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![]() NOTIZIE EST #239 - JUGOSLAVIA/KOSOVO/MACEDONIA 5 giugno 1999 PRIGIONIERI POLITICI, PRIGIONIERI UMANITARI [Due articoli emblematici sulla simile sorte di prigionieri subita dagli attivisti nel Kosovo e dai profughi in Macedonia] AUMENTANO I TIMORI PER I PRIGIONIERI ALBANESI di Peter Finn e R. Jeffrey Smith - ("Washington Post" - 2 giugno 1999) TIRANA - Tre settimane fa, Bugar Dugolli ha chiamato un avvocato difensore dei diritti umani a Belgrado e gli ha chiesto di visitare suo fratello Enver, di 37 anni, un importante prigioniero politico albanese del Kosovo, che era stato incarcerato a Sremska Mitrovica, nella Serbia settentrionale. Quando l'avvocato, Hysni Bytyci, è arrivato alla prigione, però, gli è stato detto che tutti i prigionieri di etnia albanese, tra i quali Enver Dugolli e almeno altre 100 persone, erano stati trasferiti. La guardia non ha fornito dettagli, ma ha suggerito che con ogni probabilità i carcerati erano stati portati nella città meridionale di Nis, dove dozzine di altri dissidenti albanesi erano detenuti. Quanto Bytyci ha contattato le autorità della prigione di Nis, si è sentito dire che non avevano accolto alcun trasferimento da Sremska Mitrovica e che i prigionieri forse erano stati portati in una delle numerose prigioni all'interno del Kosovo. L'avvocato, temendo per la propria sicurezza, ha rinunciato alla sua ricerca e ha chiesto alle famiglie dei prigionieri di non contattarlo. "Sono molto preoccupato", ha detto Bugar Dugolli, di 28 anni, che è stato presidente dell'Unione Indipendente degli Studenti dell'Università di Pristina prima di fuggire dal Kosovo. "Vivo con la speranza che stia bene. Ma tutti questi prigionieri sono in grave pericolo". Nelle ultime settimane, le autorità serbe hanno rilasciato 2.500 prigionieri [per la precisione, in massima parte espulsi dal Kosovo - N.d.T.] che erano stati rinchiusi in carceri all'interno del Kosovo per settimane da quando il 24 marzo era cominciata la campagna aerea contro la Jugoslavia. Ma mancano tra di loro chiaramente tutti i principali prigionieri politici che erano stati arrestati negli ultimi 10 anni per il loro sostegno attivo all'indipendenza del Kosovo dalla Serbia, la principale repubblica della federazione jugoslava. Almeno 2.000 albanesi sono stati imprigionati con accuse politiche prima dell'inizio degli attacchi aerei, secondo organizzazioni per i diritti umani. Il loro destino rimane ignoto. Ma le loro famiglie e i gruppi per i diritti umani temono che la resistenza dei prigionieri al dominio serbo li renda uno dei gruppi di albanesi più vulnerabili tra quelli all'interno della Jugoslavia. Molti di loro fanno parte della leadership e delle persone più preparate del movimento per l'indipendenza del Kosovo. La preoccupazione è resa ancora maggiore dal duro trattamento riservato a molti di loro ancora prima che la campagna della NATO cominciasse, trattamento che comprende anche casi documentati di tortura. Ed è alimentata da ulteriori notizie riportate da alcuni ex prigionieri che sono riusciti ad arrivare in Macedonia e Albania nel corso delle ultime due settimane, secondo i quali le condizioni all'interno delle prigioni sono d'inferno. "I miei figli sono dipserati e continuano a chiedere quando riusciremo a vederlo", ha detto Shahadije Xhemajli, di 38 anni, il cui marito, Bajrush Xhemajli, un deputato indipendente nel governo parallelo degli albanesi del Kosovo, è stato condannato a sei anni di prigione nel 1993 per le sue attività. "Non sappiamo dove sia Bajrush e nessuno ci può aiutare". Il fratello di Iliri Ruzhdi, Blerim Olloni, un avvocato, è stato arrestato nel novembre del 1994 e accusato di avere formato una forza di polizia parallela albanese. Olloni è stato fermato per tre giorni di detenzione investigativa, secondo quanto consentito dal Codice Penale della federazione jugoslava, ma poi trattenuto in carcerazione preventiva per sei mesi in violazione della legge. Sua moglie ha detto che la polizia le ha telefonato dal centro di detenzione per costringerla ad ascoltare mentre picchiavano suo marito. Nel luglio del 1995, Olloni è stato condannato a sei anni di prigione. E questo marzo, Olloni, che ha 42 anni, era prigioniero nel carcere di Dubrova, al di fuori della città di Mitrovica, in Kosovo. La prigione è stata bombardata ad aprile dalla NATO, la quale ha detto che veniva usata dall'esercito jugoslavo come centro di comando. Secondo le notizie pervenute, diciannove detenuti sono stati uccisi, ma le famiglie dei prigionieri che si trovavano presso il carcere, ivi inclusa quella di Olloni, non sanno se i propri famigliari sono tra quelli morti. Tra i prigionieri che a quanto pare sono detenuti nella prigione di Lipljan, 15 chilometri circa a sud di Pristina, c'è Albin Kurti, un esponente albanese dell'Unione degli Studenti Indipendenti dell'Università di Pristina, ed ex aiutante del portavoce dell'UCK Adem Demaci. Anche il padre di Kurti si trova imprigionato lì e con ogni probabilità numerosi altri loro parenti, secondo quanto raccontano svariati uomini che fanno parte di un gruppo di 61 persone rilasciate dalla prigione la settimana scorsa. La prigione è stata a lungo nota come un luogo in cui gli albanesi vengono brutalmente picchiati. Lo scorso autunno, il Centro per il Diritto Umanitario di Belgrado segnalava, per fare un esempio, che "detenuti... erano oggetto quotidianamente di violenze" mentre si spostavano da una parte all'altra della prigione. Alcuni ex compagni di cella, che sono stati inspiegabilmente rilasciati e deportati con un autobus al confine macedone il giovedì scorso, hanno detto di essere stati costretti a sedersi con le gambe incrociate sul pavimento in cemento di una stanza per svariate ore di seguito con le mani dietro la schiena e la testa piegata. Attraverso le finestre potevano sentire le urla, per la maggior parte dei nuovi arrivati, nonché i colpi della contraerea contro gli aerei della NATO. Ogni giorno venivano svegliati alle 6 di mattina e ricevevano un pezzo di pane raffermo e una piccola quantità di aceto e pepe in tazzine alle 11 del mattino e alle 4 del pomeriggio. Si ricordano di avere ricevuto, tre volte in un mese, un cucchiaino di marmellata da spalmare sul pane. "Perché non accettate la politica di Milosevic?", ha chiesto un poliziotto mentre bastonava un prigioniero, secondo quanto raccontano gli ex carcerati. "Ecco qua un regalo per Clinton", ha detto un altro poliziotto picchiando uno dei prigionieri sulla stesta con un'asta di acciaio, lasciando una larga ferita per la quale sono state necessarie le bende. Un ex prigioniero di nome Isret ha detto che la polizia ha domandato: "Qauli armi usate? Avete dato soldi all'UCK. Di quante persone è composta la vostra famiglia? Quanti di loro sono nell'UCK?". "Ho continuato a dire che non conoscevo nessuno, ma la risposta che davamo non aveva alcuna importanza ", ha raccontato Isret. Anche quelli che avevano difficoltà a parlare serbo venivano picchiati, ha detto Astrid van Genderin Stort, una portavoce dell'Alto Commissariato dell'ONU per i Rifugiati al campo di Blace, in Macedonia. La portavoce ha detto che alcuni degli uomini le hanno raccontato nel corso dei colloqui che ha avuto con loro di essere stati costretti a tenere le mani sopra il capo e a passare attraverso a un tunnel di poliziotti che li picchiavano. Altri hanno detto di essere stati costretti a inginocchiarsi sul pavimento e di essere poi stati presi ripetutamente a calci. Quando gli uomini si recavano poi ai gabinetti, le loro urine erano rosse del sangue delle emorragie interne e almeno uno degli uomini che stavano nella loro stanza - un professore della città kosovara di Urosevac - è morto per le ferite riportate, dice un ex prigioniero. Un certo numero di coloro che sono entrati in Albania dopo essere stati liberati hanno contratto la tubercolosi o hanno riattivato la malattia dal suo stato latente, probabilmente a causa della loro prigionia, affermano medici che li hanno esaminati. Tutti gli ex prigionieri vengono tenuti sotto sorveglianza per la malattia. "Si tratta delle peggiori condizioni di prigionia di cui ho sentito parlare dai tempi delle gabbie delle tigri del Vietnam", ha detto David Langness, un ex medico in Vietnam che ha curato prigionieri di guerra americani e che ha visitato questa settimana l'Albania con un team medico dell'Università di Los Angeles. Egli ha detto che i prigionieri erano stipati in 60 in una cella e la maggior parte di essi soffriva di diarrea cronica. [...] La maggior parte dei prigionieri di Lipljan sono stati costretti a dare confessioni forzate, recitando a tutta voce "Io sono un terrorista" e ammettendo di essere stati giustamente incarcerati ai sensi del codice penale jugoslavo. Bugar Dugolli ha visto per l'ultima volta suo fratello in gennaio. I prigionieri avevano appena ottenuto il diritto, dopo l'intervento del Comitato Internazionale della Croce Rossa, di parlare albanese ai famigliari in visita. Fino all'intervento della Croce Rossa, i prigionieri venivano picchiati se non parlavano serbo, ha detto un gruppo di operatori umanitari. Dugolli ha detto che suo fratello ha cercato di sembrare di buon umore, durante le visite, per non preoccupare la moglie e i due figli. Ma due anni di maltrattamenti hanno cominciato ad avere il loro effetto. Dugolli ha detto di non volere nemmeno immaginarsi di come i prigionieri sono stati trattati dopo che la NATO ha cominciato i bombardamenti. "E' molto difficile pensare a quello che potrebbe essere capitato a tuo fratello", ha detto Dugolli, "ma io sarò felice, e so che anche mio fratello sarà felice, se i figli di mio fratello avranno l'opportunità di vivere in libertà nel Kosovo". MACEDONIA: CAMPI PROFUGHI O CAMPI DI RECLUSIONE? di Daniel McGroy - ("The Times", 3 giugno 1999) Tutto quello che Mehmet, di otto anni, aveva da dare a sua madre era un piccolo mazzo di fiori raccolti nei campi intorno al campo profughi dove è stato prigioniero nel corso delle ultime tre settimane. Un poliziotto armato si è mosso verso il bambino per impedirgli di spingere i fiori attraverso un foro nel recinto. Dall'altro lato, un'altra guardia macedone urlava a sua madre, Miradije, di 36 anni, di allontanarsi dal filo spinato che separa questa famiglia e le numerose altre trattenute a Brazde. Mehmet e suo fratello più piccolo vengono portati qui ogni giorno. Per ore, come molte altre famiglie divise dalla guerra, stanno in fila attendendo che per un caso le guardie si voltino un attimo, per correre e toccare le punte delle dita di loro madre attraverso il recinto con filo spinato. I bambini non sanno mai quanto durerà il loro incontro. Per rompere la monotonia del loro servizio di guardia, i poliziotti di tanto in tanto liberano i loro cani lasciandoli correre lungo il perimetro del campo, facendo così fuggire nella polvere i bambini dei Krasniqi e tutti gli altri. Indipendentemente dal grado di successo che avrà la diplomazia, ci vorranno mesi prima che questa famiglia e migliaia di altre siano riunite in Kosovo. Fino a quando non torneranno a casa, i profughi di Brazde continueranno a lamentarsi di essere imprigionati, e non accolti come profughi. Le famiglie non possono portare loro pacchetti con cibo o vestiti, perché le autorità macedoni hanno dato il permesso a commercianti locali di vendere tarli articoli in una serie di chioschi appena dentro le entrate principali. Si possono vedere molti parenti che, per rendere la vita più sopportabile ai loro cari trattenuti dietro il filo spinato, cercano di fare pervenire loro denaro dentro pacchetti di sigarette o nascosto in involucri per tavolette di cioccolato. Le guardie sanno di questi traffici e, come in una lotteria per coloro che all'interno del campo fanno affidamento su tale denaro per acquistare il cibo, li lasciano passare. Ma non per lungo tempo. Senza preavviso, le uniformi effettuano retate, sequestrano quanto "contrabbandato" e se lo intascano. I profughi sanno che è assolutamente inutile protestare. Il comportamento della polizia a Brazde dimostra che, indipendentemente dagli impegni presi dal governo macedone con il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan ,riguardo alla propria disponibilità a dare riparo ai profughi dal Kosovo, la maggior parte dei suoi cittadini non vuole albanesi in Macedonia. Si possono sentire le guardie farsi beffe di coloro che sono in fila lungo il filo spinato, chiedendogli quando la NATO verrà a salvarli. Quando una ragazzina cerca di dare una saponetta a suo padre, due poliziotti la trascinano via, provocando il padre con allusioni riguardo a quello che avrebbero fatto a sua figlia. La ragazzina è scappata in lacrime. Gli operatori umanitari stanno ancora conducendo indagini su una coppia di ragazzi che è stata ricoverata in ospedale, recentemente, dopo essere stata picchiata dalle guardie. I profughi si aggirano nel campo impauriti dai poliziotti, che diventano più aggressivi man mano che l'oscurità si avvicina. La polizia ha imposto ai 37.000 profughi un coprifuoco in virtù del quale entro le 10 di sera devono essere tutti nelle loro tende. Chi viene trovato in giro dopo tale ora, ivi incluse le giovani coppie in cerca di un attimo di intimità, viene pesantemente maltrattato. Nessuno può uscire dal campo di Brazde, se non per uno dei voli di evacuazione che trasportano i profughi all'estero. Più a Ovest, nel più grande dei campi, quello di Cegrane, i profughi possono andare e venire a loro piacere, anche se hanno molto meno possibilità dei loro colleghi di Brazde di ottenere un posto su un aereo. Risulta ovvio, da dietro il filo spinato di Brazde, che Miradije Krasnici non voleva essere divisa dai suoi figli. Nel caos della fuga dal Kosovo ha messo suo figlio su un treno insieme a suo zio. Nel panico e nella confusione è stata spinta a gomitate fuori dal vagone e così ha dovuto attendere la successiva evacuazione da Pristina. Arrivata infine al confine, non è riuscita a sapere dove fossero finiti i suoi figli. Successivamente, con una telefonata a un parente in Macedonia è riuscita a sapere che stavano bene. Riunirli, per la burocrazia è una cosa impossibile. La loro esperienza è un'ennesima dimostrazione di quanto le autorità possano fare per rendere la vita così intollerabile alla massa dei profughi. Ogni mattina le famiglie arrivano ai cancelli di entrata di Brazde, con documenti per dimostrare che possono ospitare parenti trattenuti nel campo. Le norme dicono che non possono. I macedoni hanno deciso che le famiglie albanesi non possono ospitare più nessuno e non ascoltano alcun argomento avanzato da chi, come Ajete Bajralin, di 27 anni, afferma di potere ospitare la propria madre e due zii. Ajete ha portato qui al campo suo figlio di due anni per mostrarlo alla madre e agli altri. Le guardie non permettono a sua madre di tenere in braccio quello che è il suo primo nipote, Albert, ed entrambe le donne scoppiano a piangere. L'unico modo per i visitatori di trovare i loro cari è quello di persuadere un profugho a cercare tra le fila delle tende urlando i relativi nomi e comunicando poi loro che dietro al filo spinato ci sono parenti in attesa. I visitatori si siedono sulla ghiaia allo scoperto, sotto un caldo torrido. Di tanto in tanto devono chiedere a quelli dentro il campo di portar loro dell'acqua dai rubinetti installati nei pressi delle entrate principali. Spesso queste persone sono così emotivamente stressate, che tutto quello che possono fare è semplicemente restare sedute guardandosi negli occhi. Di tanto in tanto trovano l'energia per mandare un bacio o un messaggio attraverso il filo spinato che corre lungo tutto il perimetro di Brazde. |