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NOTIZIE EST #231 - NATO/JUGOSLAVIA/KOSOVO
20 maggio 1999


IL CONSIGLIO ATLANTICO VIENE ESCLUSO DALLA DIREZIONE DELLE OPERAZIONI
di Luc Rosenzweig - ("Le Monde", 13 maggio 1999)


Ormai è noto a tutti che la crisi del Kosovo è gestita da una "direzione informale" delle operazioni, che riunisce il capo della Casa Bianca e i suoi "alleati privilegiati", cioè i suoi omologhi di Londra, Parigi e Bonn.

La "fase 2 allargata", il nome dato dai diplomatici che operano presso la sede dell'Alleanza atlantica alla tappa attuale della guerra contro la Jugoslavia, è stata definita di fatto da una concertazione diretta tra i capi di Stato e di governo delle quattro principali potenze della NATO. Il Consiglio Atlantico, organo politico permanente dell'Alleanza, composto da diciannove ambasciatori dei paesi membri, così come il suo comitato militare, sono stati così marginalizzati. Ma questa situazione non offre altro che degli inconvenienti. Essa permette in particolare all'organizzazione di continuare a dare l'immagine di un fronte unito, mentre invece, per delle ragioni di politica interna, alcuni alleati, e in primo luogo la Grecia e l'Italia, sono stati costretti a fare valere le loro remore nei confronti dell'estensione della guerra aerea.

Chi dirige l'operazione "Allied Force"? Formalmente è il segretario generale della NATO che, il 22 marzo, ha ricevuto il mandato di avviare la "fase 1" della campagna aerea contro la Jugoslavia, che aveva come obiettivo la distruzione del sistema di difesa aereo. Una settimana più tardi, una consultazione informale tra i diciannove membri dell'Alleanza decideva di autorizzare il suo stato maggiore a passare alla "fase 2", consistente, nella pianificazione originale, nella distruzione delle capacità militari di Belgrado a sud del 44° parallelo, vale a dire in una zona che si estende dai sobborghi della capitale fino alla frontiera meridionale del Kosovo.

Ora che l'operazione è entrata nella sua ottava settimana, si può constatare come il ventaglio degli obiettivi si sia notevolmente ampliato, geograficamente e nella loro natura, fino a includere tutti gli obiettivi che, agli occhi degli alleati, contribuiscono allo sforzo militare serbo: vie di comunicazione, siti industriali, stazioni radiotelevisive, edifici pubblici dei quali si ritiene ospitino organi del potere e decisionali. Ufficialmente, non si è entrati nella "fase 3" che prevedeva la distruzione della macchina militare di Slobodan Milosevic su tutto il territorio della Jugoslavia. Questa "fase 2 allargata", termine utilizzato senza il minimo senso dell'ironia dai diplomatici che operano presso l'Alleanza, ha come vantaggio soprattutto quello di non necessitare di un mandato formale del Consiglio atlantico, organo politico permanente dell'Alleanza composto da diciannove ambasciatori dei paesi membri.

Oggetto di voci in un primo tempo nei corridoi della sede dell'Alleanza, a Bruxelles, l'esistenza di una "direzione informale" delle operazioni, imperniata sugli Stati Uniti e sugli "alleati privilegiati" (Gran Bretagna, Francia, Germania) è diventata ormai un elemento praticamente pubblico della gestione della crisi del Kosovo. A ogni fase della guerra, la definizione della linea politica e militare avviene mediante un concertazione diretta tra i capi di stato o di governo delle capitali in questione, mentre il Consiglio atlantico e il suo comitato militare vengono invitati unicamente a discutere i particolari della messa in atto di tale linea.

Così, in occasione delle sue ultime riunioni (se ne svolgono più di tre alla settimana), il Consiglio si è soffermato sugli aspetti militari e giuridici dell'embargo sui prodotti petroliferi destinati alla ex Jugoslavia, decretato dagli alleati. La Francia, che si oppone al blocco delle navi dei paesi che non partecipano a questo embargo, ha ottenuto una vittoria, mentre gli Stati Uniti erano favorevoli a misure più decise. Il comitato militare si occupa attualmente della revisione dei piani relativi alle forze terrestri che dovranno essere impegnate in Kosovo una volta che le cinque condizioni poste dalla NATO saranno state accettate dalle autorità jugoslave.

Il briefing quotidiano organizzato ogni giorno dal portavoce civile Jamie Shea e dal suo omologo militare, il maggiore-generale tedesco Walter Jertz, è diventato un esercizio di routine, molto povero di informazioni precise e incentrato sulle operazioni in corso, ma ricco di formule, piccole frasi, risposte polemiche alla propaganda serba, elaborate dalla task force per le comunicazioni animata dagli specialisti inviati da Bill Clinton e Tony Blair. Non senza che alcune distorsioni si producano tra le valutazioni espresse sugli esiti delle operazioni da parte del generale Jertz e quelle dei suoi omologhi degli stati maggiori dei paesi dell'Alleanza.

Così, martedì 11 maggio, il generale Pierre Segers, direttore delle operazioni dell'esercito belga, ammetteva che otto settimane di bombardamento intensivo sulle forze serbe impegnate in Kosovo non avevano distrutto che il 6% dei carri armati presenti sul terreno, mentre il giorno prima, il generale Jertz aveva affermato che il 20% dei blindati jugoslavi era stato messo fuori combattimento, senza entrare maggiormente nei particolari riguardo alla natura dei veicoli blindati colpiti.