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NOTIZIE EST #238 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
3 giugno 1999


LE BASI DELL'UCK
di Didier François - ("Liberation", 26 maggio 1999)


[Più sotto riportiamo anche un articolo del "Washington Post" che parla di un aiuto dato dagli aerei NATO all'offensiva dell'UCK in corso, senza alcun successo, lungo il confine albanese, ma, sopratutto, illustra come le forze pesanti jugoslave continuino a muoversi con una buona dose di libertà nel Kosovo]

Un plotone di giovani reclute sferra un attacco a una caserma serba immaginaria. Posto al di sopra di un campo, uno dei migliaia di bunker albanesi svolge il ruolo, in modo molto realistico, di una roccaforte del nemico ai margini della foresta. La prestazione dei soldati dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) è laboriosa. Mascherati con una mimetica, resa più impacciante dalle fronde per nascondersi, i futuri combattenti fanno fatica a scalare il pendio. La coordinazione lascia a desiderare. Nel giro di qualche giorno, questi apprendisti soldati saranno inviati a rafforzare un fronte vacillante, martellato senza intervalli dalle batterie jugoslave. A ondate intere, senza la minima esperienza militare. Armati, spesso, della loro sola volontà - e ne hanno da vendere.

DUE SETTIMANE PER FARE UN SOLDATO
I corsi di un soldato dell'UCK durano in media due settimane, semplice abbozzo di una formazione per i volontari arrivati nei campi di addestramento del nord dell'Albania. "E' carne da cannone", confessa un ufficiale superiore. "Ci vorrebbe almeno un mese di messa a nuovo perché un giovane in buone condizioni fisiche, che abbia terminato da poco il proprio servizio militare, assimili le basi tattiche della guerriglia. Sulle montagne questi ragazzi non riusciranno a resistere 48 ore". Giudizio esperto di un uomo "dell'interno". Ferito in combattimento, questo capo di battaglione si è trascinato per cinque giorni fino alla frontiera, ha subito un'operazione in una clinica clandestina, per ritornare claudicante, scosso dalla febbre e con una piaga in suppurazione alle retrovie dell'esercito kosovaro. Periplo spossante, animato dalla speranza di ricuperare combattenti e materiale per la sua brigata esangue: trincerata da due mesi nei massicci del sud-ovest del Kosovo, è esposta alla pressione delle truppe di Belgrado, sempre attive nonostante i raid aerei della NATO.

"Una situazione estremamente difficile", ha riconosciuto il comandante. Quando ci sono stati i nostri ultimi contatti radio i serbi stavano bombardando le nostre posizioni con i loro cannoni, i loro carri armati e addirittura degli aerei. Non utilizzano la loro fanteria. I loro soldati non amano il corpo a corpo. Per questo non sono riusciti a distruggerci. I srebi controllano le strade; noi continuiamo a controllare le montagne e le foreste. Se avessimo delle munizioni potremmo fare loro molto male. Ma ci manca tutto, perfino il cibo e le sigarette. Abbiamo chiesto ai civili di andarsene perché non siamo più in grado di assicurare loro la protezione". L'ufficiale non nasconde la sua delusione. Pensava di trovare in Albania il sostegno necessario per rimettere in sesto il suo battaglione. Le reclute in effetti ci sono, ma sono incapaci di sopportare il lungo viaggio a piedi lungo sentieri che si snodano attraverso le linee serbe. Le armi che la direzione dell'UCK ha promesso proverranno "dall'esterno" brillano per la loro assenza. Nel campo di Helshan, i volontari cercano di marciare al passo, un bastone sulle spalle in guisa di fucile. All'entrata della base, un fotografo professionale munito di un vecchio kalashnikov propone ai soldati di fare loro un ritratto marziale, brandendo l'attributo essenziale del guerriero.

[...]

IL "CORRIDOIO" INTROVABILE
La vera difficoltà consiste nel rifornire di armi e munizioni i guerriglieri all'interno del Kosovo. Le vie di accesso sono scarse e pericolose. Lungo la frontiera con l'Albania, le forze jugoslave hanno concentrato l'essenziale dei loro sforzi, impedendo ogni passaggio regolare. La Macedonia non tollera alcun transito di unità costituite dall'UCK sul suo terreno. "Noi comprendiamo l'interesse della NATO a conservare la stabilità della Macedonia, dove è installata una parte delle sue truppe", ammette un alto responsabile dell'UCK per questo paese. "Come ovunque, d'altronde, noi reclutiamo anche in Macedonia. Ma i nostri volontari vanno ad addestrarsi in Albania. Non organizziamo alcuna azione offensiva a partire dalla Macedonia e non prevediamo di cambiare politica fino al momento in cui i serbi non ci attaccheranno. Se noi combattiamo partendo dalle nostre basi in Albania, è perché i serbi vi hanno scatenato le ostilità".

I primi mesi di battaglia sulla frontiera albanese-jugoslava sono d'altronde costati cari all'UCK. L'esercito serbo occupa tutta la lunghezza della linea delle creste montagnose, zeppe di casematte e di postazioni di artiglieria, senza esitare a penetrare in territorio albanese al fine di garantirsi le migliori posizioni di tiro. Gli accessi a queste posizioni sono minati, così come i sentieri di montagna e i colli, illuminati dai lanciamissili che diffondono minuscole munizione in biglie di acciaio. I giovani soldati kosovari sono stati falciati a centinaia nel tentativo di attraversare questo campo di morte. "Le nostre colonne hanno subito in media dal 50 al 70% delle perdite per tentare di raggiungere l'interno con quello che potevano portare a dorso d'uomo, vale a dire piuttosto poco", riconosce un responsabile indipendentista installato a Kukes. "L'obiettivo era quello di aprire un corridoio per rifornire i nostri combattenti nel Kosovo. Una missione vitale che giustificava la mobilitazione generale". E la carneficina di volontari scarsamente preparati.

Per un ben magro risultato. Una sola vittoria: la presa di Koshare e della sua caserma, il 9 aprile, un villaggio appollaiato al di sopra di una valle incassata, a un pugno di chilometri all'interno del Kosovo. Ma si è trattato di un successo determinante per il morale delle truppe. "Dopo quindici mesi di guerra, combattiamo finalmente sulla nostra terra", sorrideva allora Luni, comandante di uno dei battaglioni che controllavano la posizione. E per la prima volta, attraverso una pista di fortuna, dei camion facevano l'avanti indietro tra i depositi di armi, i campi di addestramento di Tropoja, nel nord dell'Albania, e una sacca "liberata" [Kosare è stata oggetto un paio di settimane fa di un inspiegabile attacco NATO. La caserma occupata dall'UCK è stata colpita con precisione da svariati missili. Sia l'UCK che la NATO parlano di un errore, ma non si capisce come sia stato possibile, visto che Kosare era da sei settimane l'unica base dell'UCK nella zona ed era stata oggetto di numerosi reportage di giornalisti di tutto il mondo, senza contare poi che l'UCK informa costantemente la NATO, anche se per via indiretta, delle proprie postazioni - N.d.T.]

In questo settore, la maggior parte delle unità provengono dalle Forze Armate della Repubblica del Kosovo (FARK), dei fedeli del presidente Ibrahim Rugova che si sono uniti all'UCK solo nel luglio 1998. Argomento toccato con reticenza dai soldati e che infastidisce alcuni dirigenti kosovari a Tirana, spesso legati alle correnti più radicali che hanno dato vita alla resistenza.

"La gente di Tirana passa la maggior parte del proprio tempo a spartirsi i posti di ministri, seduti in comodi alberghi", si lamenta un responsabile dell'UCK a Kukes. "E' una cosa ridicola, e questo gioco di frazioni esiste solo a Tirana. Più vi avvicinate al fronte, più l'unità è grande. A Kukes, le divisioni sono nettamente meno forti. Si riducono ancora di più a Tropoja. All'interno sono inesistenti. L'esercito non fa politica. Si batte per liberare il Kosovo, non per qualche governo. Quando la battaglia sarà terminata, organizzeremo delle elezioni e la popolazione sceglierà i propri dirigenti". Un'analisi a quanto pare condivisa da numerose persone vicine a Jakup Krasniqi, portavoce dell'UCK, considerato come il capofila della tendenza più accomodante in seno all'esecutivo provvisorio messo in piedi dagli indipendentisti all'indomani dei negoziati di Rambouillet, in marzo.

DIVERGENZE ALL'INTERNO DEL "GOVERNO PROVVISORIO"
Hashim Thaci è, a 30 anni, il Primo Ministro di questo governo provvisorio. Dietro a lui, vero padrone dell'UCK all'esterno, sono raggruppati i militanti che avevano optato per una resistenza militare a partire dalla sospensione dell'autonomia della provincia da parte di Belgrado, nel 1989. Miscela esplosiva di studenti marxisti-leninisti in salsa albanese e di nazionalisti radicali accanitamente anticomunisti, i fondatori dell'UCK hanno sempre rimproverato al partito del presidente Ibrahim Rugova, la Lega Democratica del Kosovo, la sua strategia pacifista, della quale ritengono che abbia gravemente frenato l'emergere di strutture di autodifesa della popolazione. Il nuovo capo del governo provvisorio si è preso cura di assicurarsi qualche appoggio importante, a cominciare da quello di Xhavit Haliti, figura di punta del "clan degli albanesi", incaricato delle relazioni con le autorità di Tirana e della gestione della cassa dell'UCK. Gli compete anche il controllo su una parte del gruzzolo della diaspora, stimato come pari a 300 milioni di dollari. "Hashim Thaci ha la stoffa del politico. Maligno, duro, paziente, un organizzatore con una visione per il futuro. Non sembra avere alcun concorrente serio", ritiene un diplomatico francese. "In generale, gli europei gli preferiscono Jakup Krasniqi. E se non piace all'ambasciatore americano Christopheri Hill, Hashim Thaci si è assicurato il sostegno del Dipartimento di Stato e della CIA. Resta da vedere se conserva la fiducia che gli era stata accordata dai comandanti sul campo ai tempi di Rambouillet".

Anche per ufficiali esperti, la risposta a questa domanda sembra difficile; essa presuppone il sapersi districare tra il groviglio di clan e di fazioni, elementi spesso più importanti degli antecedenti politici. Tutti pensano, tuttavia, che un uomo potrebbe detenere la chiave di questo mistero. Il molto discreto Azem Syla, ministro della Difesa nel governo di Hashim Thaci. Arrestato nel 1981, condannato a cinque anni di prigione, ha condotto tutte le battaglie indipendentiste fino alla prima azione rivendicata dall'UCK nel 1993, l'esecuzione di due poliziotti serbi nella Drenica. Oggi è stato incaricato della supervisione della ristrutturazione delle forze ribelli.

Avendo constatato gli insuccessi della propria campagna albanese, nonché l'impossibilità per i combattenti kosovari di riprendere l'iniziativa, la direzione dell'UCK ha intrapreso una profonda riforma delle sue strutture di combattimento. In completa discrezione, il 1° maggio, il decreto di "mobilitazione generale" è stato messo da parte a vantaggio di una "mobilitazione parziale" meno affamata di vite umane. "Avevamo troppi volontari e un numero insufficiente di armi", ammette un comandante incaricato del reclutamento, "preferiamo ormai concentrarci sulla ricerca di specialisti come medici, artiglieri o operatori radio". Lo stato maggiore è stato ristrutturato dopo che un ex generale dell'esercito croato, originario del Kosovo, si è visto affidare "la responsabilità totale delle operazioni militari". Diplomato all'accademia militare di Belgrado, capitano d'artiglieria nell'esercito federale jugoslavo, Agim Ceku ha disertato nel 1991 per unirsi alle forze indipendentiste croate. Ferito nel 1993, ha pianificato l'operazione Storm, la brutale espulsione delle milizie nazionaliste e della popolazione serba dalla Krajina. Questo ufficiale ha in tale occasione lavorato a stretto contatto con gli istruttori americani.

Queste nomine corrispondono a un cambiamento delle priorità dell'UCK, che gli indipendentisti riconoscono solo con reticenza. La costituzione di una forza militare solida in Albania, capace di sfondare un giorno la frontiera in alcuni punti decisivi, sembra prendere il sopravvento sul sogno di ampliare le "zone liberate" all'interno. Un indice di tale svolta è il fatto che l'ex capo di stato maggiore, Bislim Zyrapi, combattente rispettato, concentri ormai tutti i propri sforzi sulla logistica e l'approvvigionamento, in qualità di aiutante diretto di Azem Syla.

In compenso, il comandante supremo dell'UCK, le cui qualità di capo erano molto discusse, sembra essere stato messo da parte. "L'UCK è un esercito sufficientemente ben strutturato, che tenta di fare del suo meglio con i mezzi di cui dispone", si difende Shefki Abdulahi, capo degli affari militari della Commissione di comunicazione. "Cerchiamo di ammodernarci, perché dobbiamo fare fronte a un esercito di gran lunga meglio fornito e addestrato del nostro. Dobbiamo fare salire la pressione lentamente e restare prudenti nelle nostre offensive, che provocano spesso delle rappresaglie contro i profughi, contro zone all'interno o anche contro l'Albania. Nonostante tutte queste difficoltà l'UCK resiste abbastanza bene. Ora bisogna prepararsi per il futuro. Abbiamo cominciato a riorganizzarci per una guerra lunga. Senza forniture di armi di fanteria da parte della NATO per ristabilire un certo equilibrio, non abbiamo scelta. Anche se ci vorrà più tempo di quello che avremmo voluto, il nostro obiettivo rimane la liberazione del Kosovo".


LA NATO DA' IL SUO APPOGGIO AEREO ALLE FORZE DELL'UCK
di Dana Priest e Peter Finn - ("Washington Post", 2 giugno 1999)


I ribelli del Kosovo si sono impegnati in un'importante offensiva che ha ottenuto il primo sostegno aereo della NATO fino a questo momento, in un tentativo senza successo di conquistare territorio serbo lungo il confine albanese, secondo quanto riferiscono funzionari dei servizi segreti e militari degli Stati Uniti. L'Operazione Freccia, che ha coinvolto fino a 4.000 guerriglieri dell'UCK, è stata lanciata la settimana scorsa per entrare in Kosovo da due punti attraverso il suo confine sudoccidentale con l'Albania, nella speranza di conquistare il controllo della strada principale che collega Prizren e Pec, secondo combattenti dell'UCK in Albania e funzionari militari di Washington. L'offensiva - il primo attacco importante dei ribelli, da un anno a questa parte - aveva tra le altre cose lo scopo di mostrare alla NATO e alla Jugoslavia che i ribelli sono "ancora in lotta", secondo un alto funzionario dei servizi segreti degli USA.

L'attacco è stato però sgominato da un pesante fuoco d'artiglieria jugoslavo e da agili contrattacchi da parte dei soldati jugoslavi, hanno riferito i funzionari. Il risultato ha dimostrato che l'esercito jugoslavo rimane capace, in Kosovo, di vaste azioni militari, nonostante le asserzioni della NATO secondo cui dopo 70 giorni di bombardamenti, le truppe soffrono di carenze di carburante, di perdite di equipaggaimenti e di un morale distrutto.

La NATO e l'amministrazione Clinton hanno negato di aiutare l'UCK direttamente e hanno affermato di volere che la forza secessionista venga disarmata nell'ambito di un eventuale accordo di pace con il governo jugoslavo del presidente Slobodan Milosevic. Ma funzionari dei servizi segreti USA hanno detto che la NATO la settimana scorsa ha risposto a una richiesta "urgente" di supporto aereo da parte dell'UCK, al fine di contenere un contrattacco serbo sul Monte Pastrik, di poco all'interno del Kosovo. Inoltre, aerei NATO hanno colpito obiettivi nei villaggi di Bucane e di Ljumbarda, o nei loro pressi, consentendo ai ribelli, secondo quanto sostengono i funzionari, di conquisare i villaggi. Il bombardamento ha contrassegnato il primo sostegno aereo di cui si abbia notizia da parte della NATO ai ribelli del Kosovo. Non è chiaro se gli attacchi hanno rappresentato l'unico tale supporto aereo diretto, che secondo quanto ha dichiarato un funzionario militare jugoslavo ieri, sono una routine. In ogni caso, l'UCK trae vantaggio dagli attacchi quotidiani condotti dalla NATO lungo il confine. [...]

Alla domanda se la NATO e l'UCK coordinano le proprie strategie, un ufficiale dell'UCK a Tirana ha detto che si trattava di un "dettaglio operativo" del quale non poteva parlare. Ma l'ufficiale, Visa Reka, ha aggiunto, "non direi coordinazione. Direi che la NATO sta seguendo con attenzione e interesse di gran lunga maggiore quello che sta succedendo". Le forze dell'UCK e quelle della NATO hanno contatti telefonici di routine, ma limitati. La NATO segue anche continuamente l'attività dei ribelli utilizzando dispositivi come satelliti e stazioni di monitoraggio a terra. Un alto ufficiale USA ha detto che l'UCK mantiene la NATO informata in merito alle proprie posizioni. Uno tra i motivi è che l'UCK vuole assicurarsi che la NATO non bombardi le sue forze, cosa che ha fatto per errore due settimane fa attaccando una caserma a Kosare. [...] Più di un mese fa, l'UCK aveva creato una roccaforte a Kosare, appena oltre la città di confine albanese di Pedash. L'offensiva lanciata la scorsa settimana, che è ancora in corso, era mirata ad aprire un secondo corridoio nei pressi del posto di confine di Morina nella zona sudorientale, dove nelle ultime settimane sono transitati 430.000 profughi.

L'offensiva è cominciata a metà della settimana scorsa dal villaggio albanese di Krumi, con un'altra incursione parallela di diversione in una zona vicina, a est di Klina. Nel giro di un giorno o due le forze serbe sono riuscite a spezzare lo slancio dei ribelli, respingendo i guerriglieri e isolandoli sulle zone più alte del Monte Pastrik. Anche se i bombardamenti NATO hanno indebolito le forze serbe, queste ultime si sono mosse rapidamente per costruire tre ponti temporanei sul fiume Beli Drin e hanno ricevuto l'ordine di sparare "su qualsiasi cosa si movesse", secondo un rapporto giunto ai funzionari dei servizi segreti USA. Dopo numerosi giorni di pesante fuoco di artiglieria e di mortaio sul Monte Pastrik, l'UCK è stata "ridotta in cenere", secondo un alto funzionario dei servizi segreti USA. "Una volta che riescono a stabilirsi su un pezzo di terreno, l'esercito jugoslavo arriva con i suoi carri armati e la sua artiglieria, ai quali i ribelli non possono fare fronte", ha detto il funzionario dei servizi segreti USA. "Ed è esattamente quello che è successo negli ultimi giorni".