegazione serba. Albright è tornata a Rambouillet domenica per cercare di convincere gli albanesi ad accettare un accordo che secondo i funzionari non esclude un referendum, anche se esso non è stato menzionato nel meccanismo di revisione dello status del Kosovo tra tre anni. Il suo obiettivo era quello di raggiungere la situazione in "bianco e nero" che è sfuggita ai mediatori sabato scorso.

I diplomatici hanno detto che gli Stati Uniti e i loro alleati europei sono stati così ossessionati dal confronto con l'uomo forte jugoslavo, Slobodan Milosevic, che hanno sottovalutato le difficoltà dei loro protetti albanesi. "Washington era principalmente preoccupata di garantire l'unità della NATO per bombardare i serbi. Ha fatto un errore dando per scontato che gli albanesi avrebbero firmato qualsiasi cosa fosse stata messa sul tavolo, dato che ottenevano la protezione della NATO", ha detto un altro diplomatico. Un delegato albanese ha detto che le potenze occidentali hanno pensato di potere sfruttare le divisioni tra i leader politici moderati e i guerriglieri dell'UCK per garantirsi un'accettazione, mentre tali divisioni hanno reso più difficile a tutti accettare qualunque cosa che non fosse prossima a un'indipendenza garantita. Albright ha apertamente scelto come interlocutore il 29venne rappresentante politico dell'UCK, Hashim Thaqi, invece che il leader veterano Ibrahim Rugova, un moderato politico la cui stella si è spenta.

Fino a sabato un funzionario britannico esprimeva ancora la sicurezza che "è possibile costringere gli albanesi con le minacce ad accettare". Questo errore è in parte dovuto a una differenza di vedute riguardo all'UCK, che né i funzionari occidentali né i russi considerano una seria forza combattente. "Cos'è mai l'UCK?" ha chiesto con sufficienza il mediatore russo Boris Mayorsky durante una conferenza stampa svoltasi giovedì. "Che pezzo di terra ha mai difeso l'UCK?", ha aggiunto un diplomatico americano. Ma mentre i funzionari occidentali sono convinti che gli albanesi dovranno rendersi conto che saranno più sicuri con la protezione della NATO che con il loro esercito scarsamente equipaggiato e raffazzonato, gli albanesi dicono che la NATO dovrà andarsene via un giorno e loro dovranno provvedere a se stessi. I diplomatici europei si attendono un gran pasticcio nel quale l'UCK è disarmata sulla carta, ma molti fucili e lanciagranate saranno nascosti sotto i tetti o sotterrati nei cortili delle case. La strategia degli USA, però, potrebbe avere successo. Gli albanesi sono coscienti che la NATO può bombardare obiettivi serbi solo se loro accettano l'accordo e i serbi continuano a resistere.

E mentre Washington è pronto a evitare di apparire nel ruolo di chi premia Milosevic, i paesi del Gruppo di Contatto - Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia - sono disposti a offrirgli incentivi finanziari affinché accetti una soluzione pacifica. Dato questo equilibrio di interessi, le trattative di Rambouillet potrebbero ancora portare a un accordo.

(Reuters, 21 febbraio 1999)


ALTRI AGGIORNAMENTI SU RAMBOUILLET

L'arrivo del presidente dell'OSCE, Knut Vollebaeck, viene interpretato come la possibilità che nell'ambito di una soluzione di compromesso riguardo alle modalità di attuazione degli accordi, si arrivi a un'intesa per il rafforzamento dei poteri della missione di verifica [dell'OSCE] e, come seconda ipotesi, a un passaggio della questione a livello dell'ONU. Questa variante è rimasta fino alla fine in gioco, anche se nessuno lo vuole confermare ("Danas", 21 febbraio).

Sempre il quotidiano di Belgrado "Danas" scrive: Il capo del team dei negoziatori albanesi a Rambouillet e capo della direzione politica dell'UCK, Hashim Thaqi, ha ripetuto che l'organizzazione armata non disarmerà. "Non esiste un esercito che consegni le armi", ha detto Thaqi in un'intervista al quotidiano kosovaro in lingua albanese Kosova Sot. [...] Parlando del suo incontro con Adem Demaqi, rappresentante politico dell'UCK, tenutosi venerdì presso l'aeroporto di Ljubljana, Thaqi ha detto che "Demaqi ha appoggiato il nostro impegno. Per noi significa molto e rappresenta un ulteriore incoraggiamento". Rivolgendosi ai giornalisti dopo l'incontro con Demaqi, Thaqi ha detto che "il futuro dell'UCK è un aspetto chiave nel raggiungimento di una soluzione". Adem Demaqi ha ripetuto che la parte albanese è pronta ad accettare ogni soluzione temporanea che implichi lo svolgimento di un referendum. "Lavoreremo fino all'ultimo secondo per trovare una soluzione, ma essa dipende innanzitutto dalla parte serba", ha concluso Demaqi, che si trova in cura presso un centro clinico di Ljubljana. Come siamo venuti a sapere da ambienti vicini ai negoziatori albanesi, questi ultimi hanno ricevuto l'ultima versione di proposta d'accordo ieri intorno alle 10 di mattina, cioè solo due ora prima della scadenza originaria delle trattative. Thaqi ha fino a oggi protestato più volte per il fatto che i mediatori internazionali non presentano i documenti scritti in tempo utile. Riguardo alla domanda se la direzione dell'UCK accetterà la proposta dei mediatori internazionali di abbandonare la lotta armata per passare a quella politica, dando vita a una formazione politica, le persone che conoscono meglio la scena albanese danno risposte differenti. Sebbene il vertice del gruppo armato per ora rifiuti tale idea, corrono voci secondo cui Hashim Thaqi è invece il suo principale sostenitore in ambito albanese. Thaqi, a quanto si dice, è dotato di grande talento politico ed è molto ambizioso, oltre a essere dotato di una vasta esperienza militare. "E' una figura importante all'interno dell'UCK e le sue parole hanno grande ascolto", ritiene un esperto di nazionalità albanese. Si ritiene che vi sia la reale possibilità che anche Demaqi accetti la "politicizzazione" dell'UCK, soprattutto nel caso in cui gli albanesi odovessero ottenere il diritto a indire un referendum per lo status definitivo del Kosovo ("Danas", 21 febbraio).

Vi è da segnalare anche una delle rare dichiarazioni provenienti dal campo di Ibrahim Rugova. Il portavoce di quest'ultimo, Xhemail Mustafa, ha insistito affinché si tenga un referendum e vengano dispiegate forze NATO in Kosovo. "La delegazione (albanese) del Kosovo insiste su un referendum che conduca all'indipendenza alla fine di un periodo temporaneo di tre anni", ha dichiarato Mustafa. Egli ha inoltre detto che la parte albanese insiste per "la presenza in Kosovo di truppe della NATO che garantiscano l'applicazione di un eventuale accordo", esprimendo infine l'opinione che la conferenza sia stata prolungata per consentire di trovare una soluzione alla crisi nella provincia, ma anche "per impedire uno scacco (...) e salvaguardare l'autorità delle grandi potenze" (AFP, 21 febbraio).

Il presidente Milutinovic ha dichiarato che Belgrado "è in qualche modo riuscita a salvare il documento politico" per mezzo di una serie di suggerimenti "che hanno contribuito a fare tutta una serie di progressi. Si tratta dell'elemento principale sulla base del quale il Gruppo di contatto ha potuto decidere di prolungare le discussioni". Secondo Milutinovic, i mediatori internazionali "hanno cambiato approccio" e hanno "compreso che i 10 punti del Gruppo di contatto devono essere l'idea alla base di tutti i documenti". Uno di questi principi base, sul quale Belgrado insiste dopo l'inizio dei negoziati del 6 febbraio, è il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale della Jugoslavia. Milutinovic non ha escluso un accordo ulteriore sul documento militare, ritenendo che vi sia ancora "molto tempo" per giungervi. Su tale documento, Belgrado ha lascito intravedere un certo ammorbidimento con le parole del vice-premier Vuk Draskovic, il quale ha giudicato mercoledì "meno doloroso" e "meno oneroso" accettare un "aiuto" straniero per disarmare l'UCK. Domenica Draskovic ha ribadito che "l'arrivo di una forza di pace faciliterà il disarmo" dell'UCK e che "l'intero processo sarà meno costoso" (AFP, 21 e 22 febbraio).

Madeleine Albright ha riconosciuto di non avere dato interamente soddisfazione agli albanesi e ha ammesso l'esistenza di una incomprensione. Gli albanesi condizionano il loro accordo al piano di pace alla possibilità di organizzare un referendum per definire lo status definitivo della provincia serba del Kosovo. "La parola referendum non è nell'accordo, ma noi riconosciamo che al termine del periodo di tre anni è importante prendere in considerazione la volontà del popolo, tra le altre considerazioni", ha spiegato Albright (AFP, 22 febbraio).

Il quotidiano del Kosovo in lingua albanese "Koha Ditore" scrive: Gli scettici hanno sostenuto che perfino i partecipanti alle lunghe trattative di 12 ore nel corso della giornata di sabato non conoscevano il corso delle discussioni. Le maggiori pressioni sono state esercitate al fine di fare firmare senza condizioni agli albanesi l'accordo proposto dal Gruppo di contatto. Tutti gli incontri del Segretario di Stato USA avevano come obiettivo tale punto, e cioè convincere gli albanesi che la firma dell'accordo significava gettare la palla nel campo dei serbi ed esporli a una pressione che non esclude attacchi militari contro obiettivi serbi nel caso in cui Belgrado non dovesse firmare l'accordo. [...] "Non vi sono stati risultati ma abbiamo comunque fatto dei progressi e tutto verrà rimandato fino a martedì alle ore 15", hanno detto i ministri del Gruppo di contatto. Tuttavia, tale data e tale ora con grande probabilità non saranno una scadenza definitiva. Gli esperti americani che lavorano con il team dei negoziatori albanesi hanno indicato di essere a favore della firma dell'accordo da parte degli albanesi perché, secondo loro, gli americani difficilmente darebbero una promessa (scritta) che lo status finale del Kosovo verrà rivisto dopo tre anni, magari nell'ambito di una conferenza internazionale. [...] Dall'altra parte, la strategia albanese di non firmare l'accordo ieri (20 febbraio) è stata basata sul ragionamento che se l'avessero fatto ieri, gli albanesi sarebbero stati messi da parte e in un certo modo si sarebbero ritrovati nella stessa posizione dell'ottobre 1998, quando Richard Holbrooke ha discusso dei destini degli albanesi in loro assenza. Per tale motivo la parte albanese sta facendo degli sforzi per garantire il referendum e la completa ristrutturazione del ruolo dell'UCK ("Koha Ditore", 21 febbraio).

(selezione e traduzione di A. Ferrario)