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![]() NOTIZIE EST #208 - JUGOSLAVIA/KOSOVO UCK: RIBELLI CON UNA CAUSA NON COMUNE TIRANA, 22 aprile - In Kosovo è già in corso una guerra di terra. Si tratta di una guerra di guerriglia, contraddistinta da imboscate "colpisci e fuggi" contro le forze jugoslave da parte di un esercito ribelle improvvisato che deve razionare le munizioni. I villaggi vengono presi con carabine a ripetizione, per essere poi persi nel giro di qualche ora sotto granate da 82 mm. Uomini in uniforme con fucili d'assalto sparano ai corazzati dell'esercito e poi fuggono. Arrivano nuove reclute così inesperte, che non possono essere utilizzate per altro che per gli approvvigionamenti di cibo. Mischiati in mezzo a tutto questo vi sono le migliaia di profughi esausti e affamati che cercano la protezione di una forza ribelle incapace di distruggere una singola postazione fissa di artiglieria, per non parlare di riprendere i villaggi dai quali i civili sono fuggiti. Sporca, limitata e apparentemente impossibile da vincere, questa è la guerra dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) un mese dopo l'inizio degli attacchi aerei della NATO contro il governo della Jugoslavia controllato dalla Serbia. L'alleanza occidentale, prendendo in considerazione l'introduzione di sue forze di terra in Kosovo, si lascia portare sempre più vicino ai guerriglieri albanesi e alla loro guerra per liberare la provincia dal dominio della Serbia - le repubblica dominante della Jugoslavia. La NATO sta cercando di mantenere la propria distanza dall'UCK, rifiutando di fornire armi ai ribelli o di appoggiare apertamente il loro obiettivo di un Kosovo indipendente. Ma l'approccio freddo della NATO è difficile, perché l'alleanza e i ribelli stanno conducendo una battaglia comune contro il governo di Belgrado e perché l'UCK è emerso nelle ultime settimane come l'unica forza politica legittima che rappresenta gli 1,6 milioni di albanesi della provincia. Mentre rimane sempre più impegolata con i ribelli, la NATO sta lottando per valutare il potenziale militare, la struttura e l'ideologia di un gruppo insurrezionale nebuloso, che in questo momento si trova in situazione di rapido mutamento sul campo di battaglia - sia nelle fila della sua leadership che nella sua posizione politica tra gli albanesi del Kosovo. L'UCK ha mostrato lampi di varie facce nei sette anni della sua esistenza - comunista, nazionalista, democratica, islamista, criminale. Si tratta di un movimento che in certi momenti è sembrato profondamente frazionato, inetto e scarsamente sofisticato, mentre in altri ha sorpreso sia l'Occidente che i suoi nemici di Belgrado con la propria efficienza ed elasticità. Ora, mentre sta combattendo disperatamente sul campo di battaglia, l'UCK ha già incassato un'importante vittoria politica: questo gruppo male organizzato e scarsamente armato, formato da studenti, contadini ed ex prigionieri politici, è riuscito a portare la propria insurrezione in un angolo oscuro dell'Europa ai primi posti dei programmi internazionali. Anche se la battaglia per il futuro del Kosovo è lontana dall'essere finita, è chiaro che l'Esercito di Liberazione del Kosovo sarà un elemento centrale del suo esito finale - proprio come la sua leadership ha sempre insistito che sarebbe stato. SOPRAVVIVERE ALL'OFFENSIVA La prima sfida per l'UCK è la sopravvivenza. L'esercito ribelle, che una volta contava almeno 8.000 membri, era altrettanto impreparato della NATO alla ferocità dell'offensiva jugoslava scatenata dopo che i bombardamenti sono cominciati il 24 marzo. Anche se l'UCK ha cercato fin dallo scorso autunno di accumulare forniture e munizioni per quella che prevedeva sarebbe stata una stagione di combattimento in primavera, molte delle sue scorte sono state consumate nelle scaramucce che sono cominciate in dicembre e si sono intensificate a gennaio e a febbraio. Alti ufficiali dell'UCK si sono lamentati nelle ultime settimane di essere cronicamente a corto di munizioni. Un elemento chiave della strategia militare jugoslava contro l'UCK è stato quello di espellere un ampio numero di civili dalle loro case, eliminando ogni base di supporto civile ai ribelli e creando un immenso disturbo logistico - una "bomba della popolazione", per usare le parole di un funzionario militare occidentale. Sokol Bashota, un alto ufficiale della direzione politica dell'UCK ha ammesso che la tattica ha largamente funzionato. "Abbiamo un problema grosso, veramente grosso, con i civili", ha detto in un'intervista telefonica. "Si stanno muovendo da un luogo all'altro. Non c'è cibo a sufficienza. Non ci sono aiuti a sufficienza. Non sappiamo come aiutarli, anche se stiamo tentando di farlo". Allo stesso tempo, l'esercito jugoslavo ha cacciato l'UCK da ampie zone di territorio che in precedenza erano controllate dai ribelli. Anche se è impossibile ottenere cifre sulle vittime, si ritiene che molti guerriglieri siano stati uccisi e centinaia, se non migliaia, di essi siano fuggiti sulle montagne o nel rifugio temporaneo del nord dell'Albania. Nonostante questi rovesci, l'UCK è riuscito a rimanere attivo all'interno del Kosovo e a conservare la sua struttura fondamentale di comando. Almeno 10 aree isolate del territorio della provincia - con una fascia di ampiezza di norma compresa tra i 10 e i 16 chilometri - rimangono sotto il controllo completo dei ribelli, anche se la situazione cambia praticamente ogni giorno e le unità militari jugoslave, almeno fino a poco tempo fa, erano in grado di muoversi in buona misura come volevano, dice un funzionario occidentale. Fonti dell'UCK dicono che i ribelli hanno creato un piccolo corridoio dall'Albania settentrionale, vicino alla città di confine di Tropoje, che entra per circa una dozzina di chilometri nel territorio del Kosovo, e stanno cercando di raggiungere la città kosovara di Junik. Sperano che la NATO, utilizzando gli elicotteri d'attacco Apache, tracci un corridoio molto più ampio nel Kosovo, consentendo ai profughi rimasti intrappolati di fuggire - e, l'UCK spera, rifornendo i ribelli. Circa 8.000 nuove reclute, tra le quali albanesi-americani, sono state portate nei campi di addestramento nell'Albania settentrionale il mese scorso per entrare in Kosovo, dove sperano di combattere. Funzionari occidentali e dell'UCK informano che il problema della carenza di munizioni si è fatto meno grave negli ultimi 10 giorni. L'ampio risentimento in Albania per l'espulsione forzata degli albanesi del Kosovo ha spinto il governo a fornire un'assistenza molto più diretta ai guerriglieri, passando camion e munizioni ai ribelli, secondo funzionari occidentali e albanesi. Inoltre, gli attacchi aerei della NATO hanno aiutato l'UCK a raggiungere alcune saltuarie vittorie tattiche, ivi inclusa la cattura di magazzini di armi e munizioni. Un successo di questo tipo si è avuto vicino al villaggio di Terpeze, nel Kosovo meridionale, quando la settimana scorsa i ribelli hanno conquistato una larga quantità di munizioni. Ufficiali dell'UCK hanno negato di ricevere alcuna assistenza significativa dai paesi della NATO o dai team di forze speciali occidentali che si ritiene operino all'interno del Kosovo. Ma sta emergendo una relazione indiretta tra le due forze. Ufficiali dei ribelli conducono regolari discussioni via telefono satellitare con dei contatti designati relativamente a questioni tattiche e strategiche e questi contatti a loro volta riferiscono informazioni utili al personale che in Belgio pianifica gli obiettivi della NATO. Il principale ostacolo a una cooperazione militare più stretta in questa fase, secondo varie fonti, è che la NATO, per selezionare i propri obiettivi, continua a usare una procedura impacciata, che richiede una pianificazione preventiva e un immenso supporto logistico. Il fatto, più che ogni altra cosa, impedisce ai soldati dell'UCK di agire come ricognitori per gli aerei occidentali. "Alcune volte," dice Bashota, "fanno la cosa giusta e vanno nel luogo giusto, altre volte no". Da quando gli aerei della NATO hanno cominciato ad attaccare colonne militari in Kosovo, una settimana fa circa, le unità jugoslave sono state costrette a muoversi in più piccole concentrazioni e di notte. Il risultato è stato quello di renderle più vulnerabili ai raid di tipo guerrigliero per i quali i soldati dell'UCK si sono addestrati durante l'inverno. Come in ogni esercito che si trova sotto forte pressione militare, l'UCK ha lasciato che un gruppo di ufficiali militari dotati di esperienza assumessero una maggiore autorità rispetto al mese scorso, mettendo nell'ombra per il momento un gruppo di leader più politicamente orientato e forse più moderato, che aveva sostenuto l'accordo di pace elaborato con i paesi occidentali a Rambouillet, in Francia, nel febbraio scorso. "Non è una guerra di soldati", ha detto un funzionario occidentale. SULLA DIFENSIVA La risposta militare dell'UCK all'offensiva è stata guidata da un veterano di guerra che si chiama Bislim Zyrapi, un ex comandante di brigata della milizia bosniaco-musulmana durante la guerra del 1992-1995 in Bosnia. Zyrapi ora è capo di stato maggiore militare dell'UCK e lavora da un quartiere generale di comando che si sposta di continuo all'interno del Kosovo, rimanendo in contatto con i sei comandanti di zona attraverso un telefono satellitare. Hashim Thaci, il leader politico dell'UCK, si trova anch'egli in Kosovo, secondo fonti dell'UCK. E' meno chiaro quale sia il ruolo di Azem Syla, che alcuni funzionari occidentali dicono possa essere il comandante militare di fatto. Suleiman Selimi, un'ex star del calcio jugoslavo nominato pubblicamente comandante in capo militare due mesi fa, svolge ora un ruolo meno importante, dicono i funzionari. Il capo delle operazioni militari è un uomo di nome Drini, che è stato capitano nell'artiglieria dell'esercito e della difesa aerea jugoslava fino al 1993. Un altro uomo, di nome Ramush, che in passato aveva fatto parte dell'esercito jugoslavo e della legione straniera francese, comanda la zona del Dukagjin nel Kosovo occidentale. Insieme a un uomo di nome Remi, che comanda la zona di Llap nel Kosovo nord-orientale, viene considerato generalmente come il comandante regionale più capace dell'UCK. Le aree che sono state esposte alla maggiore pressione e hanno subito le maggiori perdite sono state quelle della Drenica, nel Kosovo centrale - da lungo tempo il cuore del territorio dell'UCK - ed Ershale, nel Kosovo settentrionale. La sola Drenica è stata attaccata in quattro offensive militari separate da forze del governo a partire dal 21 marzo, secondo Bashota. I posti di comando in queste aree vengono ora spostati costantemente e sono pochi i soldati ribelli che vi sono rimasti. Ma forze di maggiore consistenza sono con ogni evidenza ancora dispiegate vicino al confine con l'Albania e nelle aree intorno alle città di Orahovac, Urosevac e Klina, nonché intorno al villaggio di Likovac. Secondo un funzionario occidentale che segue da vicino la guerra vi è un ampio consenso intorno al fatto che queste forze rimanenti non saranno in grado di sconfiggere le forze del governo jugoslavo che attualmente si trovano in Kosovo, anche nel caso in cui dovessero lavorare più a stretto contatto con gli aerei della NATO. "Per farlo, dovrebbero distruggere tutte le piattaforme di armi dei serbi" in Kosovo, un obiettivo che non sono in grado di raggiungere che i fucili d'assalto AK-47 e i lanciamissili a spalla che rimangono nel loro arsenale. In altre parole, ha detto il funzionario, l'UCK non è più sufficientemente forte per funzionare come una forza di terra che possa cacciare l'esercito jugoslavo dal Kosovo. "Non vedo alcuno scenario in cui le forze di terra NATO possano entrare in un Kosovo svuotato dalle forze serbe con una combinazione di attacchi aerei della NATO e di azioni dell'UCK", dice il funzionario. L'attuale politica della NATO presume l'opposto - che i colpi portati alle unità jugoslave dall'aria e azioni di disturbo sempre maggiori dell'UCK sul terreno creeranno infine un ambiente sufficientemente "permissivo" da consentire alle forze di terra NATO di entrare trovandosi ad affrontare una scarsa opposizione. Ma qual è il ruolo che l'Occidente si aspetta l'UCK debba svolgere in questo scenario rimane poco chiaro. L'ambivalenza della NATO riflette in parte il suo timore di avviare una corsa alle armi nei Balcani, dotando l'UCK di armi sofisticate - la Russia potrebbe in un tale caso diventare un aperto fornitore di Belgrado. Ma l'attuale politica trova le sue origini nelle preoccupazioni relative all'UCK stesso. GLI INIZI L'UCK è stato fondato nel 1992, l'anno in cui è cominciata la guerra bosniaca. Aveva un nucleo di tipo misto: vecchi fautori della linea dura, come Adem Demaci, che è stato imprigionato per essersi espresso a favore di una Repubblica del Kosovo all'interno della Jugoslavia di Tito; giovani studenti come Thaci; radicali della diaspora come Jashar Salihu, un ex insegnante di inglese che ora gestisce dalla Svizzera il fondo "La patria chiama"; e capoclan e contrabbandieri di villaggi come Adem Jashari, un contadino barbuto e con l'aspetto di un bandito, la cui morte l'anno scorso ha scatenato una guerra aperta nella provincia. L'UCK era un movimento radicale nato in risposta al nazionalismo serbo radicale. Nel 1989, il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, sfruttando il serbatoio di nazionalismo offerto dall'immagine quasi mitica che la provincia ha tra i serbi, ha tolto al Kosovo la sua autonomia. Decine di migliaia di albanesi del Kosovo sono stati licenziati. Centinaia di intellettuali, difensori dei diritti umani e attivisti politici sono stati imprigionati. Inizialmente, tuttavia, la politica degli albanesi era dominata da un intellettuale appartato, Ibrahim Rugova, che era a favore dell'indipendenza del Kosovo mediante mezzi non violenti. Rugova e la sua Lega Democratica del Kosovo hanno dato vita a uno stato parallelo, che comprendeva scuole proprie e un sistema di assistenza sanitaria. L'UCK non aveva né appoggio popolare né un'organizzazione. La campana a morte per la protesta pacifica è suonata con la fine della guerra bosniaca nel 1995 e i relativi accordi di Dayton, che ignoravano la richiesta degli albanesi del Kosovo di un ripristino dei loro diritti politici. "Milosevic è stato portato al tavolo delle trattative e il problema del Kosovo è stato sacrificato", dice Ylber Hysa, che era direttore esecutivo del Kosovo Action for Civic Initiatives fino a quando non è stato espulso da Pristina con altri profughi il mese scorso. "Per i kosovari è stato un segno che in Jugoslavia solo chi abbraccia la lotta armata riesce a ottenere qualcosa". All'inizio del 1998 l'UCK stava crescendo ed era sufficientemente visibile con le sue operazioni "colpisci e fuggi" perché l'inviato speciale degli Stati Uniti nei Balcani Robert Gelbard si sentisse obbligato a condannarlo come un "gruppo terroristico". Nonostante tutti i suoi recenti successi politici, l'UCK rimane un oggetto di sospetto in Occidente. Vi è preoccupazione per il ruolo del gruppo in un Kosovo post-conflitto, soprattutto per i suoi supposti progetti di unificazione degli albanesi del Kosovo, dell'Albania e della Macedonia in un più ampio stato albanese. La fonte delle armi e dei fondi dell'UCK rimane oscura. L'UCK, attraverso il fondo "La patria chiama", fa affidamento sugli albanesi all'estero che pagano il 3 per cento del loro reddito per la causa, raccogliendo decine di milioni di dollari annualmente, secondo fonti occidentali e informazioni dell'UCK sulla sua raccolta di fondi. Anche se l'UCK nega ogni collegamento con attività criminali, funzionari di polizia occidentali dicono che gang criminali albanesi incanalano alcuni dei loro profitti nello sforzo di guerra. "Gruppi di trafficanti di droga turchi utilizzano albanesi, jugoslavi ed elementi di gruppi criminali del Kosovo per vendere e distribuire la loro eroina", secondo l'ufficio di Roma della DEA, l'agenzia antidroga degli Stati Uniti. "Si ritiene che questi gruppi siano parte del braccio finanziario della guerra dell'UCK contro la Serbia. Questi kosovari finanziano la loro guerra tramite attività di traffico di stupefacenti, di armi e di altre merci illegali... nonché con il contributo dei loro connazionali che lavorano all'estero". Gli ufficiali dell'UCK negano il coinvolgimento in attività criminali. Dicono anche che il ruolo dell'Occidente in Kosovo dopo l'attuale guerra fisserà le regole democratiche del gioco - per l'UCK e per gli altri. Gli ufficiali dell'UCK sostengono anche che nonostante la loro parentela politica con gli albanesi della regione, essi si rendono conto che una Grande Albania non è fattibile. Visar Reka, un ufficiale dell'UCK in Svizzera, ha detto che anche se in passato l'UCK ha ricevuto armi dal Medio Oriente, il gruppo rifiuta il fondamentalismo islamico e che le relazioni tra l'UCK e i radicali islamici si sono deteriorate a tal punto che il flusso di armi si è prosciugato. Egli tuttavia non ha escluso che l'UCK possa di nuovo rivolgersi al Medio Oriente per ottenere aiuti se continuerà a perdere colpi senza il sostegno della NATO. L'UCK si dice stupita dal disprezzo dell'Occidente ed esprime la propria frustrazione per la strategia della NATO, che non ha dato all'UCK il tipo di spazio sul terreno che sperava di potere sfruttare. "La comunità internazionale avrebbe dovuto accettare l'UCK come un alleato in una guerra contro lo stesso nemico", ha detto Jakup Krasniqi, portavoce del governo provvisorio del Kosovo. "Perché l'Occidente non ci ha accettati? E' una domanda che continuiamo a porci". [...] |