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NOTIZIE EST #198 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
8 aprile 1999


CRONACHE DI GUERRA: 8 APRILE 1999



UCK

Il ministro jugoslavo senza portafoglio Milan Bozic ha detto che l'offerta di una tregua da parte del suo governo significa che i guerriglieri sono stati sconfitti. "Stiamo offrendo una cessate il fuoco unilaterale perché siamo convinti che i terroristi che hanno usato i bombardamenti NATO per mettere il nostro paese sotto pressione sono ora stati virtualmente distrutti", ha dichiarato Bozic alla televisione romena Antena 1 (Reuters, 6 aprile). Un alto comandante dell'UCK ha dichiarato all'agenzia UPI che la guerriglia albanese "resiste a malapena" ormai solo in quelle che ha definito 'aree liberate' intorno alla valle di Klina e alla città di Pec. Il comandante ha detto che la guerriglia non riesce a resistere ai militari jugoslavi e che dovrà "fuggire in Albania o disperdersi sui rilievi". Alti funzionari statunitensi e della NATO hanno confermato all'UPI questo quadro: "Abbiamo notizie di pesanti perdite dell'UCK in entrambe le regioni. L'UCK continua i suoi sforzi per tenere duro in questa area, ma le sue sacche di resistenza si stanno restringendo e sono sotto costante pressione" (UPI, 6 aprile).


MACEDONIA, PROFUGHI, INDIPENDENZA

Il vicesegretario di stato USA Talbott ha dichiarato in un'intervista rilasciata il 5 aprile al quotidiano macedone "Dnevnik", dopo essersi incontrato in Macedonia con il presidente Gligorov, il premier Georgievski e il leader degli albanesi Xhaferri: "gli USA raddoppieranno gli aiuti economici alla Macedonia e la aiuteranno a prendersi cura dei profughi. Stiamo lavorando attivamente e creativamente per risolvere il problema", specificando che "la campagna militare in Jugoslava non avrà successo se non porterà a una soluzione politica che incoraggi i profughi kosovari a tornare nelle loro case e a vivere in sicurezza con una larga autonomia". A una domanda precisa se "una delle possibili soluzioni della crisi sia la creazione di un Kosovo indipendente", Talbott ha risposto a chiare lettere: "Siamo contro l'indipendenza del Kosovo. Non è un segreto e lo abbiamo ripetuto nei nostri contatti con i leader degli albanesi del Kosovo. Insisto affinché l'UCK accetti che lo status futuro del Kosovo sarà un territorio con un alto grado di autonomia. Siamo convinti che la creazione di nuovi stati su base etnica sia una via pericolosa. L'unica via è la creazione di stati che traggano forza dalla diversità dei propri cittadini". Talbott ha inoltre detto, secondo il quotidiano "Nova Makedonija", che "gli USA categoricamente non hanno alcuna intenzione di intervenire con truppe di terra in Kosovo, perché per gli USA si sarebbe in presenza di un ambiente ostile. Talbott ha ricordato la posizione internazionale secondo cui in Kosovo è necessaria una presenza internazionale, ma solo dopo che sarà stato raggiunto un accordo". Il premier macedone Georgievski ha dichiarato a "Dnevnik", dopo avere incontrato Talbott: "Mi sento molto pià soddisfatto di quanto lo fossi dopo le conversazioni con i rappresentanti di alcuni paesi dell'Unione Europea, che difendevano la posizione secondo cui i profughi dovrebbero rimanere in Macedonia. Penso che gli USA lavorino su un piano completamente diverso, di collaborazione con più paesi e sono convinto che vedremo dei risultati già domani o comunque nei prossimi giorni", aggiungendo che Talbott gli ha detto che "gli USA, la comunità internazionale e i membri della NATO rimarranno con noi anche dopo che sarà terminata la crisi. Talbott inoltre ci ha detto che la crisi [dei profughi] è una minaccia per la sicurezza della Macedonia e quindi l'amministrazione americana, e in particolare Madeleine Albright, "lavoreranno con i partner per identificare dei paesi che accetteranno i profughi in modo tale che non siano più un onere solo per la Macedonia" ("Dnevnik", 5 aprile; "Nova Makedonija", 5 aprile). Sempre Georgievski, ha dichiarato il 7 aprile a "Nova Makedonija" che "la NATO non ha alcuna intenzione di intervenire via terra in Kosovo". Da parte sua, il vice ministro degli esteri macedone Trajkovski ha dichiarato che "la comunità internazionale ora deve occuparsi di tutto, perché questa guerra non è la nostra guerra" ("Nova Makedonija", 3 aprile).


PROFUGHI, DEPORTAZIONI

La Macedonia martedì ha intensificato i trasporti aerei di profughi albanesi del Kosovo, portando via molti di loro contro la loro volontà o senza che conoscessero la loro destinazione finale. Un Tupolev TU-154 proveniente dalla Bulgaria è decollato dall'aeroporto di Skopje con circa 150 profughi che erano stati trasportati fin lì in autobus pieni fino all'inverosimile. "Gli aeroplani vanno in Turchia", ha detto un funzionario dell'aeroporto nel secondo giorno delle deportazioni con gli aerei, "ma chiediamo ai giornalisti di non dirlo ai profughi", ha aggiunto. "Abbiamo avuto problemi con loro. Quando gli diciamo dove sono diretti, abbiamo problemi, rifiutano di salire sugli autobus o sugli aeroplani". [...] Molti profughi, parlando ai giornalisti mentre scendevano dai loro autobus per salire sugli aerei sotto scorta della polizia hanno confermato di non sapere dove li stessero mandando (AFP, 6 aprile). Un profugo albanese giunto in Macedonia ha dichiarato che "la città di Pec e i suoi dintorni sono rasi a terra e in fiamme. La colpa è delle forze jugoslave, ma anche dei missili della NATO che hanno colpito alcuni edifici civili nella città. Sarebbe molto meglio se non ci difendessero. Non fanno che dare corda alle forze di polizia e militari, che poi fanno ricadere su di noi tutta la colpa dei bombardamenti ("Nova Makedonija", 3 aprile). Il quotidiano di Skopje "Nova Makedonija" commenta, in merito ai profughi: "Che una catastrofe sia alle soglie lo dimostra quella che è stata finora l'esperienza di due guerre sul territorio dell'ex Jugoslavia - in Croazia e in Bosnia - esperienza che ci dice che la pulizia etnica fatta in tali paesi è ormai accettata come un fatto compiuto. Nessun accordo di pace, né quello che ha messo fine alla guerra in Croazia né quello per la Bosnia, nonostante le chiare clausole che contenevano, è riuscito a fare tornare i profughi espulsi nelle proprie case. Nessun serbo è tornato nel proprio focolare nella Krajina, in Slavonia, nella Posavina, né i profughi musulmani, serbi e croati sono tornati alle loro case in Bosnia. Cosa mai dovrebbe ora garantire che gli albanesi del Kosovo, deportati o fuggiti dal Kosovo in Macedonia, torneranno indietro quando verrà concluso un accordo di pace per il Kosovo? E non importa che si realizzi sotto la tutela delle forze NATO. Infatti, perché le forze NATO che garantiscono la pace in Bosnia non hanno assicurato il ritorno dei profughi alle loro case? La NATO è lì da quattro anni, e i casi di profughi tornati a casa sono rarissimi". Il quotidiano poi prosegue: "A dieci giorni dall'inizio dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia non si vede una soluzione all'orizzonte. Anzi, la crisi è sempre più forte e sta arrivando al culmine. Tutto quello che è stato precedentemente negoziato a Rambouillet e a Parigi non vale più niente, e il primo accordo frutto del diktat del Gruppo di contatto sembra ormai lettera morta. Le circostanze ora sono radicalmente cambiate e la posizione negoziale della Serbia rispetto agli albanesi del Kosovo è di gran lunga migliore. L'esercito serbo sta compiendo una classica pulizia etnica contro gli albanesi del Kosovo e nel momento in cui si siederà nuovamente al tavolo delle trattative in Kosovo ci sarà una nuova mappa etnica nella quale gli albanesi forse non saranno più la nazione dominante, e quindi vedranno diminuire i propri diritti nell'ambito dell'autonomia. Gli attacchi della NATO vengono sfruttati a larghe mani da Milosevic per espellere gli albanesi dal Kosovo. Il suo esercito ha un'ottima esperienza accumulata nel corso delle precedenti guerre in Croazia e in Bosnia, e ad alcuni sembrano davvero incredibili la rapidità e l'efficacia con la quale viene messa in atto la terza serie di espulsioni di popolazioni dai Balcani in questo decennio sotto il patronato della Serbia. E tutto sembra come un accordo tra Milosevic e l'alleanza occidentale, con la quale il primo sta mettendo in atto gli obiettivi abbozzati ancora con il Memorandum dell'Accademia serba del 1987. La Serbia sicuramente sopporterà danni per i bombardamenti, ma almeno ripulirà il Kosovo dagli albanesi. In questo contesto, torna attuale l'opzione di una spartizione del Kosovo, che vedrebbe la Metohija e una parte del Kosovo rimanere serbi, mentre tutti gli albanesi che saranno rimasti verranno spostati in Kosovo. Non a caso le deportazioni di albanesi seguono una linea che domani potrebbe diventare un confine etnico. E i mediatori internazionali lo accetteranno come un fatto compiuto, così come lo hanno accettato in Bosnia e in Croazia" ("Nova Makedonija", 3 aprile).


BOMBARDAMENTI "INTELLIGENTI"

Dopo i bombardamenti "errati" sui civili della città serba Aleksinac, che hanno causato almeno 12 morti, anche a Pristina si contano distruzioni e vittime civili. Il 7 aprile sulla città sono caduti 20 missili che hanno colpito l'ufficio postale, una banca, gli uffici dell'assistenza sociale, una biblioteca e svariate abitazioni. Il conteggio delle vittime non è ancora sicuro - la RTS, televisione di stato serba, parla di un numero di morti compreso tra 10 e 20, tra i quali sicuramente un'intera famiglia. Sono inoltre andati distrutti tutti i collegamenti telefonici della città. Oltre alla RTS, anche la BBC ha mostrato immagini eloquenti delle vaste distruzioni in un reportage da Pristina. Si è trattato del primo reportage di una troupe straniera, che ha mostrato, oltre alle distruzioni, una città deserta, anche se il numero delle immagini è limitato, secondo il giornalista perché le autorità serbe, che hanno organizzato la trasferta, non hanno consentito alcuna libertà di movimento. Nei giorni scorsi il Televideo aveva riferito anche del bombardamento del complesso minerario-metallurgico di Stari Trg, una delle principali risorse economiche del Kosovo (AFP, 7 aprile; BBC World Report, 8 aprile).


INTERVENTI VIA TERRA, ATTACCHI IN KOSOVO

Secondo il quotidiano "Nova Makedonija" (7 aprile) la decisione di inviare gli elicotteri "Apache" in Albania sarebbe il segno che la possibilità di un intervento di terra è sempre maggiore, ma lo "International Herald Tribune" di oggi, 8 aprile, scrive che tale invio è stato rimandato a tempi da definirsi. Inoltre, "Nova Makedonija" scrive che "dal giorno in cui verrà deciso di inviare truppe di terra in Kosovo, dovranno passare almeno due mesi perché il piano si concretizzi. Durante tale periodo bisognerà vedere quali paesi parteciperanno, quali armi avranno, in cosa esattamente consisterà la rispettiva missione. La base principale dalla quale partirà il dispiegamento sarà Salonicco, in Grecia, perché la Grecia è un paese membro della NATO e l'unica nella regione con infrastrutture in grado di reggere una tale operazione ("Nova Makedonija", 7 aprile). Ieri, intanto, dopo ben 14 giorni di bombardamenti su ponti, fabbriche e altri obiettivi civili in Serbia, in Kosovo e in Montenegro, la NATO ha annunciato per la prima volta esplicitamente di avere attaccato una colonna dell'esercito serbo in Kosovo. Ma ecco come commenta l'informazione il "New York Times": "Il Pentagono ha annunciato martedì, per esempio, di avere lanciato un'intensa serie di raid contro la 3a Armata jugoslava, che ha condotto l'offensiva in Kosovo. I funzionari del Pentagono hanno sì detto di avere colpito munizioni e carburante dell'esercito, oltre ad alcune forze sul campo, ma non hanno fornito particolari su quanti carri armati, pezzi di artiglieria o altri armamenti pesanti sono stati distrutti. Mettere fuori gioco le unità corazzate serbe, sotto ogni punto di vista, non è un obiettivo facile. Il portavoce Wilby ha affermato, per esempio, che i serbi conoscono bene i tempi di decollo da Aviano, in Italia, e da altre basi NATO. Cercano di sincronizzare i loro attacchi contro gli albanesi negli intervalli tra i bombardamenti, ha detto, e poi di nascondersi quando sanno che gli aerei da guerra dell'alleanza stanno per arrivare. Anche quando aerei da guerra della NATO individuano forze si serbe che stanno accerchiando degli albanesi, spesso non possono attaccare per il timore di colpire gli albanesi o di incitare i serbi ha sfogare la propra rabbia sui civili. E' successo così quando un aereo di ricognizione alleato ha individuato forze armate serbe che assediavano il villaggio di Glodane in Kosovo. L'aggressione serba è stata rilevata, ma è stato escluso un attacco, almeno fino a quando gli albanesi non fossero usciti dalla scena. Ci sono anche difficoltà tecniche. Gli aerei da guerra della NATO hanno usato in Iraq dispositivi di mira a raggi infrarossi durante la Guerra del Golfo del 1991. Sebbene i carri armati fossero nascosti nel deserto, le apparecchiature individuavano il calore dei carri armati nella fredda notte del deserto, riuscendo così al colpirli. Ma il Kosovo non è il deserto. I funzionari militari occidentali rischiano di colpire vicini edifici civili e non possono mai sapere se ci sono civili al loro interno". La stessa fonte conferma le notizie del governo serbo secondo cui la NATO starebbe usando le cosiddette "bombe a grappolo": "In questa nuova fase la NATO ha cominciato a usare le 'bombe a grappolo' - proiettili che disseminano piccole cariche esplosive in grado di penetrare i blindati, secondo un modello prestabilito che blocca, distrugge o disabilita i veicoli che si muovono. [...] Ma queste munizioni sono progettate per saturare di esplosivi un'intera area, non per provocare delle esplosioni contenute. [...] Devastanti contro i carri armati, queste 'munizioni di area' vengono ora usate anche per causare danni intorno ai loro obiettivi, aumentando il rischio di vittime civili" ("New York Times", ripreso da "International Herald Tribune", 8 aprile 1999).

(selezione e traduzione di A. Ferrario)