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![]() NOTIZIE EST #201 - MACEDONIA/KOSOVO [Ripubblico qui sotto un pezzo già pubblicato più di un anno fa e che mi sembra molto interessante riproprorre ora. Recentemente la "crisi dei profughi" dal Kosovo ha apparentemente trovato impreparati i paesi della NATO. Tuttavia, molti osservatori ne avevano previste in larga misura l'entità e le modalità e, addrittura, l'anno scorso, un mese prima che scoppiasse il conflitto, il presidente macedone Gligorov, con la sua richiesta di creare un "corridosio umanitario" per deportare centinaia di migliaia di profughi albanesi del Kosovo in Albania, dipingeva un quadro che ha sconcertanti analogie con quello realizzatosi negli ultimi giorni. Gligorov aveva parlato perfino del transito di Blace (nell'articolo qui sotto, pubblicato dalla rivista "Vreme" di Belgrado, indicato con il suo nome serbo di Blato), un particolare che, vista l'ubicazione di Blace sulla strada Pristina-Skopje e l numero di centinaia di migliaia di profughi che Gligorov preventivava, può anche fare pensare che lo "svuotamento" di Pristina fosse già all'ora un'ipotesi a cui si pensava. Non va dimenticato inoltre che allora Gligorov era uno dei principali referenti politici della NATO nei Balcani. Sotto all'articolo su Gligorov, riporto alcuni brani di un'intervista rilasciata in questi giorni dall'ex ministro degli esteri macedone Frckovski al settimanale bulgaro "Kapital", nella quale si accenna alla questione del "corridoio umanitario" e, con linguaggio cinico, ma rivelatore, si tracciano alcune ipotesi sull'attuale guerra del Kosovo - a.f.] GLIGOROV E IL CORRIDOIO UMANITARIO Accade per la prima volta che una proposta del presidente macedone Gligorov incontri una reazione trattenuta da parte dei media che non fanno mistero della propria fedelta' al governo e non gli negano spazio quando ne ha bisogno. E' una prova del fatto che il progetto della creazione di un corridoio per l'evacuazione dei civili dal Kosovo all'Albania, nell'eventualita' dello scoppio di un conflitto armato a nord della Macedonia, non e' stato preceduto da alcuna campagna di preparazione di quella opinione pubblica che si raggruppa intorno ai cosiddetti mezzi ufficiali di comunicazione. Il fatto che anche i cosiddetti media indipendenti o di opposizione abbiano avuto bisogno di un certo tempo per "abboccare all'amo" di questa allettante esca, suggerisce che si tratti di una completa sorpresa. Vale la pena di ricordare i fatti: Gligorov, nel corso della sua recente visita ufficiale in Slovenia ha dichiarato che le autorita' macedoni sono pronte, in caso di un conflitto armato nel Kosovo, ad assicurare un corridoio lungo il quale i civili di etnia albanese della regione potrebbero fluire verso la confinante Albania. Il corridoio andrebbe dal punto di confine di Blato, a nord della capitale macedone Skopje, attraverserebbe le piu' importanti citta', cioe' Tetovo e Gostivar, e tutta la zona popolata della Macedonia occidentale fino al confine macedone-albanese di Debar-Peskopeja. Si valuta che attraverso questo percorso un numero di persone compreso tra 200.000 e 400.000 potrebbe scappare da quello che i moderati chiamerebbero un "focolaio di guerra" e gli altri la "repressione". L'intera operazione si svolgerebbe sotto la sorveglianza di forze internazionali e di fronte agli occhi del pubblico mondiale. Sia quel che sia, la promozione della disponibilita' dei macedoni di assicurare un corridoio umanitario per fare "defluire" gli albanesi del Kosovo dai loro spazi etnici, ha colto completamente di sorpresa i cittadini della Macedonia, mentre lo stesso promotore dell'idea, Kiro Gligorov, al ritorno da un viaggio a Mosca, ha "chiarito a fondo" l'intero caso, affermando: "non saremmo uno stato, un governo e un parlamento seri, se non pensassimo a come e cosa faremo nel caso in cui scoppi un conflitto armato direttamente ai nostri confini". Alcuni osservatori neutrali, come suggerisce il quotidiano "Dnevnik" di Skopje, sono propensi a credere che l'"operazione corridoio" non sia un'idea dell'ultima ora, ma piuttosto un progetto all'ordine del giorno gia' da qualche anno ed elaborato e concordato a livello di stati maggiori, nei suoi punti fondamentali, con i membri della NATO. [...] La promozione del corridoio suggerisce indirettamente che il nodo del Kosovo non possa essere risolto se non ricorrendo alle armi e a una repressione che porterebbe a una pulizia etnica. Nonostante il fatto che, purtroppo, un tale scenario sembri sempre piu' probabile, nel momento in cui tutti i fattori internazionali cercano con ogni mezzo di fare pacificare tutte le parti e di fare sedere i capi di ogni tribu' al tavolo delle trattative, il corridoio di Gligorov fa l'effetto di qualcosa di fatalista e preoccupante. Sembra che cosi' la pensino anche alcuni funzionari stranieri accreditati a Skopje, i quali, con toni diplomaticamente trattenuti, hanno ricordato che il Kosovo, fino al momento in cui non vi dovesse scoppiare un conflitto armato, e' una questione interna di uno stato confinante. Anche [il presidente-ombra degli albanesi del Kosovo] Ibrahim Rugova, un uomo che e' stato piu' volte ricevuto a Skopje con tutti gli onori e molta comprensione, ha consigliato senza mezze parole ai macedoni di non immischiarsi nelle faccende altrui in tal modo. Un sostegno completo all'idea del corridoio, almeno per ora, e' venuto solo da Tirana, con la quale i rapporti bilaterali sono nelle ultime settimane all'insegna della piu' idilliaca armonia. Sembra tuttavia che in questo momento siano piu' interessanti le reazioni interne. A giudicare da quanto e' noto al pubblico, l'"operazione corridoio" non e' stata accolta in maniera uniforme nemmeno all'interno del partito al potere - la Lega socialdemocratica (SDSM), cioe' il partito di Gligorov. Il portavoce del partito, Radmila Secerinska, non ha finora reagito duramente come molti avrebbero desiderato, ma sulle pagine del gia' citato "Dnevnik" ha espresso delle riserve e ha proposto come opzione prioritaria la chiusura dei confini settentrionali. Questo modo di prendere le distanze da un eventuale conflitto armato sembra essere quello piu' conveniente anche alla maggior parte dei politici di opposizione e degli esperti di sicurezza. UN CONFINE POROSO L'opposizione, da parte sua, otterra' lo stesso risultato ottenuto da Gligorov con la sua proposta, cioe' quello di provocare direttamente il vicino settentrionale, con le sue accuse rivolte a quest'ultimo di volere una pulizia etnica violenta, accuse che vengono comunque rivolte agli estremisti di entrambi i campi, sia quello albanese, chee quello serbo. La Macedonia, in particolare, ha ancora un confine indefinito a nord [sono in corso trattative con la Serbia - n.d.t.] ed e' una pura illusione pensare che la polizia (o l'esercito) della Serbia in una situazione come quella dipinta impedirebbe agli albanesi di entrare in Macedonia anche al di fuori del corridoio. A occidente poi, e questo e' stato dimostrato in una quantita' innumerevole di occasioni, il confine e' a tale punto poroso, che non potrebbe in alcun modo impedire alle persone "accompagnate" in Albania attraverso il corridoio di tornare in Macedonia, se necessario anche lo stesso giorno. Tutto il discorso dell'opposizione e' incentrato su come, con una soluzione come quella del corridoio, si aiuterebbe unicamente l'importazione di popolazione albanese, modificando cosi' l'equilibrio etnico da lungo tempo esistente in Macedonia. Anche se a prima vista sembrerebbe non essere cosi', il famigerato corridoio non ha impressionato piu' di tanto nemmeno gli albanesi locali. Al contrario! La testimonianza piu' emblematica di questo fatto e' la reazione di Arben Xhaferi e di Menduh Taci, i due leader del Partito democratico degli albanesi all'opposizione. Xhaferi - che qui viene considerato un politico decisamente radicale - dopo avere fatto freddamente osservare che "noi siamo per una soluzione pacifica del problema del Kosovo", ha affermato che l'idea del corridoio non fa che provocare una psicosi di guerra e aumentare la sensazione di instabilita'. Taci e' ancora piu' esplicito e afferma che l'idea nei fatti e' "fascistoide, perche' si inserisce nel progetto serbo di pulizia etnica del Kosovo". Vale la pena di ricordare che il politici albanesi locali anche prima delle piu' recenti iniziative hanno espresso la propria risoluta intenzione di aiutare in ogni modo possibile, anche, se del caso, con un impegno diretto sul terreno, i propri connazionali (che in molti casi sono anche parenti) nel Kosovo, qualora dovesse scoppiare un conflitto armato. Il senso di appartenenza a uno stato, dunque, non impedirebbe loro di rispondere al richiamo dell'appartenenza etnica, allo stesso modo in cui nemmeno per i membri della minoranza serba in Macedonia, se si deve credere seriamente alle parole del presidente del Partito Democratico serbo di Macedonia, Dragisa Miletic, costituirebbe un impedimento a correre in aiuto dei propri fratelli dall'altra parte del confine. Con o senza corridoio, a giudicare da tutto, la Macedonia sarebbe comunque coinvolta in un conflitto armato nel Kosovo. Al potere di qui non rimane che cianciare vanamente o prepararsi seriamente a ogni situazione. O, piu' probabilmente, entrambe le cose. UN MESSAGGIO Considerando la situazione in questo contesto, gli osservatori che non sono inclini a drammatizzare eccessivamente gli eventi ritengono probabile che Kiro Gligorov, da buon politico esperto quale e', non si sia affatto lasciato scappare un segreto di stato, ma che piuttosto abbia voluto mandare un messaggio a un indirizzo a lui noto. La promozione dell'idea del corridoio viene messa in relazione con il cessare del mandato delle attuali forze di pace in Macedonia [un contingente ONU, a composizione prevalentemente americana, del quale e' stato recentemente deciso il ritiro nel luglio prossimo - n.d.t.]. Le autorita' macedoni ritengono evidentemente che anche solamente il pericolo di un conflitto alle proprie frontiere settentrionali dovrebbe essere sufficiente per fare installare qui una nuova forza di intervento, anche al prezzo di mettere in questione in determinati ambienti la capacita' del paese di difendersi da solo. Alcuni fatti relativi a queste posizioni la Macedonia non si preoccupa nemmeno di tenerli nascosti e, basandosi sull'attuale disposizione delle forze e sugli attuali sviluppi internazionali, alcuni ambienti dello stato stanno soccombendo sempre piu' alle categorie emozionali, a scapito di quelle politiche. (già pubblicato in "Notizie Est" #21, 22 febbraio 1999) LA NATO E' CHIUSA IN UN CIRCOLO VIZIOSO INSIEME A MILOSEVIC [...] KAPITAL: Per la Macedonia l'ondata di profughi dal Kosovo è stata una sorpresa come per la NATO e l'UE? FRCKOVSKI: No, non è stata una sorpresa, ci siamo preparati a una tale ondata anche nei precedenti governi. Purtroppo l'attuale governo non ha proseguito riguardo a tale questione le politiche dei suoi predecessori, cioè il concetto di un corridoio e non della completa chiusura del confine. Allo stesso tempo, ci sarebbe dovuto essere un pieno controllo della situazione e il trattamento fin dall'inizio della Macedonia solo come paese di transito, una posizione con la quale i governi occidentali sarebbero stati subito esposti a una pressione che li avrebbe costretti ad assumersi la responsabilità della propria azione in Kosovo. Ora lo hanno fatto due settimane dopo l'inizio della guerra e il ritardo ha riversato in Macedonia 120.000 persone. I risultati sono: un trauma per il governo, un trauma per i profughi, che si trovano in condizioni incredibilmente cattive, soprattutto quelli che ancora non hanno passato il confine. Tutto questo strema la nostra economia in misura enorme e poteva essere evitato se fin dall'inizio si fosse adottato un tale atteggiamento con i paesi occidentali. Bisognava che esponessimo anche i paesi confinanti a questa ondata, non possono pensare di avere una politica di buon vicinato con la Macedonia e allo stesso tempo di fare solo da osservatori e valutare se possono accettare due, tre o cinquemila profughi, oppure nemmeno uno. Se la Macedonia non teme un cambiamento dell'equilibrio etnico, loro hanno ancor meno motivi per temerlo. [...] La reazione di Skopje poteva farsi sentire nei primi 4 giorni, tenendo sotto controllo il confine e lasciando passare solo la quantità di profughi che sarebbe stato possibile in un primo tempo spostare e successivamente deportare. [...] KAPITAL: Qual è la strategia vincente della guerra - i bombardamenti, l'intervento di terra o qualcos'altro? FRCKOVSKI: L'unica strategia della NATO è la vittoria. La vittoria per la Macedonia significa evitare l'ampliarsi del conflitto e il reclutamento di soldati per l'UCK sul nostro territorio come retrovie. Se riusciamo a evitare queste due cose, secondo me, la Macedonia trarrà vantaggi da questa crisi. Rimarrà l'unico pezzo di terra al centro dei Balcani (mi scuso qui con la Bulgaria) intorno al quale ci sarà il deserto: la Bosnia, l'Albania, il Montenegro, il Kosovo, la Serbia. Questo significa che l'intero mercato sarà orientato verso di noi e verso la Grecia alle nostre spalle. Inoltre la NATO è qui, penso addirittura che dopo questa crisi ci avvicineremo a essere ammessi nella NATO e nell'Unione Europea. La Macedonia può diventare il centro delle sedi di svariate organizzazioni politiche, economiche e finanziarie che coprono i Balcani meridionali. Il ciclo degli investimenti è legato alla sicurezza di una data regione, nel nostro caso, alla presenza della NATO. Per questo è importante ora che riusciamo a controllare questi due punti - il problema dei profughi e la pericolosità di un ampliamento del conflitto oltre i suoi confini. KAPITAL: Che aspetto avranno i Balcani dopo la fine della guerra? FRCKOVSKI: L'operazione della NATO si pone come obiettivo la fine della favola dei grandi stati nei Balcani. Siamo testimoni dell'illusione di un grande stato serbo, ma verrà liquidata anche l'illusione di un grande stato albanese. La guerra verrà persa come minimo da due parti - i serbi e gli albanesi. L'obiettivo è quello di fare tornare la Serbia a una collaborazione con la comunità internazionale. Ritengo anche che la tragedia degli albanesi sia stata ampiamente messa in conto preventivamente come rischio nella pianificazione dell'operazione, il contrario sarebbe molto stupido. Non si sa se tutti torneranno in Kosovo, se si arriverà all'80% sarà già moltissimo. In Macedonia non si disperderanno, ma in Occidente sicuramente. Inoltre, parte del Kosovo è già ripulita, in particolare la Metohja, e quindi ci si può arrischiare a una spartizione della provincia. C'è inoltre la tragedia umana, che entra nella memoria collettiva, ma ritengo che la NATO cercherà di mantenere i confini come in Bosnia - anche in quel caso tutto si era disfatto. Anche se si dovesse arrivare a uno stato di fatto indipendente, non si arriverebbe comunque a uno stato giuridicamente indipendente. Inoltre, non si sa nemmeno se si tratterebbe dell'intero Kosovo o solo di parte di esso. Ma questa guerra vedrà un altro perdente, e cioè la NATO. L'operazione è molto costosa, dopo una tale avventura nessuno potrà più convincerla a organizzarne un'altra simile nella regione. E quindi i paesi occidentali cercheranno di mettere fine per sempre ai problemi nei Balcani meridionali e le possibilità di un allargamento [dell'Albania] alla Macedonia Occidentale verranno escluse, gli albanesi non potranno più mobilitare l'Occidente per costringerlo a fare qualcosa di così costoso. La NATO ora è chiusa in un circolo vizioso con Milosevic. Il prezzo di tutto questo è alto e il fatto che il numero dei civili stia cominciando ad aumentare anche tra i serbi è un fatto imbarazzante per la NATO. KAPITAL: Ma le bombe e i missili, alla fine, riusciranno a risolvere la guerra? FRCKOVSKI: Non ci sono guerre che terminano con le bombe. Ci sarà un accordo politico - la questione è se verrà firmato con Milosevic o si cercherà di eliminarlo fisicamente, come mi sembra possa accadere. Ora anche Rugova svolge un ruolo strano, lo minacciano anche da parte dell'UCK e si trova sotto il diretto controllo dei serbi. La sua vera posizione diventerà chiara quando potrà uscire dal Kosovo. Chi saranno gli attori che firmeranno l'accordo lo vedremo, ma tale accordo non potrà più essere lo stesso di Rambouillet. Perfino i paesi occidentali ora ritengono che debba essere modificato come minimo negli aspetti riguardanti i profughi. I paesi occidentali devono modificare i loro obiettivi. Non appena hanno cominciato a bombardare, gli obiettivi hanno preso a cambiare drasticamente. Penso che mancasse un'analisi aggiuntiva anche da parte della NATO. Devono affrontare in modo più serio il problema della pulizia etnica. (intervista a cura di Stanka Toseva - Nota su Ljubomir Frckovski: giurista, uno dei più noti esperti macedoni nel campo. Ministro degli interni nel primo governo macedone, ministro degli esteri nel governo di Branko Crvenkovski (guidato dai socialdemocratici del presidente Kiro Gligorov), che ha abbandonato a causa dei dissensi con la sua politica. Oggi insegna presso la Facoltà di Legge dell'Università di Skopje) |