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NOTIZIE EST #187 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
16 marzo 1999


CHI E' PROPRIETARIO DEL KOSOVO?
di Tanja Jakobi

La bozza di accordo sul Kosovo non risponde con chiarezza alla domanda di chi avrà il diritto di vendere il complesso minerario-metallurgico di Trepca e se in Kosovo verrà applicata la legge serba sulla privatizzazione. Di tutto questo bisogna ancora trattare.

Con chi Evangelos Mitilineos, il proprietario della greca "Holding Mitilineos, tratterà della capitalizzazione di Trepca, il maggiore complesso minerario-metallurgico del Kosovo e della Serbia? L'intraprendente greco, la cui società di commercio in metalli ha triplicato negli ultimi anni la propria quotazione nella borsa di Atene soprattutto grazie alle operazioni nei Balcani, ha dichiarato ancora a dicembre che forse già in questa primavera provvederà alla capitalizzazione della maggiore impresa del Kosovo, il cui valore è stato stimato nel 1997 come pari a cinque miliardi di dollari. Mitilineos però, in questo momento, a quanto dicono fonti serbe, è alquanto inquieto, perché dopo le trattative di Rambouillet è assalito dalla domanda - di chi sarà il Kosovo?

Concentrati sugli aspetti politici e militari della bozza di accordo proposta dal Gruppo di contatto, i negoziatori serbi e albanesi, come dicono fonti vicine a essi, sono passati come un treno rapido sopra le parti dell'accordo in cui si parla delle questioni economiche. "Troppo rapidamente, perché se si tiene conto dello spirito delle bozze di accordo finora note, non si può pensare che gli organi statali serbi conservino la facoltà di vendere le risorse del Kosovo nell'ambito della privatizzazione. Di tutto questo, presuppongo, bisognerà in qualche modo parlare durante le trattative e se tale questione verrà trascurata, sicuramente emergerà come serio problema nel corso dell'applicazione dell'accordo sul Kosovo", ha dichiarato a NIN Dragor Hiber, un consulente legale indipendente ed esperto in questioni relative alle proprietà.

L'essenza della questione non si limita solo a chi detta le regole del gioco e a chi prende la decisione di vendere, ma riguarda anche chi sarà a incassare i soldi. Il governo della Serbia ha inserito nella lista delle imprese che verranno privatizzate in base a un programma particolare e con la sua approvazione sei imprese del Kosovo: "Trepca", la "Feronikl", la Fabbrica di adesivi di Lipljan, le miniere di magnesio, la "Progres" di Prizren e l'aeroporto di Pristina. La "Elektroprivreda Kosova" ["Compagnia elettrica del Kosovo", alla quale è interessata, tra le altre, l'italiana ENEL - N.d.T.], che è controllata dalla "Elektroprivreda Srbije" [il suo analogo in Serbia - N.d.T.], rappresenta insieme a "Trepca" il 70% dell'economia del Kosovo.

LA LOTTA PER LE RISORSE NAZIONALI
Delle ricchezze del Kosovo, a ragione o meno, si narrano da anni storie mistiche, sia da parte serba che da parte albanese. In Kosovo vi sono 11,4 miliardi di tonnellate di lignite, anche se a basso potere calorico, ma potenzialmente importanti, se la Jugoslavia volesse mettere a punto una strategia ragionata nel campo dell'energetica. Le miniere di piombo-zinco potrebbero, secondo le stime di Dejan Milovanovic, titolare della Cattedra di Geologia Economica presso la Facoltà di Mineralogia-Geologia di Belgrado, essere sfruttate per circa 10-15 anni, mentre i giacimenti di nickel per un periodo compreso tra 6 e 18 anni; le miniere di magnesite, invece, interessano agli italiani.

Di tutto questo si discuterà nel corso delle prossime tre settimane, hanno detto i negoziatori serbi, ma sembra che entrambe le parti delle trattative siano convinte che l'accordo darà loro il diritto quasi esclusivo di disporre di ciò che si trova nel sottosuolo o in superficie nella provincia. Obrad Jankovic, presidente della Camera di Commercio del Kosovo, ha detto in una dichiarazione rilasciata a NIN di essere convinto che tutte le leggi economiche che valgono per la Serbia e la Jugoslavia, con qualche eventuale accomodamento locale, varranno anche in Kosovo e che è del tutto chiaro che le ricchezze minerarie sono di esclusiva competenza dello stato serbo. Questo modo di ragionare è riscontrabile anche nelle dichiarazioni pubbliche della delegazione serba, nelle quali si insiste che il Kosovo otterrà una larga autonomia, cosa che indirettamente vuol dire che esso funzionerà nell'ambito del sistema giuridico ed economico della Federazione jugoslava.

Su posizioni opposte, Musa Limani, direttore dell'Istituto di Economia di Pristina, ha dichiarato ancora nel maggio dell'anno scorso che "tutte le proprietà all'interno del Kosovo appartengono al Kosovo e alla gente che vi vive, indipendentemente dalla nazionalità". Gli investitori esteri, ha detto Limani alla stampa serba, devono sapere che i loro contratti saranno nulli senza l'assenso del governo del Kosovo.

Un diplomatico ha detto a NIN che la parte albanese e quella serba in questo momento, anche quando sono in questione investitori esteri, discutono inutilmente di questa questione. "Non vi è dubbio che a breve periodo sicuramente non vi saranno investimenti esteri in Serbia, almeno fino a quando non saranno eliminate le sanzioni contro gli investimenti, e probabilmente nemmeno più tardi, perché la situazione politica, soprattutto in Kosovo, è molto complessa e tesa". Alla domanda se, per esempio, la "Peugeot", che sta conducendo trattative con la "Zastava" di Kragujevac, considererà anche nel corso dei prossimi tre anni la fabbrica di ammortizzatori di Pristina come parte della società serba, tale diplomatico ha risposto senza indugi affermativamente. "Ma si tratterà, naturalmente, solo di un accordo commerciale", ha spiegato. Il paradosso è evidente, dice Hiber, perché se tutte le questioni relative a chi può disporre delle proprietà rimangono nelle mani dello stato serbo i diritti che l'accordo assegna a un Kosovo autonomo rimangono vuoti e se tutti i poteri rimangono a livello della provincia, si può dire come minimo che la Serbia rimarrà senza proprietà nelle quali ha investito.

Gli albanesi che abbiamo sentito e che non desiderano pronunciarsi in merito a un'interpretazione dell'accordo fino a quando non sarà definitivo, richiamano l'attenzione sul fatto che tutti gli atti approvati durante l'interregno che durerà fino a quando tra nove mesi verranno organizzate elezioni in Kosovo, dovranno essere annullati. "Quando verranno eletti gli organi legali del Kosovo saranno questi ultimi a decidere, nello spirito dell'accordo, lo status di tutte le aziende del Kosovo", ha dichiarato a NIN un avvocato albanese.

[...] Molte domande rimangono ancora senza risposta: a partire dagli anni 1992 e 1993 molte imprese del Kosovo esistono più sulla carta che nella realtà e, tramite l'operato del Fondo per lo sviluppo, sono state reintegrate nel più ampio sistema serbo. Così, numerose fabbriche del Kosovo sono ora sotto la tutela di aziende serbe come la "Minela", la "Poljoprivredan kombinat" di Belgrado o la "Sartida". Alla Camera di commercio della Serbia dicono che senza l'aiuto delle imprese serbe quelle del Kosovo non potrebbero resistere a lungo. Tuttavia, negli ultimi sei anni ci sono state molte proteste, perfino da parte dei lavoratori serbi delle imprese del Kosovo, perché i "fratelli più forti" della Serbia non hanno fatto altro che portare via dal Kosovo macchinari di valore e proprietà, lasciandovi solo dei capannoni vuoti. La parte albanese non accetta questa reintegrazione e insiste affinché questi rapporti cessino.

Il Fondo per lo sviluppo della Serbia dispone in Kosovo di 334 edifici non terminati con 461.000 metri quadri di superfici produttive non sfruttate e non vi è dubbio che la questione di chi dovrebbe avere titolo a tali proprietà sarebbe oggetto di dispute. "Dovremo vedere ancora molte cose nel corso della realizzazione degli accordi", dice Dragutin Jocic, il segretario della Camera di commercio della Serbia per le regioni non sviluppate.

("NIN", 25 febbraio 1999 - traduzione di A. Ferrario)