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NOTIZIE EST #193 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
25 marzo 1999


LA NATO SPINGE I BALCANI VERSO IL BARATRO
di Andrea Ferrario

Pristina, Belgrado, Podgorica, Djakovica, Kragujevac, Novi Sad, Nis: i criminali bombardamenti della NATO non hanno risparmiato né il Kosovo, né la Serbia, né il Montenegro, né la Vojvodina. Oltre agli impianti radar, vengono colpiti numerosi obiettivi non militari, innanzitutto aeroporti e fabbriche, tutti in zone abitate e quindi sicuramente con ampio numero di vittime civili e con intensità impressionante. Così si presenta l'attacco "umanitario" della NATO: aggressione, distruzioni, morti. Ma c'è un'altra pagina altrettanto inquietante: da giorni le forze militari e di polizia serbe avevano ripreso con massicci bombardamenti le offensive a tutto campo contro città e villaggi del Kosovo, costringendo in soli tre giorni 25.000 persone ad abbandonare le proprie case. Gli attacchi NATO hanno reso ora possibile un black-out totale sulla situazione nel Kosovo, creando la situazione ideale per un'ulteriore ampliamento dei massacri e le ultime cose che si sono venute a sapere sono eloquenti: un bombardamento massiccio sulla città di Podujevo, attacchi su decine di altri villaggi. Oggi si aggiunge poi la notizia che il centro della città di Djakovica è stato distrutto, seguito subito dall'entrata in azione di forze paramilitari serbe. Mentre scriviamo, la Reuters, confermata dall'OSCE, informa che le forze di confine jugoslave hanno bombardato due villaggi di confine in Albania, mentre dall'altra parte del confine un villaggio veniva attaccato e dato alle fiamme dalle forze di Belgrado. Queste le uniche informazioni giunte sulla situazione altrimenti completamente oscurata del Kosovo.

LA NATO
La NATO ha accolto completamente l'invito del regime di Belgrado ad alzare la posta in gioco, così come aveva fatto già negli ultimi mesi con un gioco a rimpiattino tra europei e Stati Uniti scandito dalle offensive e dai massacri delle forze serbe. Dopo il clamoroso rifiuto degli accordi di Rambouillet da parte della delegazione albanese, gli USA sono riusciti infine a cooptare nel loro piano la dirigenza dello stesso UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo), dopo avere in un solo anno dato implicitamente il via libera a due vaste offensive serbe per eliminarlo dalla scena, nel febbraio e nel luglio dell'anno scorso, e dopo avere stipulato nell'ottobre scorso un accordo privato con Milosevic, senza interpellare la parte albanese. Ora i dirigenti dell'UCK che hanno accettato la "protezione" USA vengono invitati a Washington, mentre non a caso le offensive serbe di questi giorni sono dirette contro le roccaforti delle aree dove vi è la maggiore concentrazione di comandi dell'UCK contrari all'accordo (Drenica, Lab, Stimlje). In questa situazione, Belgrado, secondo la sua logica, non poteva che scegliere lo scontro frontale alzando la posta in gioco, una soluzione che conviene agli Stati Uniti, i quali hanno difficoltà maggiori rispetto agli europei a organizzare un'ennesima missione NATO sul terreno, ma che vogliono continuare ad avere un ruolo decisivo nei Balcani con la soluzione, più agevole per loro, degli attacchi a distanza. Gli europei, i cui obiettivi imperialisti sono i medesimi, non possono che prendere parte all'aggressione per non rimanere fuori dal gioco, sperando di rifarsi in un altro momento. Ma è una crisi al buio e imprevedibile che, a differenza di quanto avvenuto in Bosnia, non sembra avere un obiettivo prestabilito, se non quello di umiliare le popolazioni albanesi, serbe e montenegrine, per piegarle più facilmente ai propri disegni, provocando distruzioni enormi. E' inoltre l'intera situazione nei Balcani a essere esplosiva: disastro economico, conflitti irrisolti, proliferazione militare e nessuna prospettiva di un seppure minimo miglioramento. Si tratta in larga parte delle conseguenze della politica degli stessi paesi NATO, che di fronte a questo sfacelo ricorrono a quello che è sempre stato il loro strumento primo: l'aggressione, l'occupazione militare, le stragi dirette o per interposta persona. E mentre con la Guerra del Golfo si erano ancora preoccupati della facciata, per quanto perversa, sdoppiandosi contemporaneamente nel ruolo di giudice, con l'ONU, e di poliziotto, con i propri eserciti, oggi si presentano solo con la faccia nuda e cruda del poliziotto, nella peggiore tradizione fascista.

IL REGIME DI BELGRADO
Milosevic intanto incassa internamente l'adesione assoluta di tutte le forze politiche alla sua linea, la possibilità di usare liberamente la mano pesante in Kosovo e di applicare la censura in casa. Che abbia messo in conto questi "vantaggi" è sicuro: egli aveva infatti un'indubbia possibilità di prevenire gli attacchi NATO o perlomeno di ottenere di più in una trattativa, cioè la possibilità di prendere in ostaggio gli osservatori OSCE, impossessandosi così di una formidabile arma di ricatto che avrebbe messo in enorme impaccio i movimenti dell'Occidente. Non lo ha fatto, i 1400 verificatori sono stati tutti gentilmente e compostamente scortati al confine, con le conseguenze che a Belgrado conoscevano benissimo e con l'avvio immediato da parte delle forze serbe di un'offensiva a "terra bruciata" nella maggior parte del Kosovo. Ma si tratta di una mossa disperata, di un regime che basa il suo potere ormai solo sui crimini, sulle repressioni e sullo sfruttamento sistematico dei lavoratori e della propria popolazione in generale, un regime che sembra mancare di ogni prospettiva che non sia la sopravvivenza a breve termine e a qualunque costo, anche quello di portare con sé nel baratro il proprio popolo. Sotto questo punto di vista, i bombardamenti NATO non colpiscono certo le dorate residenze dei burocrati al governo, bensì la popolazione civile e le sue prospettive future.

RUGOVA E L'UCK
La dirigenza politica albanese, a parte alcuni soggetti che in questo momento sono stati totalmente emarginati, si è prestata anch'essa in pieno a questo gioco. Con l'accettazione degli accordi di Rambouillet, Rugova è riuscito a entrare nuovamente in gioco, dopo che aveva perso ogni credibilità, e a ottenere quello che da anni chiedeva in ossequiosa osservanza degli interessi delle grandi potenze, cioè un intervento NATO. Ma non meno grave è stata l'adesione della dirigenza dell'UCK, che ha deciso di basare sui cannoni della NATO un proprio futuro ipotetico potere politico riconosciuto internazionalmente, rinunciando all'obiettivo per cui la popolazione del Kosovo ha lottato per anni con enormi sacrifici e ha sopportato distruzioni devastanti: la possibilità di decidere democraticamente del proprio futuro. Il comunicato ufficiale di ieri del Quartier Generale dell'UCK con il quale si chiede l'effettuazione di bombardamenti da parte della NATO e se ne approva l'imminente effettuazione è un invito alla violenza e all'aggressione contro altri popoli e all'intervento imperialista che non può che essere totalmente condannato e che ha tragiche conseguenze per lo stesso popolo del Kosovo, sia perché lo espone a tremende repressioni, sia perché affida i destini dei kosovari a potenze che hanno dimostrato ovunque da anni di avere interessi inconciliabili con quelli di ogni popolo che voglia la libertà e la democrazia. E' solo attraverso la rimozione di questa dirigenza, "moderata" o "radicale" che sia, e alla dissociazione dalle politiche imperiali che il popolo del Kosovo potrà sperare di ottenere quello a cui ha diritto.

L'ITALIA
L'Italia ha condotto nei Balcani in questi ultimi anni una politica che difficilmente avrebbe potuto essere peggiore. Il ministro Dini, forte dell'esperienza accumulata per anni come burocrate del FMI, ha sostenuto sistematicamente due delle peggiori e più brutali dirigenze balcaniche: quella di Berisha e quella di Milosevic. L'Italia ha intensi rapporti economici e politici anche con il regime repressivo e altrettanto brutale di Tudjman in Croazia, con quello romeno che invia i carri armati contro i lavoratori in sciopero, con quello liberticida e sfruttatore della Bulgaria. L'impegno militare italiano nei Balcani è ormai enorme: agli interventi in Bosnia e in Albania sono seguite le rilevanti missioni, NATO o contigue, in Macedonia, in Bulgaria e in Kosovo, in quest'ultimo caso sotto la maschera "civile" dell'OSCE. Questa presenza, così come il sostegno ai governi autoritari, vengono ricompensati da questi ultimi con commesse e affari per centinaia di miliardi, il cui peso viene sopportato per intero dai lavoratori, dai giovani e dai disoccupati dei paesi balcanici, ai quali non viene offerta alcuna prospettiva. Che questa politica sia intimamente connessa anche con quanto avviene nel nostro paese, lo dimostra il fatto che la STET abbia trovato quasi mille miliardi da versare nelle casse di Milosevic nel momento in cui quest'ultimo ne ha bisogno per la propria guerra, ma intenda poi licenziare 15.000 lavoratori in Italia per "razionalizzare" i costi. E lo conferma anche l'ulteriore salto di qualità fatto oggi, con la trasformazione del nostro paese nella portaerei per un atto di aggressione nei Balcani e allo stesso tempo in una macchina di guerra per respingere i profughi che cercano riparo nel nostro paese, non certo per loro scelta. Purtroppo non si può che notare che la sinistra italiana ha in gran parte ignorato tutto questo e si muove timidamente e tardivamente solo ora ad attacchi NATO avvenuti, nella quasi totale indifferenza rispetto alle lotte contro l'oppressione dei kosovari e di altri popoli, alle intense e disperate battaglie dei lavoratori balcanici e al ruolo nefasto e per nulla secondario dell'Italia.