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![]() NOTIZIE EST #212 - NATO/JUGOSLAVIA/KOSOVO SUMMIT NATO: PAROLE ALTISONANTI, MA NIENTE DI PRECISO Pur in assenza di una chiara prospettiva per la fine della guerra in Jugoslavia, la NATO ha parlato massicciamente di vittoria durante il suo consiglio militare trasformatosi in summit. Ma la vittoria non è stata mai definita nelle sue più ampie implicazioni. La NATO è uscita dalla riunione per il suo 50° anniversario, il primo tenutosi mentre bombe e razzi esplodono, con i suoi leader che hanno ripetuto con toni ipnotizzanti che l'alleanza vincerà, prevarrà, ce la farà e sistemerà tutto, ma senza entrare nello specifico di come sarà possibile costringere le forze jugoslave a uscire dal Kosovo o concordare una formula politica in grado di portare alla pace. Il summit non ha portato alcuna chiarezza effettiva sull'eventuale uso di truppe di terra e nemmeno una singola opinione sul fatto se con la fine di Milosevic si intende la sua capitolazione o una mezza vita che possa fare da velo alla sua sconfitta. E nonostante tutte le dichiarazioni dei leader per garantire l'onorabilità della guerra di fronte alla barbarie in Europa, non vi è stato alcun tentativo di giustificare o modificare l'avversione operativa della NATO a esporsi a rischi, che ha bloccato i lanci aerei di cibo ai kosovari e le azioni di bombardamento a bassa quota. Al posto di ciò, sono stati rivolti appelli agli elettorati dei paesi dell'alleanza, in particolare da parte del presidente Bill Clinton e del segretario generale della NATO Javier Solana, affinché diano prova di una grande, grandissima pazienza. Nei fatti, se si eccettua la decisione di intensificare drasticamente la guerra - ma l'entrata in combattimento degli elicotteri Apache è stata descritta privatamente da uno dei partecipanti alle riunioni a livello di ministri come un girare attorno al dispiegamento di truppe di terra, piuttosto che un andare verso di esso - tutte le evocazioni di un'imminente vittoria sono state assolutamente fragili e inconsistenti. [...] Le domande più ampie che non hanno ottenuto risposta sono: * quante delle forze che potrebbero entrare in Kosovo saranno messe a disposizione della NATO e, inoltre, l'alleanza, con gli Stati Uniti in testa, sarà il principale elemento politico che determinerà il futuro dei Balcani? * gli Stati Uniti sono davvero disponibili a proseguire la guerra per poi affidarne la gestione dei risultati a un comitato che includa alleati NATO, ma anche la Russia, le Nazioni Unite e l'Unione Europea? Chiedere ora delle definizioni esatte di cosa significhi vincere o prevalere riguardo a questi punti, hanno suggerito i partecipanti, causerebbe sicuramente dei problemi. Ma in pubblico, in una delle sue conferenze stampa, il presidente francese Jacques Chirac ha descritto quella che definisce una vittoria ormai a portata di mano. [...] Chirac è apparso radiante, come se lui, e le sue controparti europee, il primo ministro britannico Tony Blair e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, fossero sicuri di trovarsi di fronte a una guerra molto positiva. Il livello di soddisfazione era tale che rendeva evidente una certezza: se l'impegno di guerra contro la Jugoslavia dovesse portare a delle vittorie reali, queste ultime verrebbero ottenute in misura molto minore sul regime di Milosevic e molto di più per gli obiettivi strategici nazionali di ognuno dei più importanti paesi d'Europa. Solo gli Stati Uniti sono apparsi sotto pressione per cercare di dimostrare che anche loro stanno vincendo. La Francia, che continua ufficialmente a rimanere fuori dall'ala militare dell'alleanza, ha incassato un numero notevole di punti. La sua forte partecipazione militare è servita a legittimare la propria posizione ai margini della NATO, dimostrando che può essere un alleato fedele, adottando allo stesso tempo una posizione indipendente, addirittura provocante, su altri aspetti. Dal punto di vista delle strategie politiche della Francia, la sua piena partecipazione alla guerra dimostra che essa è un paese europeo indispensabile, dotato di capacità militari con le quali la Germania non può ancora rivaleggiare, e questo mentre Parigi è impegnata negli affari dell'Unione Europea in maniera molto più intensa della Gran Bretagna. La proposta di Chirac che sia l'UE - "naturalmente", ha detto in francese - a prendersi carico dell'amministrazione del Kosovo dopo la guerra, vuol dire mettere in luce la Francia come la principale forza politico-militare in Europa. E i suoi sforzi per limitare l'uso unilaterale della potenza statunitense attraverso soggetti multilaterali come il Consiglio di sicurezza dell'ONU possono ora apparire come una sincera preoccupazione, piuttosto che come un recalcitrante antiamericanismo. E infatti, in due conferenze stampa Chirac ha evitato ogni specifica menzione della NATO o degli Stati Uniti nel parlare della forza internazionale che dovrà entrare in Kosovo nell'ambito di un eventuale scenario di vittoria. Per la Gran Bretagna, la situazione jugoslava ha consentito a Blair di sottolineare nuovamente l'unicità della capacità del suo paese di mantenere relazioni di particolare fiducia con gli Stati Uniti dall'interno di un contesto europeo. Di tutti i leader dell'alleanza presenti a Washington, Blair è stato l'unico che ha avuto un chiaro impatto sul Congresso, offrendo un messaggio interpretato come un volere fare affidamento sulla soluzione militare in misura maggiore rispetto a quanto lo voglia lo stesso governo degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, l'alto profilo del coinvolgimento della Gran Bretagna la aiuta a rimanere un elemento essenziale nelle discussioni sul futuro strategico dell'Europa e tende a cancellare l'impressione, all'interno dell'UE, che la Gran Bretagna sia meno che pienamente europea, con la sua scelta di rimanere fuori dall'Unione Monetaria Europea. In Europa, la guerra ha portato in rilievo anche il significato degli sforzi congiunti di Gran Bretagna e Francia per creare una componente europea dell'alleanza che sia in grado di richiedere strutture e dispositivi militari degli USA per interventi che non includano una partecipazione americana. L'iniziativa non avrebbe alcuna possibilità di successo agli occhi degli Stati Uniti, senza il riaffermarsi di questi giorni della Gran Bretagna come un partner particolarmente fidato. Le vittorie "nel giardino di casa" si estendono alla Germania, il cui appoggio ai bombardamenti e l'invio di aerei viene considerato dal governo di Schroeder come una dimostrazione di quanto il paese è emerso come partner di pari livello nella leadership dell'alleanza e nel concerto delle nazioni. Il cancelliere, tra le altre cose, dicendo che la guerra "verrà vinta perché deve essere vinta", ha dato un'impressione di solidità e sicurezza che non aveva mai dato nei suoi primi cinque mesi al potere, considerati generalmente inefficaci. Sia la Francia che la Germania, con un interesse comune per future partnership, hanno ritenuto di avere vinto delle significative battaglie rivendicando per la Russia il ruolo che le viene ora riconosciuto nella ricerca di una soluzione per il Kosovo. Se la guerra non dovesse andare oltre, Schroeder sarebbe indubbiamente contento di potere incassare i suoi guadagni. Le sue vittorie, tuttavia, potrebbero essere diminuite dalla resistenza che opporrebbero i sindacati, le organizzazioni della chiesa, i suoi partner di coalizione, i Verdi e la sinistra del suo stesso partito al dispiegamento di truppe di terra. Per gli americani non vi sono state vittorie private intermedie del tipo di quelle che non possono dare altro che soddisfazioni ai francesi, ai britannici e ai tedeschi. Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare soprattutto degli obblighi: fornire circa quattro quinti degli aerei nel teatro di guerra, ma anche cercare di rendere sicuro, almeno secondo la loro visione, che l'alleanza effettivamente vinca e che i termini della vittoria non diminuiscano il ruolo della NATO come garante della sicurezza in ampie parti del mondo. Finora, nulla, oltre alle dichiarazioni di intenti degli americani, ha indicato che l'esito sarà questo. (titolo di "Notizie Est") |